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Autore: Fanriel Kerrigan    13/05/2013    0 recensioni
Nel nord della Scozia il ritrovamento di misteriosi reperti storici smuove forze ormai da tempo sopite nelle ceneri della memoria. La Storia reclama Sangue e Vendetta.
Genere: Dark, Fantasy, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Nella piccola e accogliente cittadina di Lhanbryde stava scendendo la sera.
Le strade pulite erano deserte, a quell'ora.
Le luci rosate del tramonto si proiettavano nella distesa verde attorno alla città e le delicate eriche viola e i cardi  vibravano sotto una lieve brezza, che portava con sé il greve odore delle fabbriche di whisky della non troppo lontana Elgin.
La brillantezza del verde scozzese della regione del Moray smorzava ulteriormente il grigio della vita di una cittadina fin troppo perfetta, nel suo ordine quasi maniacale.
Lhanbryde , con le sue 2000 anime , era  di dimensioni insignificanti rispetto a centri ben più importanti, come la vicina Elgin, ma di recente aveva attirato molta attenzione.
Nelle strade , durante il giorno, il volume di auto era aumentato; auto di lusso, che si distaccavano fin troppo dalle dignitose utilitarie che popolavano abitualmente quelle vie.
Erano passati circa 2 mesi da quando alcuni operai al lavoro presso il municipio avevano rinvenuto nel terreno frammenti di manufatti e macerie .
La datazione al carbonio 14 li aveva attribuiti ad un'epoca antecedente i popoli celtici, e l'entusiasmo dell'intera comunità scientifica e non era stata scatenata proprio da questi strani risultati.
Persino la fantasia della popolazione più giovane di Lhanbryde era stata risvegliata: i ragazzini in bicicletta, pedalando di fronte al municipio, avevano in testa leggende che i nonni raccontavano loro prima di farli dormire, durante i lunghi e innevati inverni.
La leggenda più raccontata da generazioni era quella di Sefron, una mitica città fondata dagli dei, in cui si praticava l'arte della magia.
I più giovani volevano crederci a tutti i costi e davanti ai loro occhi si aprivano paesaggi completamente nuovi, che escludevano i cottage e le strade.
La popolazione più matura invece, si crogiolava nello scetticismo, accogliendo in malo modo tutti gli studiosi che affollavano le strade e i terreni attorno a Lhanbryde.
In quel momento era sera, però, e persino la curiosità era stata messa a riposo.
Il notiziario trasmetteva per l'ennesima volta una notizia di un nuovo rinvenimento, forse un'altra falsa notizia come accadeva sempre più spesso.
Station Road era una delle vie più importanti di Lhanbryde, un quartiere abitato perlopiù da famiglie facoltose.
I giardinetti erano ordinati , le siepi perfettamente potate e gli annaffiatoi erano in azione.
Di fronte al civico 7 era parcheggiata una lussuosa Mercedes CLK, l'auto del sindaco Gary Phoenix.
Soltanto una luce era accesa al piano di sotto.
Nella casa pulita c'erano parecchie foto alle pareti. Foto in cui era ritratta una donna dai capelli rossi, molto graziosa, che teneva tra le braccia un bambino dal volto insolente, e assieme a loro Gary Phoenix, che non aveva mai abbandonato la sua espressione arcigna sin dai tempi in cui erano state scattate quelle fotografie .
L'uomo era sul divano, seduto con le mani sulle ginocchia e il collo teso. Stava ascoltando il notiziario, borbottando qualcosa contro l'inutilità di simili notizie.
Dalla parete , la donna che un tempo era stata sua moglie lo osservava dalla cornice dorata di un quadro, con le labbra quasi piegate in un timido sorriso.
All'improvviso l'uomo si alzò con uno scatto nervoso, spegnendo la televisione e lanciando il telecomando sui cuscini del divano.
Si tolse la giacca dell'elegante completo da lavoro, e con passo minaccioso cominciò a salire le scale.
Il legno scricchiolava sinistramente sotto ai suoi passi pesanti, e i suoi occhi chiari scintillavano di una luce inquietante.
Con una certa sicurezza, l'uomo abbassò la maniglia della stanza in fondo al corridoio.
Quella che doveva essere una camera da letto era in perfetto ordine, ma la finestra era spalancata e le tende bianche ondeggiavano come fantasmi alla brezza della sera.
Gary si affacciò, guardandosi attorno con rabbia e sbattendo il pugno sul davanzale di marmo.
Nel cielo ormai blu e terso brillavano chiare le stelle e la brezza che in quel momento si era fatta più insistente scuoteva i rami della magnolia in giardino.
Sbuffando, il sindaco richiuse la finestra.
Sulla strada di fronte al civico numero 7, aderendo perfettamente alle ombre proiettate dalla siepe di  lauro, un giovane uomo giaceva rannicchiato e terrorizzato.
Cody Phoenix avrebbe compiuto 18 anni tra tre mesi, eppure i segni sul suo viso gli facevano assumere un'aria ben più matura.
I capelli rossi, così chiari, sicuramente li aveva ereditati dalla madre, mentre gli occhi grigi erano un'eredità di suo padre.
Aveva il fisico asciutto di chi era abituato a scappare e a saltare i pasti e se la parentela con il sindaco non fosse stata conosciuta, nessuno lo avrebbe collegato ad una delle famiglie più ricche di tutta Lhanbryde.
Addosso aveva gli abiti che abitualmente usava per fuggire: pantaloni di jeans consumati e felpa nera. Aveva la necessità di rimanere anonimo.
Per un attimo aveva temuto che suo padre sarebbe riuscito a prenderlo, di nuovo, ma aveva udito il rumore della tv che si spegneva e dei passi sgraziati dell'uomo che saliva le scale e aveva fatto in tempo a calarsi dalla finestra, utilizzando i rami della magnolia come aiuto.
Temeva seriamente che presto o tardi suo padre avrebbe messo delle sbarre alla finestra, ma una legge impediva di svolgere un lavoro così invasivo sui cottage.
A Lhanbryde nessuno poteva avere una ragione abbastanza valida per mettere sbarre alle finestre, nessuno aveva mai subito un furto.
Cody procedendo rannicchiato uscì dal raggio di visuale delle finestre del civico numero 7.
Tremava ancora terrorizzato, ma il peggio era passato.
Con passo circospetto si incamminò per Garmouth Road, la via principale di Lhanbryde.
Cody era sempre molto attento quando scappava di casa e anche quella volta non aveva dimenticato di portarsi il sacchetto con i biscotti per far tacere i cani che troppo spesso gli avevano reso difficile la fuga.
Frugando nelle tasche della felpa trovò, ancora prima del sacchetto di carta, un ritaglio di giornale.
Gli si bloccò all'improvviso il cuore, sapendo ancora prima di aprirlo, di cosa si trattava.
Il foglio era ingiallito. Era stato riaperto e ripiegato più volte, e c'era del nastro adesivo a riparare gli strappi.
Delle gocce d'acqua avevano lasciato le loro tracce su quella pagina.
Cody sapeva bene che si trattava di lacrime, delle sue lacrime.
Soppesando quel pezzo di giornale, si decise ad aprirlo, nascondendosi nell'ombra proiettata da un salice.
Il volto di sua madre spiccava sorridente al centro della pagina. Era un articolo di secondo piano, il titolo scritto in grossetto riportava: “Ritrovato il cadavere di Mary Phoenix nelle acque del Loch Na Bo”.
Cody ricordava a memoria il testo, in cui si raccontava dell'orrenda morte della donna, a cui erano state inferte diverse coltellate all'addome e che dopo la morte era stata brutalmente stuprata dal suo assassino, spogliata e lanciata nel laghetto a sud di Lhanbryde.
Non capiva bene come mai teneva ancora con sé i ricordi di quell'orrenda notte ma non riusciva a separarsene.
A lui sembrava di tornare al momento in cui tutto si era spezzato.
Il ragazzo si sedette, senza smettere di guardarsi attorno.
Si ritrovò a contemplare il volto di Mary, a cui i suoi pensieri andavano ogni volta che suo padre gli faceva passare momenti difficili.
Aveva solo 5 anni, e c'era lui a casa quando sua madre morì. Sapeva bene chi era l'assassino ma la paura gli teneva la bocca chiusa.
Aveva sentito le sue grida, aveva visto il coltello e aveva visto il sangue, aveva visto l'assassino che infieriva sul corpo della donna, aveva visto l'assassino caricarsela in spalla e portarsela via.
Aveva solo 5 anni e non aveva potuto fare nulla. Anche se il volto dell'assassino popolava i suoi pensieri ormai persino negli incubi, non aveva il coraggio di dirlo a qualcuno.
La paura gli teneva la bocca chiusa e non c'era rabbia nella sua rassegnazione. Le cose non sarebbero migliorate mai. Da quel giorno di 13 anni prima ogni cosa si era succeduta secondo una spirale discendente ma il volto di Mary avrebbe continuato a sorridergli da quell'articolo di cronaca nera a cui era stata data così poca importanza.
Abbattuto, si rialzò, senza curarsi di togliersi di torno le foglie e la polvere.
Le stelle brillavano rassicuranti, non c'era luna, e il cielo era di un blu profondo. Era già notte, era il suo mondo quello.
Camminando sentiva le discussioni eccitate dei bambini che non volevano andare a letto e che volevano sapere ancora di Sefron, mentre i genitori parecchio scocciati li mandavano a dormire.
Cody scosse il capo, e un sorriso molto lieve gli sfiorò per qualche istante le labbra ancora gonfie per un pugno che non era riuscito a parare.
-Sefron..- disse a bassa voce, alzando le spalle.
Era una delle storie preferite di sua madre, che raccontava con trasporto e un'abilità che a volte gli facevano sembrare tutto reale.
Grazie all'abilità narrativa di Mary , Cody sognava di trovarsi nella neve gelida a combattere con la spada in mano, ad usare la magia per accendere il fuoco e sconfiggere i nemici, e non era mai stanco di sentire quelle storie.
Si trovava in quel momento in una condizione in cui sentiva quasi di odiare le insulse leggende. Le sue convinzioni di bambino erano state devastate dalla sua realtà, che gli doleva nel corpo e nella mente ogni giorno.
L'espressione che suo padre aveva nel volto quel giorno di 13 anni prima , mentre con i guanti in lattice alle mani accoltellava sua moglie, era la stessa che aveva quando riusciva ad entrare nella  camera di Cody mentre dormiva e a mettergli addosso terrore puro.
Le mani di Gary erano pesanti e forte, la presa salda, non c'era via di scampo.
Pugni al volto, pugni allo stomaco e violenze sessuali avevano impedito a Cody di dire qualsiasi cosa per 13 anni, e dubitava sarebbe riuscito ad uscire così facilmente dalle sue paure.
Era il prezzo da pagare per essere stato l'unico testimone della morte di Mary Phoenix e spesso si chiedeva perché non poteva essere morto anche lui quel giorno.
La cosa più sorprendente era che Gary Phoenix era uscito dalla faccenda pulito e intonso.
Non era stato incastrato con la prova del DNA, non era stato incastrato in nessuna altra maniera possibile.
Cody sapeva bene che parecchie persone implicate nella vicenda, dalla Polizia ai Coroner, avevano ricevuto parecchio denaro per limitarsi a dare a Mary Phoenix una sepoltura dignitosa, saltando a piè pari ogni possibile ulteriore indagine.
Grazie alle sue abilità di attore Gary era riuscito a convincere la sua platea di essere un marito addolorato che doveva allevare da solo il proprio figlio cagionevole di salute, che a volte non poteva nemmeno uscire di casa.
Cody ricordava le dolorose giornate passate chiuse nello scantinato buio ed impolverato, con i topolini di campagna che gli camminavano vicino ai piedi e i lividi sul volto e sul corpo che ancora pulsavano di dolore.
Nessuno era mai venuto a cercarlo, non aveva mai visto gli zii e i nonni preoccuparsi di lui.
Un cane abbaiò e Cody gli lanciò un biscotto.
Il cane tacque.
Nelle case le luci cominciavano a spegnersi, i genitori dovevano aver vinto la lotta contro i propri figli disobbedienti.
Era una notte perfetta, silenziosa e mite.
Da distante gli giunse alle orecchie il suono smorzato del motore di un auto, ma non si girò. Si allontanò il più possibile dal ciglio della strada, cercando di farsi cogliere il meno possibile dalla luce dei fari.
Non era l'auto di suo padre, l'avrebbe riconosciuta tra mille .
Un' audi TT nera  gli sfrecciò accanto.
Cody la conosceva, e sapeva dove si stava dirigendo e quasi si pentì di non essersi fatto dare un passaggio: era lo stesso luogo in cui si stava recando.
Non poteva permettersi distrazioni o errori, comunque, le sue fughe erano sempre state perfette.
Un altro cane cominciò ad abbaiare, e Cody gli lanciò un biscotto.
Anche stavolta il cane tacque.
Garmouth Road era maledettamente lunga da percorrere a piedi, ma era una passeggiata piacevole in fondo.
Lhanbryde era incantevole di notte, addormentata, ordinata.
Cody possedeva una moto, un po' malridotta in verità, ma che era stata la sua fedele compagna di avventure, durante le sue numerose fughe al Loch Na Bo, o alla stazione dei treni di Elgin, ma non poteva permettere che suo padre la trovasse.
La nascondeva in un deposito abbandonato e la usava solo quando strettamente necessario.
A volte partecipava ad alcune gare organizzate fuori città, a cui partecipava soltanto per difendere la reputazione che si era costruito al di fuori della sua vita privata, e che per lui era tutto.
Non aveva abbastanza forza per mostrare la propria fragilità nel mondo di delinquenza in cui si era rifugiato e a cui si era adattato.
Era infine arrivato al vicolo che cercava, una piccola laterale di Garmouth Road.
Senza smettere di guardarsi attorno, cominciò ad aprire il lucchetto della fatiscente rimessa costruita con lastre di metallo.
La sua moto era ancora lì, impolverata e sporca di fango. C'era anche qualche macchia di sangue sul manubrio e sulla sella ma non si era mai premurato di lavare via tutto.
Sentiva di voler vedere quelli che erano i segni della sua rovina. Se doveva rassegnarsi a quell'esistenza, doveva accettare ogni cosa.
Tolse la moto dal cavalletto e salì, senza mettersi il casco.
Il suo udito così allenato aveva udito il rumore di un'altra macchina .
Scese dalla moto e la nascose nella rimessa, nascondendosi a sua volta nello stretto vano.
Era il suono del motore di una Mercedes, e Cody era quasi sicuro fosse l'auto di Gary Phoenix.
Il suono del motore sparì in lontananza facendogli fare un sospiro di sollievo.
Uscì di nuovo all'aperto, respirando profondamente l'aria pura della notte.
Una voce alle sue spalle lo fece sobbalzare. L'unica voce che poteva udire senza provare paura.
Angela Morgan era in piedi di fronte a lui, con le braccia incrociate, infreddolita e con i capelli arruffati.
-Connie ti ha visto gironzolare qui nei dintorni. Lo sapevo che saresti venuto anche stasera. Ti ha fatto del male?- gli chiese delicatamente la ragazza, avvicinandosi a lui e sfiorandogli una guancia.
Cody abbassò lo sguardo, pensando a quanto fosse stato imprudente lasciare che i fari dell'Audi TT lo illuminassero.
Connie era soltanto un'impicciona, e per quella sera avrebbe preferito non far preoccupare ulteriormente Angela.
-No. Sono scappato in tempo.- le rispose, stringendosi nelle spalle.
 Era sempre così bello trovare Angela, in fondo.
Lei si preoccupava di lui come nessuno aveva mai fatto, se non sua madre, ed era l'unica persona al mondo oltre a lui a sapere tutta la verità, e a sapere le umiliazioni che suo padre gli faceva subire.
-Vuoi venire a dormire da me stanotte? Le altre non sono mai infastidite dalla tua presenza, lo sai.- gli disse lei, avvicinandosi un po'.
Cody la guardò, stringendo le labbra impaziente.
Conosceva i sentimenti di Angela per lui, sapeva che lei era innamorata , e pensava anche lui di esserne innamorato.
In fondo era una ragazza meravigliosa, e avevano già passato diverse notti assieme.
Notti durante le quali Cody riusciva a farsi abbandonare dalla paura, sebbene per poco, e riusciva davvero a stare bene e a sentirsi qualcuno e a darsi l'illusione che sarebbe riuscito a proteggerla.
Non aveva mai avuto il coraggio di chiederle di diventare la sua fidanzata, e lei quando gliel'aveva chiesto si era sempre sentita rispondere un no secco.
Cody sapeva di essere indifeso e di non poter proteggere nessun altro e non voleva che la ragazza entrasse a far parte del suo mondo così orrendo.
La luce delle stelle faceva brillare i lunghi capelli color miele della ragazza.
Cody scosse il capo.
Angela gli strinse il polso con una mano.
-Non voglio cazzate. Verrai con me.- disse risoluta, salendo in sella alla moto e facendogli cenno di salire a sua volta.
Cody borbottò qualcosa, poi fece scendere la ragazza.
-Mi dispiace tu ti sia svegliata solo per venire a cercarmi, mi dispiace che tu sia corsa fino a qui. Ma no.-
Il ragazzo cercò di avviare la moto, ma il primo tentativo fallì, così come il secondo.
-Ti prego, Cody. Ti prego.- insistette Angela, cercando di abbracciarlo.
Cody riuscì ad avviare il motore e girandosi un istante vide che la ragazza piangeva. I sensi di colpa gli fecero male, ma non poteva fermarsi.
Avrebbe voluto molto, ma non poteva e avrebbe voluto che Angela lo sapesse ma non aveva il coraggio di dirle niente del genere.
Non fece in tempo nemmeno a percorrere dieci metri, che sentì chiara la voce di un ragazzo che si avvicinava ad Angela.
-Che problemi ci sono?-
Conosceva quella voce, la conosceva troppo bene.
Girò la moto e tornò accanto alla rimessa, accanto ad Angela.
  
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