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Autore: compulsive_thinker    13/05/2013    1 recensioni
Umyen era un Elfo piuttosto giovane e nei suoi appena centocinquant’anni di vita non aveva mai visto nulla di così perfetto come quella creatura. Edorel. Si alzò in piedi con un movimento aggraziato, attento a non far dondolare troppo la bambina, e si rivolse di nuovo alla regina:
“La proteggerò a costo della mia vita, ma chiedo di sapere la verità. Chi è?”

Edorel ha trascorso buona parte dei suoi quasi cinquemila anni di vita viaggiando continuamente, protetta dal fedele Umyen, ignorando il segreto delle sue origini. La sua decisione d'intraprendere il viaggio della Compagnia segnerà il suo destino e quello dell'intera Terra di Mezzo.
“Mi dispiace per quello che ha detto Umyen, non credo lo pensasse davvero.”
“Non m’interessa. Mi basta che tu sappia quanto ti sono riconoscente per avermi salvato la vita.”
“Non è stato solo merito mio.”
“Sì, invece. Ma non riuscirò mai a spiegartelo.”
Fece per tornare dagli altri, ma Edorel gli prese la mano e disse:
“Credo di capire. Avrei dato qualsiasi cosa per salvarti.”
“Avrei sopportato qualsiasi cosa per vederti di nuovo.”
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao!!
Buon inizio di settimana a tutti/e! La mia è iniziata particolarmente bene, quindi ecco un bel capitolo tutto per voi...
Finalmente entra in scena uno dei miei personaggi preferiti (che Tolkien non si fila tantissimo, ma a me piace! xD) che quindi avrà un bel po' di spazio... :) E, finalmente, siamo a Lòrien (dove rimarremo per un po' *spoilero perfidamente*), luogo che agirà pesantemente su tutti i nostri cari personaggi!
Fatemi sapere cosa ne pensate... :)
Buona lettura
C.


Capitolo 12
 
Il risveglio di Edorel non fu meno piacevole delle aspettative. Un baluginio di luce dietro le sue palpebre annunciò alla ragazza il sorgere del sole. Batté le ciglia per abituarsi alla luce e si alzò a sedere, guardandosi per la prima volta intorno.
La piattaforma sospesa su cui si trovavano era piuttosto in alto, perfettamente mascherata dalle fronde sottostanti. Gettò uno sguardo verso il terreno e vide l’erba calpestata e strappata, qua e là piccole chiazze di sangue scuro. Dunque non aveva sognato, c’erano davvero stati degli Orchi lì quella notte. Rabbrividì al pensiero di cosa sarebbe potuto succedere se gli Elfi non li avessero salvati. Osservò con un lieve sorriso i suoi compagni: dormivano ancora, godendo dello scomodo legno come di un materasso di piume, tanto era grande la loro stanchezza. Sentì tuttavia la voce di Legolas provenire dall’alto e notò una scala di corda, addossata al tronco. Vi salì e si ritrovò su un altro piano di legno, più piccolo del precedente, su cui si trovava un piccolo gruppo di Elfi. Avevano vesti del colore degli alberi che li circondavano, capelli argentei e occhi grigi come un cielo piovoso. Uno di loro stava discorrendo con Legolas, ma si voltò immediatamente verso di lei e la salutò con un sorriso:
“Benvenuta, Edorel. Il mio nome è Haldir e la venuta della vostra Compagnia mi rallegra molto. Disperavamo ormai di vedervi, dato che i messaggeri di Elrond con l’annuncio della vostra partenza hanno da tempo lasciato questa corte.”
Edorel rispose con un inchino, e domandò:
“Ci sono stati Orchi nel bosco, questa notte?”
“Speravamo di non avervi disturbati, ma quelle creature sono terribilmente rumorose! Ne abbiamo inseguito e distrutto un piccolo gruppo, ultimamente si sono fatti più audaci e penetrano sempre più spesso a Lòrien.”
“Come mai?”
“Per ricordarci che la mano del Signore Oscuro si stende fino ai nostri confini. Per dimostrare potere e seminare terrore. Li inseguiamo raramente al di fuori, ci limitiamo ad annientare quelli che sono così sciocchi da rimanere qui.”
Ragionevole e pratico. Haldir le piaceva, il suo modo di fare le ricordava Umyen.
“Come ci avete trovati?”
L’Elfo trattenne un sorriso compiaciuto e rispose:
“Siamo Galadhrim di Lòrien: trovare chiunque oltrepassi questi confini è il nostro compito.”
“Cosa ne sarà di noi, ora?”
“Ho visto che ci sono dei feriti. Saranno curati qui, poi vi scorteremo a Caras Galadhon dove incontrerete i nostri sovrani. Di quanto avverrà in seguito, non so nulla, saranno loro a decidere.”
“Vi ringrazio, Haldir, per tutto ciò che avete fatto. Vi dobbiamo molto.”
“Se la vostra missione andrà a buon fine, dovremo tutti molto a voi.”
Edorel guardò Legolas, interdetta: gli aveva forse detto dell’Anello?
“No, non dovete pensare che uno dei vostri compagni abbia tradito la vostra fiducia. Appartengo alla schiera di fedelissimi della nostra regina, è stata lei a mettermi al corrente di ogni cosa. Ma il vostro segreto è al sicuro con me, non ne dubitate.”
“Come faceva la vostra regina a saperlo? Forse Sire Elrond gliene ha parlato?”
Fu Haldir questa volta a guardare Legolas: non capiva come quella ragazza, nelle cui vene scorreva evidentemente del sangue elfico, potesse non conoscere la regina di Lòrien. L’altro Elfo rispose con un impercettibile cenno di chiaro significato: le domande su Edorel avrebbero dovuto aspettare.
“La nostra regina, Galadriel, ha il potere di vedere. Non era necessario che qualcuno la informasse, sapeva.”
Il cuore di Edorel sembrò fermarsi all’improvviso: Galadriel sapeva di lei. Fu immediatamente una certezza, capì che solo da quella misteriosa regina di Lòrien avrebbe potuto conoscere la verità. Desiderava arrivare a Caras Galdhon il prima possibile.
 
Man mano che il sole si levava, tutta la Compagnia si svegliò e godette dell’ospitalità dei Galadhrim di Lòrien: cibo e acqua in abbondanza. Nonostante fossero finalmente al sicuro, nulla pareva in grado di risollevare il morale dei compagni, abbattuti per la morte di Gandalf e preoccupati per le condizioni di Aragorn, che ancora non aveva ripreso conoscenza.
Poco dopo mezzogiorno, Haldir chiese a Legolas e Boromir se desiderassero unirsi a lui in un giro di perlustrazione. Gimli tanto insistette che alla fine fu ammesso a partecipare, complice anche la garanzia personale di Legolas sulla sua affidabilità. Gli Hobbit rimasero sul flet a dormicchiare e fumare la pipa, tristi e silenziosi, lanciando occhiate malinconiche al di là del limite del bosco, verso la cara Contea che si allontanava ogni giorno di più. Edorel si sedette accanto a loro e lasciò vagare lo sguardo. Vedeva meravigliosi rami, carichi di foglie dorate che parevano quasi cesellate. Catturavano e riflettevano i raggi del sole nascente, amplificandone il colore come migliaia di specchi, tanto che in quel pomeriggio soleggiato pareva di trovarsi a navigare nella luce. Data l’altezza a cui si trovavano, si poteva spingere lo sguardo fin verso il limite di Lòrien, dove i boschi dorati scemavano lentamente per far posto a tronchi cupi e antichi. Era il Bosco Atro.
Dol Guldur.
Quelle due parole risuonarono nella mente di Edorel, forti e chiare. Qualcosa nell’oscurità di quella foresta sembrò chiamarla, avrebbe giurato di poter sentire gli alberi pronunciare il suo nome, lo sentiva rimbombare fin dentro le sue ossa. Avvertiva il bisogno divorante di passare la mano su uno di quei tronchi antichi e intrisi di sofferenza, fino a scalfirne la corteccia e scorticarsi le dita.
Un debole gemito vicino a lei la strappò da quella vertigine di sensazioni. Aragorn si stava muovendo e riprendeva lentamente possesso dei suoi sensi dopo quasi due giorni d’incoscienza.
“Si sta svegliando!”
“Allora sta bene!”
“Diamogli qualcosa da mangiare, poverino!”
Gli Hobbit si lanciarono subito verso di lui, esprimendo tutta la loro gioia con centinaia di parole, come se non riuscissero a tenersi tutto dentro. Edorel condivideva la loro sensazione di traboccante felicità e rise come non le capitava da tempo. Fu però costretta a frenare il loro entusiasmo:
“Lasciatelo respirare, coraggio. Andate a chiedere agli Elfi acqua e cibo, svelti!”
Li guardò correre verso la scaletta e salire agilmente – tutti tranne Sam, che borbottava qualche imprecazione contro la necessità di tutte quelle scale decisamente poco sicure. Si sentì sfiorare il braccio e si voltò verso l’uomo, vedendo con gioia che aveva aperto finalmente gli occhi e si guardava intorno, confuso.
“Sei al sicuro, a Lòrien.”
“Come?”
“Pensa solo a riprenderti, avremo tempo per le spiegazioni.”
Aragorn non voleva aspettare, gli sembrava di aver già perso abbastanza tempo. Si puntellò con le mani a terra e si sedette a fatica.
“Proprio non sei in grado di seguire un ordine che non venga da te?”
Sentire la sua voce, anche se lo stava bonariamente rimproverando, lo fece sorridere e gli fece realizzare di essere davvero tornato da quell’incontro fin troppo ravvicinato con la morte. In quel momento sopraggiunsero i quattro Hobbit e l’uomo si scoprì davvero affamato. Mentre assaporava il leggero pasto elfico, Sam gli disse, con un sorriso:
“Siamo così contenti che stiate bene, Granpasso!”
Pipino aggiunse:
“Anche il nostro Sam, qui, è stato ferito per proteggere Frodo! Siete eroi alla pari!”
“Smettila, sciocco! Io sono solo un giardiniere, altro che eroe!”
“No, Pipino ha ragione. Sei stato davvero coraggioso.”
Ribatté Edorel, guardandolo con ammirazione e rendendosi conto che nessuno di loro era più come quando aveva lasciato Imladris. I Mezzuomini battibeccarono ancora un po’, poi scomparvero giù dalla scala, dicendo di voler fare due passi sulla terra.
Aragorn li osservò per qualche istante, poi si alzò lentamente, cercando di scacciare il torpore dalle sue gambe appesantite. Fece qualche passo e si appoggiò al parapetto del flet, sporgendosi per respirare l’aria fresca. Sentiva che Edorel lo stava guardando, aspettando pazientemente le sue domande, così la accontentò:
“Cosa mi è successo?”
“Sei stato ferito a Moria, per proteggere Frodo.”
Lampi d’immagini si fecero lentamente strada attraverso la sua memoria.
“E Gandalf? È stato un sogno, o sono ricordi tremendi le cose che vedo?”
“Ricordi, temo. Ci ha salvati ed è rimasto a Moria.”
La disperazione s’impadronì di Aragorn: come avrebbero fatto a completare la missione senza lo stregone? Era stato una guida per tutti, per lui in particolare, non sarebbero mai arrivati a destinazione senza di lui. Conosceva molte cose e sapeva leggere nell’animo umano, prendendo sempre la decisione migliore. Sentì di perdere l’unico riferimento certo su cui poteva contare nella frustrante incertezza di quella missione e si sentì invadere da una stanchezza profonda. Desiderava soltanto poter tornare un Ramingo e rimanerlo per il resto dei suoi giorni, fuggendo da tutto ciò che invece gli si profilava davanti.
Edorel colse qualche riflesso dei pensieri dell’uomo sulla sua fronte corrugata e sulle nocche che sembravano voler sbriciolare la sottile ringhiera in legno. Gli si avvicinò e posò una mano sulle sue, sperando che capisse di non essere solo a portare la responsabilità della Compagnia.
“Sei stata tu a occuparti di me?”
“Sì, ho usato quanto rimaneva della tua athelas di Imladris. Cominci a ricordare qualcosa?”
Aragorn ricordava. Ogni dettaglio. Le sue mani, la sua voce, le sue labbra. Ricordava come se tutto fosse avvenuto in tempi remoti ed egli non riuscisse a recuperare appieno le sensazioni provate. Sapeva che, se solo avesse potuto baciarla di nuovo, sarebbero tornate vivide nella sua mente, intense come nel momento stesso in cui le aveva sperimentate per la prima volta.
Quasi senza pensarci, si voltò verso di lei e avvicinò il viso al suo, chiedendo disperatamente il permesso di coprire quell’ultima distanza che li separava. Edorel si avvicinò a sua volta, istintivamente: non voleva pensare al ciondolo che luccicava ammiccante al collo dell’uomo, desiderava dimenticare che il suo cuore appartenesse già a una rivale imbattibile. Voleva soltanto baciarlo di nuovo.
“Maledetto Merry, mi ha di nuovo nascosto il tabacco, ma se lo trovo io…”
La voce di Pipino si spezzò bruscamente in una serie di monosillabi imbarazzati. Di scatto, i due si allontanarono e Edorel si limitò a guardare per un istante l’uomo, come a scusarsi di non poter rimanere, prima di voltarsi e scomparire dietro lo spesso tronco. Anche la testa del povero Hobbit, che spuntava solo per metà dall’apertura al centro del flet, sparì nuovamente verso il basso. Sotto il sole che proseguiva la sua corsa incurante di tutto, Aragorn rimase solo a guardare il bosco, sulle labbra ancora un desiderio insoddisfatto.
 

*

 
La sera scendeva lentamente, come se il giorno volesse rimanere ancora a vagare in quel meraviglioso luogo. Il sole brillava, sempre più rosso, a Ovest e colorava di riflessi ramati le foglie di Lòrien, immobili nonostante una leggera brezza.
Dal flet dei Galadhrim si levavano piccoli sbuffi di fumo. Gli Hobbit erano soli: al termine di una piacevole cena, i loro compagni si erano uniti agli Elfi per un altro giro di perlustrazione, ma i quattro erano stati saggiamente lasciati a riposare, di nuovo. Già da qualche tempo, erano occupati a fumare e discutere.
“Vi giuro che si stavano per baciare!”
“Non essere sciocco, Pipino, avrai capito male!”
“Credo di saperne molto più di te sull’argomento, Sam!”
Frodo sospirò: quel discorso andava avanti da fin troppo, tra sussurri e sbotti d’ira, e presto Pipino e Sam se le sarebbero date di santa ragione, sotto lo sguardo divertito di Merry. Dal canto suo, Frodo non desiderava certo fare dei pettegolezzi su Edorel, o tantomeno su Grampasso. Non aveva mai visto né l’uno né l’altra completamente sereni, avvertiva sempre un sottofondo di tristezza, un languore nascosto che tanto glieli rendeva cari: sembrava che anche loro portassero continuamente sulle spalle un fardello.
“Già, ma Grampasso ha quel bel ciondolo che cerca sempre di nascondere: secondo me gliel’ha dato una donna!”
“E cosa importa? Le persone cambiano, i sentimenti anche!”
“Chi l’avrebbe mai detto? Nel profondo nascondi un animo romantico, Merry.”
Uno scricchiolio delle assi del pavimento fece zittire tutti: Edorel era saltata con grazia giù da un ramo, atterrando proprio accanto a loro. Sam arrossì fino alla punta dei capelli e Pipino si finse impegnato a scrostare il tabacco dalla sua pipa.
“Che vi prende, Hobbit? Potrei anche pensare che steste parlando di me!”
Un coro di voci sovrapposte la sommerse. Colse soltanto qualche “assolutamente no” e “non ci permetteremmo mai” che, assieme agli sguardi colpevoli, le tolsero ogni dubbio su quale fosse l’argomento della conversazione. Ma in quel momento non aveva alcuna voglia di stare da sola, perciò fece finta di credere alle loro parole e si sedette, domandando a Sam della sua ferita.
“Va molto meglio! Pensate che vedremo altri Elfi prima di ripartire?”
“Haldir ha detto che non appena ci saremo tutti ristabiliti ci condurranno a Caras Galadhon, la città dei signori di Lòrien.”
“Peccato. Sapete, desideravo tantissimo vedere gi Elfi, ma ora comincio proprio a…”
“E come sta Grampasso? Si riprenderà presto?”
Merry non riuscì a trattenere la curiosità e commise l’errore d’interrompere Sam, che subito si zittì e lo guardò in cagnesco.
“Migliora, e in fretta. Credo proprio che tra un giorno, al più tardi, saremo di nuovo in marcia.”
“Credi che ci fermeremo a lungo in questa città degli Elfi?”
“Proprio non so, Pipino, ma sicuramente dovremo incontrare i signori di Lòrien.”
“Chi sono?”
Domandò Frodo, combattendo l’impulso di portare una mano all’Anello, per tenerlo lontano da altri sguardi indiscreti.
“Non ho mai sentito parlare di loro da Umyen, e questo è piuttosto strano. Ti so dire soltanto una cosa che ho sentito da Haldir: la regina Galadriel è una specie di veggente, sa dell’Anello.”
“Come è possibile?”
“Non lo so, Frodo, ma non ti devi preoccupare. Gli Elfi non sono una minaccia per noi.”
“Non saranno una minaccia, ma comincio a essere un po’ stanco di tutto questo stare sugli alberi, preferisco un bel buco nel terreno!”
Intervenne Merry, sobbalzando ogni volta che il legno del flet scricchiolava, guardandosi attorno preoccupato.
“Ma come, voi Hobbit non avete mai sognato di volare, di lasciarvi trasportare dal vento e vedere le cose come sono da lassù?”
Nonostante Sam avesse deciso di non parlare più dopo la grave offesa ricevuta da Merry, quelle parole di Edorel lo fecero sbottare:
“Assolutamente no! Noi siamo creature di terra, né acqua, né aria, né tantomeno fuoco ci possono interessare!”
“Parla per te, Sam. Io e Merry siamo degli avventurieri nati!”
“Ma se non eravate capaci nemmeno a rubare carote dai vicini senza farvi scoprire?”
“Ehi, vi ricordate quella volta in cui sono arrivati correndo a Casa Baggins, inseguiti da quel cagnolino?”
Il racconto di Frodo, completato dalle alte proteste di Merry e Pipino, durò finché il sole non fu calato del tutto, segnando la fine del loro primo giorno nella foresta di Lòrien.

  
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