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Autore: Meraki    12/05/2013    3 recensioni
“Portami con te, Nii-san”
Quelle parole rimasero sospese a mezz’aria tra i due, mentre la Hyuga scivolava fuori dal suo futon e andava accanto al ragazzo.
“Venga con me…” sussurrò lui, prendendola per mano con delicatezza, come se avesse avuto paura di nuocerle in qualche modo. La sua mano era fredda come il marmo, ma il cuore di Hinata sobbalzò a quel lieve contatto, con un misto di felicità e sorpresa.
Tutto ciò era reale? Stava accadendo davvero?
(L'idea iniziale era di scrivere un tributo a Neji: alla fine è diventata, ovviamente, una fanfiction incentrata su Hinata. NejiHina ambientata nel periodo Shippuuden, con presenza di SPOILER)
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Neji Hyuuga | Coppie: Neji/Hinata
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest, Spoiler! | Contesto: Naruto Shippuuden, Dopo la serie
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La Hyuga aprì gli occhi di scatto, afferrando d’istinto un kunai da sotto il cuscino e puntandolo alla gola della persona inginocchiata accanto a lei. Da tempo, ormai, Hinata aveva imparato a mantenere una specie di dormiveglia permanente, che le permetteva di rimanere vigile anche durante le ore di riposo: grazie a ciò era riuscita ad udire quell’intruso che si era intrufolato in camera sua a notte fonda, approfittando della finestra lasciata socchiusa per scacciare l’afa estiva.
“Hinata-sama…”
La ragazza indugiò ancora per qualche istante con la lama premuta sulla carne del ragazzo, poi, con estrema lentezza, la ritrasse.
“Nii-san, mi hai spaventato,” sospirò, mentre i muscoli lungo tutto il suo corpo tornavano a rilassarsi, “avresti dovuto bussare” lo rimproverò con un flebile sussurro, arrossendo appena.
Il Clan Hyuga era immerso nel più totale silenzio e, nell’oscurità, la luce lunare che penetrava dalla finestra riusciva a malapena a rischiarare il viso dei due cugini.
“Anche volendo non avrei potuto, lo sa bene” rispose quello, distogliendo lo sguardo per una frazione di secondo per lasciarlo libero di posarsi sulla sottile porta scorrevole in stile antico, “anzi, forse non sarei proprio dovuto venire da Lei.”
“No!” Hinata si lasciò sfuggire un gemito di terrore e, d’istinto, afferrò una manica dell’abito indossato dal cugino, “Ti prego, rimani” supplicò flebilmente e in modo appena udibile.
“…Questo dipende solo da Lei, Hinata-sama” proferì lui, alzandosi in piedi. Non indossava i suoi soliti vestiti: i capelli castani gli ricadevano, sciolti, su un semplice kimono completamente bianco, che si allungava quasi fino alle sue caviglie, per poi lasciare scoperti i piedi, infilati in un paio di sandali tradizionali.
Hinata si mise a sedere e si riavviò i lunghi capelli corvini dietro alle spalle, armeggiando con la cintura della sua vestaglia da notte, per serrarla attorno alla vita con un gesto sbrigativo. Era piena estate e l’aria era afosa e umida, quasi insopportabile al respiro, e per questo Hinata si sentiva estremamente accaldata e il suo viso risultava lucido e spossato.
“Portami con te, Nii-san”
Quelle parole rimasero sospese a mezz’aria tra i due, mentre la Hyuga scivolava fuori dal suo futon e andava accanto al ragazzo.
“Venga con me…” sussurrò lui, prendendola per mano con delicatezza, come se avesse avuto paura di nuocerle in qualche modo. La sua mano era fredda come il marmo, ma il cuore di Hinata sobbalzò a quel lieve contatto, con un misto di felicità e sorpresa.
Tutto ciò era reale? Stava accadendo davvero?
Neji la condusse fino all’ampia finestra che dava sulla parte esterna del Clan, dove spesso Hinata si era soffermata a guardare le persone in strada intente nelle loro faccende quotidiane: era passato così tanto tempo dall’ultima volta che si era dedicata a tale attività che ormai quei ricordi gli apparivano sfocati e lontani.
I due scesero in strada con un balzo e, poi, il maggiore condusse la ragazza lungo uno dei tanti sentieri di Konoha che portava verso la foresta che circondava il villaggio. Procedevano silenziosamente, con passo leggero, ma Hinata rischiò un paio di volte di inciampare su alcuni detriti rimasti abbandonati sulla via. Neji camminava a testa alta, con il portamento fiero e lo sguardo orgoglioso che lo contraddistinguevano da sempre: la desolazione e le macerie attorno a loro sembravano non sfiorarlo nemmeno. Hinata, dal canto suo, stava pian piano facendo l’abitudine alle case semi distrutte, agli alberi sradicati e alle zolle di terreno sparse un po’ ovunque.
“Neji dove-?”
“Siamo quasi arrivati” la zittì lui, stringendo la presa attorno alla sua mano. Poco dopo essersi fatti largo tra gli alberi della foresta raggiunsero una radura che, con grande stupore di Hinata, era rimasta pressoché intatta nonostante le battaglie di quegli ultimi mesi. In un grande spazio circolare l’erba cresceva rigogliosa, mentre di tanto in tanto dei tronchi d’albero spuntavano nel terreno e, poco più in la, un ruscello scorreva in modo ordinato e silenzioso, con l’acqua che brillava alla luce lunare.
“E’ bellissimo qui” sussurrò un po’ intimidita, guardandosi attorno con occhi avidi, cercando di non lasciarsi sfuggire nessun piccolo dettaglio di quel posto così magico.
“Era il mio posto. E’ qui che mi venivo ad allenare,” spiegò lui, sfiorando con la mano un tronco li vicino, consumato dai segni lasciati da kunai e shuriken.
Tra i due scese un silenzio quasi assoluto, interrotto solo dai frinii delle cicale.
“Neji…”
“Hinata, mi dispiace,” lo interruppe lui, serrando le mani in due pugni rabbiosi “avrei dovuto… Non avrei dovuto abbandonarti così ma in quel momento, io…” sferrò un pugno all’albero.
Hinata lo osservò attentamente, arrossendo di piacere quando il cugino si riferì a lei in tono informale (nonostante glielo avesse chiesto più e più volte, Neji non aveva mai smesso di darle del Lei, nemmeno all’infuori del Clan Hyuga), poi, senza proferir parola, si avvicinò a lui e appoggiò una mano sul suo braccio, come per volerlo calmare.
“E’ stata tutta colpa mia, Nii-san. Non ho saputo controllarmi, non ho saputo… proteggere le persone a me care e non sono riuscita a proteggere nemmeno me stessa” sussurrò, mentre calde lacrime amare le salivano agli occhi. “Se solo fossi stata più forte, se solo avessi lavorato più duramente e mi fossi impegnata di più… Ora tu non saresti…” singhiozzò, in preda ai rimorsi, portandosi una mano davanti alle labbra, cercando di non dare a vedere il tremolio che si era impossessato di lei.
Il ragazzo si volse verso di lei e le scostò gentilmente la mano dal viso, per poi accarezzargli in modo quasi impercettibile una guancia, “No, Hinata… Tu sei stata bravissima e hai fatto un ottimo lavoro” la rassicurò, con una voce calda e avvolgente che la Hyuga non aveva mai udito prima. “Ma io… Io non ho potuto fare a meno di proteggerti, in quella situazione, mi capisci?”
Hinata annuì, abbassando lo sguardo “Hai… Tu… Stavi assolvendo al tuo dovere di cadetto” sussurrò, mortificata.
In quei giorni ci aveva riflettuto parecchio ed era giunta alla conclusione che, infondo, il destino era davvero incommutabile e che Neji, in tutti quegli anni, aveva sempre avuto ragione sostenendo quell’ipotesi. Il destino scelto per loro dai loro padri, dal loro Clan, si era compiuto; così com’era accaduto per intere generazioni prima di loro, il cadetto, schiavo del sigillo maledetto, aveva assolto il suo dovere di proteggere il membro della casata principale… riuscendo ad ottenere una breve e illusoria libertà.
Neji sferrò un altro pugno al tronco d’albero, destando Hinata dai suoi pensieri “No!” sbottò, in preda ad un ondata di ira, “No, maledizione!”. Poi, come se niente fosse accaduto, si scostò i capelli dal viso e sospirò pesantemente. La cugina non aveva mai visto Neji lasciar trapelare le sue emozioni in modo così esplicito e, per un attimo, pensò che qualcosa in lui fosse cambiato.
“Hinata… Perché pensi che io sia qui?”
Lei lo guardò confusa, mentre iniziava a tormentarsi le dita per cercare di far scivolare via un po’ dell’imbarazzo che la attanagliava “Io… Ho desiderato tanto che tu mi facessi visita”, rivelò, abbassando un’altra volta lo sguardo, “dopo quel giorno, non c’è stato minuto nel quale io-io non abbia pensato a te Nii-san…”.
Detto ciò calò un leggero silenzio, finché lei non prese coraggio e si avvicinò di più al cugino, deglutendo in modo impercettibilmente udibile “Sei… sei qui per vendicarti? Sei qui per… Per uccidermi?” sussurrò con un filo di voce, come se si sentisse già le mani del cugino strette attorno al suo collo sottile.
Lo Hyuga la guardò con occhi vitrei, lasciando scorrere il proprio sguardo sulla sua carnagione pallida: Hinata lo vide soffermarsi sulle sue labbra, sul suo collo, fino a raggiungere la scollatura che lasciava intravedere i suoi seni generosi. Si aspettava che, da un momento all’altro, il ragazzo avrebbe tirato fuori un kunai e le avrebbe reciso la gola, lasciando poi che la sua pelle lattea si macchiasse di sangue scuro e denso.
“Hinata…” sussurrò lui, azzerando la distanza che li separava: ora poteva percepire il suo respiro sulla fronte, i suoi muscoli, tesi, premere contro il suo petto, e le sue dita affusolate che le scostavano i capelli dal viso.
“Hinata,” ripetè in un sussurro “Sono qui perché ho degli affari in sospeso con te che devo risolvere” chiarì, senza il minimo segno di imbarazzo, pur trovandosi con il viso a due centimetri da quello di lei, “ma non provo il benché minimo rancore nei tuoi confronti,” le assicurò, prima di posarle delicatamente le labbra sulla fronte, lasciandola letteralmente senza fiato. Il cuore di Hinata batteva all’impazzata e il suo viso si dipinse di rosso amaranto, mentre lei non poteva far altro che chiudere gli occhi, inerme, rimanendo in balia di quello strano sentimento che si stava impossessando di lei.
“Hinata…” sussurrò ancora una volta Neji, circondandole le spalle con le braccia in un caldo abbraccio “Quel giorno non ti ho salvata perché sono un cadetto. Non ti ho salvata perché stavo assolvendo un dovere.” Hinata dischiuse le labbra per rispondere qualcosa, ma Neji riprese a parlare prima che lei potesse dire alcunché. “Ti ho salvata perché volevo proteggerti. Ti ho salvata perché tu sei la cosa più importante che ho e perché sei la persona per cui stavo combattendo. Hinata, tu eri la persona che volevo proteggere a tutti i costi.”
Detto ciò, il cugino sciolse l’abbraccio e rimase ad osservarla per qualche secondo, mentre tra i due calava un silenzio totale. Con estrema lentezza e delicatezza, appoggiò una mano sul viso di lei, per poi avvicinarsi con cautela, in modo da darle tutto il tempo di sottrarsi a lui, se avesse voluto. Ma Hinata non volle: rimase perfettamente immobile dove si trovava, con due grosse lacrime che minacciavano di fare capolino dai suoi occhi da un momento all’altro, mentre ormai il battito del suo cuore sembrava incontrollabile. Neji socchiuse gli occhi e dischiuse appena le labbra, che si sovrapposero a quelle di lei in un bacio leggero:  a Hinata non importava se la pelle di Neji era fredda e rigida, lei stava provando una sensazione indescrivibile a parole, che non aveva mai provato prima, e non aveva nessuna intenzione di rinunciare a quel tocco. Raccogliendo tutto il coraggio che possedeva, cinse il bacino del cugino con le braccia, per poi dischiudere le labbra e approfondire quel bacio che, fino ad allora, non aveva mai nemmeno osato sperare di poter ricevere. Lui, dal canto suo, fece scivolare la mano, che fino a quel momento aveva  tenuto sul viso di lei, sul suo collo, per poi scendere lungo il seno, ma senza soffermarvisi a lungo, lasciandola poi libera di ricadere lungo il fianco.
“Hinata…” sussurrò, interrompendo quel momento durato un’eternità per entrambi “Non mi rimane molto tempo,” spiegò, guardandosi attorno.
Era ansia quella che Hinata aveva scorto nei suoi occhi? Negli occhi di Neji? Il genio Neji Hyuga che si faceva assalire dall’ansia?
“Neji… Perché sei venuto da me?” domandò, rimanendo ad osservarlo, “Hai detto di avere dei conti in sospeso con me e che non si tratta di vendetta. Ma, allora… Perché?”
“Non l’hai ancora capito Hinata? Dopo quello che è appena successo?”
Hinata lo osservò, imbarazzata, senza avere il coraggio di formulare una risposta appropriata. Si limitò ad annuire, giocherellando con una ciocca dei capelli del ragazzo, ancora proteso verso di lei.
“Hinata, io… So di non essere stato particolarmente importante nella tua vita e, beh, ti capisco se non ricambi i miei sentimenti…”
La Hyuga fece per controbattere, ma lui le appoggiò un dito sulle labbra per zittirla, “non c’è bisogno che tu mi risponda. Non sono venuto da te per questo: la verità è che… Non sarei mai riuscito ad andarmene in pace senza prima averti detto addio e senza prima aver chiarito i miei sentimenti per te.”
Poi, Neji regalò alla ragazza un sorriso, così bello e prezioso quanto raro e sfuggente, e Hinata arrossì di piacere, mentre cercava di combattere l’istinto di distogliere lo sguardo per l’imbarazzo.
“S-sono felice di averti potuto rivedere, almeno una volta. Sono felice che tu…” si schiarì la gola, prima di continuare, “sono felice che tu mi abbia rivelato i tuoi sentimenti.”
“Il mio tempo qui è scaduto, devo andare…” proferì lui, avvicinandosi a lei per baciarla un’ultima volta sulla fronte.
A quelle parole, copiose lacrime iniziarono a bagnare il viso di lei, che si affrettò a nasconderle cercando di asciugarle con una manica della camicia da notte.
“Resta…”
“Non posso, lo sai…”
“…Ti rivedrò ancora?”
“Ora che ho risolto tutte le cose che mi tenevano prigioniero sulla Terra… No, Hinata. Non ci rivedremo più,” sussurrò lui, amaramente, “ma veglierò su di te, sempre. Non smetterò mai di proteggerti e di volere il meglio per te, anche se non ti sarò più fisicamente accanto,” aggiunse, guardandola dritta negli occhi, mentre cercava con le dita di raccogliere alcune delle sue lacrime, avido, come se avesse voluto imprimere nella sua mente quante più cose di lei poteva.
“Nii-san io non posso… senza di te…” singhiozzò lei, mentre con mani tremanti si aggrappava al kimono del ragazzo.
“Ogni fine Agosto…” disse lui di punto in bianco, poggiandole una mano sulla testa “Ogni fine agosto, ricordati di celebrare la festa dell’Ullambana” chiarì, per poi regalarle un altro  impercettibile sorriso, prima di chinarsi leggermente e baciarla per l’ultima volta. “Addio Hinata”
La ragazza, che aveva chiuso gli occhi quando Neji si era avvicinato per baciarla, rimase a lungo in quella posizione, con il corpo scosso solo dal suo silenzioso pianto. Poi, poco a poco, aprì nuovamente gli occhi e, come aveva temuto, si ritrovò da sola, in piedi in mezzo a quella radura che poco prima le era sembrata bellissima, circondata dalla foresta.

***

“Hinata-chan!”
Sakura richiamò la sua attenzione e poi si fece largo lungo la folla radunata per l’occasione. Hinata si sentiva soffocare: il vestito, completamente tinto di nero, le cingeva i fianchi e le fasciava la vita in una stretta morsa fatta di tessuto e cuciture. Era seduta in prima fila, accanto ad Hanabi, che si era voltata all’indietro per chiacchierare a bassa voce con il compagno di squadra Konohamaru.
“Eccoti, ti ho cercata tantissimo! E’ davvero pieno di gente… Credo si sia radunata tutta Konoha… E non solo,” aggiunse Haruno, salutando distrattamente con un gesto della mano Kankuro e Temari, ritti in piedi accanto al Kazekage Gaara.
“Senti io… Volevo fare di nuovo le condoglianze a te e alla tua famiglia” continuò l’amica, in tono grave, osservandola un po’ preoccupata: la Hyuga ancora non aveva spiccicato parola ed era rimasta immobile per tutto il tempo, ad osservare una delle bare lucide che si stagliavano davanti alla platea di persone e che sembravano stonare con tutto il paesaggio circostante.
“Grazie, Sakura-chan” rispose finalmente, accennando un piccolo sorriso, “te ne sono grata.”
“Neji era… Era davvero un grande ninja e non avrebbe meritato di…” Sakura si interruppe, senza riuscire a concludere la frase.
Hinata tornò ad osservare la bara di suo cugino. Di li a poco l’Hokage avrebbe tenuto un discorso di cordoglio e tutti si sarebbero alzati per dare un ultimo saluto ai propri cari, prima che le loro salme venissero cremate. Dopo che la Guerra si era conclusa, il Villaggio della Foglia aveva raccolto tutti i caduti in battaglia e aveva deciso di dare loro l’estremo saluto in un’unica giornata, per ricordare gli shinobi che avevano difeso e combattuto così duramente per proteggere il Villaggio e le persone a loro care.
Già… Le persone a loro care.
Hinata ebbe un tuffo al cuore.
Ancora non era riuscita a realizzare se quello che aveva vissuto qualche notte prima si trattasse di un sogno o della realtà; ma dopo aver metabolizzato quello che il cugino le aveva detto, si era pentita di non avergli rivelato che lei contraccambiava appieno i suoi sentimenti.
Se n’era accorta solo quella notte ma la verità era che i suoi pensieri, le sue emozioni, il suo cuore… non mentivano.
Lei amava Neji.
Ma ormai non aveva nessuna importanza.
Perché aveva preso coscienza dei suoi sentimenti troppo tardi.
Ormai niente aveva più importanza.
Perché Neji era morto, e tutto ciò che rimaneva ad Hinata era il suo ricordo e quella frase, che le era suonata come una promessa:
“Ogni fine agosto…”

***

Appoggiò una mano sul grande monumento di granito che spiccava prepotentemente in mezzo alla piazzetta di uno dei campi di allenamento. Non ebbe bisogno di cercare il suo nome: il dito puntò senza indugio sul nome del ragazzo, fino a sfiorarlo dolcemente, ripercorrendo quelle lettere incise nella pietra: Neji Hyuga.
Era passato più di un anno da quando lo aveva visto l’ultima volta (lo aveva visto sul serio? Si erano davvero detti quelle cose? Lui l’aveva davvero guardata e toccata in quel modo?).
Era quasi notte e Hinata era uscita dal Clan con una scusa, per poi raggiungere il monumento ai caduti che l’Hokage aveva fatto costruire poco dopo i funerali.
Era il giorno della festa dell’Ullambana: quella mattina lei e sua sorella si erano recate al tempio a pregare e poi alla tomba di Neji, per ripulirla dalle erbacce e cambiare i fiori, ormai appassiti. Secondo la tradizione, si diceva che, quella notte, se si rispettavano i doveri religiosi verso i morti, essi sarebbero apparsi ai loro cari sottoforma di spiriti. Hinata aveva pensato a lungo a quelle leggende e, anche se non avrebbe voluto, una tenue speranza si era fatta largo in lei, fino ad impadronirsi completamente della sua mente.
La ragazza si sedette ai piedi del monumento e guardò il cielo, come se fosse in attesa di un segno.
Aspettò.
E aspettò.
Aspettò finché le stelle in cielo si fecero copiose e le luci del villaggio si spensero una ad una.
Aspettò finché le strade diventaro deserte e finché il suo respiro divenne l’unico suono nei paraggi.
Poi chinò la testa, sconsolata.
“Che sciocca. Sono solo una bambina che crede ancora alle favole,” pensò amaramente, mentre si rimetteva in piedi e si spolverava i pantaloni. Si riavviò i lunghi capelli corvini e si asciugò una lacrima solitaria che minacciava di scivolare sul suo viso.
Non avrebbe mai più rivisto Neji Hyuga.
Non avrebbe mai più rivisto il ragazzo che amava.
Si maledisse per aver lasciato che il pensiero di poterlo rivedere si radicasse così profondamente in lei.
Gettò un ultimo sguardo al monumento, poi si voltò e, con passi lenti e indecisi, si allontanò diretta al Clan Hyuga, con il cuore pesante e gonfio di rimorso e aspettative deluse.
Dietro di lei, una figura dai contorni leggermente sfocati e vestita di bianco, era seduta sul monumento di granito, e la osservava con due candidi occhi violacei.
“Hinata-sama…”





Note dell'autrice:
Che bello scrivere una One Shot, una volta tanto! Spero di aver reso bene l'idea che avevo in mente di Neji-Yurei (click per maggiori info) e della storia in generale. Spero vi sia piaciuta, mi raccomando aspetto una vostra recensione ;) Grazie per aver letto la mia fanfiction, alla prossima!

  
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