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Autore: sundayrose    12/05/2013    0 recensioni
Era per questo, forse, che me n’ero andato. Non potevo più sopportare di vivere in quel luogo senza il mio amico, il mio compagno.
Quel luogo non esisteva senza di lui.
Ma ora lui era lì e c’ero anche io.
Eravamo insieme, finalmente, nel nostro posto magico.
- Allora diciamo che staremo insieme fino a quando i fiori di ciliegio smetteranno di fiorire in primavera -
- Ma questo non avverrà mai – Appurai io.
- Appunto – Rispose lui con un sorriso sulle labbra.
Abbassai lo sguardo e sorrisi anch’io, mentre la mano di Yuri scivolava tra la mia.
Ci incamminammo insieme al di là del ponte, verso il tramonto rossastro.
Un venticello leggero aveva iniziato a scompigliarci i capelli e sentimmo sulla pelle i petali di fiori di ciliegio che danzavano nell’aria portati dal soffio lieve.
Quegli stessi fiori che erano stati testimoni del nostro addio e che ora erano testimoni del nostro amore eterno.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fiori di ciliegio

I miei passi rimbombavano secchi sull’acciottolato scabro del lungofiume.
Le mani in tasca. L’andamento sicuro: né troppo veloce, né troppo piano; come se stessi passeggiando, ma non senza una meta precisa.
Le strade erano deserte in quel tardo pomeriggio di primavera. Ogni tanto si intravedeva un bambino tornare a casa per mano della mamma, mentre qualche sporadico anziano con il giornale sottobraccio o con il cane al guinzaglio si fermava ad ammirare il sole infrangersi tra le acque del fiume Sumida.
Lo guardai anch’io, schermandomi gli occhi con la mano, e mi meravigliai del colore sorprendente che avevano preso le ondine leggere: un misto tra l’aranciato del sole e il rosa delicato dei fiori di ciliegio che sorgevano sulla riva. 
Tokyo era più bella in primavera che in qualsiasi altra stagione dell’anno, forse proprio per la fioritura spettacolare di questi alberi meravigliosi.
Inspirai il loro profumo portato dal vento, misto alle goccioline d’acqua che arrivavano dal fiume, per poi allontanarmi e rincamminarmi lungo il viale deserto.
Il tramonto alla mia destra mi solleticava il viso con il suo calore tiepido e il suo colore rossastro, mentre alla mia sinistra incombeva la città con i suoi grattacieli imponenti e il traffico frenetico.
Sembrava che la mia visuale fosse divisa a metà, come se i miei occhi guardassero due diverse e opposte immagini accostate casualmente sul banco di un alunno.
Anche il cielo era diverso, più cupo, sulla metropoli giapponese.
A dividere il bianco e il nero, il giorno e la notte dei due diversi paesaggi, come una linea retta che solcava interamente quel dipinto surreale, c’era il lungofiume pavimentato che stavo percorrendo da quasi quindici minuti.
E io ero proprio lì, in mezzo, come se fossi il protagonista o l’autore stesso di quel bizzarro quadro.
Non venivo a Tokyo da più di cinque anni ormai, ma le sensazioni erano sempre le stesse. Soprattutto lì. Soprattutto a quell’ora.
Era come se fossi tornato di nuovo bambino. Come se non fosse cambiato niente e io fossi ancora il timido fanciullo arrivato dall’America che si rannicchiava sugli scalini del piccolo ponte e disegnava il paesaggio surreale che si costruiva accanto al fiume, sognando di trovarsi in un altro mondo, né peggiore, né migliore di questo, solo diverso.
Il mio passo rallentò alla vista del piccolo ponticello di legno, costruito là dove il letto del fiume era più stretto.
Finalmente era lì, davanti ai miei occhi. Non nei miei disegni, non nei miei sogni.
Lo raggiunsi lentamente, come assaporando passo dopo passo quel rincontro speciale.
Era come lo ricordavo: ruvido, scrostato, corroso dalle intemperie e dallo smog della città, ma aveva comunque un suo fascino con quelle sue venature più chiare che stavano a dimostrare il legno antico con cui era stato costruito.
Appoggiai la mano sulla balaustra curva, chiusi gli occhi ed eccomi catapultato improvvisamente nel passato.
Ero sempre lì, il cielo era sempre rossastro a causa del tramonto del sole, ma una nebbiolina leggera proveniente dalla città cospargeva di goccioline umide il parapetto e gli alberi di ciliegio che sorgevano sulla riva del fiume.
La luce aranciata si rifletteva in quelle sfere d’acqua rendendo tutto più scintillante e irreale del solito.
Io ero un bambino e tutto mi appariva più grande, più meraviglioso.
Con il mio zainetto in spalla e i calzoncini corti mi girai ad osservare la città, cupa e oscura come al solito, completamente distaccata da quel piccolo angolo di paradiso.
Ma era sempre stato così.
Con i miei occhi di bambino cercai la figura sottile che ogni giorno mi aspettava in cima al ponte e non fui sorpreso di trovarla lì, appoggiata al parapetto.
Il sole rosso dietro di lui lo faceva apparire scuro e senza volto ai miei occhi, ma io sapevo che era lui.
Mi avvicinai saltellando, con lo zainetto che sobbalzava ad ogni mio movimento.
Quando lo raggiunsi lui si voltò, in silenzio, senza dire una parola.
Il suo volto era ancora scuro ai miei occhi, ma, quando si era girato verso di me, avevo intravisto lo scintillio del sole rossastro sul suo viso, come se anche questo fosse cosparso di goccioline.
- Ian – Mormorò lui con voce flebile e tremula.
Stava piangendo, me ne accorsi dalla sua voce.
- Yuri…perché…?- La mia voce da bambino morì su quelle parole.
- Mi trasferisco. Sono venuto a dirtelo – La sua voce da bambino si indurì di colpo, asciugandosi le lacrime con un gesto secco.
- Come? – Non riuscivo a capire. Come poteva un bambino comprendere la separazione, il dolore della perdita?
- Parto domani mattina. Mio padre ha avuto un’offerta di lavoro molto importante. Ci trasferiamo in Australia.-
Io ancora non capivo.
Come poteva trasferirsi in Australia? Come sarebbe potuto venire a giocare con me tutti i pomeriggi se si fosse trasferito?
La risposta arrivò fredda e crudele nella mia mente di bambino.
Non sarebbe venuto.
- E… noi? – Chiesi con voce stridula e malferma.
Yuri abbassò lo sguardo. Vidi un altro scintillio sulla sua guancia, ma quando parlò la sua voce era ferma come prima.
- Verrò a trovarti, tutti gli anni, te lo prometto!-
Poi, come se non ce la facesse più a rimanere freddo e distaccato, mi prese le mie mani piccole e sudate e me le strinse forte.
- Tu mi aspetterai, vero? Proprio qui. Non ti troverai un altro migliore amico, vero?- La sua voce trasudava paura e speranza al tempo stesso.
Aspettava la mia risposta con gli occhi sbarrati e imploranti.
Quando risposi, non stavo mentendo – Certo! Ti aspetterò tutti i giorni, proprio qui. Sei solo tu il mio migliore amico!- Dissi alla fine in risposta al suo sguardo spaventato.
E io ero sicuro di quello che stavo dicendo, non c’era nessun dubbio nella mia voce, né nella mia testa.
Mi abbracciò forte, mentre si alzava un venticello leggero che trasportava ancora con più foga le goccioline minuscole di pioggerellina ed umidità.
Quando si staccò i nostri occhi erano rossi ( un po’ per il pianto, un po’ per il tramonto) e i nostri visi bagnati ( un po’ per la pioggia fine, un po’ per le lacrime).
Lo vidi allontanarsi a ritroso per un po’, poi si voltò e sparì al di là del ponte.
Il vento portò a me i petali di ciliegio che, flebili e sinuosi, si erano staccati dai rami.
Anche loro piangevano la perdita del mio amico.

Erano passati dieci anni da quell’arrivederci che poi, piano piano, si era trasformato in un addio.
Per i primi cinque avevo mantenuto la mia promessa. Avevo aspettato il mio amico tutti i giorni, sempre lì, sempre alla stessa ora. Ma lui non era mai venuto.
Poi, con l’arrivo dell’adolescenza, era arrivata anche la rabbia e decisi di andarmene, di tornare in America.
Lì conobbi altre persone, mi feci altri amici e per un po’ dimenticai il mio amico giapponese.
Ora avevo vent’anni. Una nuova età, una nuova maturazione.
Pochi giorni prima di tornare in Giappone avevo sognato di nuovo quel ponte, quel fiume, quegli alberi.
Era stato strano perché non ci pensavo più da molto tempo e rivedere quel luogo così, in sogno, senza i filtri della razionalità, con la mente alla deriva trascinata dalle emozioni era stato commovente e impetuoso allo stesso tempo.
Mi ero svegliato preso da un’irresistibile frenesia, un’intima voglia di ritornarci.
E ci ero ritornato.
Ancora mi stupivo di come fosse tutto uguale. Sembrava che il tempo si fosse fermato in quel luogo magico e pieno di ricordi.
Sollevai lo sguardo, lasciandomi inondare dalle ultime luci del sole, e trasalii quando notai una figura scura in cima al ponte.
Era un ragazzo, appoggiato al parapetto ad osservare il fiume che scorreva calmo sotto di lui.
Sentii un’emozione fortissima nel guardarlo e involontariamente cominciai a camminare, avvicinandomi sempre di più a lui.
Lo raggiunsi con il cuore in gola, turbato e tremante.
Il ragazzo si voltò senza batter ciglio.
Aveva le mani in tasca e il suo fisico era un tantino più muscoloso del mio. Ma non mi soffermai a guardarlo.
Il suo viso era in ombra a causa del sole rosso dietro di lui.
- Non mi hai aspettato -
Trasalii a quelle parole. Chissà perché avevo immaginato di sentire di nuovo la vocetta acuta di bambino.
Non mi aspettavo la voce di un uomo.
- Ti ho aspettato per cinque anni – Dissi calmo.
Yuri voltò lo sguardo bruscamente, di nuovo verso il fiume.
Ora potevo vedere il suo viso illuminato dal sole al tramonto.
Per certi aspetti era sempre lo stesso, con i ciuffi neri che gli ricadevano sugli occhi altrettanto scuri. Ma i lineamenti non erano più morbidi e rotondi. Erano marcati, più aguzzi e scolpiti.
E quegli occhi, quegli occhi a mandorla che sembravano tutti uguali in quella città, riflettevano non più la spensieratezza e la gioia di un bambino, ma la cruda realtà di un adulto.
- Avevi promesso – Ribattè lui, non a me, ma al fiume, come se fosse stato il tacito testimone del nostro giuramento.
- E tu? Tu non avevi promesso?- Urlai io prendendogli il volto tra le mani.
Di colpo tutte le sensazioni che avevo provato e abilmente negato in quei dieci anni riaffiorarono all’improvviso.
Lui mi guardò dapprima duramente, poi il suo sguardo si sciolse in mille lacrime salate.
- Io…- Cominciò lui, ma io lo interruppi bruscamente.
- Tu non avevi promesso che saresti venuto a trovarmi tutti gli anni? Io ti ho aspettato, proprio qui, tutti i giorni!-
Ormai le emozioni avevano preso il sopravvento e non mi curavo di non urlare o di accertarmi che nessuno ci guardasse.
- Io…non ho potuto – Disse lui alla fine.
- Perché? Perché non hai potuto?-
- Perché mio padre ci aveva scoperti, ok?- Sbottò, ritraendosi dal mio tocco. – E’ per questo che ci siamo trasferiti. Sapeva di noi, sapeva che ci amavamo!-
Il suo sguardo bruciava sulla mia pelle, ma nonostante il calore sentii freddo, freddo dentro.
- Yuri, avevamo soltanto dieci anni…-
- E questo che vuol dire? Che un bambino non può amare? Un bambino ama molto più intensamente di un adulto, perché non conosce la paura, né la costrizione.-
Mi sentii morire dentro e al tempo stesso rinascere, mentre riaffioravano sentimenti che pensavo di aver sepolto per sempre.
- Ian… - Stavolta fu lui a prendermi il viso tra le mani – Tu mi ami ancora, non è vero?-
Era una coincidenza? Una maledetta coincidenza che avessi sognato quel luogo pochi giorni prima del mio incontro con Yuri?
Era una coincidenza che io avessi deciso di ritornarci proprio in quel momento?
O era il destino che cercava di riportarmi sulla giusta via, quella dei veri sentimenti?
Se era il destino decisi di credergli.
- Non ho mai smesso – Le ultime sillabe furono soffocate dal bacio. Un bacio sognato, agognato, finalmente provato.
Perché da bambini non avevamo mai osato nemmeno sfiorarci, anche se l’amore era trapelato più forte, molto più intensamente.
Ma ora eravamo adulti e gli adulti, si sa, hanno bisogno di prove, di gesti, hanno bisogno di sentire il brivido sulla pelle dell’altro per capire che si è amati.
- Non andare più via – Sibilai sulle sue labbra.
Il tremore non passava, la paura di perderlo di nuovo era più forte di qualunque altra cosa.
- Non lo farò. Non lo farò, te lo prometto!-
- Non promettere! – Lo ammonii severo – Le promesse non sono il tuo forte –
Yuri rise e risi anch’io, mentre sentivo il groppo che avevo in gola finalmente sciogliersi e trasformarsi di nuovo in calore.
Lo guardai. Non avevo mai capito quanto dipendessi da lui, dai suoi occhi, dalla sua voce.
Era per questo, forse, che me n’ero andato. Non potevo più sopportare di vivere in quel luogo senza il mio amico, il mio compagno.
Quel luogo non esisteva senza di lui.
Ma ora lui era lì e c’ero anche io.
Eravamo insieme, finalmente, nel nostro posto magico.
- Allora diciamo che staremo insieme fino a quando i fiori di ciliegio smetteranno di fiorire in primavera -
- Ma questo non avverrà mai – Appurai io.
- Appunto – Rispose lui con un sorriso sulle labbra.
Abbassai lo sguardo e sorrisi anch’io, mentre la mano di Yuri scivolava tra la mia.
Ci incamminammo insieme al di là del ponte, verso il tramonto rossastro.
Un venticello leggero aveva iniziato a scompigliarci i capelli e sentimmo sulla pelle i petali di fiori di ciliegio che danzavano nell’aria portati dal soffio lieve.
Quegli stessi fiori che erano stati testimoni del nostro addio e che ora erano testimoni del nostro amore eterno.


NOTE DELL’AUTRICE:

Salve lettori!
Questa storia è nata in me all’improvviso, senza premeditazione, guardando un’immagine trovata per caso su internet.
E’ stata talmente forte l’emozione che ho deciso di scriverla subito, di getto.
A me piace molto e spero che piaccia anche a voi.
Naturalmente, come avrete capito, parla di un amore omosessuale, quindi se qualcuno non ha apprezzato o si è sentito turbato da tale lettura è pregato solo di non offendere. Grazie.
Se volete vedere l’immagine che ha ispirato questa storia la troverete sulla mia pagina facebook Sundayrose Efp.
Spero che la visiterete in tanti!
Un bacio a tutti.
Sundayrose.



  
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