Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Nanek    14/05/2013    3 recensioni
Questa è la storia d’amore di James e Charlie, una storia d’amore come tante, forse, ma unica e perfetta per loro due; una storia d’amore che è stata fermata dalla guerra, la guerra del Vietnam.
Ma in questa storia d’amore, c’è anche un altro personaggio: Billy White, soldato semplice, al primo anno di guerra, amico di James.
Ma perché ci deve essere un altro ragazzo in una storia d’amore? Beh, Billy sarà colui che li salverà entrambi.
Tratto dal primo capitolo:
"Caro James,
mi manchi, e sono ormai ripetitiva, te lo scrivo in ogni lettera che mi manchi, ma non credo mi stancherò mai di farlo; amore mio, aspetto la tua risposta ogni giorno, una risposta che non arriva mai, e che mi sta spaventando"
“Cara Charlie,
mi scuso per le mancate risposte, ma qui si fa la guerra, il tempo scarseggia, e i miei soldati hanno bisogno di me.”
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 7

When you’re gone

 

16 maggio 1974

Sono ancora vivo.

Quelle parole rimbombavano nella sua mente, costantemente, ogni giorno, ogni minuto, ogni secondo.
Erano passati nove mesi dalla sua cattura, e Billy White era ancora vivo.
Segretato in quella cella, legato a quel muro, ma ancora libero di respirare.
Non era stato sottoposto a nessuna tortura, non era stato sottoposto a interrogatori: Billy passava le sue giornate da solo, rinchiuso, vedeva il sole sorgere e tramontare attraverso la finestra, sentiva entrare le goccioline di qualche pioggia passeggera, sentiva la guerra, le bombe, gli spari, che di giorno in giorno si scatenavano con più violenza, ma che non lo sfioravano neanche con un dito; Billy era isolato dal mondo, Billy non viveva la guerra.

Non parlava con nessuno, se non con la sua coscienza, si rivolgeva a Dio, ringraziava di essere vivo, di poter ancora vedere quella luce, di poter ancora sentire quello che lo circondava, lo ringraziava per ogni cosa.
Non aveva contatti umani, con nessuno, se non con una “mano”: all’alba, per pranzo e per cena, vedeva entrare dalla porta una mano, si allungava dentro la sua prigione, e gli lasciava da mangiare; sempre due piatti di cibo, a volte freddo, a volte eccessivamente cotto, ma era cibo, e una bottiglia d’acqua, da due litri, che doveva bastargli per l’intera giornata.
Inizialmente aveva paura di quegli alimenti: temeva fossero velenosi, temeva di morire soffocato, ma la fame aveva preso il sopravvento, e lo fece avvicinare una prima volta ai quei piatti che “una mano” gli porgeva: si era avvicinato, aveva ingerito velocemente tutto il possibile, ed era vivo, vivo e in forze.

Quella mano gli procurava la vita, quella mano lo sfamava ogni giorno, gli dava la possibilità di farcela, quella era la sua “mano dal cielo”.
La aspettava con gli occhi sognanti, ogni mattina all’alba, ogni mezzogiorno, ogni sera prima di dormire, l’aspettava come un innamorato aspetta la sua amata, aspettava quella mano, e le sorrideva quando posava quei piatti.
Non la ringraziava a voce, per paura di essere ucciso, la ringraziava col pensiero, con un sorriso, mangiando tutto quello che portava, come per renderla felice.
Si chiedeva spesso chi fosse tanto caritatevole con un americano, si chiedeva spesso chi fosse lo sciocco da tenere in vita un nemico.
E quelle domande, quel giorno, avrebbero avuto risposta.

16 maggio 1974, ora di cena, Billy sentì i soliti passi avanzare lungo il corridoio, gli stessi passi che gli avrebbero portato il suo cibo, o almeno così sperava ogni giorno, pregando sempre di non dover andare a morire da un momento all’altro.
I passi si fermarono davanti alla sua cella.
Sentì un rumore metallico, nervoso, come se fossero.. delle chiavi.
Come se qualcuno stesse cercando la chiave giusta per aprire la sua prigione.
Il cigolio della porta di metallo, fastidioso per le sue orecchie, si fece sentire in quel silenzio tombale; la porta si aprì del tutto, sotto lo sguardo fisso di Billy, che osservava incredulo, le iridi verdi che tremavano, tra paura e agitazione, come se la sua vita stesse per cambiare, stesse per prendere una piega diversa, magari una brutta piega, che l’avrebbe condotto alla morte, alla fine dei suoi giorni.

La persona che aprì la porta si fece avanti con passo deciso, e ritrovarselo lì davanti, gli fece aprire le labbra in un sorriso quasi disperato.
-James!- urlò Billy, cercando di andargli incontro, ma la catena che lo legava al muro, si fece sentire su di lui, procurandogli dolore.
Si sedette per terra, e cominciò a massaggiarsi con una mano, ma con lo sguardo fisso su quell’uomo: i capelli biondi, gli occhi di ghiaccio, il suo fisico allenato, ma ancora una volta, una divisa militare che non gli apparteneva.
James socchiuse la porta, e si avvicinò al giovane White.

-ciao Billy Elliott- lo salutò, inginocchiandosi vicino a lui e appoggiando una mano sulla sua spalla.
Billy non poté far altro che avvicinarlo a sé, abbracciandolo con tutte le forze che aveva dentro.

-James! James io non ci posso credere! Oddio ma sei davvero tu? Tu non sai quanto ti ho cercato! Dove siamo? Perché sono qui dentro? Abbiamo vinto la guerra? Perché cazzo usi questa divisa?!- domandò tutto d’un fiato il giovane, senza lasciare la schiena del caporale.
-sei in salvo, non temere- rispose secco James, accarezzandogli la testa.
-ma dove sono? E perché sono rinchiuso? Sei tu che mi porti da mangiare?- continuò White.
James si limitò ad annuire –sei qui perché così non muori lì fuori- rispose, allontanandosi da quell’abbraccio, e aiutandolo ad alzarsi.
-James? Che succede? Io non ci capisco più niente! Sento spari, bombe, ma che succede?- lo guardava Billy, con viso stranito.

-gli americani ci danno del filo da torcere- sentenziò il caporale, lasciando Billy ancora più perplesso.

-che significa “gli americani” James?!- gli prese il bordo della maglietta della divisa –che cazzo significa questa cazzo di divisa?! Dove cazzo hai messo la tua?!- urlò più forte.
-questa è la mia divisa- concluse James, levandosi di dosso la presa di Billy, che non credeva alle sue parole.
-non.. non.. non giocare con me James. Questa divisa è dei nemici! Tu sei americano James! A-M-E-R-I-C-A-N-O! – urlò ancora il giovane, ricevendo come risposta gli occhi di James rivolti verso il basso, nulla di più.

-da quando hai deciso di voltarci le spalle?- chiese a brucia pelo Billy.
-da quando mi hanno garantito di tornare vivo a casa- rispose freddo James.
-no, io non ci credo cazzo!- sputò Billy –tu non puoi aver accettato una cosa simile cazzo! Quelli lì hanno ucciso e torturato i tuoi uomini! Li hanno massacrati e tu.. tu.. tu ti sei schierato con loro solo perché sei un codardo!!- un colpo di tosse bloccò Billy.

Calò il silenzio tra di loro.
Poi James, cercò di avvicinarsi ai capelli del giovane, per accarezzarlo, ma quest’ultimo, schivò la presa, e fulminandolo sussurrò –io mi fidavo di te- per poi spintonare con rabbia quello che era il suo Caporale.

-tu eri il mio punto di riferimento, tu eri la persona che più stimavo nella mia vita!- sospirò –invece sei solo un traditore-
-Billy.. io..- cercò di dire James, ma il soldato, urlò più forte.
-spero che un americano ti spari in testa! Spero che nessuno ti riconosca e ti lascino qui! A marcire! Perché è quello che ti meriti! Traditore che non sei altro! E io mi sono preoccupato di aiutare tua moglie cazzo! Una donna che non sa che razza di idiota si ritrova come marito!- sbraitò, pieno di rabbia, pieno di delusione, pieno di emozioni troppo vive per lasciarle a tacere.
-che c’entra mia moglie? Che le hai fatto?!- chiese James, spalancando gli occhi.
-ho finto di essere te! Ho finto di essere James Phillips, dicendole che eri vivo, che stavi bene, rassicurandola, ricordandole quel James che pensavo di conoscere! Invece.. tu sei.. tu mi fai schifo-
-non avevi il diritto di farlo White-
-spero che quando, e se tornerai, lei si sia già trovata un altro, uno migliore di te.- sputò, ricevendo uno schiaffo in pieno volto dal Caporale Phillips.

Billy si portò la mano sulla guancia, e guardandolo nuovamente quasi ringhiò –ti odio- , notando un’espressione di tristezza nello sguardo di James, che si girò di scatto, e si avvicinò nuovamente la porta.
Gli lasciò la sua cena, e quasi in un sussurro lo salutò –io ti voglio salvare- per poi andarsene, richiudendolo, e camminando più veloce per il corridoio.
Billy si sedette sul suo misero letto, le mani che tenevano la testa.

Lasciò libero sfogo a un urlo di disperazione, di delusione, che fece rimbombare le pareti.
James Phillips aveva tradito l’America per schierarsi con il peggior nemico che si potesse avere, un nemico primo di umanità, un nemico che si divertiva a torturare i soldati, un nemico che aveva massacrato Andrew e molti altri.
Il battito del cuore di Billy accelerava secondo dopo secondo, le mani tremavano, gli occhi trattenevano lacrime di rabbia, la mascella contratta, l’espressione quasi bestiale.
Si distese per terra, in quel pavimento sudicio, senza motivo, come se non avesse più il controllo del suo corpo, come se quella notizia l’avesse scosso nel profondo.
Nel farlo, notò della carta sotto al suo letto.
Non le aveva mai notate, dato che non si buttava mai per terra, ma ora le vedeva, quelle buste, che per nove mesi non aveva mai visto, e che aveva lasciato marcire su quel pavimento.
Allungò la mano per raccoglierle, e vedere la calligrafia di lei, lo fece sobbalzare: le lettere di Charlie, quelle che Paul gli aveva consegnato prima della sua cattura.

Una lacrima gli solcò il viso.

Prese in considerazione quella più vecchia, quella che Charlie non aveva avuto il coraggio di inviare durante la prima missione di James: scelse di leggere quella, perché sentiva che sarebbe stata la giusta cura per il suo turbamento.
Aprì quella busta, dopo aver riletto quel “post it” scritto sul retro da lei: sorrise nuovamente a rileggerlo, per poi tirar fuori quella lettera di molti anni prima, datata 23 giugno 1961.


“Caro amore mio,

sei partito da troppo tempo, ragione per cui, non scriverò da quanto tempo manchi da casa, da quanto tempo manchi a me.
Qui il sole è ustionante, e io sono al parco.

Mi guardo attorno, è pieno di gente ovunque, e tutti sembrano essere felici.
Guardo il bambino che gioca con la palla rossa, la lancia in aria, la rincorre, inciampa e ride con lei: il suo pallone è la sua felicità.
Guardo la signora anziana che da il biberon al suo nipotino, lo dondola, gli sorride, lo tiene stretto e al sicuro, quasi riesco a vedere i suoi occhi brillare: quel bambino è la sua felicità.
Guardo il ragazzo che si allena con lo skate, lo vedo correre, cadere, rialzarsi, riprovare e alla fine riesce a fare l’acrobazia desiderata: questo momento è la sua felicità.
Non starò qui ad annoiarti descrivendo tutto quello che fanno gli altri.

Mi limiterò a dirti che: io sono l’unica a non avere la mia felicità, il mio James.

Sto qua seduta su questa panchina, e sembra che sia appena uscita dal funerale di qualcuno.
Ho addosso un vestito grigio scuro, i capelli raccolti in una coda mal ridotta, le occhiaie dominano la mia faccia, le mie labbra sono rivolte verso il basso.
Una guancia è appena stata rigata dall’ennesima lacrima, gli occhi mi bruciano ancora dopo l’ennesima notte passata a piangere e a pregare per la tua vita.
L’anno scorso, a quest’ora, stavi facendo i tuoi mesi di servizio militare, e mi dicevi che non avresti mai accettato di andare in guerra per davvero.

E invece dove sei ora James? A rischiare la vita.

E tutto perché? Perché tu vuoi prendere quei soldi per comprare una casa per noi, per farci vivere senza bisogno di aiuti da parte dei nostri genitori.
E io da stupida, ho accettato questa tua decisione.
Ho accettato di lasciarti andare in mezzo alle bombe e agli spari, ho accettato di mandarti a morire per una stupida casa, ho accettato questo senza pensare al rischio che tu corri ogni santo giorno, e tutto per una stupida casa, che sarà vuota, se una pallottola ti prende in pieno.
Complimenti a me, stupida che sono.
Non ho valutato i rischi, non ho valutato nulla, ho solo visto la possibilità di andarmene da casa mia per vivere vicino a te, in una casa tutta nostra, continuando la mia vita da studentessa universitaria, che vive a scrocco del suo fidanzato: un soldato.

Non ho pensato a quanti notti avrei pianto, pregando, implorando Dio di farti vivere, di farti tornare a casa, di non farti mai mancare l’ossigeno per vivere, o il cibo per combattere la fame.
Stupida che sono stata, un’idiota, un’egoista, una che non ti merita neanche un po’.

Voglio che torni Jamie.
Voglio che lasci quel lavoro, voglio che tu torni a casa, non ho bisogno dei tuoi soldi, non ho bisogno di quell’indipendenza, è ancora presto, non abbiamo neanche 19 anni, possiamo vivere ancora così, non abbiamo bisogno di affrettare tutto, io ti amo, e ti amo anche se vivi in un’altra città.
Voglio averti al mio fianco James, voglio saperti vivo, integro, tranquillo, e non con il panico che ti scorre nelle vene ogni due secondi per paura di un attacco a sorpresa.
Torna James.

E lo so che stai pensando: tu sei fedele alla tua patria, non sei un codardo, ti batterai fino all’ultimo, saprai essere l’eroe americano, devoto all’America, umile e coraggioso.

Ma a me non importa nulla della tua devozione alla nostra patria.
Io voglio che tu torni, io voglio che il mio fidanzato sia qui, accanto a me, fedele a me, sono io la tua donna, non l’America, sono io che posso darti tutto l’amore possibile, non l’America, tu non hai bisogno dei suoi soldi, tu hai bisogno di me, hai bisogno di affetto, di sicurezza, di rapporti umani.

Ho bisogno di te James, e questa guerra mi sta già distruggendo, mi sta portando ad odiare il mio stesso paese, perché mi tiene lontana da te.
Voglio vederti qui James, e ora non ho più la forza di scrivere.
Chissà se riuscirò mai a spedirti questa lettera.”


Charlie aveva interrotto così la sua prima lettera, una lettera che non aveva mai inviato a James.

Lacrime amare solcarono le guance del giovane Billy, ancora disteso per terra, con quel foglio appoggiato sul petto.
Singhiozzava, non si fermava, lasciava il suo petto alzarsi a scatti, lasciava che la debolezza lo travolgesse tutto, come se ormai, non avesse più importanza essere forti e virili.
Piangeva per troppe ragioni.

Piangeva per quello che lo circondava, piangeva pensando a chi, in America, stesse aspettando il ritorno di un soldato; piangeva per la madre di Andrew, piangeva per tutte le persone a lui care, immaginava i loro volti, sconvolti, distrutti, gli occhi gonfi, dopo ore passate a piangere, immaginava quel buio sul loro sguardo, divenuto ormai vuoto, senza più speranze, senza più un motivo per guardare il telegiornale, senza più un motivo per affacciarsi alla finestra ed aspettare qualcuno all’inizio della via.

Spostò i suoi pensieri verso casa sua, rivolse un pensiero ai suoi fratelli, a tutti loro: non ricordava neanche le loro voci, e quasi se ne vergognava, pensava ai loro volti, si chiedeva se lo stessero aspettando, se stessero pregando per lui, dato che era stato dato sicuramente per disperso, se non morto.
Pensava a sua madre, la vedeva in ginocchio, sulla panca della piccola chiesa vicino a casa loro: la vedeva, in ginocchio, con in mano la sua collana, quella che Billy le aveva lasciato prima di partire, con dentro la foto di loro due insieme, la vedeva tra le sue mani, e la vedeva bagnata dalle sue lacrime, avvolta dalle sue preghiere per quel figlio tanto giovane, troppo giovane, per essere già scomparso.

I suoi pensieri cambiarono nuovamente luogo, e finirono a Chicago, in quella casa, dove Charlie, aspettava di nuovo James.
Ripensava alle sue parole.
Coraggioso.
Fedele.
Devoto.
Umile.
Eroe.

-lui è un fottuto traditore!- urlò, sbattendo il pugno sul pavimento.

Lacrime di disperazione lo travolsero, era troppo.
Quella notizia aveva spento in lui quella voglia di vivere fino alla fine, James li aveva traditi tutti, senza troppe preoccupazioni, aveva preferito i suoi interessi alla vita dei suoi uomini.
Billy piangeva, l’amaro in bocca dalla delusione.
Non sapeva che pensare, se non quanto lo odiasse, se non quanto del male gli avesse fatto.

-non mi frega un cazzo di stare qui! Voglio uscire! Salvare i miei uomini! Fare quello che tu non fai più!- urlò di nuovo verso la porta, ma nessuno lo sentiva, Billy non esisteva per nessuno, Billy era solo colui che James voleva salvare, e che nessuno conosceva.

Rilesse la lettera di Charlie, e al leggere di nuovo quegli aggettivi, la strappò.
La strappò con rabbia, fregandosene di tutto, la strappò e la lanciò in aria.
I pezzettini caddero a terra.
Uno solo, ricadde più vicino al soldato.
Billy si alzò in piedi, e si buttò sul letto, cercando di calmarsi, cercando di dormire.
Non si rese conto però, di quel pezzetto di carta, più vicino a lui.
Sbagliò a non leggerlo.
Quell’aggettivo, quella parola, che era rimasta integra, vicino a lui, sarebbe stata parte del suo destino.
Ma Billy ancora non lo sapeva.
Eroe.
 

 


Note di Nanek
Questo capitolo è in mega ritardo, ed è soprattutto, molto cattivo: il nostro Billy ha ormai un esaurimento nervoso, a forza di stare segregato, e anche per colpa della batosta da parte di James.
James, cosa ci combini insomma, la delusione è davvero tanta, non so che pensare.
La nostra Charlie, si rivela sempre molto tenera.
E la parola “Eroe”? chissà che vuol dire insomma =)
Oltre a ringraziare le solite due carissime
Malika e Tomma, che adoro, e che continuano a spronarmi a continuare questa storia, un grande grazie va anche a Mrs_Moony che ha messo questa storia tra le ricordate =)
Spero di riuscire a postare presto, ormai siamo alle ultime care lettrici =) manca davvero poco poco, e ne succederanno di tutti i colori =)
A presto =) vi adoro tutte =)
Nanek

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Nanek