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Autore: Hunter of Demons    11/05/2013    1 recensioni
II classificata al contest di Agosto 2012
Autrice: Liquirizia ^^
I ricordi fluivano, rapidi ma nitidi come fotogrammi troppo veloci.
Alcuni non li conosceva e, se fosse stato un semplice spettatore, non gli avrebbero nemmeno evocato nulla, mentre lì, dove si trovava, ad ogni nuova immagine si sentiva invadere da sentimenti diversi. Non erano i suoi, quei sentimenti. Lui non li aveva.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autrice: Liquirizia^^
Personaggi: Calliah e Omega

I ricordi fluivano, rapidi ma nitidi come fotogrammi troppo veloci.
Alcuni non li conosceva e, se fosse stato un semplice spettatore, non gli avrebbero nemmeno evocato nulla, mentre lì, dove si trovava, ad ogni nuova immagine si sentiva invadere da sentimenti diversi. Non erano i suoi, quei sentimenti. Lui non li aveva.
Osservava, mentre le forze venivano meno. Ne era consapevole, ma dato che non conosceva la debolezza, non la provava. E dire che solo un attimo prima, invece, l’aveva sentita, fastidiosa e pressante; adesso che però che lei perdeva coscienza di sé stessa, non ne conservava nemmeno il ricordo.
Solo la mente ancora funzionava; un po’ il cuore; ancora meno i polmoni. Non sentiva il dolore di tutto questo, non sentiva la paura di avere tutti quegli ingranaggi scomposti, perché nemmeno lei ormai li provava più.
Gli arti giacevano, inerti, privi della forza che l’aveva conquistato. Stranamente, quello era l’unico ricordo di cui aveva memoria. In quel momento, la sua, di mente (sempre ammesso che ne avesse avuta una), non riusciva a ricordare nient’altro di proprio, invasa com’era dal fiume in piena di lei.
Alcuni di questi duravano l’attimo di un battito di ciglia; altri, forse più importanti, restavano di più, come incapaci di andarsene.
Il primo era rapido come uno schizzo di sangue. Era fatto solo di incredulità, poi consapevolezza, orgoglio… ma infine paura, poi più nulla. Immagini sfocate: c’era fretta di andare avanti.
Un giorno di pioggia. Verde, tanto verde. Piante ovunque. Odore di erba bagnata. Fuscii di prede che scappavano. Il ricordo cambiò.
Si susseguirono altri giorni di pioggia, giorni freddi e grigi, con volti sfocati, che aumentavano mano a mano che i ricordi si addentravano nella memoria. Cambiavano velocemente, c’erano grandi macchie di colore che non facevano in tempo a prendere forma, ma che scatenavano un frettoloso senso di familiarità.
Poi le mura, una città fortificata. Altra erba. Toni chiari si mischiavano a facce distinte e altre indistinte.
E in quel momento… una famiglia. Una donna alta, dai capelli color del mare in tempesta, con altri due ragazzi, la femmina leggermente più bassa: parlavano tra loro, agitavano delle spade. Avevano tutti gli stessi lineamenti. Lo stesso sguardo. Provò felicità, benessere, protezione… acquietati come solo sa rendere la quotidianità.
Il ricordo di fermò a lungo, dando il tempo alle figure di voltarsi nella sua direzione e di salutare.
Veloce come una sterzata, si aggrovigliarono l’uno sull’altro visioni di corridoi, muri, di altre facce, di risate. Il viaggio a ritroso si fermò solo quando incappò in un ragazzo alto, dal volto confuso, ma dal sorriso incancellabile. Era accucciato dietro un muro, salutò sottovoce. La memoria non aveva orecchie.
Dalla parte opposta entrò una figura minuta, i lunghi capelli bianchi intrecciati con un nastro. Sentì di essere inspiegabilmente legato anche a lei. Teneva in braccio un bambino un po’ cresciuto che reggeva in mano due cartelle. Altra quotidiana tenerezza, poi cambiò bruscamente: il ricordo attraversò giorni tra fogli queste stesse facce e altre, rallentò un momento sulla ragazza alta di prima, questa volta incinta, fino a soffermarsi in particolare su un volto, e comparve, immersa nel fumo, una stanza chiusa, piena di arnesi pesanti, lame e acciai. Il naso pizzicava. Sentiva il sudore sulla fronte e, davanti a sé, la figura con quella faccia respirava pesantemente, appoggiata ad una spada, sogghignando. Rise di rimando, senza avvertire il suono delle voci, ma nella memoria esse erano salde entrambe, come quella conversazione. Sentì che stava per sedersi, ma prima di raggiungere il pavimento il ricordo cambiò ancora e, i seguenti, furono molto meno piacevoli.
Per un paio di immagini fu sempre buio, non sapeva se perché fosse notte o perché su di lui fosse calato un velo nero.
Ciò che era certo era che lo stesso velo aveva ricoperto anche gli umori degli altri. Ma erano ricordi che riaprivano vecchie ferite, ricordi di denti stretti, di spade contro spade, di cumoli di terra rimossi. Una serie rapidissima, che sembrò rubare un’eternità di spazio e tempo.
Si fermò solo quando un’aquila, privata della sua regalità, si dissolse tra le sue mani. Sentì gli urli di una ragazza dai capelli di fuoco, senza udirli. Non comprendeva perché tutto questo lo facesse sentire di una tristezza sconfinata, ma per lei era un ricordo ancora doloroso.
Dopo ne volarono altri veloci, con altre facce, sempre le stesse: il tempo si stava esaurendo.
Parole scritte, fogli che frusciavano, nomi che scorrevano sotto i suoi occhi, tanti nomi. Due ragazzi biondi. Altri nomi, altri corridoi, altri giorni. Un ragazzo con una maschera, una ragazzina dai capelli scuri a spazzola, lucenti occhi celesti. Altri giorni, altri muri, altri combattimenti. Un ragazzo con le ali di un corvo.
Stesse facce, altre croci. Sempre la donna alta e quella piccola, accompagnate dalla figura di fumo e da quella di cristallo. Lui non sapeva i loro nomi, non gli aveva mai saputi; eppure, dato che quelle persone per lei avevano significato tutto, sentiva anche lui di conoscerle.
Scappò davanti ai suoi occhi la sfocata figura di un ragazzo riccio, dagli occhi scurissimi, brillanti, seguito da un lupo. No, anzi, era una lupa, lo sapeva. Portò via con sé tanti piccoli pezzi di sentimenti, una gamma complicata che passava dal calore al gelo interiore. Non ebbe il tempo di dirgli alcunché, perché il ricordo cambiò subito, correndo all’impazzata attraverso scale, stanze, giorni afosi e notti stellate.
La stessa ragazza dai capelli di fuoco. Un ragazzo dai capelli lunghi. Lo vide da dietro, avrebbe potuto benissimo scambiarlo per una femmina, ma non si sbagliò. Era accompagnato da un’aquila.

Un respiro gorgogliante, terribilmente reale, interruppe il filo della memoria e il flusso dei ricordi accelerò vertiginosamente, come se il corpo di lei stesse lanciando l’ultimatum al suo spirito.

Nomi, fogli, facce, si sovrapposero in un vortice. Si fermarono bruscamente in una stanza che provocava ira anche solo ricordandola. C’era un volto che non voleva essere dimenticato, e in quel momento stava lì, strafottente, con gli occhi di metallo coperti da qualche ciuffo biondo cenere. La teneva per il collo, ma non le faceva male. Anche se aveva le braccia come quelle di un orso, non le aveva ancora fatto del male. La guardava compiaciuto, gli zoccoli da cavallo battevano sonoramente sul pavimento. Ricordandolo, sentì un tepore rassicurante. Non al livello del cuore, un po’ più in alto: tra la bocca e lo sterno. Era il primo che l’aveva fatta ridere. Che si era preso cura di lei. L'aveva fatta sentire una vera figlia.
Non aveva mai vissuto questi ricordi perché ancora non si erano incontrati, ma condividendo lo stesso corpo sembravano familiari anche lui.
La mente aveva il tempo per un ultimo, piccolo salto.
E saltò di poco più indietro, senza nemmeno lasciare quella stanza.
Aveva i capelli corti, il corpo scheletrico, la bocca contorta in un ghigno.
Si sentiva forte da scoppiare. Non temeva nessuna delle persone in camice bianco attorno a lei. Lesse la paura nei loro occhi. I suoi, lo sapeva, erano lo specchio della follia più piacevole. Le sue braccia, in procinto di spezzarsi, erano ora ricoperte di una peluria chiara, decisamente più grandi e con affilati artigli al posto delle unghie, forti da sradicare un albero. Avrebbe potuto spezzare il lettino di ferro solamente con la coda. Si sentiva invincibile. Era invincibile.
Il battito del cuore che, nel ricordo, scandì l’inizio della sua nuova vita, era paradossalmente identico a quello che sancì la fine di tutto, nella realtà. La fine di entrambi.
Nessun polmone da aiutare a respirare, nessun arto in cui far fluire l’energia, nessun pensiero da condividere, niente di niente.
Il cuore di lei pompava anche per il suo, freddo, inesistente prima di incontrarla.
Lui non sapeva nulla di morte e vita. Le conosceva senza sapere perché ma, come un bambino, non sapeva come funzionassero. Avvertì, però, in quello strano silenzio dentro il suo corpo, che era così che si moriva.
E capì che lei adesso era morta.
La sua invincibile guerriera, la padrona per la quale nutriva un attaccamento simile al rispetto, all’amore fraterno, non era più.
Sentì qualcosa spezzarsi, e provò un dolore talmente grande da riuscire anche a trionfare sulla sua natura. Un’acuta, inconsolabile tristezza si fece strada serpeggiando. Questa volta, dato che era solo, capì che era sua, che nessuno la stava provando al posto suo. Piangeva, in silenzio, iniziando a sgretolarsi.
Ebbe il tempo di rinfilarsi nella mente di lei, congelata su un ricordo, e di riviverlo, come fosse stato suo.
Quest’ultimo, esattamente come il primo, era rapido come uno schizzo di sangue, rapido come l’ultima palpitazione, che non dura mai abbastanza. Era fatto di tanta, troppa incredulità, seguita dal suo rovescio: una rassegnata consapevolezza; poi una freccia di orgoglio, tagliente come vetro rotto, e forte come l’ultimo attimo di vita; in ultimo, attesa di una pace che non arrivava; sul fondo, tentacoli di paura, che avevano sporcato gli altri sentimenti del loro nero appiccicoso.
Poi, più nulla.

  
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