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Autore: ChildrenOfTheBarricade    16/05/2013    3 recensioni
Parigi, Modern AU
Tra chi non sa chi è, chi non sa cosa vuole e chi non sa come ottenerlo. Tra non riesce a far pace col passato, chi fatica a fermarsi a vivere il presente e chi non riesce a prospettarsi un futuro. Tra i Les Amis, l'Università, e le domande senza risposta.
- E/R- Eponine/Combeferre -Courfeyrac/Jehan -Joly/Musichetta/Bossuet -Marius/Cosette
(Per la serie "le storie non finiscono mai com'erano iniziate" : iniziata come raccolta di shot)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Enjolras, Eponine, Grantaire, Marius Pontmercy
Note: AU, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3. Courfeyrac/Jehan


E valeva lo stesso per i suoi occhi: erano dannatamente verdi o dannatamente azzurri?


Non era che Courfeyrac avesse qualche tipo di pregiudizio. Insomma, era piuttosto convinto di saper riconoscere il valore di tutto e tutti, sorrideva a chi incontrava indistintamente, ed aveva sempre una parola gentile per chi si rivolgeva a lui.
Eppure non poteva proprio fermare il senso di fastidio e delusione che gli si era formato nel petto quando aveva saputo che avrebbe diviso la stanza con uno studente di Lettere. Lettere, accidenti! Perché proprio Lettere? Perché non Medicina, o Giurisprudenza, o Scienze Cognitive, o Ingegneria Gestionale, o Filosofia delle merendine?
Avrebbe preferito qualunque cosa ad un esaltato che senza ombra di dubbio si sarebbe aggirato scalzo per la stanza, storcendo il naso ogni volta che avrebbe sentito qualche imprecisione grammaticale uscire dalle sue labbra e che avrebbe parlato solo con citazioni di illustrissimi poeti morti, sepolti e dimenticati dal 85% della popolazione mondiale. Ma non dagli studenti di Lettere, ovviamente.
 
Courfeyrac sospirò. Ormai erano venti minuti buoni che girava per l'ateneo con l'unico scopo di rimandare il suo incontro; probabilmente, ad occhi esterni, appariva come una matricola sperduta. Tirò fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni, in modo da sembrare più indaffarato di quanto non fosse in realtà. Sullo schermo illuminato apparvero un messaggio da Combeferre e ben quattro da Joly, in ordine di preoccupazione crescente. Si appoggiò al muro con un piccolo sorriso e li lesse.
"Hey amico, hai finito di sistemare la tua roba? Io sono nella 101a, fai un salto qui quando puoi. -Ferre"
"Courf, non ti ho ancora visto! Sei arrivato? Hai fatto buon viaggio? -Joly"
"Dopo ci sei anche tu in stanza di 'Ferre? P.S. ci hanno dato una stanza tremendamente esposta al sole, secondo te posso farmela cambiare? -Joly"
"Hey perché non rispondi? Hai perso il telefono? Non è che stai male eh! -Joly"
"COUUUUUURF!!"
Il suo sorriso si ampliò, mentre digitava un paio di risposte per dare conferma al primo e rassicurare (nei limiti del possibile) il secondo. Stava riponendo il telefono quando la sua attenzione venne attirata da un foglio svolazzante, caduto dalle braccia stracolme di libri di uno studente appena passato davanti a lui. 
"Hey! Hey, ti è caduto questo!" lo chiamò, mentre raccoglieva il foglio. Il ragazzo in questione era un tipo esile, con viso gentile incorniciato da capelli piuttosto lunghi, ma Courfeyrac non avrebbe saputo dire se si trattasse di una scelta di stile o se fossero semplicemente fuori taglio. 
"Oh, accidenti! Grazie!" gli rispose il ragazzo con aria smarrita mentre Courfeyrac incastrava tra i libri dell'altro quello che aveva visto essere l'orario delle lezioni della facoltà di Lettere. Evidentemente quei tipi lo perseguitavano, oppure il destino ce l'aveva con lui.
Guardò il ragazzo allontanarsi, ondeggiando sotto il peso dei volumi, e sospirò. Si stava comportando come un bambino, ed era il momento di smetterla. Avrebbe portato la sua roba in stanza, si sarebbe cordialmente presentato a qualunque mezzo poeta snob che avrebbe incontrato e poi sarebbe andato a lamentarsi da 'Ferre. Decisione presa, non si discuteva.
...prima però poteva concedersi un caffè.
 
Il bar dell'università era strapieno quel pomeriggio. O meglio, era sempre strapieno , ma ora il chiacchericcio agitato degli studenti appena rientrati dalle vacanze faceva sembrare quel posto ancora più affollato del solito. Dopo essersi fatto intrepidamente strada fra sedie e tavolini di plastica, ed aver salutato almeno una decina di persone (tra le quali cinque di cui non serbava alcun ricordo), il suo bisogno di caffeina era raddoppiato.
Ordinò, sorridendo gentilmente alla ragazza del bar che ricambiò con dolcezza, anche se nei suoi occhi persisteva una sfumatura di tristezza che Courfeyrac non ricordava di aver mai visto svanire. A lui quella ragazza piaceva, gli dava l'idea di una tipa forte e con la testa sulle spalle, una di quelle che vanno dritte per la loro strada senza aver bisogno del supporto di nessuno. Di certo non era una romantica sognatrice sospirante come quelli di Lettere.
 
Alla fine, nonostante tutti i disperati tentativi di prolungare la sua pausa caffè oltre l'immaginabile, Courfeyrac si trovava davanti alla porta della 74a, pronto ad affrontare qualsiasi poeta simil-decadente gli si sarebbe presentato davanti. Preparò il sorriso più cordiale che riuscì ad ottenere e bussò. Quando non ottenne risposta, bussò nuovamente, con più forza e con lo stesso risultato.
Rassegnato, si rovistò nelle tasche alla ricerca della chiave della stanza, maledicendo tutti poeti col sonno pesante e l'udito scarso. Una volta aperta la porta, però, si rese conto di essere solo. L'unica testimonianza dell'effettiva esistenza del suo compagno di stanza erano un borsone verde acceso, che giaceva aperto sul letto accanto alla finestra, di fianco ad una pila di libri dall'aria costosa, e un vaso contenente una pianta che Courfeyrac non avrebbe saputo identificare se non con il termine "pianta", che aveva trovato collocazione sul comodino. 
Considerando tutti gli sforzi compiuti dal ragazzo per rimandare quell'incontro, era strano il senso di delusione che provava in quel momento. Insomma, a quel punto avrebbe preferito togliersi il pensiero, e invece... il maledetto non si era fatto trovare.
Scosse la testa, richiudendosi la porta alle spalle e lasciando la propria valigia accanto al letto rimasto libero. Lanciò un'ultima occhiata dubbiosa alla piantina, prima di buttarsi a peso morto sul letto, chiudendo gli occhi e godendosi il silenzio della stanza. 
Non fece in tempo neanche a pensare di addormentarsi, che il suo cellulare iniziò a vibrare insistentemente. Sospirò, tenendo l'apparecchio a debita distanza per impedire alla voce di Joly di fracassargli il timpano. Povero illuso.
"Courf ma dove sei finito?? Dai, ti stiamo aspettando da due ore! No Bossuet, non mi interessa... ridammi il telefono... HEY... NO!"
Courfeyrac ridacchiò tra sé, divertito. "Hey, ragazzi, calmatevi, sto arrivando"
"Sarà meglio, amico, non è carino da parte tua lasciarci da soli con questo qui"
"Arrivo, arrivo" lo rassicurò, mentre dall'altra parte si udivano le proteste irritate del medico.
 
Non era neanche arrivato troppo vicino alla 101a che già si sentivano le voci dei suoi amici risuonare per il corridoio. "Assurdo" pensò mentre apriva la porta della stanza e veniva investito da un mare di saluti, abbracci e pacche sulle spalle, neanche fosse appena tornato da chissà quale missione in Vietnam. 
Ricambiò i saluti con calore: erano strani forte, questo sì, ma erano i suoi amici e lui gli voleva bene come a dei fratelli.
Stava cercando di individuare un angolino dove sedersi, e invece i suoi occhi si scontrarono con il viso sorridente e imbarazzato di uno sconosciuto. Che poi, tanto sconosciuto non era.   
"Courf, questo è Jehan, si è appena trasferito da Nantes e noi l'abbiamo adottato"  annunciò solennemente Joly, mentre il diretto interessato abbassava lo sguardo e ridacchiava nervosamente tendendogli la mano. Courfeyrac gliela strinse, riconoscendo in lui il ragazzo incontrato in corridoio poco prima. 
"Io sono Courfeyrac, piacere" si presentò, cercando di capire se per caso fosse stato riconosciuto a sua volta. 
"Jehan" sussurrò il ragazzo.
Ma che, non si ricordava niente. Maledetto studente di lettere ingrato, non aveva neanche perso tempo a memorizzare il suo viso. Non che gli importasse, però insomma... ecco.
"Hey, tu sei quello di prima, vero? Quello che ha perso l'orario!" esclamò allora con un finto tono sorpreso. Se non altro aveva ottenuto che gli occhi azzurri dell'altro si posassero finalmente sui suoi. Erano veramente belli. No, cioè, oggettivamente belli.
"Oh, eri tu, ora mi ricordo!"
Sese certo, ora si ricorda, come no.
"E Joly che aveva creduto di poterti presentare qualcuno che tu non conoscessi già! Povero illuso." esclamò divertito Grantaire, in quel momento appollaiato sul bracciolo del divano, e non sembrava essere troppo sobrio.
Quel suo commento, neanche a dirlo, scatenò l'ilarità generale e fece sbuffare Courfeyrac, che si lasciò cadere pesantemente sul divano, sottraendo la bottiglia di birra dalle mani di Grantaire per rubargliene un sorso. Poteva quasi sentire il fegato dell'artista che lo ringraziava tra le lacrime di commozione.
"Eh sì" rincarò la dose Bahorel, passando dietro il divano e scompigliandoli scherzosamente i ricci " devi sapere che il nostro Courfeyrac è amico di almeno mezza università, e conoscente dell'altra metà"
"Beh sai come si dice: amico di tutti, amico di nessuno" ribatté il nuovo arrivato, senza perdere il suo sorriso serafico. Gli altri sembrarono apprezzare la provocazione, e Courfeyrac rise con loro, senza sentirsi minimamente divertito. Maledetto piccolo bastardo, che fine aveva fatto tutta la sua timidezza? E poi, sul serio, un luogo comune? Si sarebbe aspettato di più da uno pseudo- poeta. Cercando di lasciar trasparire il meno possibile il proprio disappunto, cambiò elegantemente discorso.
"Enjolras quando arriva?"
"Dovrebbe essere già qui a dire la verità... forse c'è stato qualche ritardo col volo" rispose 'Ferre, guardando leggermente accigliato l'orologio.
"Ma come, niente elicottero privato per Apollo?"
 Combeferre gli lanciò un cuscino in pieno viso.
"Questo è un approccio molto poco diplomatico da parte tua" annaspò Grantaire cercando di non perdere l'equilibrio, reso già sufficientemente precario dalla posizione e dalla.. cos'era? Sesta birra? Ed erano solo le sette di sera.
 
Ora che la conversazione stava procedendo, più o meno pacificamente, anche senza il suo contributo, Courfeyrac non riuscì a impedire ai suoi pensieri di tornare all'impertinente inopportuno maledettissimo studente di Lettere. 
Rifletté, mentre i ragazzi litigavano su quale fosse il miglior modo di scongelare una pizza (Joly si opponeva stoicamente all'utilizzo del forno a microonde), e giunse alla conclusione che quel tipo non gli piaceva. 
In primo luogo, era uno studente di Lettere. Non fosse stato per il fatto che lui NON nutriva alcun tipo di pregiudizio, questo sarebbe bastato. Ma lo pseudo-poeta si era anche dimenticato di averlo incontrato per il corridoio, l'aveva raffinatamente dichiarato incapace di instaurare rapporti autentici e dopodiché si era rintatato nella sua facciata di bei sorrisi e parole gentili. E poi non gli piacevano i suoi capelli: biondi ma rossici e un po' castani. Insomma che cavolo erano, biondi, rossicci o castani? E valeva lo stesso per i suoi occhi: erano dannatamente verdi o dannatamente azzurri? Non riusciva a definirli, e questo lo irritava terribilmente. A lui piacevano i calcoli, le formule, le certezze. Le ipotesi finalizzate ad una conclusione, le domande complete di una risposta. Jehan era l'esatto contrario. Tutto in lui sembrava essere effimero e mutevole, fonte inesauribile di dubbi senza punto d'arrivo.
 
"No, grazie, è meglio che io torni in stanza. Devo ancora sistemare la roba e conoscere il mio coinquilino."
La voce delicata di Jehan che rifiutava l'invito a restare per cena lo riscosse dalle sue riflessioni. Improvvisamente, neanche lui aveva più fame.
"Direi che lo stesso vale per me" mormorò, alzandosi dal divano e stiracchiando i muscoli indolenziti. "Salutatemi Enjolras quando arriva"
Combeferre annuì distrattamente, concentrato nell'elaborazione di una strategia per non bruciare la pizza che stava scaldandosi nella padella. A quanto pareva, Joly aveva avuto la meglio.
Seguì Jehan nel corridoio, aspettandosi che le loro strade si dividessero da un momento all'altro. Ma l'imbarazzante silenzio caduto tra loro non venne interrotto da nessun "okay, io vado a destra" o "la mia stanza è qui, ci si vede eh", finché non giunsero davanti alla 74a.
"Beh, io..." iniziarono all'unisono, mentre prendevano le rispettive chiavi. Quando capirono, alzarono lo sguardo, sorpresi.
"Oh. E' la tua stanza?"
"Già... è anche la tua?"
"Già."
"Oh." 
Per un attimo nessuno dei due disse nulla, poi Jehan sorrise. Non con la solita smorfia impacciata, ma un sorriso vero, che gli illuminò gli occhi: e improvvisamente a Courfeyrac non importava più un accidente di riuscire a precisarne il colore.
"Beh, allora piacere di conoscerti, compagno di stanza!"


 








Ma saranno mica il mio OTP??
Li adoro e torneranno, per quanto mi costi lasciare il mio Jehan (sì, è mio, Hugo non se lo merita, visto come l'ha ucciso) nelle mani di Courf :(
Bando alle ciance: questo capitolo è stato forse il primo ad essere scritto ed era bello che pronto ma ora è il momento che io dedichi un pochetto di attenzione allo studio, quindi probabilmente aggiornerò più tardi. Vi ringrazio tutti infinitamente e vado ad affrontare pioggia e lezioni (evviva).
Enjoly :)
  
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