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Autore: LucreziaPo    12/05/2013    3 recensioni
Questa storia inizia alcuni mesi dopo la fine dell'ottava stagione di House M.D. House e Wilson hanno deciso di lasciarsi tutto alle spalle, finché una cura non convince Wilson a partire...
Finirà per rendersi conto di ciò che ha sempre avuto dinanzi ai suoi occhi e che non ha mai avuto il coraggio di ammettere a sè stesso...
Ovviamente Hilson!
Spero vi piaccia!
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Greg House, James Wilson | Coppie: Greg House/James Wilson
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Nel futuro
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“NO! NO! NO! NO! NO!”

House afferrò la tazza sul tavolo e la mandò ad infrangersi contro il muro.

Vide i pezzi di ceramica unirsi agli altri frammenti delle cose che aveva distrutto, ma non se ne curò.

Imprecò quando un pezzo di vetro gli ferì il palmo della mano ed il dolore gli annebbiò la mente ancora di più.

Cadde in ginocchio, urlando ancora, ma senza sentire cosa stava dicendo.

Sentì le lacrime calde rigargli le guance, senza neanche rendersi conto di stare piangendo.


“Si riprenderà.”

“Non lo sai! Non sai un accidenti...”

“House...”

“COSA? HOUSE...COSA?”

Everett Johnson chiuse gli occhi. Non sapeva cosa dire.

House era visibilmente distrutto.

I capelli sale e pepe erano in disordine, un po' troppo cresciuti, le occhiaie sul volto, gli occhi lucidi.

James Wilson era entrato in arresto cardiorespiratorio, subito dopo l'operazione ed era in coma da oltre tre giorni.

House serrò gli occhi, resistendo all'impulso di prendere a pugni Johnson.

Se l'avessero cacciato dalla clinica non avrebbe potuto stare con Wilson...

“Ti avevo detto che era rischioso. TI AVEVO DETTO CHE ERA MEGLIO EVITARE!”urlò.

“Wilson l'ha accettato. Spettava a lui decidere...”

“E VOLEVA QUESTO?”

“House, calmati, ti prego. Lui...può ancora...”

“Ancora cosa...COSA, JOHNSON? STA MORENDO! E' IN COMA! COME PENSI POSSA STARE MEGLIO?”


Le dita gli sfioravano piano la fronte, i capelli castani, gli occhi chiusi.

Wilson respirava affannosamente nel respiratore, le mani strette a pugno anche nel sonno.

Se quello si poteva chiamare sonno.

House cercò di allentare la stretta dei pugni e gli sfiorò le dita, prendendogli le mani tra le sue.

“Sai...speravo che davvero potevi farcela stavolta.”mormorò più a sé stesso che a Wilson che, sapeva, non poteva sentirlo.

S'era quasi... “abituato” all'idea di perderlo prima dell'operazione.

L'aveva tenuto tra le sue braccia, cullando, cercando di tranquillizzarlo, di guidarlo verso un luogo senza dolore, senza nulla.

L'operazione aveva riacceso le sue speranze tanto rapidamente quanto le aveva spente.

Ricordava lo sguardo di Johnson quando era uscito dalla sala operatoria, macchiato del sangue di Wilson sul camice, dicendo che era entrato in arresto cardio-respiratorio, che era in coma, che il suo corpo era così stanco che non ce l'avrebbe fatta a combattere ancora a lungo.

La piccola speranza di vederlo sano e salvo era svanita.

Gli sfiorò le dita, gli occhi lucidi di lacrime.

Sentiva le forze abbandonarlo.

Era stanco di lottare, stanco di afferrarlo con tutte le sue forze per tenerlo con sé, per poi vederselo strappare via con violenza, un'altra volta.

Tentò di trattenere le lacrime, ma era come contrastare lo straripamento di un fiume in piena con un ombrello, per di più rotto.

Appoggiò il viso contro il suo braccio, sul lenzuolo e scoppiò in singhiozzi.

Se Johnson l'aveva visto o meno, non avrebbe saputo dirlo, ma entrò nella stanza dopo un po', quando ormai House cercava di controllarsi.

“Hai bisogno di qualcosa? Sei qui da ore.”

Il diagnosta scosse il capo.

“No, non...non lo lascio.”


Wilson aprì piano gli occhi e sussultò ritrovandosi sdraiato su una spiaggia.

Dov'era? Com'era finito lì?

L'ultima cosa che ricordava era che l'avevano sedato per l'operazione, per il trapianto al fegato.

Ricordava lo sguardo preoccupato di House che gli stringeva la mano, cercando di tranquillizzarlo quando, lo sapevano entrambi, era spaventato anche lui.

Dov'era ora?

“Una spiaggia. Perché, lo posso chiedere?”

Wilson sussultò sentendo la sua voce e si voltò.

Lei era lì, con lo stesso camice di quando era morta.

“Amber...”

“Non è un'allucinazione, se è quello che stai pensando. Sono reale. Più o meno. È difficile da spiegare.”

Wilson si mise lentamente in piedi.

“Sono...morto?”

“Non ancora. Sei in coma.”

Wilson guardò il suo corpo, guardò intorno, guardò lei.

Sembrava tutto così reale.

“Sta accadendo davvero o nella mia testa?”

“Che differenza fa? Sono qui per aiutarti.”

“A fare cosa?”

Era incredibile vederla.

Era strano sapere da lei che lui era in coma e che stava morendo.

“Dov'è House?”chiese a bruciapelo.

“E' nell'ospedale, accanto a te. Credo che si sia addormentato.”

Lo scenario cambiò di colpo e lui si ritrovò nella stanza della clinica dove un esausto House dormiva con il capo posato sul materasso, su cui era sdraiato...lui.

“E' strano.”

Wilson fece un passo avanti, ma notò come tutto attorno a lui non era affatto solido.

Tese la mano verso una brocca, ma fu come attraversarla.

“Non sei realmente qui. Sei come...un fantasma, diciamo. Tra la vita e la morte.”

“Non è bello saperlo.”

Wilson osservò il suo compagno.

Vide le lacrime che gli rigavano gli occhi, le mani che stringevano le sue.

“Greg...”

Tese la mano per sfiorarlo, ma fu come essere nebbia e nient'altro.

House non si mosse neppure al suo “tocco”.

“Non può sentirti.”disse lei, dolcemente.

Wilson la vide accanto al letto.

“Sono in una specie di limbo?”

“Diciamo di sì. Di solito, da quel che ho sentito, le persone che muoiono tendono a rievocare un bel posto. Tu hai pensato a questa spiaggia. A questo posto. Perché? Qui sei stato malissimo, hai sofferto, stai morendo...”

Wilson non disse nulla.

Continuò a fissare intensamente House, nella vana speranza che lui si voltasse e lo vedesse accanto a lui.

E poi? Cosa avrebbero fatto?

Se stava davvero morendo, non avrebbe potuto fare nulla, vero?

House non aveva potere sulla vita e sulla morte, anche se soleva vantarsi di ciò.

“James...è per lui, vero? Per House?”

“Credo di sì. Se tutti tendono a rievocare un bel posto io ho pensato a questo perché qui l'ho amato. Ho amato ed amo Greg House.”

Si voltò verso di lei, con un sorriso triste sul volto.

“E' strano dirlo dinanzi a te.”

Lei abbozzò un sorriso di rimando.

“Sono morta da 5 anni. Sei andato avanti. Non m'aspettavo con lui, ma col senno di poi noi donne della tua vita avremmo dovuto capire chi era al primo posto per te.”

“House non...”

“Sì. È sempre stato al primo posto nella tua vita.”


Era strano essere lì.

Vedere il via vai di infermiere, di notti e giorni senza avvertire nessun cambiamento.

Wilson era come se non fosse realmente lì, era come nebbia, fumo, che poteva disperdersi e girovagare per l'ospedale, per la spiaggia al solo suo pensiero, ma che restava comunque legato a quel posto.

“Non puoi andartene di qui. Non puoi andare nel New Jersey a trovare i tuoi amici, o genitori. Sei legato al tuo corpo.”

“Non voglio andarmene. Voglio restare qui.”

“Con lui.”era sottinteso, ma non ci fu bisogno di dirlo.

House rimaneva accanto a lui sempre.

Le uniche volte in cui s'assentava era per un veloce cambio d'abiti e per un frugale pasto che qualche infermiera lo forzava a mandare giù.

Wilson era convinto che se l'avessero lasciato a sé stesso, House sarebbe rimasto lì giorni interi senza mangiare, bere o fare altro se non sperare in un suo risveglio.

Non l'aveva mai visto in quelle condizioni.

“Cosa accadrà?”

“Non posso vedere il futuro.”

La voce di Amber era dolce, comprensiva.

Wilson coglieva il suo sguardo preoccupato.

“Sei qui per...portarmi via, vero?”

Gliel'aveva chiesto altre volte, ma lei non aveva mai risposto.

“Sì.”disse stavolta.

“Non verrò da nessuna parte.”disse, deciso.

Non l'avrebbe lasciato.

“Non hai scelta. Non puoi rimanere qui. Quando il tuo corpo smetterà del tutto di funzionare tu sarai costretto ad andartene.”

“Dove? Andare dove?”

Lei sorrise lentamente.

“Andrà tutto bene.”

“Non esistono cose come il Paradiso o l'Inferno. Sarà il nulla e basta. E non voglio.”

“Parli come House.”

“Forse lui ha ragione.”

“Non è Dio.”

Wilson annuì.

“Lo so. Ma gli ho affidato la mia vita e lui non mi deluderà, non permetterà che muoia.”

“Non può fare più nulla.”


“Il signor Wilson aveva affidato a lei la delega, House.”

Johnson entrò nella stanza, conscio di trovarlo lì, come sempre.

House non alzò nemmeno lo sguardo su di lui.

Lo sapeva. Wilson gliel'aveva detto.

“Sono passate tre settimane.”

Sapeva anche qual era l'intento di Johnson.

Sapeva cosa significava ogni giorno che passava senza risultato.

“Non staccherò la spina. Non lo farò.”mormorò atono.

Sentiva il peso della responsabilità su di lui.

Sapeva che avrebbe dovuto prendere una decisione, ma il pensiero di essere lui a porre fine alla sua vita lo atterriva.

“Può ancora...”

“Sì, ma potrebbe anche non svegliarsi più.”

Johnson s'era seduto accanto a lui, osservando il geniale diagnosta.

House aveva la barba sfatta, gli occhi infossati, le labbra secche, le mani strette attorno a quelle dell'amico.

“Sta migliorando.”mormorò, poco convinto.

“E' vero. Ha smesso di soffrire per il cuore e le sue funzionalità si stanno normalizzando, ma ciò che non significa che si risveglierà. Non voglio essere duro, voglio solo farti capire che c'è una possibilità che si va affievolendo con il passare delle settimane.”

House annuì.

Lo sapeva.

Era anche lui un medico, dopotutto.

Sentì la porta chiudersi alle sue spalle e chiuse gli occhi, lasciando che le lacrime scivolassero giù.

“Ti prego...per favore, Jimmy...non mollare.”

“Sono qui. Sono qui. Sono qui.”

Wilson si chinò su di lui per poter essere alla sua stessa altezza e lo guardò, ben consapevole che House non l'avrebbe visto.

“Ti amo...”mormorò House con voce rotta. “Ti amo. E sono un idiota perché...ho scelto proprio il momento meno opportuno per dirtelo. Tu non...non puoi sentirmi...”

La mano di House sfiorò i capelli del compagno, mentre Wilson lo guardava, sorpreso.

House gli aveva appena detto che l'amava?

L'aveva fatto davvero?

“E' meglio se...”iniziò Amber.

“No! Non ho intenzione di morire, non ora che mi ha detto che mi ama, non...”

“Vale la pena continuare a soffrire? Tu non volevi morire in un ospedale, perché permettere che s'accaniscano su di te?”

“Perché non posso lasciarlo. Non voglio.”disse con forza. “Non ne ho intenzione.”

Sentì la mano di Amber sulla sua spalla, solida rispetto al resto.

“Vieni. Non continuare a soffrire così.”

“Se lo lascio morirà.”

“E' per House che continui a lottare? O per te?”

“Per entram...”

Wilson si bloccò, vedendo House stringere tra le mani il pacchettino che gli aveva dato lui.

Quello con il veleno.

“NO! NO! HOUSE, NO!”

Si voltò verso di Amber.

“Aiutami a tornare da lui, aiutami a...”

“Non posso farlo. Non si può.”

“MORIRA' A CAUSA MIA!”

Amber lo guardava dolcemente.

“Ti prego...”

“Non posso fare nulla. Sono qui solo per portar...”

“House...House, non fare sciocchezze. Posso ancora tornare, pos...”

Ansimò, all'improvviso, sentendo un dolore fortissimo al petto.

Ed in quell'istante vide i monitor impazzire.

Udì il bip continuo, House che scattava in piedi e s'affrettava ad usare il defibrillatore.

“No...ti prego, no...”mormorò Wilson.

“Credo che ci vedremo più in là.”

Si voltò verso Amber, prima di vedere tutto buio.

  
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