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Autore: StylesRockMe69    13/05/2013    2 recensioni
Un giorno, solo uno, poteva cambiare completamente la mia vita e così fu.
Un solo giorno, estate, Londra.
Una vita, cambiata in un solo giorno, in una sola mattinata. Una vita sconvolta da un solo accaduto. La mia.
ff nuova di zecca c: che ho dovuto riscrivere perchè la stupida scrittrice (iu) l'aveva cancellata
Genere: Fluff, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1

Un giorno, solo uno, poteva cambiare completamente la mia vita e così fu.
Un solo giorno, estate, Londra.
Una vita, cambiata in un solo giorno, in una sola mattinata. Una vita sconvolta da un solo accaduto. La mia.

Ricordo tutto perfettamente anche se da li sono passati ben dodici anni
Dalla porta semichiusa della mia camera riuscivo a intravedere la porta di casa dove stranamente vidi mia madre sull'uscio della porta che parlava con due uomini con una divisa militare formata da una mimetica, scarponi neri ed un berretto stile militare che non facevano intravedere gli occhi donando ai loro sguardi un effetto misterioso.

Ancora assonnata mi misi in posizione eretta, con strafottenza mi sfregai ripetutamente gli occhi, sbadigliai e dopo qualche minuto mi alzai. A separare il salone con la porta di casa c'era un piccolo anditino ed io mi nascosi lì per non farmi notare.
Le loro parole parevano a me sconosciute, non riuscivo a percepire le loro parole.
Ad un certo punto vidi una lacrima scendere giù per il volto di mia madre. Non capivo la situazione, non ne capivo il significato ma la faccenda mi stava spaventando.
D'un tratto mia madre si accasciò a terra iniziando a piangere rumorosamente chiamando il nome di mio padre che probabilmente stava ancora dormendo ma che con i rumorosi suoni si era svegliato.
L'uomo accorse la donna disperata asciugandole le lacrime e posandole una mano per aiutarla a rialzarsi in piedi.

La donna raccontò tutta la storia a mio padre che rimase come meravigliato, strabiliato per le parole appena udite.
I due uomini ogni parola detta avanzavano sempre più verso l'interno della nostra casa mentre i miei genitori, per la paura di respingerli, indietreggiavano paurosamente.
Percepii un leggero urlare di uno dei soldati che disse 'allora?' con tono leggermente infastidito.
Per quanto fosse parso lieve quel suono alle mie orecchie mi incuteva terrore.

Mia madre guardò con viso disperato il volto di mio padre che socchiuse gli occhi e scosse la testa in segno di resa.
A quelle azioni la donna iniziò ad urlare ripetutamente dei 'NO' seguiti dal mio nome 'Emily, Emily!'
Si girò e mi notò. Ero disperata, quasi quanto lei. Mi fece cenno di andarmene via, di fuggire, scappare. Ci provai ma ero completamente paralizzata, non ero responsabile del mio corpo. Era la paura a farmi rimanere inerme davanti a quella terribile situazione. Cercai di muovermi ma non ci riuscii.

I due uomini si girarono anch'essi notandomi. Caddi anche io in terra rimanendo appoggiata sulla spalla che a sua volta era appoggiata al muro. Uno dei due, quello davanti sorrise debolmente seguendo una debole risata per poi scoppiare con una fragorosa risata. 'Perchè ridi?' mi chiedevo io costantemente.
Si fermò di scatto finendo con avere un fastidioso ghigno in faccia rivolto verso me. Ero solo una bambina di cinque anni, non riuscivo a capire quanto grave sarebbe potuta divenire la situazione.

Uno estrasse di colpo una pistola dalla tasca puntandomela sopra. Sgranai gli occhi a quella vista e mi scesero alcune lacrime.
Mia madre s'intromesse tra di noi con un solo risultato, una pallottola di metallo piantato in testa.
Urlai, urlai dal dolore che provavo, per quello che stava accadendo.
Mio padre a quel punto, vinto dalla collera, si mise in mezzo anche lui avendo però lo stesso risultato ottenuto dalla consorte.
I due si avvicinarono pericolosamente a me posandomi la pistola sulle tempie. Sgranai gli occhi ormai lucidi per le lacrime e la disperazione.
'piccolina, non fare così. Non prenderla sul personale, non volevamo uccidere i tuoi genitori. Solo te. Beh non è colpa nostra ma tua.. beh addio!' Disse uno dei due prima di premere il grilletto lentamente come se volesse aumentare la suspance che l'atmosfera aveva creato. I secondi passavano ma a me sembravano fossero passati minuti interi. Il mio cuore batteva forte, troppo forte e la cosa che più mi spaventava era che quei battiti stavano tutti nella mia mente.

Si sentì uno scoppio. Aprii gli occhi quando notai che nulla era uscito dalla canna dell'arma.
Quello della pistola continuava a urlare e imprecare che mi avrebbe ucciso mentre l'altro continuava a insistere dicendo che aveva caricato l'arma al meglio. Vidi negli occhi di quell'uomo la vera disperazione, in quegli occhi turchesi.
Approfittando della loro ira uno nei confronti dell'altro corsi in camera dei miei e presi tutti i soldi che trovai e mi buttai fuori dalla finestra. Vivevamo al piano terra così gettandomi mi procurai solamente dei graffietti.

Corsi fino a trovarmi davanti un edificio grigio e nero. Lessi in fretta la parola che vi era incisa in un cartello affisso al muro. 'Orfanotrofio'. Deglutii. Era un luogo che da sempre veniva utilizzato dai genitori come sorta di minaccia per regolare il comportamento scorretto dei propri figli.

Lì ci rimasi per dieci lunghissimi anni. Quando me ne andai avevo quindici anni, con tristezza uscii da quell'edificio che mi aveva fatto da casa, era il luogo che mi aveva donato tantissime opportunità facendomi studiare in quel luogo con dei professori privati.
Da lì ripresi gli studi in una scuola pubblica e riuscii ad avere un lavoro che mi permise di affittare un appartamento tutto mio. Ero divenuta ora completamente indipendente.

Da lì passarono altri due anni.
Ora ho diciassette anni. Mi chiamo Emily, Emily McCoy. Continuo a vivere nel segreto che è la mia infanzia non riuscendo ancora a capire il perchè dell'accaduto. Vivo una vita da diciassettenne normalissima però senza mai aver confidato a nessuno quello che è accaduto a casa mia nell'estate di dodici anni fa.

'Che noia devo fare la spesa!' Sussurrai afferrando le chiavi di casa dal comodino davanti alla porta e infilandomi il telefono nella tasca posteriore dei pantaloncini. Era estate.
M'imbucai in una viottola strettissima di cui nessuno era a conoscenza dell'esistenza. Era la mia scorciatoia per il supermarker che era situato a due isolati distante da casa mia.

Venni fermata da una voce alle mie spalle.
'Ehi tu.. sei Emily? Emily McCoy. Dico bene?' Sussurrò la voce.
Mi girai. Dinanzi a me un ragazzo portava un berretto stile militare che dopo aver parlato lo alzò leggermente permettendomi di vedere i suoi occhi. Erano grandi ed espressivi. Color mare con una leggere nota di verde al centro.
'Ci siamo già visti?' Chiesi io con un filo di voce.
'Beh in teoria si, veramente hai incontrato mio padre. Beh lui doveva ucciderti ma purtroppo ha fallito ed ora tocca a me terminare il suo compito.' Disse senza nessuna espressione particolare.
I suoi passi aumentavano la velocità facendomi indietreggiare terrorizzata. Caddi a terra sbattendo una gamba.
'Piccola non devi essere così impaurita, ti prometto che non farà male. Riposati ora'
Feci cenno di no con la testa.
'E' un peccato che tutto tra di noi finisca così, beh addio.' Disse lui prima di premere il grilletto colpendomi al petto. La vista si appannava, gli arti diventavano più pesanti e tenevo invano le mani attorno alla ferita ma il sangue continuava a scorrere. Vidi il ragazzo allontanarsi leggermente prima di posare la pistola sulla mia mano come se volesse fare in modo che sembri un suicidio.

Continua..


Spazio all'autrice
Bene eccomi con una nuova fanfiction che spero vi possa piacere
quindi ovviamente scusatemi se ci sono qualche errori, se la storia vi piace recensite e se non vi piace recensite ugualmente. c: al prossimo capitolo e se volete fatemi visita nelle fan fiction 'this is my fucking life' e 'non staremo mai insieme' che potete trovare comodamente tra le storie nel mio profilo c:

  
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