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Autore: Friedrike    11/05/2013    2 recensioni
Ludwig Beilschmidt e Felicia Vargas (rispettivamente Germania e Fem!Italia del Nord), in un contesto AU, quello della Seconda Guerra Mondiale. Non più Nazioni, bensì un uomo ed una donna che s'innamorano l'uno dell'altra. Si conoscono ad un ballo in Italia ed è subito amore. Ma la guerra li separa e quando il soldato della Wehramcht ritornerà dal fronte niente sarà più come prima.
Genere: Angst, Fluff, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Nuovo personaggio, Sud Italia/Lovino Vargas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Dovunque sarai, ti amerò per sempre.'
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[ Capitolo dedicato a Buch, qui su EFP _bucchan.
Hai visto? Ho inserito -finalmente- per bene, il tuo personaggio preferito. (:  

Chiedo comunque scusa per il ritardo. Sono imperdonabile, ma ho studiato ogni pomeriggio sino alle sette/otto questa settimana e non ho avuto tempo materiale per scrivere. Spero che, avendoci messo tutto il mio impegno, vi sia piaciuto e mi abbiate perdonata :3 ]






Parigi è della Wehrmacht. 
E' il 14 giugno del 1940 e Parigi è stata finalmente occupata. 
Non è la prima occupazione che Ludwig mette in atto, precedentemente aveva occupato con gli stessi compagni Bruxelles. Tuttavia, stavolta gli pare molto diverso.
Gli sembra che stavolta tutto sia più... crudo.
La capitale francese è stata una difficile conquista, ma adesso la bandiera con la svastica sventola e le croci teutoniche brillano sul petto di alcuni soldati, come onorificenze. 
Ci sono dei carrarmati tedeschi e presto su degl'altri arriveranno le SS, accompagnate da quelle jeep enormi e molto belle.
A breve, il Furher stesso metterà piede nella città parigina.
I soldati della Wehrmacht sono in festa, quella conquista li riempe d'orgoglio e li fa diventare talmente egocentrici che tutto il loro ego maschile esplode, una volta rotte le righe.
Il biondo si guarda attorno, deve essere un po' pallido, perché qualcuno gli chiede se stia bene. Lui annuisce distrattamente. Ci sono così tanti cadaveri, per le strade.
Soprattutto di donne e bambini molto piccoli. Abbassa lo sguardo su un corpicino poco distante da lui. Quanto avrà avuto quel piccolo? Sei anni? Vicino a sé ha un giocattolino in legno.  Poco distante, una donna che di femminile non ha più nulla; il corpo è stato sventrato da una granata.
Si scuote da quei pensieri solo quando sente urlare una ragazzina francese, avrà avuto quindici anni al massimo. In lacrime, cerca di allontanare da sé un soldato. 
-Maman! Maman! Aidez-moi! Aidez-moi, s'il vous plait!- continua ad urlare, eppure nessuno va in suo soccorso. La sua mamma non c'è più. E' sola al mondo adesso. 
Ludwig distoglie lo sguardo, non riesce a guardare. E non può fare null'altro, perché come lei ci sono tante altre ragazze e giovani donne nelle stesse condizioni. 
Si pensa spesso che questi soldati, quelli della Wehrmacht, non siano poi così crudeli. In realtà, non hanno molto da invidiare alle Schutzstaffeln.
Anche loro stuprano, torturano, seviziano donne e bambini, divertendosi a sparare sulle folla. Certo il loro sadismo non è comune a tutti i componenti, come avviene invece per il "Corpo di Protezione." Ma è radicato nei loro cuori da perfetti nazisti. 
Non può mettersi, lui,  contro tutti e rischiare che s'insospettiscano. Eppure, quella scena lo costringe ad immaginare sua moglie, qualche mese prima, in compagnia di un SS. Fa dietrofront. 
Si allontana dagli altri, tra le rovine di una costruzione. 
Sente delle parole parlate in una lingua non sua ed istintivamente mette mano alla pistola, facendosi più cauto. Fa ancora qualche passo e si nasconde dietro un muro; si sporge un poco ed osserva per qualche momento quella scena.
Sospira sollevato nel vedere che è solo un gruppo di bambini. Con loro c'è un uomo, è giovane, avrà appena venticinque anni. Ha gli occhi azzurri ed i capelli biondi, anche lui, sul mento una leggera peluria chiara. Sorride ai piccoli, carezzando dolcemente i capelli di una bambina di quasi nove anni. 
-Frère! Tu peut m'aider?- domanda lei avvicinandosi a lui con un piccolo sorriso.
Ci sono altri sette bambini ed alcuni non gli somigliano per nulla.
Lud immagina subito che lui li abbia presi in custodia. 
Sente un rumore dietro di sé, si volta e si sussulta ritrovandosi un bimbetto di quattro anni a fissarlo. Istintivamente, gli punta contro la pistola, e quello scappa via, finendo tra le gambe dell'unico adulto del suo gruppo, indicando infine spaventato l'uomo cattivo, quello ariano. 
Lui esce allo scoperto, tenendo la pistola bassa, ma con salda impugnatura. Li osserva, osserva quei loro occhi spaventati, il loro farsi più vicino all'unico punto di riferimento che hanno, il quale, subito li protegge e nasconde dietro di sé, balzando in piedi. 
Si nota lontano chilometri, tuttavia, che il tedesco non vuole davvero fargli del male e se si osservasse meglio, si vedrebbe la sua mano tremare. Ripone la pistola nel federo, con l'intenzione di non usarla.   
-Frère, il n'est pas méchant, peut-être- sussurra qualcuno. 
Il ragazzo non capisce, quelle parole sono appena state bisbigliate in una lingua non sua. 
Il giovane francese, calma i suoi battiti ed il cuore s'alleggerisce, le sue labbra formano invece un sorrisetto compiaciuto.
"Eccone un altro" pensa, "di soldati che magari c'aiutano."
Ne hanno incontrati altri che hanno dato loro delle dritte su dove nascondersi o magari, cosa non meno importante, qualcosa da mangiare per i più piccolini. 
-Non andare via- gli dice benevolo, mentre l'altro sta giusto per fare dietrofront. 
Ed afferma ciò in tedesco, perché col tempo un poco ha imparato a conoscerlo, il suo migliore amico aveva origini prussiane e gli ha insegnato un po' quella lingua.
Il soldato della Wehrmacht, si sistema il cappello sulla chioma bionda, si volta appena per guardarlo.
-Je m'appelle Francis. Et toi?- domanda tendendo una mano verso di lui, sempre con quell'accenno di smorfia sorridente. 
L'altro, restio, esita prima di congiungere la mano alla sua. Avrebbe dovuto sparargli a vista, eppure non lo ha fatto, qualcosa glielo ha impedito. Stringe quella presa. -Ich bin Ludwig- si presenta a sua volta. 
Si ritrova subito dopo attorniato da bambini che lo osservano curiosi, sa di non doversi affezionare, perciò nemmeno li guarda. Il più piccolo ha due anni, la più grande quasi dodici. 
Viene subito a sapere che quel tale, Francis, si sta prendendo cura di quei marmocchietti da almeno due mesi con l'aiuto della sorella, che però non vede da un po'. Gli confessa di essere preoccupato, ma non si sbilancia più di tanto a parlare: dopotutto, per quello che sa, potrebbe essere una spia. 
Ma ecco che mezz'ora dopo giunge alle spalle dell'invasore una ragazza, bellissima, magra, con lunghi capelli biondo cenere raccolti in uno chignon, gli occhi chiari. 
Titubante, porge anche lei i suoi saluti al ragazzo. 
-Moi, je suis Jacquiline- gli spiega.
Si somigliano così tanto, lei e Fran, che per un momento, lui ha pensato fossero gemelli. Sono entrambi così belli, eleganti nei modi di fare, aggraziati anche per come ridono, con lineamenti quasi perfetti. 
Ludwig spera con tutto il suo cuore che nessuno dei suo Kameraden abbia infastidito la ragazza, mentre lei procacciava qualcosa per i bambini, ma dato che lei è qui sana e senza una taglio, eccetto per quello sotto l'occhio destro, dubita che qualcuno l'abbia vista. 
Rimane poco con loro, poi va via, non vuole destare alcun tipo di sospetto con gli altri militari, per cui si congeda. 
-Au revoir, Lud- esclama lei, con un sorriso gentile.
-Spero che le nostre strade, possano incrociarsi ancora in futuro- soggiunge il fratello. Anche i piccoli agitano le manine, lui risponde solo con un cenno ed un mezzo sorriso. Si chiede cosa stia facendo il figlio adesso. 
Alza lo sguardo verso il cielo, provando ad immaginarlo. Che ore saranno? Dev'essere sera, perché il sole sembra scomparso del tutto. 
Ecco cosa vede quando ritorna dagli altri: le sowilo delle SS, i due fulmini vicini bianchi su uno sfondo nero. 
Fa finta di nulla e si avvicina ai suoi commilitoni, i quali, sono seduti in cerchio a consumare il loro rancio. 
Non ha fame.
Non capisce come se ne possa avere, quando accanto a loro c'erano tantissimi cadaveri fino a qualche ora prima ed anche ora alcuni sono ancora lì. Non c'è stato tempo di trascinarli nelle fosse comuni, gli uni sugli altri. 
Abel, il ragazzo che sul treno non riusciva a star zitto e raccontava continuamente di quanto bravo fosse il suo cane, se ne sta seduto in un angolo, adesso muto, senza osar respirare. Si muove ossessivamente un poco in avanti ed un poco indietro, una volta alzatosi, con lo sguardo perso nel vuoto. Pesta qualcosa col piede, abbassa lo sguardo e si allontana diventando verde. Si appoggia ad un muro e vomita pure l'anima.
Nessuno va a consolarlo. Segretamente, quasi tutti i soldati della Wehramcht vorrebbero rigettare in un angolo le loro emozioni. Eppure non lo fanno, ci sono le Schutzstaffeln vicino e non voglio mostrarsi deboli.
All'improvviso da una camionetta nera, scende un soldato in divisa nera, gli occhiali sottili sul naso. 
Lud lo riconosce, lo aveva visto poco prima la sua partenza da Berlino, quand'era al parco con Felicia e Mathias. E' quel ragazzo moro con gli occhi di colore strano.
-Guardate chi c'è- mormora qualcuno sottovoce con un mezzo ghigno.
-Ah, con gli occhi viola. E' incredibile, che l'abbiano accettato nelle SS, con quello sguardo che si ritrova.- 
-Ho sentito dire che ha un cognome ebreo- s'intromette qualcuno. Hanno tutti lo sguardo fisso sulla sua figura, lui, sentendosi osservato, si volta incrociando gli occhi impuri su quelli degli altri. Con fare altezzoso, distoglie lo sguardo.
-E' imbarazzante, tutto questo. Ha gli occhi viola! Dovrebbe stare al pari degli ebrei- conclude il primo che ha parlato, bevendo poi con un rumore fastidioso la sua razione di zuppa. 
-Non fatevi sentire...- mugugna debolmente Abel, tornando a sedersi. Affonda il viso verdastro tra le mani. -Non vi conviene mettervi contro di loro.-
In quel poco tempo, è cambiato radicalmente, se si pensa che prima era solo un ragazzotto che si divertiva col proprio cane ed ora un uomo a tutti gli effetti che mette in guardia gli altri.
Le esperienze lo hanno fatto diventare così e maturare tutto in un colpo.
A Bruxelles, le SS gli avevano dato una lezione. Da allora ogni volta che ne sente parlare, con fare saggio, risponde agli altri. 
Il discorso viene chiuso lì. 
Non avranno modo di scoprire che, quel tipo con gli occhi viola, non è tedesco bensì austriaco, anche se in realtà l'Austria non esiste più.
Dopo l'Anschuluss del 1938, quello stato non può più essere nominato, se non sotto il nome di Ostmark. Questo perché l'Austria non faceva che parte di un piano più grande, quello della Germania Nazista, che cercò d'integrare dopo tantissimi stati confinanti, tra cui, appunto, la Francia. 
Ad ogni modo, l'austriaco, ha anche un nome: Roderich. Il problema, è il cognome. Tutti lo chiamano Herr Kommandant, per quanto ne sanno loro; nessuno di quei soldati con la divisa della Werhmacht, è così vicino a lui da conoscere qualche altro dettaglio. 
Subito dopo Roderich, si avvicina ad un comando temporaneo, un altro ragazzo, che il biondo riconosce subito. Joakim. 
Possibile debba essere sempre così... presente? 
Per il momento decide di non pensarci. 
Monta il turno di guardia, concentrandosi a non farsi sfuggire nulla nel buio della notte.
 
Le prime ore della notte passano serene, Ludwig parla e ridacchia sommessamente con l'altro ragazzo che sta di guardia. Si chiama anche lui Hans, è già il terzo soldato che conosce con questo nome. E' più bassino e con i tratti del viso dolci, sporco di terra su una gota, il berretto calato fin sopra gli occhi che gli impedisce di vederci bene, pessimo dettaglio, dato il ruolo che stanno ora ricoprendo. 
Si raccontano delle storie, qualcosa che hanno sentito dagli altri, ma nessuno dei due racconta le vicende della propria sfera privata; eppure, sono compagni. Hanno un legame così stretto, che dovrebbero fidarsi ciecamente, mettere la vita l'uno nelle mani dell'altro. Perché non riescono a farlo?
Altri ci riescono. Spiegano ogni singola cosa che appartenga alle loro vite, parlando del padre, delle madre, scherzano sulle sorelle e si arrabbiando quando qualcuno fa un commento di troppo. Poi, però, si mettono a parlare di quanto sia stato bello scoparsi quelle ragazze francesi e nessuno pensa che quelle giovani donne -o ragazzine- potrebbero essere le loro sorelline o le loro mamme. 
Hans ci pensa, Abel anche, Ludwig indubbiamente. 
Il secondo citato se ne sta lì con loro, sebbene non sia il suo turno, perché non riesce a chiudere occhio, gli altri soldati russano troppo forte e a lui fa tanto male la testa.
D'un tratto sentono un rumore di passi. In un primo momento, sebbene interrompano la conversazione, nessuno di loro vi fa caso e riprendono col loro discorso, concitati. 
Tuttavia, quei passi si fanno più veloci e anche più vicini.
-Vado a controllare- esclama il biondo, ariano puro.
Lascia la sua postazione, fucile ben saldo tra le mani, occhi vigili. 
Non trova nessuno, per almeno i primi dieci minuti di esplorazione, per cui vuole tornare alla base per vedere se lì ci sono novità.
Sente però qualcos'altro: come bisbigli e gemiti trattenuti. 
Segue quel rumore, scovando poi una divisa nera, riversa su una gonna celeste e bianca. 
Il suo primo impulso è avvicinarsi. 
Nota solo delle gambe nude, e quella figura scura e tetra avvinghiata a quel colpo, ma la visuale è limitata dal muro che ha davanti.
Il suo secondo pensiero, è invece quello di farsi i fatti suoi. 
Ha lasciato correre tante volte, perché ora dovrebb'essere diverso? Poi sente quella voce maschile e decide di intervenire. 
Non vorrebbe utilizzare il fucile, perché potrebbe fare troppo rumore e se lo scoprissero, lo impiccherebbero di certo. Ma non può aspettare di decidere. 
Con un movimento svelto, prende quella figura dalle spalle e la spinge via da quel corpicino spaventato, che riconosce anch'esso. E' la ragazzina di quasi dodici anni che stava con Francis. Le lancia un'occhiata, sembra stare bene, malgrado la paura, dopotutto Joakim ha ancora i pantaloni indosso, seppur siano sbottonati e la camicia fuori posto.
E' palesemente ubriaco e barcolla cadendo per terra, quando l'altro lo  allontana da lei. Prende la pistola, gliela punta contro, contro al marito della ragazza con la quale si è precedentemente divertito, ma non riesce a centrarlo, la vista è eccessivamente appannata. 
Con un calcio, Lud gli fa cascare la pistola dalle mani e con un altro la fa finire dall'altra parte di quel complesso in rovina. 
-Schifoso... è un bambina!- gli ringhia addosso.
Lei non capisce, sia perché la lingua è diversa dalla sua, sia per lo spavento. Si copre svelta, le lacrime le rigano il viso.
Ne segue una colluttazione.
Ludwig ha la meglio, perché del tutto sobrio e più agile. 
Joakim però recupera la pistola e per poco non lo colpisce quando fa fuoco. Lo prende, ma soltanto lo sfiora al braccio che inizia subito a sanguinare. 
La ragazzina urla; il biondo decide allora di farla finita. 
Prende il fucile e gli si mette davanti, a distanza di mezzo metro. Glielo punta contro.
Non può credere di averlo lì davanti a sé.
Quanto ha desiderato questo momento? Certo è felice che Mathias sia nato, perché è un bambino bellissimo e molto dolce, però non a questo prezzo. 
Joakim ha una reazione che non si sarebbe aspettato.
Scoppia in lacrime, come un bambino e come un bambino gli chiede perdono per la marachella combinata. 
Lui non può perdonarlo. Chissà a quante ragazze e donne ha rovinato la vita. 
Gli punta la canna del fucile contro. Sarà uno spettacolo molto brutto, quando premerà il grilletto. 
Si volta appena verso di lei e fa un cenno verso la porta. Vattene, significa. E lei ubbidisce svelta, senza avere la capacità mentale di ringraziarlo. Scappa via e si ricongiunge con Francis, tra le braccia del quale si accoccola in lacrime, quando finalmente riesce a trovarlo.
Ludwig preme il grilletto. Un unico colpo. Un unico morto. 
Osserva la vita abbandonare quel corpo ed un po' si pente, come ogniqualvolta uccide. 
Tuttavia, si è tolto un peso dal cuore. Suo figlio potrà crescere più sereno in quel mondo senza scoprire mai chi sia il suo vero padre; Felicia non dovrà più abbassare il capo quando lo vede per le vie della Germania; e lui, finalmente, ha vendicato la sua donna e con lei chissà quante altre. 
Abbassa l'arma e con essa lo sguardo.
Rimane ad fissare quel corpo per qualche secondo, poi, preoccupato che possano averlo sentito, fa dietrofront per andarsene. 
Un'altra figura.
Un altro SS. 
Che voglio, ancora, da lui?
Il suo cuore inizia a battere all'impazzata, è quasi certo che quel tale farà rapporto. 
Roderich punta gli occhi sui suoi. 
Gli converrebbe denunciarlo, si accattiverebbe il favore del governo nazista, tuttavia si limita ad sistemarsi gli occhiali sul naso.
Quel tipo non gli era mai piaciuto, non sarà una grave perdita. 
Sistema il cappello tra i capelli neri, e torna alle sue mansioni. 
 
 
 
 
 
 
 
  
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