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Autore: Friedrike    14/05/2013    1 recensioni
Ludwig Beilschmidt e Felicia Vargas (rispettivamente Germania e Fem!Italia del Nord), in un contesto AU, quello della Seconda Guerra Mondiale. Non più Nazioni, bensì un uomo ed una donna che s'innamorano l'uno dell'altra. Si conoscono ad un ballo in Italia ed è subito amore. Ma la guerra li separa e quando il soldato della Wehramcht ritornerà dal fronte niente sarà più come prima.
Genere: Angst, Fluff, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Nuovo personaggio, Sud Italia/Lovino Vargas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dovunque sarai, ti amerò per sempre.'
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Un altro pomeriggio di giugno. 
Fa tanto caldo, anche il bebè se ne lamenta, disteso nella sua culletta in legno con la copertina celeste. Gli occhi verdi vagano qui e là ridenti e le manine tentano di afferrare lo zio che lo guarda da lassù con un piccolo sorriso nervoso. Gli carezza forzato la guancia. Si china su di lui e gli da un piccolo bacio sulla fronte. 
-Fai il bravo- gli sussurra. -E se mi accadesse qualcosa, proteggi la mamma, intesi?- domanda retorico. Con un piccolo sospiro, si allontana.
Sistema i suoi vestiti, il cappello sul capo, la sigaretta tra le labbra, la pistola nascosta dietro la giacca, affibbiata al cinturone.
Prima che qualcuno possa fermarlo, esce di casa richiudendosi la porta alle spalle, lì, nel cortile, Aldo che lo attende. 
-Compagno- lo saluta l'altro. Lui ricambia con un cenno del capo.
Iniziano a passeggiare ed arrivano in campagna circa un'ora e mezza dopo.
Hanno bisogno di munizioni perché Mussolini se ne vada dal loro paese, con una corda attorno al collo. Hanno brutte intenzioni nei suoi confronti, un'umiliazione pubblica scoraggerà di certo tentativi simili di golpe. 
Prima di arrivare in campagna, però, alcune camice nere li fermano. Gli fanno un paio di domande. 
-Perché non sei a servire il tuo paese?- chiede uno di questi, imbracciando per bene il suo fucile.
-Non sono in grado di farlo- risponde pacato Romano, che tuttavia si sente scoppiare dentro.
Vorrebbe dargli un pugno, atterrarlo, pestarlo a sangue. 
E ha paura, come sempre, di essere scoperto. Non ha paura della morte, ma piuttosto del dolore fisico e di tutto ciò che potrebbe perdersi nel caso lasciasse le penne durante una missione. Se lo scoprissero, lo impiccherebbero immediatamente, o si ritroverebbe una pallottola conficcata nella fronte. 
Tira fuori dalla giacca un certificato medico contraffatto. Un loro amico non se l'è sentita di fare il partigiano, aveva ed ha troppa paura, così ha continuato a studiare medicina. Sta per laurearsi; è stato lui a fare quel certificato. 
Aldo, con quelle certe sue occhiatacce, minaccia di far saltar in aria tutto il piano. Li odia così tanto, i fascisti, che se rimanesse solo qualche momento da solo con uno di loro...
Anche la sua scusa regge ed dopo lunghissimi dieci minuti possono andare via. 
Fanno appena pochi passi quando quell'uomo col quale hanno appena parlato esclama: -Romano Vargas.- 
Il ragazzo chiude gli occhi. Lentamente, si gira. 
Quello, con un sorriso beffardo, sventola il certificato per aria. -Dimentichi questo.- 
Trattenendo un sospiro di sollievo, lui va a riprenderlo, dopodiché si congedano e a passi decisamente non veloci per non destar sospetti si allontanano. Quando possono, iniziano a correre.
Giunti in campagna, nel punto di ritrovo, si appoggiano a dei tronchi d'albero per riprendere fiato, piegandosi un poco sulle ginocchia il rosso, l'altro sprofondando a sedersi, la nuca contro la corteccia.
Ettore, Silvano, Francesco e Giuseppe si avvicinano a loro. 
-In ritardo- commenta il più piccolo con uno sguardo di disapprovazione. 
Roma lo fulmina con lo sguardo e gli da uno scappellotto. 
Non vuole davvero male al ragazzino, tuttavia lo infastidisce alquanto il momento in cui quello "fa l'adulto", perché non lo è, anzi. 
Giuseppe gli porge un mano, lui l'afferra e si alza.  Dopodiché, tutti gli altri, s'infilano in un casolare abbandonato pure da Dio, in mezzo alla vegetazione incolta, pieno di topi ed insetti. Ma a loro non importa. E' un posto sicuro e di certo hanno più paura di un soldato italiano o straniero che di un ratto. 
Stanno studiando delle carte, quando Silvano sente dei rumori. Sta parlando lui, indicando qualcosa su una specie di mappa stilizzata, così si interrompe. Gli altri gli chiedono cosa ci sia che non vada, lui risponde un -Nulla- e continua il suo discorso. 
-Dunque, qui ci sono sempre due o tre soldati; montano un turno di tre ore. Se li attacchiamo alle nove, abbiamo tempo fino a mezzanotte. Ma se tardiamo, è meglio rimandare. Non avremo abbastanza tempo e se ci scoprono le altre guardie, è un casino.- 
I partigiani annuiscono svelti, ognuno elaborando un piano diverso.
Le guardie a cui si è riferito il ragazzo con i capelli neri, sono fasciste, stanno a controllare uno degli uffici che vi sono dentro la stazione. Hanno motivo di credere che lì dentro ci siano informazioni importanti, perché altrimenti non vi sarebbe tutto questo controllo. Vogliono scoprirne di più.
Sta per parlare Ettore, quando un rumore li fa sobbalzare tutti e sei. 
Afferrano svelti le loro pistole ed i loro fucili, puntando in direzione della porta, tutti attentissimi, le dita sui grilletti. Segue un lunghissimo minuto di silenzio, la tensione è palpabile. E Francesco, povero caro, ci mette un po' a recepire il messaggio e si unisce agli altri per mirare soltanto dopo svariati secondi. 
Non ha ancora recepito per bene le tecniche del gruppo. Avrà il tempo di imparare a farlo?
Eppure la minaccia non è così grave.
Dal muro spunta un piede femminile dalla carnagione molto chiara, subito dopo s'intravede la caviglia e  la gonna ed infine la vita, il seno ed il viso. 
Un viso dai tratti ancora morbidi appena uscito dall'età della fanciullezza, i capelli castano scuro ricadono sulle spalle della ragazza, le labbra rosse formano un largo sorriso ilare, gli occhi ridono. 
-...Salve- saluta lei. 
Tutti quanti i maschietti, sospirano pesantemente sollevati. 
Romano bestemmia. Abbassa l'arma e porta all'indietro la nuca, socchiudendo gli occhi. -Gesù Iddio, ti ritroverai morta per uno di questi stupidi scherzetti, un giorno o un altro- le dice. 
Lei se la ride. 
-Avete avuto paura?- domanda con tono canzonatore. -Mi avreste sparato?- 
-Te lo ficcherei in un certo posto, questo fucile- borbotta il quindicenne, riponendo il fucile che dopotutto ancora non sa usare. 
-Io le ficcherei un'altra cosa- borbotta Aldo, senza pudore. Gli altri ridono.
Simonetta si avvicina a loro, in special modo a Romano, che guarda con la coda dell'occhio maliziosa. Avvicina le labbra alle sue senza sfirarle nemmeno e per un momento al ragazzo pare voglia un bacio, ma ecco che lei gli sventola davanti l'accendino ed una sigaretta, che gli ha appena rubato.
Se l'accende e si siede sul tavolo, dondolando un poco le gambe. Prende tra le mani una delle mappe poste sulla superficie in legno, lasciando pure che le scarpe le cadino dai piedi sottili. 
La studia svelta. E' una ragazza molto intelligente, è un miracolo averla nella compagnia.
Subito capisce le intenzioni e con una mezza domanda intuisce di aver interpretato il tutto in maniera corretta. 
-Li distraggo io- mormora, allontanando la sigaretta dalle labbra. 
Danno al piano gli ultimi ritocchi, dopodiché decidono che è meglio tornare in città.
Sentono però degli altri rumori. 
-Simonetta, guarda che non è divertente- esclama ad alta voce Ettore. 
Ma lei stavolta non ha colpa.
Roma suggerisce a tutti gli altri di nascondersi svelti dietro un muro e di portare con loro quelle carte, dopodiché le toglie la sigaretta dalla bocca e la bacia, infilando una mano sotto la sua gonna, appoggiandola sulla coscia, l'altra sotto la camicetta, sulla schiena. 
Le mani di lei sono affondate tra i suoi capelli, svelta ricambia il bacio. 
Quei rumori non si avvicinano ma neppure allontanano. La ragazza, allora, gli sbottona i pantaloni ed inizia ad emettere piccoli gemiti, tirando su la gonna.
Da una finestra senza vetri né tende, spunta il volto di un vecchietto con la barba folta malcurata, che sgrana gli occhi vedendoli. Quei due continuano, e lui divenendo paonazzo si affretta ad allontanarsi. 
Francesco non riesce a staccare gli occhi dal lembo di pelle che Romano scopre quando le sfila la camicetta. Il quarantenne gli molla uno scappellotto, dopodiché escono fuori tutti quanti. 
-Fingi che è una meraviglia- esclama Aldo rivolto alla ragazza, che, sebbene sia passato il momento di pericolo, è ancora avvinghiata al giovane partigiano. -Mi chiedo se tu finga anche quando Roma ti scopa per davvero.-
L'altro, chiamato in causa, gli risponde malamente con un gestaccio, staccandosi da quelle labbra.
Silvano, si passa una mano tra i capelli scocciato ed accenna col mento alla porta. -Noi andiamo via. Voi che dovete fare?- 
-Rimaniamo un altro po'.- 
Ettore, Silvano, Giuseppe ed Aldo vanno via, trascinando con loro il più piccolo. 
Rimasti soli, Romano riprende a baciare Simonetta, su quello stesso tavolo. 
Francesco rimane in silenzio a lungo. Sentendo nuovi gemiti, si volta verso la baracca abbandonata ma incontra ben presto la mano di Giuseppe che gli impedisce la vista. 
-Lasciali un po' in pace- gli dice guardando davanti a sé.
-... Ma che stanno combinando?- chiede e si ritrova tutti gli occhi addosso, tutti sono stupiti e si sono istintivamente fermati. 
-Tu sai come...?- lascia intendere Aldo. 
Silvano scuote la testa con un sorriso divertito.
Il ragazzino diventa prima rosso in viso, poi viola. -C-certo! E' che io non ho mai...- e non conclude la frase. 
I quattro adulti si lanciano un'occhiata complice. 
Giuseppe riprende a camminare congiungendo le mani dietro la nuca. -Il casino è ancora aperto?- domanda ad alta voce. Gli altri annuiscono.
-Credo tarderemo un po', stasera.- 
 
 
Ed il casino è effettivamente aperto.
Quando giungono, al pomeriggio inoltrato, trovano alcune ragazze appoggiate alle finestre. Hanno gonne strette ed aderenti, corte fin poco sopra il ginocchio, camicette scollate, e vari gioielli: bracciali, orecchini, collane. Le calze sono rigorosamente a rete ed i tacchi abbastanza alti rispetto quelli delle altre donne. Ed il trucco è abbastanza pesante. Rossetto rosso intenso, eyeliner nero che ridisegna la forma dei loro occhi, mascara che da alle ciglia volume.
Li salutano con fin troppo calore, pronte ad accogliere le ennesime pretese di quello che è il mestiere più vecchio del mondo. 
Aldo s'intrattiene un momento con una giovane donna, scambiando con lei qualche parola, la quale chiama -Agostina!- ed un ragazza di diciassette o diciotto anni si avvicina. Ha i capelli mossi castano chiaro e gli occhi verdi, la carnagione olivastra. Prende Francesco per la mano e lo trascina in una stanzetta appartata. Lui arrossisce di nuovo. Quello che succede dopo, lo sanno soltanto loro due. 
Anche gli altri si danno da fare, hanno tutti bisogno di allentare un poco la tensione, dopotutto.
Quando il comunista esce da una saletta, si sistema la camicia per bene, decisamente soddisfatto. Ha del rossetto sul collo e sul petto, ma non si preoccupa di nasconderlo. Si volta verso Giuseppe, ché lo vede spuntar subito dopo di lui. Si fanno portare qualcosa da bere e brindano, entrambi con un'espressione idiota sul volto.
-Non è giusto, che Roma non debba mai pagare per fare l'amore- borbotta il diciassettenne.
Aldo scrolla appena le spalle. -Poco male, per lui. Ha Simonetta.- 
La giovane partigiana, sebbene ammicchi e faccia l'occhiolino a più di un ragazzo, si è concessa soltanto a Romano, nel gruppo, anche se lui non è stato il primo ed unico con cui lo ha fatto. 
Forse si è lasciata andare perché quel ragazzo lo affascina più di tutti. Ma sarebbe assurdo parlare d'amore. 
Escono tutti quanti, eccetto Silvano e Francesco. 
Quando il minore esce fuori, lo fa stando davanti l'accompagnatrice che lo aveva trascinato lì dentro, la quale, tutta spettinata, cerca disperatamente di mettersi in ordine quei pochi vestiti che ha. Il ragazzino ha un enorme sorriso.
Quando Giuseppe fa per pagarla, lei scuote la testa.
-No. E' stato troppo bravo, mi rifiuto di prendere quei soldi- e facendo l'occhiolino al giovane, con la speranza di rivederlo, si allontana. 
Gli altri partigiani si guardano tra loro stupiti, spalancando gli occhi. Li raggiunge anche Silvano. Gli raccontano la scena, lui pare sorpresissimo.
Escono da lì parlando concitati vicino al quindicenne, il quale non è intenzionato minimamente a rispodere alle loro domande. 
D'un tratto, Giuseppe, suo protettore,  si mette davanti a lui. 
-Insomma, Francé: ci vuoi dire come cazzo hai fatto?- esclama, guardandolo negli occhi. 
Gli altri annuiscono. Ettore, il più grande, si sta divertendo un mondo per quella faccenda. Il comunista si appunta di raccontare tutto a Romano, quando lo vedrà. 
-No- risponde netto Francesco. Li saluta e si addentra in una traversa, intraprendendo la strada di casa. 
I quattro si guardano, dannatamente curiosi. 
 
Simonetta si accoccola al petto del suo amante, la camicia di lui le copre le sue parti più intime. Guarda la luna, al di fuori di una finestra. Si chiede cosa ci sai lassù per loro, ad aspettarli. 
Romano ha le braccia congiunte dietro la nuca, come a far da cuscino, guarda il soffitto. 
Sono distesi per terra.
-Mi piacerebbe farlo in qualcosa di non abbandonato, la prossima volta- dichiara lei di punto in bianco, puntando lo sguardo sul suo. 
-Non sai fare altro che  lamentarti- le dice il ragazzo. Si rialza ed inizia piano piano a vestirsi. 
Abbottona i pantaloni, allaccia la cintura, rivolgendole le spalle. 
La ragazza si mette seduta osservandolo, con una mano regge la camicia bianca di lui su di sé ed osserva la sua schiena, scendendo poi con gli occhi per fermarsi al suo sedere. 
Roma si volta e tende la mano verso di lei.
Simonetta, riluttante, allontana il capo d'abbigliamento rivelando ancora una volta il suo corpo nudo. Lo guarda infilarsi la camicia, per cui fa altrettanto con la propria, dopo mette la gonna. A piedi scalzi, gli si avvicina.  Lo guarda negli occhi.
Alla loro destra, una finestra quadrata senza più nulla che le conferisca il nome per il quale è stata creata, nessun residuo di vetro o di plastica, da essa però si intravede uno squarcio di cielo e la luna; alla loro destra sinistra un insieme di mattoni che forma una parete, dei piatti rotti su una mensola, un comò vuoto ed un tavolo. Sembra la residenza lasciata da chi è fuggito in fretta. 
Romano ricambia quello sguardo. 
La sente mormorare a fior di labbra qualche parola, così lo distoglie perché non vuole rispondere. 
-Ne abbiamo già parlato- le dice. Afferra la giacca e mette il cappello sulla nuca. Non ci sono più pistole lì, le hanno fatte sparire solo loro sanno dove.  
-Lo so. Pensavo che qualcosa potesse cambiare- risponde lei portando una ciocca di capelli non troppo lunga dietro l'orecchio.
-Ci siamo fatti una promessa. Solo sesso. Nessun coinvolgimento emotivo.-
La verità è che lei si sta poco a poco innamorando di lui.
Lui, però, rinnega tutto. 
Il primo bacio se lo sono dati esattamente come quel pomeriggio, per caso, per mette in atto un'altra scenetta. Quella volta non hanno sentito nulla.
La scena si è ripetuta più volte. Alla sesta, in circostanze un po' particolari, è scattato qualcosa che nel cuore di lei stava già nascendo. 
La ragazza si passa una mano tra i capelli, allontanandolo così dal viso. Gli rivolge le spalle, singhiozzando un poco.
-Questa storia mi sta uccidendo. Non ce la faccio più.-
Si volta di scatto, stringendo i pugni. La voce è rotta, ma non ci sono lacrime sul suo viso. 
Romano l'ha vista moltissime volte in quella condizione, in tutte lei fingeva. Supponendo lo stia facendo anche adesso, rotea lo sguardo.
-I tuoi melodrammi mi annoiano- le dice.
Senza farle nessun cenno di saluto, fa dietrofront.
E forse lei scherzava davvero, perché appena lui fa qualche passo fuori dalla porta, si mette a ridacchiare, ma nervosamente.
Lo amerà per davvero o starà solo fingendo? 
 
 
 
 
 
 
 
  
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