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Autore: Jessy87g    30/11/2007    7 recensioni
Sesshomaru la guardò allontanarsi, senza perderla di vista fino all’istante in cui scomparve. Strinse rabbioso i pugni: non era ancora venuto il momento. Ma, sul suo onore, si sarebbe vendicato…a qualunque costo. Avrebbe assaporato ogni singolo spasmo di dolore di quegli occhi insolenti, finché quella maledetta lingua velenosa non gli avesse chiesto pietà con un ultimo grido straziato.
Genere: Romantico, Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rin, Sesshoumaru
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 10.


“Tormento y Deseo”




“Ma poc'anzi ti mirai
qual non ti vidi mai! […]
il tuo sguardo
che odio in me dardeggiava,
mie brame inferociva!”


(“Tosca”, Puccini)







Profumo…c’era profumo ovunque in quella piccola stanza, rischiarata solamente da un grande candelabro d’argento. Una dolce fragranza di vaniglia e lavanda, mista al sale di una lacrima che minacciava di scivolare giù dalle folte ciglia nere.
La donna si ripassò nuovamente le labbra, fino a renderle di un rosso acceso; come il vestito che le fasciava il piccolo corpo flessuoso, impreziosito da merletti di stoffa scura. I capelli corvini, così lucenti da sembrare umidi, erano legati ordinatamente dietro la nuca.
Prese la rosa, che aveva appena colto nel giardino, dal tavolo davanti a sé e la sistemò con cura dietro l’orecchio.
Si osservò per un lungo momento alla specchio con aria soddisfatta.
Perfetto…era tutto assolutamente perfetto.
Le labbra si dischiusero in un sorriso amaro: era strano come la vanità riuscisse ad affiorare solo quando era ad un passo dell’afflizione.
Perfetta.
Ogni cosa era assolutamente in ordine, come mai lo era stato in vita sua ed ogni difetto era stato abilmente celato dall’astuzia femminile.
Se quella notte l’aveva destinata alla sconfitta; avrebbe perso con dignità. Avrebbe messo un pizzico di fiele nel dolce calice della vittoria: poco, ma capace di guastare tutto il sapore.
Ma, d’altra parte, la vita è solo un grande inganno; dove sopravvive solo colui che riesce a mentire senza pentimento né remore. L’uomo è costretto ogni giorno della sua vita ad indossare una maschera diversa e, alla fine, neanche si ricorda più il suo vero aspetto.
Lei aveva sempre rifiutato con orrore questa logica; era stata e si era volutamente emarginata per questo principio.
Tuttavia nella vita a volte si è costretti a scendere a compromessi.
Ormai era tutto finito, tutto cancellato, tutto da rifare. La maschera era stata indossata, il sipario della vita si apre, le luci l’accecano, il brusio del pubblico la stordisce.
“Si va in scena.” Mormorò al suo riflesso allo specchio.
Afferrò il lungo scialle nero e uscì con passo sicuro.


******************


I riflessi rossastri delle torce illuminavano il giardino con una fioca luce tremolante; l’aria, pesante di umidità, penetrava dalle piccole fessure delle mura e le stelle brillavano luminose sopra lo strano spettacolo.
I sette dragoni erano seduti in cerchio, stranamente silenziosi, con gli occhi fissi su quella strana, gracile creatura davanti a loro.
Rin si guardò per un attimo intorno, smarrita: le sinistre espressioni dei suo spettatori la facevano sentire a disagio e la paura le appesantiva le gambe. I suoi occhi cercavano disperatamente quel volto che non riuscivano a scorgere; quell’espressione severa e austera che, per un qualche assurdo motivo, non riusciva a togliersi dalla mente.
Niente…Lui non c’era.
Perché?...Quella era la sua vittoria. Perché non era lì a godersela? Perché non era lì ad affliggerla con quella solita espressione trionfante, ad ossessionarla con le sue parole taglienti?
Fece scorrere lo sguardo in ogni direzione, col cuore in gola. Non poteva, non voleva iniziare senza di lui; voleva vederlo lì, davanti a lei ad ammirarla in silenzio; desiderava incrociare il suo sguardo in quella strana, pericolosa guerra.
Un improvvisa, soffocante folata di vento la fece tornare alla realtà.
Scacciò quello strano pensiero, quasi inorridita. Afferrò con rabbia il piccolo cembalo che aveva poggiato a terra ed iniziò la solita, antica danza.
Non si accorse che due pupille dorate la stavano osservando.


Sesshomaru era in disparte poco lontano, appoggiato a una colonna, dove la luce non poteva arrivare; aveva ogni muscolo del corpo in tensione e un’espressione cupa gli oscurava il bel volto pallido.
Quella sera voleva assaporarsi quello spettacolo in solitudine, senza che nessuno lanciasse delle occhiate curiose verso di lui, per cercare sul suo volto un qualcosa che non aveva alcuna intenzione di mostrare.
Quando sentì salire il ritmico suono dello strumento trattene per un attimo il fiato e si concentrò su quella piccola figura che si muoveva con naturalezza e semplicità sotto una luna minacciosa.
Si sentiva stranamente agitato e, cosa che lo faceva andare letteralmente in bestia, non sapeva il perchè.
Il suo sesto senso lo avvertiva che stava andando incontro ad un pericolo; al quale, per quanto si sforzasse, non riusciva a dare un nome.
Teneva fisso il suo sguardo su di lei…e non capiva.
Era una sensazione strana, nuova: era come se la vedesse per la prima volta.
In un attimo ogni cosa intorno a loro sparì; non c’erano più differenze tra loro, non c’erano più titoli, non c’erano più ricchezze, non c’erano più doveri.
Gli sembrò più vicina di quanto non era mai stata.
Più la osservava, la studiava e più si rendeva terribilmente conto che c’era qualcosa che la legava indissolubilmente a lui. Che questa cosa si chiamasse odio o desiderio, o entrambe le cose, poco importava.
Quella donna…quel piccolo corpo minuto…come poteva mettere anche minimamente in forse il suo immenso potere? Come faceva ad avere tutto questo ascendente su di lui?
Il solo pensiero di essere anche solo condizionato da lei lo faceva inorridire; lo spaventava più di quanto avrebbe mai ammesso a se stesso.
Lei ballava, e quei movimenti calcolati e sensuali, lo facevano sentire sempre più impotente; sapeva di non avere armi per affrontare quel genere di pericolo…a parte il suo orgoglio ferito.
La gonna cremisi si alzava e si abbassava al ritmo della musica. Le lunghe gambe abbronzate eseguivano, senza la minima incertezza, quella strana danza. Sul volto, leggermente contratto in un’impercettibile smorfia di disprezzo, spiccavano le carnose labbra rossissime. L’intera figura risplendeva eterea, irraggiungibile, enigmatica, sotto una luce irreale.
Il demone la osservava rapito. Più la sua mente gli gridava di salvarsi, più continuava a scendere lungo quel baratro nel quale lui stesso si era gettato.
La sua stessa vanità l’aveva spinto a intraprendere un gioco del quale, adesso, non riusciva più a tenere salde le redini.
Doveva fare qualcosa…doveva farla subito, prima che la situazione diventasse irrecuperabile.
Inspirò a pieni polmoni l’aria calda di quella notte: aveva un sapore di eternità.
Un ruggito rabbioso affiorò dalla gola.
Perché? Perché proprio a lui? Lui che si sentiva immune da quelle bassezze tipiche degli umani, Lui che non si sarebbe sognato mai neanche di posare lo sguardo su un creatura tanto infima, Lui che non aveva mai abbassato gli occhi di fronte ad una donna…
No, non era amore…non si poteva amare una donna del genere.
Ma era un desiderio muto, feroce, che lo dilaniava sempre più dolorosamente da dentro.
Quella strana sensazione, così fastidiosamente reale e forte non l’avea mai sfiorato in vita sua nemmeno per un attimo…a parte…si, forse…a parte con Lei
Ma era tutto diverso. Lei era l’opposto quella zingara, lei apparteneva ad un mondo molto più vicino al suo, lei rispettava ogni cosa lui rappresentasse...Lei era Lei e nessuna avrebbe mai preso il suo posto.
Chiuse lentamente gli occhi, rapito da ricordi che gli parevano vacui, sfumati come in un sogno.


Vide davanti a sé un corridoio lungo e scuro che sembrava non terminare mai. Lo conosceva bene: era quello del suo palazzo.
Avanzava sicuro in un silenzio irreale, rotto solo rumore dei suoi stivali che calpestavano il lucido pavimento di marmo nero mentre ai lati delle pareti antichi ritratti lo guardavano con severità.
Aprì la porta; mentre un profumo dolce e sensuale gli invase le narici.
Il tempo sembrava essersi fermato e tutto intorno a lui era confuso ed evanescente; come lo è solo ciò che si trova nel limbo dei ricordi.
Avanzando nella penombra intravide, sul proprio letto, i vaghi lineamenti di un corpo che conosceva ormai bene. La figura si alzò lentamente a sedere ed posò lo sguardo verso il nuovo venuto.
Non sapeva perché, ma quella voce musicale e profonda, dal tono quasi tragico, era impressa nella sua mente come un marchio infuocato; tanto che gli pareva di riconoscere anche le più impercettibili sfumature contenute in ogni singola parola che pronunciava.

-Siete Voi?-
-Si.-
-Vi stavo aspettando.-
-E non Vi stancate mai di aspettarmi?-
-Dovrei?-
-No…credo proprio di no.-

La donna tacque per un attimo, cercando di distinguere nell’oscurità l’espressione sul volto del suo interlocutore; poi, riprese nuovamente la parola: ma ormai la voce era quasi un sussurro.

-Lord Langston…secondo Voi l’amore può durare per sempre?-
-L’amore non esiste, Kagura, lo sai bene. E’ solo un’invenzione dei poeti.-
-E la passione?-
A quella domanda non rispose subito; ma lasciò che calasse tra loro uno strano silenzio interrotto solamente dal ticchettio di un vecchio orologio.
Poi dischiuse le labbra in uno strano, enigmatico sorriso.

-…Vedremo, mia cara…Vedremo…-

Nel pronunciare quell’ ultima frase, fece qualche altro passo avanti e, senza aggiungere una parola, si tolse la giacca e si sdraiò accanto a lei…



Sesshomaru riaprì di scatto gli occhi; quasi tentasse di riprendere faticosamente il controllo dei suoi pensieri.
Perché quel ricordo gli era tornato alla mente proprio adesso, mentre osservava quella zingara ballare? Perché tutte quelle sensazioni che aveva volutamente incatenato nel profondo della sua anima ora si stavano mano a mano liberando?
Doveva opporre un rimedio a quel fastidioso inconveniente, e presto...prima di perdere completamente il controllo della situazione.
Si voltò di scatto e se ne andò furioso, ancora prima la musica cessasse.
Quello spiacevole inconveniente doveva essere risolto ad ogni costo e lui era deciso ormai ad usare qualsiasi mezzo per nascondere al suo cuore la vergogna che lo torturava. Sì, avrebbe ottenuto ciò che desiderava…ma a modo suo.





  
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