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Autore: Teodosia    29/11/2007    0 recensioni
Una trama che non ha bisogno di presentazioni.
La storia del Pomo della Discordia e dell'inizio della Guerra di Troia vista in chiave moderna, nella migliore tradizione di Teodosia!
Enjoy it!<3
PS: Consigliata in modo particolare a tutti i fan di Heroes!XD
Genere: Romantico, Commedia, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Marry me girl be my fairy to the world
Be my very own constellation
A teenage bride with a baby inside
Getting high on information
Californication – Red Hot Chili Peppers






Un sorso. Il liquido denso e caldo scende lento e ristagna nello stomaco.
Non aveva mai amato quel genere di avvenimenti, pensò sbuffando.
Artemide posò il bicchiere verde, ancora pieno a metà, e fissò il fratello con un certo astio.
“Andiamo” disse lui, le guance arrossate e la voce abbassata di una tonalità dal liquore “È impossibile che tu abbia sempre da lamentarti” le sorrise, e lei rispose stringendosi nelle spalle sottili.
Accanto ad Apollo, Dioniso faceva il buffone bevendo vino a grandi sorsi. Lo trovava buffo. In genere, non amava questi sciocchi teatrali. Ma era Dioniso, ed era il primo degli sciocchi teatrali.
Non era certo una sua abitudine partecipare ai pranzi di famiglia. Per lo più, si risparmiava certe occasioni. Ma Apollo, che, più per educazione che per spirito di partecipazione, prendeva parte alla maggior parte di queste festicciole, aveva insistito che l’accompagnasse a quello stupido matrimonio.
Atena cercava comprensione in lei con sguardi infelici che non trovavano alcuna risposta. Al contrario, Afrodite spesso le si rivolgeva con aria stizzita.
Momento irritante.
Detestava la loro leggerezza e disprezzava il loro amore per il divertimento facile: era la cosa meno matrimoniale che avesse mai visto.
“Via, via, tesoro. Bevici su” disse quell’esile sciocco in blue jeans.
Sorrise, una volta che Dioniso, alzatosi in piedi, aveva ordinato con un cenno di riempire ancora una volta i bicchieri di ognuno, barcollando come se avesse bevuto quattro volte quanto aveva fatto.
Momento inutile.
In una carrellata, notò di sfuggita Ares ed Afrodite esibirsi lascivi sullo stesso divanetto, Poseidone e Demetra scambiarsi battute da commedia brillante, Atena fissare il tutto con una sorta di contenuto disprezzo, ed infine Zeus indossare una maschera serena , così lontana dalla sua consueta giovialità volgarotta, da tradirsi.
Artemide trovò teneri i vecchi tumulti amorosi del suo infelice padre.
Teti le piaceva. Ovviamente, non quanto piaceva a suo padre. Era dignitosa, acuta e bellissima, e priva dell’arido distacco che caratterizzava quelle della famiglia.
Aveva incontrato il ragazzo, Peleo:sembrava facile e sciocco, ma simpatico.
Non riusciva a smettere di pensare a quanto fosse dolce quella storia di vecchi. Povero papà.
Momento malinconico.
Fu improvviso, ma non inaspettato. Si guardava intorno alla ricerca di una vecchia amica. Nessuna traccia della sua pelle d’ambra, dei suoi grandi occhi e dei capelli folti neri. Dell’abito tradizionalmente nero.
“Sì, acciuga” le disse uno zoppicante Dioniso “Chi inviterebbe la Discordia ad una festa di matrimonio?” si accasciò accanto ad Apollo, sghignazzando come un ragazzino il giorno del suo compleanno, solo senza serenità. Dioniso aveva una vena deprimente. Le prese la mano fissandola con quei suoi occhi decisi.
Da lontano, Afrodite si sentiva offesa da quella promiscuità. Le due divinità votate alla perdizione, incrociarono i loro sguardi in segno di sfida. La vittoria di Dioniso fu sancita da un lungo bacio del figlio di Latona, mentre Poseidone sussurrava qualcosa a Demetra, che rideva perfettamente sobria.
Momento tipico: benvenuti nel mio mondo.
Artemide sospirò, prendendo la decisione di registrare tutti gli avvenimenti di quella noiosa e tipica serata come un osservatore estraneo; ma quella roba aveva acuito i suoi sensi e non poteva a pensare a qualcosa che non fosse come il velluto del divanetto che le irritava la pelle lasciata nuda dalla t-shirt. E anche ad Eris.
Zeus aveva generato molti figli. Probabilmente, per il bene di tutti questi e di sé stesso, avrebbe fatto meglio a risparmiarsi Eris, l’unica fra tutti loro ad avere potere su Zeus: la metà dei loro promessi, i litigi, le scommesse, erano dovute e lei.
“Ehi…” mormorò sommessamente ad Ermes.
Non riusciva a credere di stare parlando. Quanto sembrava pasticciato il suono della sua voce.
“Sai qualcosa di...?”
“Certo, certo. Sapevo che mi avresti chiesto di lei. Sei senza cuore. Non sai che ho da sempre una cotta per te?” gesticolava.
Artemide suppose che stesse scherzando, ma non era dell’umore e dimenticò di ridere.
“Voglio solo sapere dov’è”.
Ermes sospirò.
“Lo sai che non è la figlia preferita di papà” sorrise “Capisco, e sono d’accordo. È improbabile che si riesca a non avere sue notizie stasera”.
Accarezzò i capelli a spazzola di lei e si allontanò verso Iris, che sedeva in disparte. Si aggrapparono l’un l’altro, come se fossero in quella stanza.
Intanto, Dioniso e Apollo si erano piazzati al centro del tavolo, tra pietanze e liquori. Apollo si sedette e incastonò il suo elegante strumento a corde tra la clavicola e il mento, mentre Dioniso intonava una canzone pop.
Bel momento.
Furono sostituiti qualche pezzo dopo da una sottospecie di auleta mediocre.
Ade era arrivato solo allora con la sua mogliettina adolescente stretta al petto. Demetra aveva quasi superato la cosa e si limitò ad ignorarli.
Persefone era stata una sua buona amica e continuava ad esserlo nei mesi estivi, ma era gennaio, per cui la salutò con la sua caratteristica enfasi, in modo un po’ troppo patetico.
Momento sgradevole.
Ade, col viso pallido ricoperto da una sparuta barbetta, baciò Zeus e gli sedette accanto. Non potersi avvicinare a Poseidone per via di Demetra doveva essere penoso, ma sembrò trovarsi a suo agio nel solitario malessere del fratello.
Era interessante seguire Era freneticamente occupata da una parte all’altra della tavola, avvolta nella sua coperta di abnegazione.
Artemide sbuffò. Per sopperire alla noia, pareva si fosse ritrovata, come al solito, a fare supposizioni forzate sugli stati d’animo dei suoi familiari.
Fu per un colpo di pura fortuna che, in quel momento, Ares lanciò un grido ruvido, lasciando cadere nel piatto un frutto dallo strano colore. Sembrava che fosse… Era lontano, ma… Sembrava proprio una mela.
Era rotolata proprio accanto al bicchiere di Era, in quel momento impegnata in un’accesa ed infervorata conversazione con Demetra. Sembravano parlare di argenteria. Che noia. Il luccichio attirò il suo sguardo e, dopo un momento di stupore, afferrò l’oggetto dorato. La esaminò per qualche secondo, e tutti sembrarono improvvisamente pendere dalle sue labbra. Tutti tranne Ermes. Dionisio fece un commento buffo che provocò qualche risatina. Artemide non gli aveva prestato attenzione.
Lo sguardo della madre degli dei si addolcì, e le sue guance si colorarono di una delicata sfumatura di rosso. Voltò gli occhi verso il marito.
“Alla più bella” sillabò “Tesoro, non so che dire…”. Zeus, dal canto suo, sembrava confuso non meno del resto della tavolata. Era sembrò notarlo, perché lo sguardo, prima dolce, tornò gelido. Siamo alle solite, pensò Artemide. Litigio in vista?
“Non sei stato tu? La mela non è per me?”
Zeus si limitò a scrollare le spalle, aprendo i palmi delle mani.
Era schioccò la lingua sul palato con fare seccato. Sembrava l’unica stupita dalla “negligenza” del marito. Suo padre era una persona decisamente romantica, e non era certo una persona parsimoniosa. Era solito ricoprire la gente di regali. Ma questi raramente venivano offerti spontaneamente. Il settanta per cento delle volte servivano a riparare ad un suo qualche torto. L’ottanta, dai. La verità è che l’unica che dava ancora peso agli sbagli di Zeus era proprio sua moglie. E, forse per questo, era l’unica che gradiva davvero ricevere suoi doni.
“E’ ovvio che non sia per te”. Risatina.
Oh, no. Afrodite aveva appena afferrato la mela e la stava osservando con un sorrisetto. Probabilmente, si stava anche specchiando nella sua superficie. Era la fissava furente, e Afrodite ricambiò lo il suo sguardo gelido con uno carico di sufficienza.
“Tu, ormai, sei vecchia” pronunciò la frase scadendo ogni sillaba.
Probabilmente, un brivido freddo percorse la schiena di buona parte dei presenti. Sicuramente, tutti avrebbero voluto trovarsi in un altro posto, in quel momento. Silenzio. Era non rispose, ma iniziò a tamburellare le dita in modo nevrotico. Zeus tossì. Dionisio si offrì di riempire nuovamente i boccali.

Occorreva qualcosa che sbloccasse la situazione.
“Non credi… Non credi di confondere la vera bellezza con la volgarità?”
La mela venne malamente strappata dalle mani di Afrodite ed ora saltellava su e giù nel palmo di Atena.
Artemide fissò incuriosita le due, cercando di nascondere un sorrisetto divertito. In fondo, non sembrava poi un matrimonio così noioso.
"Cosa vorresti dire tu, sottospecie di brutto mal di testa che-"
“Andiamo, non litigate, su…”.
I presenti quasi non si accorsero dei deboli tentativi da parte di Zeus di placare la discussione. A dire il vero, lui stesso riponeva ben poca fiducia nelle parole che gli uscivano di bocca, e ben presto si stufò e si limitò ad osservare la scena. Cercò con gli occhi Artemide, la trovò, si sorrisero, e tutto sembrava a posto. La Tragedia poteva continuare.
“E' chiaro che non sia per voi, io sono la padrona di casa, qui! Io sono la Contessa di…”.
“La Contessa della mia Cellulite, certo. Fosse arrivata cinquanta o sessanta anni fa, questa mela…”.
“Ah, Afrodite, vedo che riponi molta fiducia in te stessa… Stupida sciocca, non credere che la bellezza sia data dai tuoi fianchi larghi”.
“Quindi, la bellezza è forse data dalla maleducazione e dalla rozzezza?”
La mela, intanto, viaggiava di mano in mano.
Certo, erano tutte belle mani femminili, piccole ed aggraziate, dal colore uniforme e dalle unghie ben curate.
Ora Artemide non si curava più di nascondere i suoi sorrisi. Certo, doveva riconoscere che ogni parola che usciva da quelle spendide boccucce era una verità, e gli sforzi con i quali le tre Belle cercavano di negarle la facevano innegabilmente ridere.
Non tutti i parenti, però, trovavano la comica scena. Poseidone e Demetra, dal loro angolo di saggezza fissavano la scena con i bicchieri a mezz’aria.
Ade aveva gli occhi lucidi e sembrava che la cosa lo interessasse, mentre la moglie fissava il pavimento.
Dioniso era incerto sul da fare. Certo, avrebbe voluto attizzare ancora di più – come se fosse necessario – le tre dee, ma, d’altra parte, gli occhi delle tre gli incutevano un terrore reverenziale. Lanciò un'occhiata ad Efesto (c'era anche lui, no?), che gli rispose in un modo che sembrava volesse dire “Cosa ci vuoi fare, ci sono abituato”.
Apollo guardava Artemide che ridacchiava.
Nella sala viaggiavano occhi e sguardi dappertutto, e, al centro, la mela continuava a girare.
”Io credo che sia di… di…” Ares impallidì alla vista delle espressioni di Atena ed Era. Ma in fondo era pur sempre un grande uomo vigoroso. E quella volta dovette davvero ricordarselo per bene.
“… di Afrodite”.
“Tu! Tu, FIGLIO figlio ingrato” !
“Non insultare i nostri figli, Era”!
“E tu” riprese Zeus, lanciando ad Ares occhiate piene di significato “che autorità avresti, tu, per arrogarti il diritto di prendere una decisione simile senza essere interpellato?”
Era divertente il suo tentativo di comunicare delusione a quel barbaro, sciocco Ares.
Artemide rise di gusto, mentre allungava chicchi d’uva al fratello come fossero pop corn.
Corsero dalla parte opposta della sala e, trovandosi nelle loro vicinanze, riuscirono a sentirlo sussurrare, una volta afferrato il braccio di Ares.
“Non posso credere che tu abbia preferito la tua donna a tua madre, razza d’asino”.
“Sono indignata dal modo in cui io non sia neanche presa in considerazione” diceva intanto Atena, alzatasi con quel suo tono ampolloso.
La sorella fece lo stesso .
“Ci sarà un motivo” rispose acida.
Sarcasmo da terza elementare.
Quando anche Era, senza motivo, si alzò e recriminò qualche motivo per cui doveva sentirsi offesa, la cosa degenerò. Fu il caos.
Dioniso si teneva la pancia dal ridere.
“Ora basta” silenzio assoluto, istantaneo.
Il tono di Zeus era imperativo. Quel suo pessimo umore aveva donato alla sua voce un’autorevolezza pregevole e inconsueta. Si stropicciò la fronte ed il viso in modo drammatico.
Un altro giorno, si disse Artemide, lo avrebbe trovato divertente. Avrebbe speculato o scommesso.
“Toccante” aveva commentato Apollo, che provava istintiva empatia per i sentimenti sinceri.
“Patetico” aveva risposto sua sorella.
Con uno strano mugolio, Dioniso brindò al suo cinismo da due soldi.
“Mie splendide signore” arringava Zeus “Donne. Mogli, madri, figlie, sorelle. Mi sembra ovvio che questa decisione fondamentale” e qui Artemide apprezzò il non troppo velato sarcasmo “non potrebbe mai esser presa civilmente da voi” pausa “né da uno dei presenti. Tanto meno, dal sottoscritto, che non si lascerebbe abbindolare così facilmente dalle vostre grinfie di streghe” si sedette, sempre più drammatico “Dio solo sa cosa potreste inventarvi”.
Si sollevarono sospiri di entusiasmo, di noia e persino qualcuno di stupore.
“Sissignori” riprese Zeus “Questa è una scommessa a tutti gli effetti. E, senza dubbio, abbiamo bisogno di un giudice, che sia estraneo e imparziale”.
Bisbiglii. Caos silenzioso. Le tre donne divine si sedettero, offese senza ragione.
“Un mortale?” disse qualcuno.
“In che modo? Estrazione? Mappamondo?” risposero alcuni eccitati.
Inutilmente, le proposte caddero sulla testa di Zeus come una spada di Damocle.
Sarebbe senza dubbio esploso se da un angolo della sala non si fosse udita improvvisamente una risata cristallina, disinteressata. Silenzio.
Nel suo cantuccio tranquillo, Ermes aveva riso. Avvinghiata a lui, la sua pudica compagna arrossiva e sorrideva virginale.
Sulla moquette verde sedevano le natiche morbide di un bambino straordinariamente bello, tutto intento a guardare la tv.
“Che vi prende?” Oh, Ermes odiava trovarsi in mezzo “Ho solo… Ho solo chiesto al bambino perché se ne stesse a guardare il telegiornale alla sua età. E, tra l’altro, non sarebbe conveniente riferirvi la sua risposta, ma…”.
Zeus si avvicinò al televisore col fare di un artista invasato, l’occhio fisso, la concentrazione focalizzata su un unico punto. Prese il bambino in braccio e lo baciò, fissando incantato lo schermo.
Un uomo attraente e carismatico parlava in primo piano con un sorriso sicuro stampato in faccia. Manteneva un aplomb invidiabile davanti ai quindici microfoni e si esibiva elegantemente in qualche battuta brillante. Era tutto il contrario di insignificante.
“Lui?” aveva chiesto Iris.
Zeus rise.
“Certo. Certamente. Dimmi, Eros, qual è la prima regola?”
“Mmm. Poco in vista?” rispose incerto.
“Bravo, piccolino. La seconda?”
“Niente matti?”
“No. Niente politici”.
Sbigottimento. Tutti parevano trarre divertimento da questa pantomima involontaria. Zeus aveva grande passione per i mortali e s’innamorava di loro al primo sguardo. Sfortunatamente, ciò si traduceva in un questo genere di sceneggiate. Inoltre, quelli come Loro avevano la presuntuosa sensazione che interrompere le vite delle loro vittime per intrecciarle con le loro non fosse altro che un onore. A chi farò questo magnifico regalo?
Artemide era pronta ad andarsene.
“Lo vedi?” premette l’indice sulla tv contro il viso di un bel ragazzo con un ciuffo ridicolo ed un’espressione timida. Eros annuì, esaltato.
Artemide si era alzata. Apollo aveva afferrato la sua mano, mentre dolcemente si allontanava. Dioniso aveva sventolato la sua in segno di saluto, serenamente.
Si era diretta fuori della sala, verso la sua stanza o un bosco o un posto qualsiasi che non avesse lo stesso odore di quella gente. O forse no.
Dall’ombra buia di un corridoio, sghignazzante, era comparsa una Venere di caramello dai disordinati capelli neri.
“E’ andata bene. Proprio bene” le aveva detto.
Poi l’aveva baciata. Lei rise.
“Non c’erano dubbi. Dio, se non gli piacesse. Un bene. Una noia”.
Artemide le aveva sempre parlato in modo telegrafico e incomprensibile. Era il loro modo di comunicare “Una noia mortale”.
“Oh. Non lo faccio mica per starli a guardare” aveva risposto l’altra, cantilenando.
“Si. Bene”.
Zeus, ancora rapito, seguiva le mosse maldestre di quel poverino, mentre alcuni si documentavano per lui.
“Perfetto” mormorò più volte tra sé.
  
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