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Autore: stockvholm    11/05/2013    0 recensioni
TRATTO DA UN CAPITOLO.
La mia schiena incontrò il freddo materiale di cui erano fatti e il mio respiro leggermente affannato fu interrotto a causa delle sue morbide labbra che premevano insistenti sulle mie. Le mie mani spinsero quanto bastava per allontanarlo, anche se di poco.
Io:’Sei impazzito? Allontanati!’ Ordinai incazzata.
Zayn:’So che non lo vuoi.’ Finalmente parlò.
Io:’Tu non sai proprio nulla!’ Bussai con un dito sotto la sua clavicola.
Prepotente e duro, tornò a giocare con le mie labbra, riempiendo di piccoli morsi il mio labbro inferiore e provocando una serie di brividi lungo la mia schiena; ne era passato di tempo da quando un ragazzo mi aveva baciata così e il pensiero di assecondarlo attraversò la mia mente... Mi riappropriai del mio autocontrollo e non lo feci.
Io:’Ti ho detto di allontanarti.’ Sputai.
La sua mano stringeva la mia quando fece un piccolo passo indietro per sigillare i nostri occhi. Sciolse il legame solo per spostarli sulle mie labbra che tremavano leggermente, scosse da tanta audacia.
Zayn:’Argh...’ Imitò il ringhio di un animale, per sfottermi.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1.

Due profondi occhi color nocciola e decine di altri occhi curiosi erano lì a fissarmi intensamente, attratti da me come un bambino con un giocattolino nuovo. Odiavo sentirmi così fuori posto, estranea all’ambiente in cui mi trovo. Era una sensazione così strana, così sbagliata in qualche modo... Ma ero abituata a quegli sguardi, a quelle occhiate, a quelle risatine stupide e a tutti quei commenti e pregiudizi sulla “nuova”. Probabilmente mi vedevano come un mostro piombato nel loro piccolo mondo fantastico; ma non mi interessava, affari loro. Con sguardo basso seguivo la preside e mia madre verso un ufficio che volevo evitare il più possibile: entrarci significava una condanna a una vita di prigionia con mia madre dentro casa, una casa che sarebbero passati mesi prima di considerarla MIA. Tutto di quei corridoi mi metteva a disagio in quel momento, non ero abituata... I corridoi della mia scuola precedente erano pieni di gente che mi salutava e io li percorrevo come fossi un Dio assieme alle mie amiche. Tutto questo era svanito. Svanito un’ennesima volta... Cercavo di non pensarci per evitare le lacrime; ne erano uscite già abbastanza, adesso basta. Arrivate davanti ad una grande porta di vetro, mia madre mi fece un cenno di incoraggiamento e un semplicissimo sorriso, per poi spingermi ad entrare dietro alla preside. Ci fece accomodare su due sedie scomode e stranamente dure. Mi scrutò attentamente per poi infilarsi gli occhiali ed esaminare dei documenti evidentemente relativi alla mia iscrizione in quell’istituto londinese.
Mrs. Singh:‘Allora, signorina Sullivan, spero che si troverà bene qui.’ Mi rivolse un piccolo sorriso per farmi sentire a mio agio probabilmente, ma non ci riusciva così, anzi.
Io:‘Lo spero anche io.’ Dissi a voce bassa per commentare tra me e me. Ma a mia madre non sfuggì il mio commento perché mi guardò apprensiva, cercando di tranquillizzarmi.
La preside fece firmare a mia madre dei documenti e poi ci lasciò sole prima della mia lezione di letteratura inglese.  Fuori da quell’ufficio così inadatto alla situazione, mia madre mi mise le mani sulle spalle, mi guardò negli occhi e mi disse ‘Bambina mia affronterai questo giorno come hai già fatto in precedenza, lo so. Stai serena e tutto andrà per il meglio. Ci vediamo all’uscita;  ora vai! Non voglio farti fare tardi il primo giorno.’ Aggiunse un sorriso e una spintarella di incoraggiamento.
Come tutte le volte, sentivo i miei piedi pesanti, le gambe tremolanti e per darmi la forza di camminare verso l’aula, mi diedi un pizzicotto sul braccio. Riuscii a far muovere le mie articolazioni per dirigermi verso l’aula per la mia prima lezione in quella scuola. Mi sollevava il fatto che letteratura era una materia che studiavo volentieri, mi appassionava, devo essere sincera. Avevo paura di bussare, mi tremava la mano; avevo paura di ciò che avrei trovato dietro. Sentivo lo sguardo di mia madre su di me dall’altra parte del corridoio che mi diede la spinta per battere il mio pungo ben chiuso su quella porta in legno perfettamente pulita, non come nella mia ultima scuola...
‘Avanti’ sentii dire dal professore dietro la porta.
Titubante aprii la porta e mi ritrovai davanti a una classe di una ventina di ragazzi e un professore; la cosa brutta è che tutti erano concentrati su di me, come poco prima. Mi sentivo in soggezione: i loro occhi erano pronti a notare ogni mio singolo movimento. In prima fila notai gli occhi azzurri di un ragazzo biondo, di una bellezza indescrivibile, dall’aria innocente e simpatica; dietro di lui c’era un ragazzo castano con i capelli molto corti e un sorrisetto grazioso sul volto, pieno di gioia; entrambi erano circondati da alcune ragazze all’apparenza molto diverse da me: io provenivo da una piccola regione di campagna, loro erano abituate alla vita di città troppo veloce e diversa dalla mia. Vidi un ragazzo riccio ridere e tirare un bigliettino al biondo in prima fila, che lo prese al volo e leggendolo scoppiò in una silenziosa risata. Più in fondo all’aula, due ragazzi attirarono la mia attenzione in modo particolare: il primo era alto, secco e con degli occhi chiari, limpidi, luminosi che erano la prima cosa che colpiva osservandolo; il secondo era avvolto da un’aria di mistero: il suo ciuffo biondo, il suo braccio completamente tatuato, i suoi occhi così profondi... Gli stessi che avevo notato prima nella folla che mi accolse all’entrata; fu lui che mi colpì più di tutti, non so perché. Mi incuriosiva più di tutti e non avevo voglia di farmi pregiudizi troppo azzardati su di lui. 
Prof:’Tu devi essere la signorina Taylor Sullivan, giusto?’ Annuii mordendomi un labbro. ‘Accomodati.’ Mi indicò un banchetto in seconda fila, vicino alla finestra che affacciava sul cortile.
Prof:‘Riprendiamo la nostra lezione...’ Detto questo, tutto ripartì come se non fossi mai entrata, apparte alcuni sguardi fissi su di me che non apprezzavo: non potevano semplicemente dimenticarsi del mio arrivo e concentrarsi sulle parole del professore?! Ovviamente no, visto che le occhiate continuarono fino al suono della campanella! Quel “DRIIIIIN” mi costrinse ad alzarmi, e quando la maggior parte degli studenti presenti nella mi aula si erano dileguati, feci un respiro profondo per poi tornare nel corridoio. Gente che andava da una parte, chi dall’altra, scambiandosi battute o saluti mentre si dirigevano ognuno alla propria classe. Tirai fuori la piantina della scuola per trovare la classe di biologia ma era più difficile di quanto immaginavo; ero esasperata.
X:’Posso aiutarti?’ Chiese una voce armoniosa e delicata dietro di me; mi girai per vedere da quale persona provenisse tale voce e fui sorpresa di trovarmi davanti il ragazzo con i capelli cortissimi.
Io:‘Purtroppo si... Mi sono persa: non so dove diavolo è l’aula di biologia.’ Ammisi un po’ umiliata.
Sorrise, probabilmente per la mia stupidità.
X:’Seguimi attentamente: ora prosegui lungo questo corridoio, sulla destra ti troverai una rampa di scale, sali fino al piano superiore e percorri quasi tutto il corridoio sulla tua sinistra. Troverai una porta con scritto il numero 7. Entra.’  Tutto questo fu accompagnato da gesti informativi e spontanei. Apprezzai molto il suo aiuto, indicava una certa disponibilità.
Io:‘Grazie mille. Davvero, grazie.’ Arrossii e mi sistemai la borsa sulla spalla per avviarmi alla prossima lezione. Feci due passi in avanti, poi mi voltai e dissi ‘Sono in debito.’
X:‘Comunque piacere, io sono Liam.’
Io:’Piacere, Taylor.’ Feci un cenno di saluto con la mano ‘Ora scappo o faccio tardi.’ Mi annuì e poi si voltò anche lui. Gli ero davvero grata; chissà quale figuraccia mi ero risparmiata grazie a lui!
Percorsi la strada che mi aveva indicato nel modo più preciso possibile; pochi minuti ed ero nell’aula di biologia. Fortunatamente era ben attrezzata: vi erano vari tipi di materiali e degli scaffali in fondo all’aula con vecchi libri e riviste interessanti, che per la noia, mi misi a sfogliare in attesa dell’inizio della lezione. Intanto nella classe cominciarono ad arrivare altri ragazzi del quarto anno. Una ragazzetta bassa, dai capelli di un rosso acceso e gli occhietti scuri e vispi, si avvicinò lentamente a me per rivolgermi la parola, ma era evidentemente molto timida perché si limitò a sorridermi. Per evitare di farla sentire in imbarazzo, presi l’iniziativa di iniziare io il discorso.
Io:‘Ehi. Piacere, Taylor.’ Le porsi la mano che lei afferrò insicura.
X:‘Piacere, Leah.’
Non potevo saperlo, ma quella ragazza avrebbe avuto un ruolo fondamentale nella mia vita in quella grande metropoli. Il suo visino cicciotto era nascosto da alcune ciocche di capelli portate a formare dei boccoli perfetti; notai che si stava torturando le mani con le unghie, già piene di taglietti provocati da quelle unghie lunghe perfettamente curate con tanto di smalto rosso, ma un rosso più spento rispetto ai suoi capelli.
Io:‘Così ti rovini!’ Allungai una mano per impedirle di continuare quella sottospecie di tortura.
Leah:’Ehm... Si in effetti... Io..’ Fece un passettino indietro, per poi girarsi completamente e cominciare ad allontanarsi. Mi allungai per impedirle un ennesimo passo: la presi per un braccio e lei si girò. Le sue guance, prima di un colore delicato, adesso erano rosse.
Io:’Vuoi sederti vicino a me?’ Indicai i due banchi liberi alla mia sinistra.
Il suo volto imbarazzato, frustrato e un po’ confuso, ora era occupato da un sorrisino, misto sempre ad un po’ di imbarazzo.
Leah:’Certamente...’ Mormorò.
Ci sedemmo; del professore non c’era ancora traccia, la nostra conversazione continuò, ma con mia grande sorpresa aprì lei un nuovo discorso.
Leah:’Sei nuova, da dove vieni?’ Evitava di guardarmi negli occhi, per chissà quale motivo.
Io:’Longford, Irlanda. Conosci?’
Lei si decise finalmente a guardarmi negli occhi per più di qualche secondo. Sta volta sembrava sorpresa e divertita.
Leah:’Mio padre è di Dublino!’ Scoppiammo a ridere, senza una ragione apparente. Rideva, e come era bella quando rideva!
Fummo interrotte bruscamente dall’entrata del professore che, senza salutare, si mise a sedere.
Le lezioni seguenti passarono in fretta, anche se in completa solitudine. Leah non seguiva i miei stessi corsi e orari, purtroppo. Al suono della campanella del pranzo andai il più in fretta possibile in mensa... Mi appoggiai alla porta all’entrata per aspettare Leah lì; passarono una decina di minuti ma di lei non c’era traccia. Cominciai a spaventarmi: chissà dove cavolo era finita! Il mio stomaco iniziò ad emettere alcuni rumori imbarazzanti, il che mi fece capire che era il caso di mangiare qualcosa...
Sbuffai e mi diressi verso il mucchio di gente in fila per mangiare. Presi il vassoio con le posate e aspettai il mio turno; nemmeno a farlo a posta, la fila scorreva lentamente e il mio stomaco si lamentava. Mi sentii morire quando il ragazzo dall’aria misteriosa e dei suoi amici mi passarono vicino proprio mentre il mio stomaco si lamentava furiosamente. Li sentii ridere ma non si fermarono. Dio che imbarazzo! Presi velocemente qualcosa da mangiare, da bere, pagai e andai alla ricerca di un posticino per sedermi. Lo trovai in un angoletto semi-nascosto da una colonna. Notai delle ragazze alte, belle, con vestiti appariscenti andarsi a sedere al tavolo di quei cinque ragazzi. Il tipo col ciuffo biondo sembrò il meno interessato alla loro presenza: mentre gli altri ridevano e scherzavano, lui era concentrato sul suo cellulare... Un blackberry ultimo modello.



SAAAAAAAAALVE PEOPLE!
Questa è la prima fanfiction che pubblico, uhuh.
Spero la seguirete e mi darete un briciolo di autostima in più, lol.
With love, xniallsbravery (on twitter @sloghi).
  
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