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Autore: dontletmeboo    14/05/2013    61 recensioni
Pregherei gentilmente di NON copiare questa storia, come già sta succedendo.
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“69 Days in Love -  Come far innamorare una celebrità in 69 giorni”
Ma se Julie prendesse troppo sul serio questo articolo?
Se al suo lavoro si mischiassero per sbaglio anche dei sentimenti?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Se volete deprimervi ancora di più, ascoltate questa mentre leggete: Nightingale -



Chapter Seventeen
Father.

 

 

Si, forse avrei dovuto sedermi come mi aveva consigliato Niall prima di parlare.
«Julie» mi sentii chiamare per l’ennesima volta, e tentai ancora di aprire gli occhi nonostante le palpebre si facevano sempre più pesanti e il mio cervello mi imponeva di non aprirli.
Mugugnai qualcosa senza senso per protestare agli schiaffi che stavo ricevendo sulle guance.
«Julie, apri gli occhi» sentii un’altra voce, e quella seconda volta la riconobbi.
«Harry» sorrisi appena, e poco dopo mi apparve un mare davanti agli occhi «sabbia» sentivo quasi il profumo del mare e il suono delle onde che arrivavano a riva.
«Ju, svegliati» un colpo più forte in fronte mi fece sobbalzare e riuscii finalmente a svegliarmi, non prima di aver urlato «Bignè!» e rendermi conto di non essere al mare, come speravo.
Mi guardai intorno stordita.
Harry era alla mia destra e continuava a tirarmi piccoli colpi sul viso; Niall mi teneva i piedi alzati in aria e mi guardava con uno sguardo confuso e realmente preoccupato.
«Ho voglia di bignè alla crema» dissi infine, mettendo il broncio.
Sorrisi come un’idiota, voltando la testa e incrociando lo sguardo di Harry; questo riuscì solo a ridere e a dire «è ancora stordita dalla botta in testa!»
Scossi la testa e tentai di alzarmi, ma mi venne un capogiro e mi potai una mano sulla fronte, richiudendo gli occhi per un attimo.
«Julie, mi dispiace» disse mortificato Niall.
Per un primo momento non capii a cosa si riferisse, poi collegai le cose.
Mi venne in mente l’espressione del biondo appena mi ordinava di sedermi, il mio modo brusco di rispondergli e poco dopo.
«Ho trovato tuo padre, Julie.»
Quella frase mi continuava a pulsare nella testa, mi ricordai poi la vista che cominciò ad appannarsi e infine un dolore forte alla testa.
«Dovevo sedermi» sbuffai, sobbalzando appena sentii qualcosa di freddo alla testa.
«Stai ferma» fece Harry, mentre teneva il ghiaccio dietro la mia nuca «sei caduta come un sacco di patate» non riuscì a fare a meno di trattenersi dal ridere, ancora.
«Carina come metafora, davvero» feci una smorfia appena mi sedetti; solo poco dopo mi resi conto di essere seduta sul divano del salotto di Harry.
Sospirai, pensando per un momento che quello che mi stava succedendo fosse solo un sogno, ma anche dopo essermi pizzicata il braccio, non mi risvegliai «Niall parlavi sul serio?» lo guardai, sentendo il cuore che accelerava il battito, quasi volesse uscirmi dal petto, nell’attesa di una sua risposta.
Questa non arrivò, il biondo si limitò ad annuire, con una punta di risentimento nello sguardo «n-on volevo impicciarmi, davvero» tentò di giustificarsi «ma vedevo che ci stavi davvero male per tuo padre e allora ho fatto qualche ricerca» si morse l’interno della guancia.
Accennai ad un sorriso, ma non mi riuscì benissimo; tolsi il ghiaccio, dandolo in mano ad Harry «non ti preoccupare» lo rassicurai «hai fatto una cosa carina.»
Sembrò sollevato da quella mia affermazione.
Vidi Harry guardarsi intorno, imbarazzato, come se si sentisse il terzo incomodo in quella situazione.
No, non te ne andare.
Per una volta, sorpresa, mi resi conto che quello che disse il mio subconscio era davvero quello che pensavo.
Ma quel pensiero, il più piccolo, non lo poté sentire; si alzò e si diresse in cucina, dove lo sentii aprire il frigorifero e prendere qualcosa da bere.
Niall si sedette accanto a me e nel salotto piombò un tombale silenzio che mi stava lentamente facendo saltare i nervi; cominciai a massacrarmi le mani, impaziente di fare quella domanda.
«Julie, magari non te lo devo dire, ma voglio che tu sappia una cosa» riprese a parlare, vedendo la mia agitazione.
Cosa dovevo sapere?
Forse avrei fatto meglio ad aspettare che continuasse la frase.
Se avessi atteso qualche attimo in più, non mi sarei spaventata una seconda volta, rischiando si svenire; invece, come mia abitudine fui frettolosa e ansiosa, non potei fare a meno di porre quella domanda che mi girava nella testa da troppo tempo.
Solo il pensiero che di lì a poco tutti i miei dubbi di vent’anni sarebbero scomparsi, mi fece formicolare le mani.
«Dov’è?» chiesi, trattenendo il fiato.
 
* * *
 
Dove avessi trovato le forze per andarci, non lo sapevo.
Era da mezz’ora che mi imponevo di andare avanti, di camminare e di non tornare indietro come una vigliacca.
Mezz’ora che sentivo un fastidioso nodo alla gola e che non riuscivo minimamente a cacciare.
Davvero avevo il diritto di essere lì?
Rallentai il passo, sempre più titubante, fino a fermarmi completamente e guardare fisso nel vuoto, davanti a me.
«Julie» mi sentii chiamare, vi voltai di scatto e incrociai gli occhi azzurri di Niall che, come sempre, mi guardavano con ansia; mi sfiorò piano un braccio, ma ritrasse immediatamente la mano.
«Sto bene» mentii «vorrei andare da sola, scusate» mi voltai a guardare sia lui che Harry, dato che entrambi si erano offerti di accompagnarmi.
Annuirono e li ringraziai con un cenno del capo.
Feci un respiro prolungato, riprendendo a camminare a passo sostenuto; appena mi voltai, poco dopo, i due erano già lontani.
 
Chiusi gli occhi che cominciavano a bruciare e mi promisi di non piangere.
E poi lo vidi.
Era lui.
Per un attimo esitai, ma ormai ero arrivata lì, non potevo tirarmi indietro e scappare.
Mi avvicinai, fino a quando non gli fui davanti.
Deglutii e spostai lo sguardo, che fissava le foglie sparse per terra, sul suo nome inciso nella pietra bianca davanti a me.
Sorrisi appena.
«Davis» lessi a bassa voce, talmente piano che feci fatica a sentirmi pronunciare il suo nome «papà» ritentai.
Si, quello suonava decisamente meglio.
Sentii un colpo forte al cuore, rendendomi conto di quello che avevo appena detto; mi soffermai poi a guardare la sua foto contornata da una piccola e sottile cornice argentata.
Era davvero bello.
Sorrideva, un sorriso stupendo.
I capelli castani, quasi neri e con qualche striatura bionda, gli ricadevano sulla fronte e qualche ciuffo era fuori posto; lo sguardo fisso sull’obbiettivo della telecamera e quelle piccole rughe intorno agli occhi che hanno quasi sempre tutti i papà.
Gli occhi.
Di un blu acceso, con qualche riflesso di luce, come i miei.
Mi salì il magone in gola e cominciai a scuotere la testa, ritrovandomi poi a nascondere il viso tra le mani e a cercare di soffocare i singhiozzi.
«E’ tutto sbagliato» piansi, sedendomi accanto a lui e appoggiando la testa sul marmo freddo, tanto freddo che mi fece sussultare per un attimo.
Lasciai che i capelli mi scivolassero davanti agli occhi, quasi volessi nascondermi; mi guardai poi intorno, per quanto mi permettessero di fare le lacrime che continuavano ad appannarmi la vista.
Tutto lì intorno era colorato, milioni di fiori, che facevo fatica a distinguere, erano sparsi ovunque; sotto il suo nome, invece, non rimanevano che due tulipani gialli, con solo qualche petalo, appoggiati malamente sulla tomba, come se fossero stati lanciati.
Li risistemai con un gesto della mano.
Balbettai poi qualcosa di incomprensibile, quasi volessi formulare un discorso o una frase di senso compiuto da dire; quando però mi resi conto che non mi avrebbe potuta sentire, ascoltare o rispondere, mi limitai a stringere le ginocchia al petto, affondarci in mezzo la testa e ricominciare a piangere. 
 
 
 

Harry. 

Guardai l’orologio, rimanendo appoggiato all’auto con i piedi distesi in avanti; sbuffai, cominciando a camminare avanti e indietro, mentre l’ansia continuava ad aumentare.
«Harry, sono passati venti minuti» Niall pareva preoccupato quanto me.
Annuii, dandogli ragione.
Sapevamo che quello era stato un colpo forte per Julie, ma poteva almeno chiamarci; e se si fosse sentita male un’altra volta?
Cacciai indietro quel pensiero «Niall, vai da lei» non era una domanda, sembrava più un ordine; se almeno lui fosse andato, sarei stato più tranquillo.
Non mi rispose, tanto che pensai si fosse dimenticato della mia presenza, ma poi «forse è meglio che ci vai tu» si morse la lingua, vidi poi le sue guance arrossarsi e il suo sguardo si abbassò automaticamente.
«P-perché?» chiesi, nonostante conoscessi già la risposta.
Alzò le spalle, accennando un sorriso triste e tirato «non vuole me» disse appena.
Non risposi, mi limitai a camminare verso il cancello arrugginito del cimitero, senza voltarmi.
 
Mi guardai intorno un’altra volta, sospirando sollevato appena la vidi.
Era seduta a terra, con la testa nascosta tra le gambe strette al petto; la schiena continuava ad essere scossa da singhiozzi e per un attimo ebbi la tentazione di tornare indietro.
Al mio posto ci sarebbe dovuto essere Niall.
Ma vederla così mi fece stare male, così affrettai il passo e appena sentì il suono delle mie scarpe che spostavano i sassi della ghiaia, alzò lo sguardo spaventata.
Notai le sue guance nere, colorate di mascara, e i suoi occhi terribilmente rossi; in un’altra situazione, forse sarei scoppiato a ridere, ma quella volta rimasi serio.
«Julie» mi accovacciai davanti a lei, pensando a cosa avrei potuto dirle.
Mi guardò spaesata per un altro po’, forse anche confusa, per poi scoppiare a piangere e scuotere la testa, incredula «vai via ti prego» singhiozzò, voltando lo sguardo da un’altra parte e facendo ricadere i capelli davanti al viso.
«Julie non fare così» tentai, nonostante non ero mai stato bravo a confortare le persone.
Alzò lo sguardo e si asciugò con una mano gli occhi, ma neanche pochi secondi che questi cominciarono a lacrimare di nuovo «per favore, vai via» ritentò, ma l’ultima parola fu stroncata da un singhiozzo.
Non feci in tempo a rispondere che «tu non vuoi veramente stare qui» disse, e mi si strinse il cuore «te l’ha chiesto Niall di venire, lo so. Quindi vai via» ripeté.
Scossi la testa «no che non me ne vado» alzai la voce.
Non provò a ribattere.
 
«Non è così che doveva andare» disse poi, prendendomi alla sprovvista «non era così che me lo immaginavo» pianse.
Feci fatica a seguirla e a capirla «che cosa?» le chiesi.
Aspettò qualche minuto prima di rispondere «doveva essere un uomo che si era ricostruito una famiglia, magari che aveva altri figli. L’avrei incontrato un giorno, magari il giorno prima del mio matrimonio; gli avrei chiesto di accompagnarmi in chiesa, presentandomi da lui, nel suo ufficio o a casa sua. Lo avrei convinto di essere sua figlia, e lui mi avrebbe abbracciato talmente forte da togliermi il fiato» non riuscì a smettere di singhiozzare mentre continuava a parlare, senza fermarsi e senza aspettare una mia affermazione o una domanda «poi mi avrebbe baciato la fronte, sorridendomi, promettendomi di starmi accanto per sempre. Avrei scoperto che non sapeva della mia esistenza, che non sapeva di avere una figlia di vent’anni, così da non poter essere arrabbiata con lui» si fermò un attimo per riprendere fiato «e invece ora non so niente. Non posso sapere nulla su di lui, ho solo una foto» si prese il viso di nuovo tra le mani, piegandosi in avanti.
Allungai una mano per accarezzarle la schiena, ma la ritrassi immediatamente, imbarazzato.
«Non è giusto» ripeté ancora «non doveva morire senza una famiglia al suo fianco.»
Disse quelle ultime parole in un unico respiro, come se dirlo ad alta voce, facesse sembrare la cosa reale.
«Julie, non piangere, per favore» tentai di calmarla.
Obbedì e si asciugò le guance arrossata.
Guarda poi la foto dell’uomo, sulla sua tomba, voltandomi poi a guardare Julie e un’altra volta la foto «avete gli stessi occhi» sussurrai appena, ritornando a guardare lei.
I nostri sguardi si scontrarono.
Blu contro verde.
Annuì, tirando su con il naso «lo so» un’altra lacrima rigò la sua guancia, arrivandole al labbro superiore e soffermandosi lì, prima che l’asciugasse sfregando il viso sulla spalla.
 
Vederla così mi faceva stare terribilmente male.
Soprattutto pensare a tutte le cose che le avevo detto, che non si meritava, mi facevano sentire un tremendo idiota.
Non era una ragazza che si comportava solo come una bambina; semplicemente amava godersi la vita e divertirsi.
Le sue battute erano squallide, vero, ma anche buffe e divertenti a volte.
Scossi la testa, sospirando, rendendomi conto di essermi comportato davvero da stronzo con lei e non se lo meritava.
Così l’abbracciai.
Appoggiò la testa sul mio petto e le accarezzai piano i capelli mentre ricominciò a piangere; quella volta non cercai di farla smettere, aspettai.
Aspettai senza pensare alla maglietta grigia che portavo che si bagnava con le sue lacrime.
Aspettai che smettesse di piangere da sola, abbracciandola e proteggendola da tutto quello che in quel momento le stava facendo del male.
 




  
 
 
 


 
 





Caaan yoou be my Nightingaaalee...

Sono viva.
Dio una settimana D:
Peggioro davvero ogni volta! Vi chiedo scusa, ancora, anche perchè il capitolo fa cagare, è troppo deprimente u.u
Però dovevo far succedere qualcosa di brutto a Julie, no?! :')

Ammettetelo!
Non ve l'aspettavate.
In molte mi avete scritto: 'spero in un bel rapporto con il padre' beeeh..ho deciso di far morire il papà!
SI. SONO MALVAGIA! E ne vado fiera ahahah c:

Anche se le recensioni diminutiscono sempre di più, vi ringrazio tutte quante dfalkjirwe**
Siete fantastiche :33


Come sempre...
Twitter: @hugmeHoran69  
Tumblr: 'Change your life'
E su Facebook: Simona - "Nothing's fine I'm Torn.

Al prossimo capitolo!

Simo.
   
 
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