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Autore: _hisirisheyes    11/05/2013    1 recensioni
Vorrei far emergere la vera me, una volta tanto. Quella ragazza che mi sono compressa dentro, a causa del giudizio della gente, che di fesserie ne sputa a palate tutti i santi giorni.
Quella ragazza capace di tingersi i capelli dei colori più pazzi, che non ha paura di mostrarsi 'eccentrica', 'diversa'. E tutte quelle qualità che vengono considerate negative, strane, da evitare.
Quella ragazza che, se le proponi di andare per le strade, cantando con le mani al cielo, senza pensarci due volte.. esce di casa e semplicemente lo fa.
Ma questo mondo è vittima di routine e formalità, 'sto mondo non lo accetterebbe, non lo vuole e basta.
Mi squadrerebbe dai capelli alle converse, se mi permettessi di farlo.
Cosa c'è di male nello smaltarsi le unghie coi colori che saltano da rosso al verde, dal giallo al blu?
Cosa c'è di male nell'indossare un vestito con un paio di converse?
Ma soprattutto: cosa c'è di male nell'essere se stessi?
Bah, son sempre la solita, io! Pff, neanche il tempo di presentarmi che vi annoio già facendovi entrare nella mia testa. Piena di adorabili pensieri contorti.
Temo che dovrete farci l'abitudine..
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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2
AMICIZIE, GELOSIE, PORTE DA AGGIUSTARE (?)

Quel pomeriggio ci avevano dato un bel po’ di cose da ripassare, perché l’indomani mattina avrebbero fatto sicuramente un test d’ingresso. O chissà, magari domani avrebbero interrogato. In ogni caso, nessuna delle due cose mi terrorizzava, dal momento che io e Dafne avevamo ripassato tantissimo negli ultimi giorni. A proposito di Daff, la mia testa se ne andò a gironzolare ripensando ai suoi occhi quella mattina. Perché era così interessata a Matteo? Possibile che in un giorno quel ragazzo avesse ipnotizzato anche lei? Quanto al suo aspetto, non c’era niente da ridire: tutto ciò che le adolescenti desiderano. Tutte tranne me. Ho sempre preteso tantissimo in fatto di ragazzi, e non credo che troverò mai ‘quello giusto’. In ogni caso, se ci fosse mai stato un ragazzo giusto, non volevo certo che frequentasse persone come quello sbruffone, tantomeno le sue feste. Perciò ero decisa: non sarei andata a casa sua quell’ anno. Non ero voluta andare lì neanche gli altri anni, a dir la verità. Ma Dafne faceva sempre di tutto per trascinarmici ed ero terrorizzata all’ idea che ci sarebbe riuscita anche questa volta. Dovrò pensare bene a come svignarmela nel bel mezzo della serata, forse? A scuola avevo sentito dire che ne avevano già organizzata una la settimana dopo, come ‘benvenuto alle matricole’ o roba del genere. A ricreazione con le ragazze non abbiamo parlato di altro.

“Anna, prendi il telefono, è per te!” – gridò mamma dal piano di sotto. Alzai il cordless e risposi – “Pronto?” – passò qualche attimo.
“Anna, ciao” – era Dafne.
“Ah, ciao” – dissi.
“Scusa per stamattina. Mio fratello mi ha fatto il lavaggio del cervello, non avrei dovuto comportarmi così, non avrei dovuto dirti quelle cose..” – sembrava pentita, come le altre volte. Se c’era una cosa che mi piaceva di lei, era che quando riconosceva di aver sbagliato metteva da parte l’orgoglio e s’impegnava per riguadagnare i rapporti con le persone che amava. Ultimamente non era successo niente di particolare tra noi (eccetto i biglietti per andare in Francia), quindi avevo quasi dimenticato questo suo leale atteggiamento.
“Ti perdono, amica. So quanto ci tieni ad andare alle feste, mi diverto anch’ io qualche volta. Solo che Zoe mi sembrava simpatica.. quindi io e Luke..” – pensai se dovessi raccontargli la storia dell’ mp3. Dopotutto, credeva di essere l’unica ad aver sentito le mie registrazioni, se lo venisse a sapere da lui sarebbe brutto. Non una tragedia, ovvio.
“Sì, tu e Luke. Ho visto mio fratello fare una smorfia e arricciare il naso quando ti ha seguito con gli occhi lungo il sentiero del tuo giardino sul retro e notare Luke. Quindi mi ha anche chiesto perché il ragazzo dell’uscita di scuola, come ha detto lui, adesso andava anche a casa tua. Dovevi vederlo, mi ha fatto sorridere vedere quanto fosse tenero in quella situazione: okay che la gelosia è una cosa che non sopporto, ma non pensavo che Filippo potesse provarne tanta nei tuoi confronti!” – geloso nei miei confronti? Filippo!?
“Beh, sai.. è come se fossi sua sorella minore, siamo come due gemelle noi due. E Filippo lo sa..” – provai a dire io – “Non c’è niente di strano, è come un fratellone per me. Quando si tratta di ragazzi, ‘sta attento’ ad entrambe, lo sai bene.” – continuai più sicura. In realtà cercavo di convincere me stessa. A pensarci bene, non erano molti i ragazzi con cui mi vedevo, anzi. Se non fosse per Luke, si potrebbe dire che ho solo conoscenze in altre classi del liceo. Ma niente di più.
“Sì, hai ragione, ma..” – cominciò a mugugnare Dafne – “Insomma, sembrava che ci fosse sotto qualcosa. Adesso che lui non c’è possiamo parlare tranquillamente. Stamattina mi avete detto che non nascondevate niente, ma..” – eravamo già al secondo ‘ma’. Dove voleva arrivare?
“Ma, cosa?” – sentii che sospirava pesantemente – “Cosa, cosa Dafne?” – mi stava facendo innervosire.
“Beh, mi sembra strano, ad esempio, il fatto che stamattina andaste d’amore e d’accordo. Non è che la tua fosse una risata così naturale, cioè.. tu non ridi mai come una.. una..” – cominciò a bofonchiare qualcosa, ma non sentii la parola precisa. Aveva di colpo abbassato la voce, aveva concluso velocemente la frase, quindi decisi che dovessimo parlarne faccia a faccia, si capiva che Daff avesse qualcosa che non andava.
“Com’è che avrei riso, oggi, in macchina?” – azzardai un po’ scocciata.
“Hai riso come..” – pausa – “Come una stupida.” – avevo sentito abbastanza. Abbassai il tasto rosso e mi presentai a casa sua. Dafne aveva davvero qualcosa che non andava.
 

“Ehi, Anna. Vieni, entra. Devi parlare con Dafne? Sai, è appena entrata in bagno per farsi una doccia.” – mi informò la signora Maria. Come al solito, la mamma di Dafne era gentile con me. È sempre stata pronta ad accogliermi, anche quando io e Daff bighellonavamo a casa loro. Mi fece accomodare in cucina, dicendo che ci sarebbe voluto un po’ prima che sua figlia scendesse. “Cosa vuoi che ti offra? Un succo di frutta va bene?” – mi chiese aprendo il frigo.
“No, non si preoccupi. Sto bene così.” – sentimmo un rumore provenire dal fondo del corridoio, sembrava fosse caduto qualcosa. E infatti – “Che stai combinando, tesoro!?” – disse ad alta voce Maria. Non le piaceva gridare, probabilmente non l’avrebbe fatto neanche in mezzo ad un incendio. Si sentì un altro tonfo e subito dopo un altro ancora. “Ippo!” – lo richiamò lei irritata – “Che stai combinando lì dentro!?” – dopo un attimo arrivò la risposta – “Scusa, ma’. Non è successo niente!” – disse lui con voce ovattata. Sembrava che si fosse chiuso la testa in uno scatolone. E vedendo la scena che ne seguì dopo non potei trattenermi dalle risate: di colpo si aprì la porta in fondo al corridoio a causa di una violenta spallata di Filippo. Aveva il viso stravolto dal dolore. “Mamma, che ridi come una ragazzina!? La toppa della porta l’abbiamo messa secoli fa, che schifo ‘sto ripostiglio!” – ma entrando in cucina i suoi occhi diventarono enormi. Non era sua madre a ridere, anzi. La signora aveva un viso impenetrabile – “Chiedi subito scusa! Anna non è venuta per farsi dire che ride come una ragazzina, ti pare?!” – smisi di sghignazzare. “Oh, sei tu, scusa Anna, io.. cioè, non ti avevo vista.” – spiegò lui imbarazzato. “E..?” – lo incitò a continuare sua madre – “Cosa c’è ancora?” – provò ad aiutarlo lei.
“E non ridi come una ragazzina.” – disse lui piatto. Poi un lampo gli oltrepassò gli occhi, come se si fosse ricordato qualcosa. “Senti, non è che ti va di aiutarmi? Devo cambiare la serratura di quella maledetta porta. Mamma è una frana con queste cose!” – sorrise lui.
“Al massimo posso passarti quello che ti serve, non sono proprio d’aiuto, insomma.” – accennai io.
“Non preoccuparti, qualcosa inventeremo.” – lo seguii in corridoio. Dafne cominciò a usare il phon e Filippo si lamentò recitando qualche frase maschilista, come faceva di solito.
“Ecco, guarda, la porta adesso non si chiude” – mi fece notare mentre sistemava una piccola scatola piena di foto che era finita davanti allo sgabuzzino.
“Non è che tu sia stato così gentile con lei” – gli ricordai io – “Non potevamo aprirti da fuori, noi?” – mi guardò cercando una risposta logica alla soluzione ovvia cui ero giunta facilmente. Ma siccome dire che non ci aveva pensato era troppo stupido lo aiutai io – “Che c’è, volevi sentirti in un film poliziesco?”
“No, volevo fare il Superman di turno.” – rispose scocciato – “E adesso mi tocca aggiustare ‘sta porta qui.” – mi fece scivolare un foglio tra le mani – “Ecco, tieni. Leggi come si fa, che io ti seguo.” – misi a fuoco i piccoli caratteri che erano stati stampati – “Oh, okay” – e, seduta a terra con lui, presi a leggere.
“Occorrente: un set maniglia delle dimensioni identiche a quella da sostituire e un cacciavite” – lo guardai.
“Passa il cacciavite” – chiese lui porgendomi la mano. Notai quello più nuovo e glielo misi in mano – “Grazie, continua.” – disse.
“Step uno: misurare la grandezza della maniglia. Potete svitarne una parte per portarla con voi nel fare il nuovo acquisto, evitando brutte sorprese.”
“Nessuna brutta sorpresa, set giusto, vai avanti.”
“Okay, step due: effettuare la sostituzione. Svitata l’altra mezza maniglia, estraete l’albero quadro che unisce le due maniglie sincronizzandole nel movimento” – non ci capivo niente – “Svitate la parte interna della serratura.” – rivolsi uno sguardo alle mani di Filippo, che armeggiavano con le maniglie: forse non aveva capito niente neanche lui. “Tu hai capito?” – mi chiese speranzoso. Scossi la testa – “Mmm.. no.” – sorrise. E mi fece sentire un’imbranata. Poi, con lo sguardo ancora su di me, ebbe un sussulto, e notò che senza accorgersene aveva svitato tutto e basta. “Dovrebbe andare..” – disse lui. “Sembra di sì” – affermai io con una smorfia.
“Vediamo il prossimo passo”
“Allora, step tre: inserire il nuovo meccanismo di serratura. Badate che i fori presenti nel meccanismo coincidano perfettamente con quelli della porta; bloccate il tutto con le viti.”
“Ci proviamo” – sussurrò afferrando la nuova serratura. Lo guardai armeggiare in modo determinato e, dopo qualche attimo, mi fece cenno di continuare.
“Step quattro: montare le due maniglie. Ricordate di prende..”
“Anna” – mi interruppe Dafne guardandoci dall’ alto in basso.
“Mi sta aiutando a sistemare la porta, abbiamo quasi finito. Va’ in cucina, che ti raggiunge fra poco” – lei se ne andò ciabattando lungo il corridoio e mi affrettai a leggere. Una volta sistemate le maniglie, Filippo mi aiutò ad alzarmi dicendo – “Okay, io vado qua dentro e chiudo. Poi tu mi apri e vediamo se funziona.” – attesi che chiudesse il ripostiglio e un attimo dopo cominciò a bussare.
“Dlin dlon!” – fece lui. Sorrisi e restai al gioco.
“Chi è?” – domandai.
 “Il postino!” – disse dopo un attimo di esitazione.
“Arrivo!” – risposi, ma neanche il tempo di aprire la porta che dalla cucina si sentì Daff che ci canzonava – “Ma smettetela, bambini!” – seguì un lamento – “Anna, vieni qui.” – guardai Filippo e mi strinsi nelle spalle. Lui mi strizzò l’occhio per il lavoro ben fatto e mi fiondai in cucina.
“Allora, riguardo la chiamata di prima..” – cominciò lei.
“Non ti preoccupare, non me la sono presa tanto” – mentii – “Dimmi perché avrei dovuto fare apposta quella risata e siamo apposto” - continuai arrivando al sodo.
“Non mi piace tutta questa complicità che hai con quello lì. È come se fossi passata dalla sua parte.” – questa era bella. Adesso non potevo neanche ridere?
“È stata solo una risata buttata lì e basta. Non significava niente.” – mi accoccolai accanto a lei sul divano – “Filippo era d’accordo solo per.. che ne so.. una coincidenza? È normale preferire i rapporti umani alle serate scolastiche quando non sei un tipo festaiolo. E la gelosia di tuo fratello sarà stata solo momentanea, ne sono sicura.” – conclusi svelta.
“Gelosia?” – ci chiese lui appoggiandosi al legno della porta – “Ma che state dicendo?” – ci lanciò uno sguardo interrogativo. Adesso mi credevo davvero stupida. “Niente, infatti. Era solo una stupida frase buttata lì..” – tentai di risolvere io.
“Parla di oggi a mezzogiorno, sei stato patetico a farmi tutte quelle domande su lei e Luke” – aspetta, aspetta.. ‘Patetico’!? Dafne mi aveva parlato di tenerezza quando mi ha descritto la scena, che centra ora che sia stato patetico? E quali domande aveva fatto?
Per tutta risposta, Filippo alzò le spalle e fece scivolare una sedia del tavolo sotto le sue gambe. Si mise davanti a noi e appoggiò le braccia sulla spalliera. Sembrava un gangster dentro un brutto locale, tanto era infastidito dalle parole di sua sorella.
“Di quali domande parli?” – le chiesi fissando Filippo negli occhi.
“Mi ha chiesto chi era. Se stavate insieme, insomma.” – si stava mettendo male.
“Era solo per sapere.. c’è qualche problema, forse? Anna è come una sorellina per me.” – no, ti prego. Tutto, ma non una sorellina. Non so, faceva tanto gelato e palloncino. Pensavo invece di essere l’amica della sorella, per lui. O, se proprio vogliamo entrare nel dettaglio, la lettrice d’istruzioni per aggiustare le serrature. Ma sorellina no.
“Non mi pare” – sussurrò a denti stretti al fratello. Decisi di intervenire.
“Va bene, ragazzi, è tutto a posto. Voleva solo.. informarsi” – conclusi. Nel frattempo rivedevo mentalmente la teoria della sorellina. Era vero, l’aveva detto lui stesso. Non poteva starci niente di diverso dietro quella gelosia, ammesso che potesse chiamarsi così. Ma continuavo a non capire l’irritazione di Daff. Non c’era motivo di preoccuparsi di una cosa del genere: Filippo aveva fatto una smorfia, qualche domanda e basta. Mi dissi che non dovevo dargli peso, a quel comportamento. Era tutto a posto.
“Beh, non è che con me si sia mai informato, come dici tu” – adesso ci stava scocciando tutti e due. Non c’era bisogno di portarla alle lunghe, poteva benissimo dirci quello che pensava di noi e finirla lì.
“Beh, non penso che tu ti faccia ammaliare da un ragazzino come quel Mattia, lì..” – riprese lui – “quindi non c’è da preoccuparsi. O dovrei, forse?” – sorrise malizioso. Era un’espressione di lui che non avevo mai sopportato. Dafne stava per rispondere mettendogli le mani addosso e imprecò – “Matteo! Si chiama Matteo quello lì!” – sentii il cellulare che vibrava: era mia madre. Evidentemente si era accorta della mia assenza.
“E poi, vedi che lo ammetti!?” – sbottò Daff.
“Cosa!?” – guardò interrogativo lui.
“Hai appena detto che ti preoccupi per Anna e invece per me no. Ti sembra normale, questo?” – serrò la mascella e si girò dall’altra parte. Filippo fece per replicare, ma dovevo tornare a casa e troncare la conversazione. Quindi mi alzai e spiegai di nuovo che era tutto a posto, tra me e lui non era successo niente.
“È il fratello odioso di sempre. Che pensa solo a ricordarci quanto siamo infantili.” – ed era vero. All’ uscita di scuola non faceva altro che riprenderci e a sentirci parlare di ragazzi ripeteva che eravamo troppo piccole, che non ci capivamo niente. In particolare diceva che rappresentavamo i due estremi di personalità femminili che ai ragazzi, come diceva lui, non piaceranno mai: Daff era ‘troppo’ in tutto, troppi lustrini e troppo make-up; Anna era ‘troppo poco’, il tipico maschiaccio che non attirerebbe anima viva. Mi ricordo che da quel giorno cominciai a truccarmi di più e scegliere con devozione i vestiti da mettere, i comportamenti da avere, ma non durò molto. Dopo una settimana ero ritornata la ragazza di sempre.
Nonostante dissi soddisfatta quelle parole per mettere tutti a tacere, sentii una fitta al cuore quando notai lo sguardo offeso di Filippo: forse ho esagerato, dissi a me stessa. Salutai i ragazzi e Maria e tornai a casa.

Quell’anno scolastico poteva anche cominciare meglio.
Le ultime dodici ore mi avevano dato tanto cui pensare, ma sia io sia la mia testa sapevamo la domanda che non doveva uscire allo scoperto in quel momento. Come mai, di punto in bianco, Anna Castoldi ha dei ragazzi a cui pensare? Possibile che Luke mi avesse notata solo adesso? Possibile che Filippo mi stesse guardando sotto una luce diversa? Mi sentivo come una teenager nei film americani, solo senza un’amica con cui parlarne. C’eravamo solo io e me stessa, a pensarci. E liberarsi da quel ronzio di domande sarebbe stato difficile.
Calciai un sassolino solitario sul sentiero dietro casa ed entrai portandomi una mano sulla fronte: appena notai che mi scoppiava sempre di più pensai bene di metterci del ghiaccio, ma come al solito Mary l’aveva consumato tutto e non aveva riempito le formine bianche per i cubetti con dell’ altra acqua. Poco male, pensai. Afferrai una bottiglietta di acqua congelata e me la posizionai sulla testa in modo che non cadesse.
Appena avvertii i passi di Mary echeggiare nella stanza, chiusi gli occhi per simulare una dormita. Almeno non avrebbe fatto rumore. Invece mi scrollò per farmi ‘svegliare’.
“Sì?” – aprii un occhio.
“Mamma ti ha chiamato prima, al cellulare”
“Lo so” – la testa andava un po’ meglio, ora.
“Sta passando l’aspirapolvere nella tua stanza, ti aspetta lì per parlare” – oh, bene. Non avevo voglia di parlare con nessuno – “Credo sia per la faccenda di Luke. Ah, e vuole sapere dove sei stata poco fa” – avrei dovuto avvertirla prima di uscire, quantomeno mi sarei risparmiata una splendida discussione madre-figlia.
“Beh, dille che tra un attimo salgo e parliamo, okay?” – mi bastava dire di essere andata da Dafne e si sarebbe risolto tutto.
“No, vuole che tu ci vada ora” – si, certo, certo. Posai la bottiglietta nel freezer, mi fiondai davanti alle scale e salii i gradini a due a due. Speriamo che non abbia toccato nulla, pensai con poca convinzione. Sicuramente aveva dato una sistemata, come avrebbe detto lei.
“Ma eccola, la signorina!” – cominciò con un tono di voce che non prometteva niente di buono – “Ti sembra normale uscire di casa senza avvertire nessuno? Tre ore a sgolarmi per chiamare il tuo nome, e tu che fai!? A casa non ci sei, al cellulare non rispondi! Rientri a casa come se niente fosse, come se passare dal retro possa far sì che non ti veda nessuno.” – scosse energicamente la testa – “Che rientri a quest’ ora, intendo.”
Provai ad impossessarmi del mio territorio, ma mamma scaraventò le lenzuola del mio letto davanti alla porta. Sempre se letto si potesse chiamare, quello. Era un insieme di coperte, lenzuola, cuscini e plaid leggeri. Mi ricordo ancora come ho fatto a convincere i miei a non comprarmi un letto quando ero piccola e dormivo in una culla da campo: li svegliavo meccanicamente tutte le notti, sbucando nella loro camera da letto accusando la sensazione di sentire qualcuno che mi chiamava. “Adesso il mostro è nell’armadio” – mi giustificavo io – “ma ha detto che se mi comprate il letto si nasconde lì sotto e la notte mi spaventa” – ovvio che mamma e papà non ci credessero, ma per passare delle notti in pace decisero di accontentarmi e di, come dicevano loro, ‘lasciarmi fantasticare un poco’.
“Sono stata da Dafne, non c’è bisogno che ti preoccupi in questo modo” – scavalcai la montagna di lenzuola ed entrai nella mia stanza.
“Questa è da vedere: chiamerò Maria quando avrò finito qui con te” – mi fece cenno di avvicinarmi, in modo che non dovesse gridare per sovrastare il rumore dell’aspirapolvere – “Ma piuttosto, com’è fino a ieri non ti incontravi con nessuno e oggi un ragazzo si è presentato davanti alla porta? Se è così che intendi cominciare l’anno, posso sempre considerare l’opzione di farti studiare a casa!” – come se Luke avesse chiesto la mia mano, o roba del genere.
“Siamo compagni di classe, doveva solo darmi una cosa” – affermai io.
“Mary mi ha detto che c’è una festa per gli studenti del primo anno, questo venerdì. Vuoi andarci con lui?” – tutto d’un tratto il suo sguardo divenne dolce. E purtroppo sapevo il perché. Desiderava che fossi come Dafne, una figlia romantica che va al ballo della scuola, una ragazza molto femminile che ci tiene ad essere sempre presentabile e tutte quelle cose lì. A pensarci bene, però, non abbiamo mai parlato di ragazzi io e lei.
Possibile che con l’arrivo di Luke avesse immaginato qualcosa?
“A dire il vero, non ci voglio andare e basta” – risposi sinceramente – “Ma Dafne ci tiene, quindi..”
“Quindi dovrai trovarti un accompagnatore” – sorrise lei.
“Non siamo in America, non è così che funziona, mamma!” – aveva una fantasia sconfinata. Entrai in stanza e collegai il mio laptop all’ alimentatore: l’ avevo usato tutta la sera in attesa del sonno e si era scaricata quasi tutta la batteria.
“Sai ma’? Oggi ho aiutato Filippo a sistemare la toppa di una porta, quindi, non so, se dovesse servire..” – cambiai discorso io.
“Ah, Filippo. Che bravo ragazzo, sono felice che aiuti un po’, almeno non vai a casa loro solo per disturbare” – si girò verso di me sorridendo come se avesse avuto un lampo di genio – “Potresti andarci con lui. Al ballo, intendo. Pensa un po’ che simpatici, tutti e due.” – ehm, no. Non direi.
“Ma non pensi che sia un po’ grande per me?” – pensavo che tre anni di differenza fossero un abisso, secondo lei. Mi sistemai sulla sedia girevole colorata davanti alla scrivania. Certo ch’era un’idea curiosa: io e Filippo ad una festa. Mi fa solo un po’ strana, tutto qui.
“Sai che non è l’età la cosa importante, vero?” – no, pensavo che non lo sapessi tu – “Ho sposato tuo padre per la sua maturità e dolcezza, non certo perché fosse l’unico ragazzo che conoscessi ad avere la mia età! Sai com’è, non è che in mezzo a cinquemila abitanti puoi trovare chissà che..” – papà, allora, significava forse che avesse deciso di accontentarsi? – “Ma tuo padre è sempre stato speciale, per me. Lui era.. era diverso” – aveva gli occhi leggermente lucidi, adesso ho capito da chi ho preso l’atteggiamento di commuoversi anche per le piccole cose – “Leva questi piedi, che pulisco anche qui sotto!” – incrociai le gambe sulla sedia e presi il piccolo cestino in modo che mamma pulisse anche quel pezzo, poi decisi che non doveva farsi false illusioni – “Comunque sia, non andrò alla festa con Filippo. Voglio che sia una serata.. tranquilla. Sempre se ci vado, ovvio” – la aiutai a mettere le lenzuola nel cestone della biancheria sporca e tornai in camera per controllare le mail. Niente di nuovo, a parte lo spam e la posta indesiderata che riguardava offerte e concorsi. Un attimo prima di chiudere, però, arrivò qualcosa di nuovo e andai a controllare: né pubblicità né macchine nuove. Lessi il nome del destinatario, Alana. Perché mai mi aveva scritto, lei?
  
Festa delle matricole a casa mia venerdì alle 20.30; Tema Moulin Rouge.
In allegato, l’invito per entrare: non portate con voi persone che non sono nella lista.
Baci baci, Alana 

  
Scritte tutte rosa shocking, naturalmente. Adesso che sapevo il tema della festa non ci sarei andata di sicuro: possibile che mi avesse invitato davvero? Doveva esserci sotto qualcosa.
Cliccai su ‘Visualizza’ accanto all’allegato aspettandomi di trovare qualche scritta tipo - E’ UNO STUPIDO SCHERZO – invece no. C’era proprio il mio nome, lì sopra: Anna Castoldi. Chiusi la scheda, scaricai l’invito e lessi con noncuranza qualche nome della lista: tutta gente popolare a scuola, anche se qualche nome proprio non me lo spiegavo: secchioni, nerd, emarginate sociali. Decisi di chiamare Dafne per controllare che l’avesse ricevuto anche lei: come da copione, aspettai che smettesse di esultare prima di parlarne.
“Anche io! L’ho ricevuta anch’io l’e-mail! Anche io, Anna! Proprio come previsto!” – sentivo dallo sbalzo di volume che stava saltando sul letto, ma più che sui lamenti di Filippo dietro la porta di lei, decisi di soffermarmi sull’ultima frase: Dafne aveva previsto tutto.
“Cosa?” – chiesi piatta come se fosse un’affermazione. Aveva l’obbligo di spiegarmi ogni cosa al riguardo.
“Che c’è? Non sei felice? Speravo potessimo andarci insieme!” – si sedette sul suo letto, finalmente.
“Come. Quando. Dove. Perché.” – il mio tono non ammetteva obiezioni, e speravo che Daff lo capisse.
“Senti è che..” – pausa – “Niente, ho fatto qualcosina per farci avere gli inviti da Alana.” – ok, no. Quel qualcosina non andava proprio. Aspettai che continuasse – “Stamattina, a scuola.. all’uscita.. quando tu eri con Zoe.. io ero con lui..” – abbassò la voce – “..con Matteo” – fine della frase. Speravo non fosse la fine della spiegazione.
“Continua” – le dissi quasi in tono di rimprovero.
“Ci siamo per caso incrociati in corridoio. E lui mi ha chiamata. E io ho risposto, cioè, ci sono andata: Dafne, ci vieni alla festa con me venerdì?, mi ha chiesto. E.. io ho detto che non ci sarei andata se non avesse fatto invitare anche te. E lui ha detto che avrebbe visto un po’ cosa poteva inventarsi per farti avere l’invito, dato che ci tenevo, io. Ecco qua.” – eh sì, ecco qua. Ed ecco qui: hai fatto male, amica.
“Forse dovremmo parlare più spesso noi” – cominciai io – “Pensavo che avessi capito che Matteo è tipo un pallone gonfiato per me. È orribile, non mi piace affatto lui, non mi piacciono le persone che gli girano intorno, non mi piacciono le feste che fa, ti devo ricordare quella dell’anno scorso, o cosa, Dafne!? Vuoi che ti faccia un piccolo riassunto? Perché, sai com’è, mentre io scrivevo uno stupido riassunto scolastico per te, quest’estate, tu avevi la possibilità di divertirti. E io no.” – sospirò profondamente, ma non avevo intenzione di fermarmi – “E che cos’hai fatto tu, stamattina? Prima di insegnarmi come si vive, in quella stupida scuola, stavi convincendo quello spaccone a fare invitare ME alle LORO feste. Credo che tu non sappia come ci si sente in queste situazioni, Dafne. Non lo sai e basta.” – provò a replicare – “E non è affatto divertente” – conclusi io alzando l’indice in segno di convinzione come se potesse vedermi.
“Io.. pensavo che noi.. mi dispiace.” – fu tutto quello che riuscì a dire. Poi staccò.
Adesso Matteo pensava che gli andassi dietro, che la mia migliore amica andasse alle feste della sua fidanzata e che io l’avessi convinta a farmi invitare – come se m’interessasse! – facendo la figura della stupida che ha bisogno di una vita sociale e ‘popolare’. Non avrebbe dovuto accettare la sua proposta, prima di tutto. Ma siccome la sua vita non la decido io, ha potuto farlo benissimo: che si diverta con quello, non m’importa nemmeno. Fatto sta che io ho la mia, di vita, e da questa storia stupida doveva lasciarmi assolutamente fuori. ‘Anna pensa che le tue seratine fanno schifo’, questo avrebbe potuto dirglielo, si. Ma quando sono io a parlare, in una frase con il nome di quel ragazzo poteva starci solo un insulto. Niente di più. E speravo che Dafne l’avesse capito.
Come accade di solito nelle mie giornate no, andai a letto presto, sperando che la notte spazzasse via tutto ciò che era accaduto. Come primo giorno di scuola aveva fatto abbastanza pena.
 
Quella mattina mi svegliai con il corpo indolenzito, dopo aver passato le ore precedenti a svegliarmi ogni mezz’ora. Allungai la mano, e dopo aver tastato un paio di cose sul comodino presi il cellulare e lo schermo illuminato mi accecò: le otto meno un quarto. Quindici minuti e Filippo sarebbe passato di lì. Scesi le scale a piedi nudi, non avevo idea di dove fossero le infradito, ma pensai che non doveva essere poi così importante considerando l’orario. Mi fiondai in cucina coi capelli spettinati che sembravano la criniera di un leone, nonostante la sera prima avessi usato il balsamo per capelli lisci.
“Mamma, hai già preparato una tazza di latte per me?” – afferrai un biscotto e ritornai in bagno per accendere la piastra.
“Alla buon’ora!” – gridò mamma dal piano di sotto – “Mary è appena uscita, possibile che la sveglia a te non funzioni?” – come se ce l’avessi, una sveglia. Cominciai ad allisciare i capelli ed elencai mentalmente le materie che avrei avuto quella mattina. Oh, no. In prima ora avevamo il prof peggiore del nostro corso, e un ritardo già al secondo giorno non l’avrebbe tollerato!
Dopo dieci minuti, andai in camera per prendere lo zaino e andai a controllare il microonde, sperando che ma’ mi avesse preparato qualcosa: niente di niente.
Stavo per uscire dalla porta sul retro, come al solito, ma anziché una Volvo nera notai un ragazzo sul vialetto che alzò la mano per salutare.
“Luke, che ci fai qui?” – chiesi sbalordita.
“Ciao, Anna. Mi ha chiamato Dafne dicendo che avevi bisogno di qualcuno che ti accompagnasse a scuola, boh.. ha detto che lei non sarebbe passata oggi” – e giustamente ha pensato bene di chiamare lui.
“Però non ho il motore, è ad aggiustare, se così si può dire” – perfetto, stiamo solo perdendo tempo però – “Quindi sono venuto per farti compagnia, che ne so, Dafne diceva fosse importante” – a scuola glielo dico io cosa è importante! – “Qualcosa non va? Ho fatto male? Sembri arrabbiata” – ma certo che no! Quella mi spedisce il ragazzo baby sitter e io dovrei essere arrabbiata? Anna Castoldi arrabbiata? E quando mai, sono sempre raggiante quando un ragazzo crede che sia una che la strada per andare a scuola neanche la sappia!
“È tutto apposto.” – dissi stringendo i pugni per restare calma – “Davvero. Adesso andiamo, che è già tardi. Probabilmente il prof ci farà la paternale a tutti e due!” – e di ch era la colpa? Di Anna Castoldi, ovvio!
Il comportamento di Daff mi stava facendo sbollire. E lui lo notò.
“Senti, se vuoi domani passo col motore, vedo che posso fare” – si, come no.
“No, è sempre stato Filippo a darmi un passaggio, sia all’andata che al ritorno. Domani verrà di sicuro.” – almeno spero.
“Ah, il biondone che vi accompagna tutt’e due.”
“Sì, è suo fratello maggiore.” – e speravo che la conversazione finisse lì. Luke mi stava simpatico, non fraintendete, ma tutta quella situazione non mi piaceva: ero già nervosa per il ritardo, e stare accanto ad uno sconosciuto non mi faceva sentire a mio agio. Come ho già detto, non ho una vita sociale molto significativa. E mi sta bene così.
“Ah, non lo sapevo. È bello da parte sua offrirsi per un servizio del genere. Non dev’essere facile per lui conciliarlo con il lavoro o gli studi, immagino.” – no, non lo è. Ma siccome i capricci di Dafne sono stati molti, è facile capire come si sia subito piegato al suo volere due anni fa.
“Filippo lavora in un locale fuori città, quindi si organizza in modo che gli orari glielo permettano. È un tipo disponibile, lui.” – e anche tu, Luke. Ti sei fatto il doppio della strada stamattina, tutta a piedi. Lo ringraziai dentro di me. Possibile che un ragazzo avesse così tanta pazienza?
“Sei stato invitato alla festa delle matricole, venerdì sera?” – cambiai discorso io. Ero curiosa di sapere se l’unica ad essere stupita della lista degli invitati fossi io.
“In realtà, neanche m’interessa.” – okay, il ragazzo qui presente sta cominciando ad interessarmi. Non aveva passato il pomeriggio davanti al pc, come tutti gli altri ragazzi della scuola? Non aveva aspettato la mail con ansia? Beh, neanche io in effetti.
“È bello pensare che non sei un tipo da festini, tu!” – mi guardò stupito
“Non ci vai neanche tu?” – bella domanda.
“Matteo penserà che prima mi faccio invitare e poi non ci vado, bello no?” – e gli raccontai tutta la storia.
“Quindi è per questo che oggi son qui con te?”
“Sì. Dafne l’ha fatto apposta. Mi spiace.” – gli rivolsi un sorriso triste ed entrammo nel parcheggio della scuola: la campanella era suonata poco prima, quindi c’erano soltanto i fumatori nei dintorni.
“A me non dispiace affatto, invece. Non è così male stare con te. Oh, guarda lì: c’è Zoe che ci saluta.” – che carina, aveva pensato di aspettarlo. Sarebbe bello se diventassero amici, pensai.
“Ciao Anna, ciao Luke.” – ci fece posto accanto a lei.
“Buongiorno, ragazza” – le disse lui.
“Ehi, Zoe. Che c’è, i test d’ingresso scocciano anche te?” – esordii io. Notai che era l’unica a non fumare nel raggio di trenta metri – “Sai com’è, siamo un po’ in ritardo, noi” – continuai.
“Ah, beh, preferisco ascoltare musica. Voi volete entrare adesso? Vi accompagno.” – sì, e alla svelta. Il prof ci farà a fette.
“Tu che materia hai, adesso?” – le chiese Luke sistemandosi i pantaloni: il prato era umido quella mattina.
“E boh. Sono nel corso A, comunque. Quindi temo che non si farà lezione, come al solito. Mi è bastato un giorno per capire che tipo di classe è, quella. È una classe abbastanza.. attiva.. se così si può dire” – e ci credo. È quella di Matteo, dove si formano stupidi gruppetti e ci si comporta in modo infantile.
“Non è una bella cerchia, mi dispiace.” – dissi – “Immagino che si parli solo di venerdì sera, per adesso.”
“Sì, esatto. Non mi hanno invitata, meno male! Non mi piacciono le persone come loro, quindi non dovrò inventarmi che ho già un impegno o cose così.”
“Anna, tu ci vai allora?” – mi chiese Luke – “Perché se non ci vai, possiamo organizzarcela noi una bella serata, vi pare?” – girammo l’angolo  e guardai malinconica la porta in fondo al corridoio: la mia classe.
“Se la mettete così, allora va bene. Reciterò una scusa a Dafne per non andare.” – sempre che lei voglia ancora partecipare con me, ovvio.
“Mi piacerebbe” – sorrise Zoe – “Alla fine delle lezioni ci vediamo all’entrata del parcheggio per decidere luogo e orario, cià!” – ed entrò in classe.
“Ce la faremo, ce la faremo, ce la faremo” – sussurrai a Luke davanti alla nostra porta: lui rispose con un occhiolino e disse –“Lascia fare a me.” – sperai che avesse una buona idea.
“Ma buongiorno!” – ci salutò il prof – “Chi abbiamo qui? Il galletto del corso che si dà da fare con la Castoldi! Per venire a quest’ora ci deve essere qualche morte di mezzo.” – Alana sghignazzava.
“Mi scusi, professore” – si giustificò Luke – “Se non era per noi due, una morte ci scappava davvero” – lo fulminai con lo sguardo: ma che diavolo..!? Mi sorrise compiaciuto – per cosa, poi? – e mi mise una mano sulla spalla – “Io ed Anna, abbiamo aiutato una vecchina a passare la strada, sa com’è, rischiava di essere investita, poverina!” – le risate e i bisbigli si fecero sempre di più. Il prof annuì e ci congedò.
Le ore non passavano mai, come al solito, ma mi ero portata il lettore mp3 e le playlist erano infinite: che meraviglia! Tutto filò liscio, come gli altri anni, se non fosse stato per l’ultima ora, quando la prof ci diede da completare degli assurdi test d’ingresso. Avevo sperato tutto il giorno che non ne avremmo fatti. Povera illusa.
“Sono solo delle domande su ciò che abbiamo fatto l’anno scorso” – aveva precisato – “Ci vogliono cinque minuti” – sì, come dici tu.
Afferrai la matita e sbirciai il questionario: mettere qualche x era impossibile. Altro che programma passato! Erano argomenti di quell’anno scolastico, invece!
“Mah, le cose sono due” – borbottava Dafne – “O è pazza lei. O vuole far diventare pazzi noi” – non ci eravamo rivolte la parola per tutte le lezioni, quindi non mi curai di passarle qualche risposta. Segnai a caso e mi rituffai nella musica.
 
Splat! – il mio bel latte al cioccolato si era spiaccicato su quella specie di pavimento della scuola.
“L’avevo appena comprato al distributore, accidenti!” – mi guardai la mano appiccicosa.
“Ehi, Anna. Non ti avevo riconosciuta, vuoi che te ne compro un altro?” – okay, stiamo calmi, eh! È solo qull’idiota di Matteo che si è accorto della mia esistenza. Sopravvivremo.
“Che c’è, vuoi far vedere che hai abbastanza soldi da spendere?” – fu la prima cosa a cui pensai.
“Bella, ti volevo solo fare un favore” – no, bella no.
“Evidentemente hai già fatto abbastanza, ti pare?” – uscii un fazzoletto e cominciai a pulirmi la maglia monospalla. Meno male che il mio cardigan preferito non si era rovinato, se no l’avrebbe pagata davvero, lui!
“Okay, okay. Tranquilla, volevo solo essere gentile” – alzò un sopracciglio guardandomi nel modo più odioso in cui potesse fare.
“Essere gentile con tutte quelle che ti capitano ormai è un hobby, giusto?” – si era già inventato qualcosa per farmi avere uno stupido invito, come aveva detto lui. Se volevo ancora aiuto da parte sua gliel’ avrei chiesto.
“No, non lo è” – mi guardò serio.
“Si, come dici tu” – mi abbassai a pulire a terra. I fazzolettini non bastavano proprio.
“Ma con le ragazze carine, sì, quello sì” – che cretino che è.
“Che cretino che sei!” – esclamai di rimando.
“Non posso farti neanche un complimento? E poi com’è che ci tieni tanto a venire alla mia festa se poi neanche mi parli?” – mi mise a disagio, nel senso che non sapevo cosa rispondergli. Solo ‘la mia amica è pazza’ poteva essere la spiegazione. ‘È pazza a pensare che io lo volessi, quell’ invito’. Ma restai in silenzio e basta. Intanto arrivò la mano di un ragazzo a porgermi un fazzoletto di carta. Oh, che dolce. E chi è, questo qua? Alzai lo sguardo e lo vidi: Luke. Stava cominciando a farmi simpatia. E le sue dita affusolate erano bellissime.
“La verità è che neanche ci viene alla tua cosa, lì. Non le interessa proprio” – lo ringraziai dentro di me per avermi aiutata. Un’ altra volta.
“Ehi, senti, stanne fuori” – Matteo si avvicinò a me, poggiò la mano al muro dietro di me e si avvicinò ai miei capelli. È stato pressoché disgustoso. Bleah! “È una cosa tra me e lei, va bene?” – sorrise in modo odioso.
“Fatto sta che Anna ed io usciamo insieme, venerdì” – Matteo sgranò gli occhi, ma non si allontanò da me.
“Ah” – fu l’unica cosa che gli uscì di bocca. Spinsi una mano verso il suo petto e lo portai fuori dal mio spazio vitale, nel frattempo Luke allungò la mano verso di me – “Abbiamo finito qui, ragazza. Vuoi che ti accompagno?” – e lasciammo Matteo imbambolato davanti al contenitore della carta. Quasi stordito, direi.
 
Fu divertente, davvero.
 


























La solita sensazione strana di quando ti tuffi nei ricordi.
Li chiudi in una stanza per anni, e poi ti ritrovi a smistarne a palate per trovare quello giusto. Foto. Scatoloni. Foto dentro scatoloni.
Solo che una volta che ti ci fissi rischi di restarci troppo dentro. E non ne esci più.
Ritornai alla realtà ‘grazie’ alle imprecazioni di mia madre.
Che succede, che fai, rispondimi, cos’è stato.
Affondai la testa nella pila di plaid riposta rovinosamente nello scaffale. È tutto apposto, possibile che deve per forza essere successo qualcosa!?
Ma quella, come al solito non capiva. Pare che le mamme siano affette da sordità non appena comunicano coi figli. Bah.
Il solito rumore fastidioso della porta, e poi SBAM!, si apre di colpo, spinta dalla mia carica. Che a sua volta era alimentata dal disprezzo per i luoghi troppo piccoli, troppo chiusi. Finalmente aria, non ne potevo più!
E risate, a quanto pare. Sembra che ma’ abbia un debole per i programmi comici televisivi. O per suo figlio, che è lo stesso.
Che imbarazzo, però, quando sono entrato in cucina! Di tutte le ragazze, proprio lei mi doveva capitare!?
E farla sentire una bambina non è stato bello, perché, sì, anche se vorrei tanto chiamarla ‘piccola’ sarebbe stato meglio non darlo a vedere.
‘Ché mamma, quando si tratta di queste cose, lo capisce subito.
Comunque lo sgabuzzino adesso sta apposto. E anche io. Ma non per la porta, no. Perché ho giocato con lei.
E abbiamo fatto il postino, e la signorina, e poi… mia sorella. Che deve sempre rovinare tutto.
 
Adesso sanno tutte e due che son geloso. Speriamo che l’ho mascherata bene, quella scenata davanti a casa sua. Sennò mi tocca farci i conti, con questo sentimento qua.
Ho sentito in giro che si chiama ‘preoccupazione per qualcuno, interesse’. E mi interessa davvero, ‘sta ragazza qua.


Spazio autrice(esatto, vi scoccio anche io) haha.

Non solo vi faccio perdere tantissimo tempo coi miei capitoli, ma mi ritaglio anche questo spazio e ve ne faccio perdere ancora di più. Sì, purtroppo sì.
Allora, premettiamo che preferisco questo capitolo al primo (che modestia, oh!), soprattutto perchè nello scrivere questo mi sono sentita più sicura di me, per il semplice fatto che ehm.. *tossisce*.. OGNI MINIMA COSA che penserà Anna in questo storia descriverà anche me stessa. E a partire dal primo capitolo, ma soprattutto in questo, si delinea il profilo psicologico della protagonista, la sua mentalità così diversa dagli atri coetanei, che a quanto pare dà fastidio a molti.
E così sono io. Anche se i miei amici sono fantaaastici, ma non è di questo che devo parlare lol c:
Perciò, se tra i lettori ci sta qualcuno che mi conosce di persona, lo prego di non scandalizzarsi haha
In particolare mi è piaciuto il fatto che quando dovevo scrivere la parte per aggiustare la porta, ho fatto come ho letto nei ringraziamenti  di qualche libro: mi sono informata davvero. Ci tengo a farla diventare qualcosa di serio (?) 'sta storia qui, quindi per me ogni vostra recesione è importante, per sapere il punto di vista di chi legge, di chi scopre a piano a piano lo sviluppo della storia.
Mi sono armata di buona volontà, ho cercato tutto quello che si deve fare per le serrature e ho fatto leggere ad Anna le istruzioni c': In poche parole, se dovete aggiustare porte, chidete a me OuO.

P.S.: Vi piacciono le foto prima dei capitoli? Nel prossimo cambierà, ma questa è una sorpresa lollino vi consiglio di andare a leggere l'introduzione per capire di cosa si tratta e provare a immaginare (?).
Ok basta, ho scritto troppo. Mi dileguo. Evaporo. Giuro che sparisco. cc

Prossima pubblicazione: alla fine della prossima settimana. 
   
 
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