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Autore: Shay Syd Wright    15/05/2013    0 recensioni
Per un attimo fisso il cielo mantenendo un’espressione fiera.
Sorrise.
E sorrise ancora.
Finché quella smorfia non si trasformo in una risata sprezzante che squarciò il tempo, disperata, roca e straziante.
Potevo udirvi tutta la nostalgia di questo mondo come un’eco sottile, che si trasformò improvvisamente in un ‘amara consapevolezza.
Era questo il prezzo del dolore ?
Si finisce sempre così scherniti da una forza sconosciuta ?
E’ questo il prezzo dello sfuggire al tempo ?
Troppi. Troppi. Troppi interrogativi. Troppa confusione.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 STANDING STILL

 

           
                                                                                                           

 

La lieve brezza autunnale accarezzava i miei capelli e il turbinio della foglie degli alberi lungo il viale creava una sorta di danza armoniosa , tingendo i miei pensieri di giallo , rosso e verde, nulla era immobile, al pari col mio respiro tutto sembrava irrimediabilmente mutare.
Affrettai il passo , lanciando un rapido sguardo all’orologio da polso.
L’inclinazione sbilenca delle lancette e lo scorrere sfacciato dei secondi mi schernivano, rimproverando, come sempre , la mia negligenza .
Pochi minuti dopo riuscii finalmente ad intravedere , con un sospiro di sollievo , la facciata  dell’edificio ferroviario , che in quel periodo  da semplice luogo di passaggio era divenuto  per me una sorta di seconda  abitazione.
Nulla era incomparabile alla straordinaria sensazione del marmo lisco del pavimento come letto e gli occasionali dizionari di lingue come cuscino .
A causa della mia riprovevole abitudine di sprecare tempo prezioso ,avevo avuto modo di perfezionare l’arte dell’arrangiarsi e di conseguenza,  improvvisare era divenuta  la mia specialità  :una di quelle abilità che si apprendono per pura necessità.
Ero abituata a pensare a quei luoghi come entità immutabili , oggetti fermi nel tempo , spettatori dello scorrere frenetico della vita ma irrimediabilmente bloccati, come fermi nel tempo , e straordinariamente simili, infatti, pur essendo per me solo l’ennesimo luogo  di passaggio non mi pareva diverso da quelli già visti  e  ne conservavo già una concezione abbastanza personale.
Ovviamente però le cose non potevano continuare sempre allo stesso modo: tutto era in balia del tempo e delle sue azioni capricciose , e noi che inutilmente ci affanniamo per cercare di strappare un briciolo di razionalità  da quella che ci è stato propinato come una sorta vi verità assoluta, un concetto alquanto sbagliato.
Ma siamo veramente certi che tutto sia così calcolabile?
E’ possibile sfuggire al tempo ?
Non è forse vero che la nostra  prigionia sia dettata dalla consapevolezza , o che al contrario sia inevitabilmente questa a regalarci la libertà staccandoci dalla consuetudine?
 
Sta di fatto che il freddo del mattino penetrava la mia pelle con miliardi di piccoli aghi assalitori,mentre aspettavo – zaino in spalla – il treno delle 6 e 28  di una comunissima  giornata di novembre.
Ma non è forse vero che dalla combinazione misteriosa di piccoli dettagli banali possa nascere qualcosa si terribilmente significativo e memorabile, e che forse senza delle determinate condizioni stabili una persona possa notare qualcosa che non lo lascerà indifferente, o che molto probabilmente  tutto questo dipende dalla sorda volontà d’indagine?
 
Non ho la più pallida idea di quale fosse la mia condizione o il mio umore in quel momento, difficile ricordare qualcosa di tanto banale dopo un avvenimento  del genere ,  faticoso anche ricordare o provare ad analizzare , dare un senso qualcosa che propriamente sfugge dalla normale  accezione di logica.
Mi soffiai distrattamente sulle mani , cercando di donare un minimo di tepore alle mie dita indolenzite : fu in quel momento che le mia attenzione rimase incatenata  ad una figura poco distante e piccole scintille di curiosità spinsero il mio animo , già di per se curioso, ad indagare.
Era alto , sembra stesse perennemente incurvato con le spalle , ma con il mento stranamente sollevato, come se la sua gola fosse legala ad un cappio  , il suo sguardo vagava stralunato e indagatore verso l’alto , come se pretendesse ,in una muta protesta di ostinazione di riuscire a svelare i misteri  del cielo, reclamando una risposta.
Indossava un pullover grigio e dei calzoni gessati e tutto il suo aspetto andava a suggerire qualcosa di quasi … sbagliato ,  d’altri tempo , come se la sua semplice presenza fosse un fatto straordinario , ma troppo sottile per essere notato da occhi frenetici , qualcosa di ingombrante  al di fuori del caos del mondo.
 Come se   Dio fosse stato troppo compassionevole o poco egoista a lasciare quella creatura senza un ‘ubicazione precisa.
L’aspetto  era però l’ultima delle caratteriste che saltavano all’occhio , la sua andatura era qualcosa di  terribilmente particolare:  camminava facendo piccoli passi , percorrendo lo stesso scoordinato percorso in cerchio che sembrava aumentare di  raggio ad intervalli di pochi minuti ,  in sincronia con  gli sguardi assorti lanciati all’orologio da polso.
Sembrava che stringesse nella mani qualcosa di piccolo e luccicante sembrava per lui qualcosa di molto prezioso, ma per la lontananza e la mia debilitante miopia non riuscii a distinguere altro che un tenue luccichio dorato.
Sembrava totalmente estraneo al mondo esterno.
Il vociare dell’altoparlante annunciò l’ennesimo ritardo  - la puntualità è un concetto estremamente relativo al giorno d’oggi. Sconfortata rimasi a fissare quello strano individuo per un lasso di tempo che squarciò completamente la mia percezione della realtà e mi portò ad elaborare diverse  teorie
Il suo ritmo scomposto e cadenzato scandiva unità infinitesimali : passo , sguardo, oro , passo , sguardo, cielo …
Ogni tanto la presa sulla mano destra sembrava allentarsi , o forse era la mia mente a desiderare un cambiamento :  erano passate le 6 e 48, il binario Numero Sette  era deserto  a parte me , il capostazione  che vigilava silenzioso  al caldo della cabina  non troppo vicino per essere  realmente coinvolto , né troppo lontano per sorvegliare e qualche stanco viaggiatore occasionale che aveva abbandonato le membra stanche  sulle panchine.
Affilando lo sguardo mi puntellai sui piedi e stendendo il collo presi ad osservare la situazione ad una distanza di sicurezza  : lo strano individuo  aveva interrotto il suo ciclo.
  Raddrizzando la schiena il suo portamento  suggeriva qualcosa di abbastanza formale , e come un ingranaggio a molla  i suoi piedi si mossero veloci verso un punto definito alle sue spalle.  Nello sguardo   risplendeva qualcosa di  assurdamente vivo , ma spaventoso, come se quel corpo fosse stavo improvvisamente invasato  di qualcosa aldilà della semplice lucidità , qualcosa che somigliava sempre di più ad un’ingenua follia.
Si avvicinò agilmente a una di quelle vecchie cabine telefoniche a gettoni , un oggetto che era stato ormai soppiantato dai telefoni cellulari , più veloci e pratici .
C’era una strana storia che legava la mia memoria a quelle cabine , un qualcosa che se non per osmosi mi era impossibile conoscere : quegli oggetti  che erano stati l’unica fonte di conforto e serenità , che avevano  sollevato gli animi di centinaio di giovani   durante la guerra  ora venivano lasciati andare via insieme ai ricordi, come tante barche di carta che affondano sulle superficie di una nuova consapevolezza.
Ricordai che  per colei che mi aveva reso partecipe di quei ricordi , era come rivivere quegli anni vissuti che  in me erano stai assorbiti  di riflesso  , in simbiosi con la maschera di durezza che cedeva innanzi alla volontà di non dimenticare a costo di  rivivere tutto  il dolore di questo mondo.
Era una cosa  a cui mai avrei creduto di riassistere.
Probabilmente se non fosse stato per quelle semplici reminiscenze la scena mi sarebbe sembrata del tutto incomprensibile.
 
Il vecchio dai capelli bianchi rimase per un attimo che sembrò interminabile- una maschera di impagabile esaltazione ed euforia quasi infantile- la cabina.
Alzò una mano esitante, rivelando con un mio sospiro  di gioia, l’oggetto che vi era custodito come un tesoro insostituibile.
Diresse la moneta verso quella che era stata la bocca della cabina , ormai sigillato dal tempo e dal nastro adesivo e un lampo gli attraverso il volto. Iniziò ad annaspare , come un disperato in cerca d’aria.
Non so dire esattamente cosa sia stato a farlo scattare, se quello a cui stavo assistendo fosse un evento raro dettato dalla casistica oppure qualcosa di assolutamente ripetitivo  ma improvvisamente  la sua espressione cambiò , si fece vacua , una muta e questa volta reale intuizione si fece strada  fra i suoi pensieri ,  potevo quasi sentirla sgraffiare contro le porte  dell’oblio.
Per un attimo fisso il cielo mantenendo un’espressione fiera.
Sorrise.
E sorrise ancora.
Finché quella smorfia non si trasformo in una risata sprezzante che squarciò il tempo, disperata, roca e straziante.                                                                                                                                                 
Potevo udirvi  tutta la nostalgia di questo mondo come un’eco sottile, che si trasformò improvvisamente  in un ‘amara consapevolezza.
Si voltò , molto lentamente, e  nell’attimo infinitesimale in cui i suoi occhi si incatenarono ai miei,  avvertii un dolore palpabile, una miriade si piccoli aghi avvelenati lentamente mi trapassavano in un brivido le membra, non lasciando un briciolo di coscienza salva.
Apri lentamente la mano destra.
Un tintinnio freddo sul pavimento.
Poi vi fu il silenzio.
 
Non so quando temo trascorse realmente,  tutto era alterato , non  so se si fosse trattato di anni , o se tutto questo fosse durato solo una manciata di secondi: la verità era che razionalizzare tutto mi appariva troppo semplice.
 
Allo stesso modo con cui era iniziato il vecchio si ricompose, esattamente come si ricompone una marionetta a cui  vengono riavvolti i fili: stessa posizione iniziale, sguardo al cielo, espressione vacua, spirito pressoché assente.
 
Il freddo mattutino si trasformò sulla mia pelle in una sorta di spiacevole tepore .
 Ero certa di aver assistito a qualcosa di assurdo, ma allo stesso tempo   incredibilmente comune , ,qualcosa che sfugge a chi  annaspa di continuo, arranca nella ricerca e dimentica le motivazioni , qualcosa al culmine dell’ordinaria spossatezza ,  della follia che faceva sembrare il tutto  così terribilmente reale  da lasciarmi sconvolta , quasi sofferente.
Di una sola cosa era certa: quell’uomo era decisamente fuori dal tempo, una sorta di digressione naturale per volere del tempo stesso ,  condannato a ripetere sempre le stesse azioni , al limite della malcelata inconsapevolezza.
 
Lontano dallo sguardo del mondo , rifugiato in un cantuccio, bloccato nell’inespressività del nulla.
In balia degli eventi , alla soglia dell’inferno.
La sua era una tortura ancora peggiore, alternata al attimi di lucidità , una scherzo fin troppo comune ma pur sempre crudele.
La cosa peggiore era anche il fatto di non avere una corpo imputabile !
Cosa avrei dovuto fare, rivoltarmi contro un’astrazione ? Qualcosa che distrugge, illude,  ma pur sempre non colpevolizzabile.
E non è un po’ la situazione un cui ci troviamo tutti , l’unica differenza è che a molti non è concessa nemmeno la speranza della consapevolezza.
 
Era il destino di chi riemerge solo per sprofondare senza alcuna ancora di salvezza, agognando per brevi attimi  la verità.
Era questo il prezzo del dolore ?
Si finisce sempre così scherniti da una forza sconosciuta ?
E’ questo il prezzo dello sfuggire al tempo ?
 
Troppi. Troppi. Troppi interrogativi. Troppa confusione.
 
Il fischio del treno in arrivo mi riportò bruscamente alla realtà , una realtà che non era più mia e che  avrei dovuto ricreare.
Lentamente avanzai verso l’uomo  e raccolsi dal pavimento il simbolo di quella prigione, ingannevole , ma indispensabile.
Mi avvicinai all’uomo.
Lo osservai , lui mi fissò emanava un’aura altera. Mi accorsi che fissava un punto al di là di me e delle mie possibilità di capire , lontano dal cielo,  più a fondo delle notte .
Allungai una mano e la richiusi sulla sua restituendogli la moneta d’ oro e così l’idillio.
Lui mi fissò , questa volta  volli credere che fosse reale,  gli occhi umidi e le labbra schiuse , si voltò e riprese la sua lotta nel limbo.
 
Era possibile sperare ?
O siamo tutti determinati a perderci nell’insofferenza?

Mille domande mi squassavano l’animo , ma nessuna risposta mi venne concessa .
 
 
 
 
 

  
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