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Autore: LaniePaciock    16/05/2013    5 recensioni
Non vi siete mai chiesti come sia nata la grande famiglia Castle, come ogni personaggio abbia trovato il suo attore perfetto? Non vi siete mai chiesti come tutto è iniziato?
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'How it all began'
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Cap.8 Kevin Ryan


Una volta scelto il nome di Ruben per la parte del capitano, mi accasciai su una sedia con i gomiti sulle ginocchia e la testa fra le mani. Ero sollevato perché un altro provino era andato bene, ma allo stesso tempo ero stanco e il taglio alla testa mi pulsava forte. Mi maledissi mentalmente per essere stato così fiducioso quella mattina da non portarmi dietro le pillole. Non avevo tenuto conto che anche un’ora sola di audizioni avrebbe potuto essere pesante e che alla fin fine ero ancora in convalescenza. Il medico mi aveva detto di andarci cauto e io subito, da bravo idiota, avevo cercato di strafare. Al mio solito. Fermo non ci sapevo proprio stare, vero?
In quel momento mi accorsi del tocco leggero di una mano sul mio collo scoperto. Anche senza sentire il suo odore, anche senza vederla, avrei riconosciuto una carezza di lei tra mille.
“Ehi, va tutto bene?” mi domandò dolcemente Stana, abbassandosi sui talloni accanto a me per tentare di guardarmi in faccia. Avrei voluto dirle che stavo bene e che non doveva preoccuparsi, ma era ovvio dal mio aspetto che non ero per niente in forma.
“Mi fa male la testa…” borbottai quindi tra i denti senza alzare la testa, continuando a godere di quelle carezze lievi sul collo. Non volevo che spostasse la mano.
“Dirti ‘te l’avevo detto’ servirebbe a qualcosa?” chiese con un mezzo sospiro. Il tono era di rimprovero, ma capii che non era arrabbiata con me. Sentivo anzi che stava sorridendo appena, ironica.
“Peggio…” borbottai ancora con un mezzo sorriso, alzando piano il capo per guardarla negli occhi. Stana scosse la testa come esasperata, ma vidi il sorrisetto sul suo volto.
“Dai, andiamo, ti porto dal dottor Lyas” disse dopo qualche secondo la mia partner alzandosi in piedi. Feci un piccolo verso di disappunto quando tolse la mano, ma riuscii a mascherarlo come un lamento di dolore per la testa. “Sicuramente avrà gli antidolorifici e te ne darà uno” aggiunse per confortarmi mentre mi tendeva le mani per aiutarmi ad alzare.
“Ok…” mugugnai. Mi drizzai lentamente in piedi, per evitare capogiri o nausee, tenendomi saldamente alle sue mani. Quando si dice che non tutti i mali vengono per nuocere…
Stana avvertì Andrew e gli altri che stavamo andando. Prima di uscire, Marlowe mi consigliò di stare tranquillo per un paio di giorni così da rimettermi prima in sesto. Tanto era venerdì e i provini per l’ultimo personaggio importante, il detective Kevin Ryan, sarebbero cominciati solo lunedì.
L’aria fresca all’esterno del set mi fece subito bene. Il dolore si attenuò un poco e arrivammo alla mia auto senza che il camminare minacciasse di farmi rimettere la colazione. Mi sedetti lentamente sul sedile passeggero, stando bene attento a non poggiare la testa da nessuna parte, mentre Stana si posizionava al volante. Mi sentii un po’ fuoriposto. Era strano stare nella propria auto nel lato opposto a quello di guida.
La mia partner guidò piano per cercare di farmi ricevere meno scossoni possibili, ma grazie al poco traffico, in mezz’ora arrivammo allo studio del dottor Lyas all’interno dell’ospedale. Il medico mi accolse ancora una volta allegramente. E ancora una volta mi diede l’idea di un coniglio pasquale. Quel giorno però aveva abbandonato i pantaloni al ginocchio dell’ultima volta per un paio lunghi chiari e pieni di tasche. La maglia invece era di nuovo color arcobaleno, ma con motivi diversi rispetto a quella che avevo visto due giorni prima. Mi chiesi se non ne avesse un armadio pieno a casa.
Il dottor Lyas mi tolse le bende alla testa e mi visitò. Controllò i punti e che la ferita non si fosse infettata, quindi mi rifasciò soddisfatto.
“Ottimo, signor Fillion” disse l’uomo finendo di bloccarmi la fasciatura. “La ferita è pulita e si sta rimarginando bene. Direi che può tornare per un controllo tra un cinque giorni e se sarà tutto a posto le toglierò i punti.” Sorrisi sollevato.
“E per il mal di testa?” chiese Stana più tranquilla per le parole del medico, ma preoccupata che io sentissi ancora dolore.
“Per quello può continuare con le pillole” rispose il dottore. “Però mi raccomando, non superi le dosi consigliate, ok?” Annuii convinto, sentendomi addosso lo sguardo di rimprovero di Stana per le troppe pillole che avevo ingurgitato il giorno prima. Colpa di Jon che non mi aveva controllato. “Il miglior rimedio comunque è il riposo. So che vuole tornare presto a lavorare, signor Fillion, ma come vede le è bastato poco per stare di nuovo male. Quindi non si affatichi di nuovo per almeno un paio di giorni. E con ‘non si affatichi’ intendo resti a casa possibilmente sdraiato e fermo.” Feci una mezza smorfia, ma annuii di nuovo. “Oh, e se possibile sarebbe meglio che almeno per oggi qualcuno rimanesse con lei, giusto per precauzione” aggiunse lanciando un’occhiata a Stana.
“Non si preoccupi, per oggi resto io a controllarlo” disse lei divertita. Lui le fece un sorriso di approvazione.
“Perfetto. Un’ultima cosa e la lascio andare: se la ferita inizia a fare troppo male o se vede del liquido uscire da essa, non esiti un secondo a chiamarmi o a venire da me, mi ha capito signor Fillion?” mi ammonì severo.
“Ok” risposi semplicemente. Volevo finire il più in fretta possibile per andare a riposarmi al mio appartamento. Ero stanco e il cambio di fasciatura non aveva contribuito molto a diminuirmi il male alla testa. Il dottore a quel punto mi diede una delle sue pilloline gialle per arrivare fino a casa senza troppo dolore, quindi mi affidò alle cure della mia partner.
 
Tre quarti d’ora dopo, a causa del traffico che all’improvviso aveva decido di fare la sua apparizione, arrivammo finalmente al mio appartamento. Appena entrato in casa, mi andai ad accasciare direttamente sul divano con gli occhi chiusi e la faccia appoggiata di lato al poggiatesta per evitare di far toccare il taglio. La pillola aveva fatto effetto e non avevo più dolore, ma mi sentivo spossato. Non me ne preoccupai molto. Il dottor Lyas mi aveva già avvertito che stanchezza e sonnolenza avrebbero potuto essere una conseguenza del farmaco. Cercai comunque di non appisolarmi. Non volevo che Stana rimanesse sola in casa mia mentre io dormivo.
Come se avesse sentito i miei pensieri, sentii la mia partner avvicinarsi e sedersi accanto a me sul divano.
“Come stai?” domandò piano. Percepii un tocco leggero all’altezza del ginocchio e ci misi un paio di secondi prima di capire che ci aveva appoggiato sopra la mano.
“Meglio…” mormorai con un mezzo sorriso aprendo a fatica un occhio per guardarla. Mi sentivo davvero esausto. Lei strinse appena la presa sulla mia gamba e mi sorrise dolcemente.
“Vuoi dormire un po’?” mi chiese. Scossi la testa e cercai di tirarmi su, ma Stana mi fermò per le spalle e mi fece riappoggiare di nuovo al divano.
“Non voglio dormire…” mugugnai come un bimbo che non vuole andare a letto.
“Ma dormire ti fa bene” replicò Stana paziente.
“Sì, ma poi tu saresti da sola…” mormorai. Mi accorsi che stavo scivolando lentamente nel dormiveglia su quel comodo divano. Cercai di spalancare gli occhi per non addormentarmi e battei più volte le palpebre. Stana mi guardò divertita, osservandomi però anche teneramente, mentre facevo strane facce pur di rimanere sveglio. “Non voglio lasciarti sola…” aggiunsi piano.
“Non preoccuparti per me” rispose Stana posando di nuovo la mano sul mio ginocchio come per rassicurarmi. “Tu devi riposarti. Ho visto che hai una biblioteca ben fornita, quindi leggerò un po’ per passare il tempo.”
“E se poi… e se poi mi sveglio e non ci sei?” mormorai ancora assonnato. Perché in effetti era anche quella la mia paura. Che si stufasse e, giustamente, se ne andasse via. La presa sulla mia gamba si strinse appena. Cercai di guardarla, ma mi accorsi di non riuscire a riaprire gli occhi tanto ero stanco. Quando mi si erano chiusi?
“Non vado da nessuna parte, Nathan” replicò dolcemente. “Dormi tranquillo. Quando ti sveglierai mi troverai sempre qui.”
“Pro… promesso?” riuscii a biascicare alla fine con tono insicuro. Sapevo che sembrava quasi infantile a chiederlo, ma avevo bisogno di saperlo e io ormai stavo per crollare.
“Promesso…” fu tutto ciò che riuscii a sentire un attimo prima di addormentarmi come un sasso.
 
Mi svegliai aprendo piano gli occhi e prendendo un lungo respiro. C’era un leggero odore nell’aria, molto familiare e buono. Ci misi qualche attimo prima di ricordarmi che ero semisteso sul divano. Diedi un’occhiata alla finestra del salone. Il sole aveva cambiato completamente posizione da quando ero arrivato. Aggrottai le sopracciglia. Quanto avevo dormito?
In quel momento mi ricordai della mia conversazione con Stana e del mio bisogno di riposo... Stana! Inizia a guardarmi attorno per cercarla. Muovendomi, sentii qualcosa scivolarmi di dosso e vidi che avevo addosso una coperta. Doveva avermela messa la mia partner. Sorrisi appena. Tornai a cercala, ma non la vidi da nessuna parte. Se ne era andata? E come potevo biasimarla? Stare ad aspettare il mio risveglio di certo non doveva essere molto divertente.
Sospirai rassegnato, quindi buttai la coperta di lato e mi tirai su a sedere piano. La testa non mi faceva più male, né mi pulsava. Sentivo solo il taglio tirarmi un po’, ma niente di troppo fastidioso. Mi passai una mano sugli occhi per svegliarmi completamente e fu in quel momento che sentii una porta chiudersi dietro di me. Mi girai e vidi Stana ferma nel corridoio interno a guardarmi con un sorriso. Era solo in bagno. Non se ne era andata.
“Ehi, ti sei svegliato dormiglione” mi salutò divertita. Si avvicinò e venne a sedersi sul divano accanto a me. “Allora come ti senti?”
“Bene!” risposi sorridendo. E ora anche meglio, pensai subito,ma questo non lo aggiunsi. Mi guardò scettica per un momento e io ridacchiai. “Davvero, sto bene. La testa non mi fa più male. A proposito, quanto ho dormito?”
“Qualche ora…” replicò Stana con noncuranza dando un’occhiata al suo orologio. “Sono le sette di sera.” Spalancai gli occhi. Così tanto?? Eravamo tornati che non era neanche mezzogiorno!
“Scusami, ti ho lasciata sola per tutto questo tempo!” esclamai subito imbarazzato. La mia partner scosse la testa e mi sorrise.
“Te l’avevo detto che sarei rimasta” replicò semplicemente alzando appena le spalle. “E poi non mi sono annoiata. Era un po’ che non trovavo il tempo per leggere e tu me ne hai lasciato un bel po’!” aggiunse facendomi l’occhiolino.
“Felice che il mio sonnellino ti sia stato utile” risposi ridacchiando. Poi tornai più serio. “Però davvero, mi spiace che…” La sua mano sulla mia bocca mi fermò le parole.
“Smettila, Nathan” mi rimproverò dolcemente. “Sono stata bene. Un po’ di tranquillità di serviva. E poi lo sapevi che quando dormi fai delle smorfie buffissime?” aggiunse divertita.
“Io non…” Stavo per replicare che non facevo smorfie, quando mi bloccai. Un pensiero infatti mi aveva appena attraversato la mente. “Tu mi hai guardato dormire!” esclamai con un sorrisetto furbo. Dentro di me gioivo. Stana arrossì all’istante.
“Cos… No!” replicò subito imbarazzata.
“Certo che sì!” dichiarai allegro. “Altrimenti come potresti dire che faccio smorfie quando dormo?” domandai trionfante. Stana si morse il labbro inferiore, arrossendo ancora di più. Potevo vedere che stava cercando una risposta plausibile alla mia domanda, che però non avrebbe trovato. La mia logica era inattaccabile!
“Uff, va bene” si arrese alla fine. “Forse ti ho guardato dormire… un poco…” disse cauta. Non so come mi trattenni dal fare un balletto per la stanza. “Ma solo per controllare se stavi bene!” Alzai un sopracciglio. Il sorriso sulla mia faccia diceva chiaramente Certo, come no!. “Beh visto che è tutto ok, direi che posso tornare a casa” aggiunse poi lei ancora imbarazzata alzandosi in piedi.
“Cosa??” esclamai stupito. “Di già? Non mi fai ancora un po’ di compagnia?” domandai mettendo in funzione il mio sguardo da cucciolo. “E poi il dottore ha detto che sarei potuto rimanere da solo domani o perlomeno non fino a sera. C’è ancora luce fuori, quindi non mi puoi lasciare ora!” esclamai convinto. La mia partner mi guardò con un sopracciglia alzato. “Per favore!” aggiunsi supplicandola. Lei rimase immobile ancora per qualche secondo, indecisa, mordendosi il labbro inferiore. Alla fine sospirò.
“Ok” si arrese. Io feci un mega sorriso. Poi mi venne in mente che a questo punto avrei potuto prendere due piccioni con una fava.
“Ehi, perché non ceniamo insieme? Ti cucinerò uno dei miei piatti e…” Stana alzò di nuovo un sopracciglio. “Che c’è?” domandai vedendo il suo sguardo.
“Ma non dovevi stare tranquillo tu?” replicò lei ironica incrociando le braccia al petto. Cavolo, un punto a suo favore. Sbuffai.
“Ok” replicai malinconico. “Però potremmo ordinare qualcosa!” esclamai poi con un nuovo moto di speranza. Lei ci pensò su qualche momento.
“Continuerai a chiedermelo finché non acconsentirò, vero?” domandò rassegnata.
“Vedo che mi conosci ormai” risposi ghignando. “Che ne dici di ordinare italiano?” le chiesi poi già sapendo che avrebbe ceduto. Non mi aveva ancora risposto, ma sapevo che ormai era questione di attimi. Vedevo nei suoi occhi, e da come si mordeva il labbro inferiore, che stava per capitolare. E poi l’italiana, insieme alla cinese, era la sua cucina preferita. Come avevo predetto, un momento dopo la mia partner sospirò rassegnata e annuì.
“Ok, mi ha convinto” dichiarò alla fine. Ridacchiai.
“So essere persuasivo quando voglio” affermai divertito e decisamente allegro. E come potevo non essere allegro? Stana avrebbe cenato con me! In casa mia! Cascasse il mondo, non avrei permesso a nessuno di interromperci stavolta.
 
Un’ora e mezza più tardi eravamo entrambi seduti al tavolo in cucina con diverse scatole di italiano aperte e svuotate. Forse avevo un po’ esagerato, ma avevo usato la scusa che a mezzogiorno non avevamo mangiato niente. Avevamo ordinato pasta al formaggio, patatine e due dolci differenti, ma entrambi al cioccolato, il tutto accompagnato da qualche lattina di Coca Cola. Avrei preferito poter innaffiare tutto con del vino o della birra, ma Stana mi aveva subito ricordato che non era una buona idea mescolare antidolorifici e alcool. Ci eravamo fatti portare il cibo da un ristorante che conoscevo e che sapevo essere ottimo. E ancora una volta non aveva deluso. Mangiammo tutto con gusto, spartendoci le patatine, sgraffignando pezzetti di dolce l’uno dall’altra e chiacchierando e ridendo un sacco. Era un po’ che non stavo così bene con una persona.
Avevamo appena finito quando mi accorsi che una striscia di cioccolato era rimasta appena di lato alla bocca di Stana. Le feci segno con il dito verso la macchia. Lei capì e cercò di pulirsi, ma mancò il bersaglio. Scossi la testa divertito e presi un tovagliolino. Quindi mi sporsi verso di lei e iniziai a pulire il cioccolato. Notai i suoi bellissimi occhi puntati verso di me sgranarsi all’improvviso. Aggrottai le sopracciglia, non capendo il problema. Poi mi accorsi di quanto, involontariamente, mi fossi avvicinato a lei e quanto vicino era la mia mano, anche se in parte coperta dal tovagliolo, alla sua bocca. Il cuore iniziò a pulsarmi con tale vigore che quasi mi chiesi se lei lo sentisse. La guardai negli occhi preoccupato. Sembrava… spaventata e… in attesa. Mi feci coraggio, non so se grazie alle pillole o per qualche dono divino.
Lentamente, scostai il tovagliolo in modo da permettere alle mie dita di accarezzare le sue labbra. Stana chiuse per un momento gli occhi al mio tocco e vedendola mi si mozzò il respiro. Rincuorato da quell’effetto che avevo provocato, mi avvicinai ancora di qualche impercettibile centimetro. Continuai ad accarezzarle il viso e ad avvicinarmi finché, ancora una volta, non sentii il suo respiro caldo sulla mia pelle. Dio, sarei potuto svenire in quel momento se la sua bocca non avesse avuto quell’attrazione magnetica su di me.
Una vocina nella mia testa diceva di tirarmi indietro, che non bisognava mai mischiare sesso e lavoro. Era una regola che conoscevo bene, ma per quella sera volevo fregarmene altamente. Volevo provare le sue labbra. Volevo rischiare.
Vidi il suo sguardo posarsi per un momento sulla mia bocca prima di tornare a guardarmi negli occhi. Quel giochetto mi provocò una vampata di calore. Dio, quanto era bella… e io continuavo ad avvicinarmi. Poi lei chiuse gli occhi. Il suo respiro era diventato decisamente più pesante e anche il mio stentava a normalizzarsi. Arrivai a sfiorare le sue labbra con le mie e quasi mi stupii che nessuno ci avesse ancora interrotti. Per un attimo mi mancò del tutto il respiro.
Poi Stana emise un lieve gemito che somigliava tanto a un ‘No’. Si allontanò velocemente da me, tirandosi indietro senza guardarmi, e si alzò. Prima che potesse fare anche un solo passo però, la bloccai per un polso e mi alzai anch’io. Non le diedi il tempo di muoversi o di riprendersi dalla sorpresa che l’attirai a me e la baciai. In realtà all’inizio non feci altro che appoggiare le mie labbra alle sue. Ero terrorizzato da una sua reazione e insieme mi sentivo in paradiso.
Per un momento, vista la sua immobilità, temetti che mi avrebbe scacciato e magari schiaffeggiato. Poi, l’attimo successivo, iniziò a muoversi con me. Come schiuse appena la bocca, ci intrufolai subito dentro la lingua, approfondendo il bacio.
Dio… ora potevo morire felice… La morbidezza delle sue labbra, il suo sapore… Erano qualcosa di unico. Indescrivibile. Le lasciai il polso e infilai le mani tra i suoi capelli corti senza smettere di baciarla, attirandola ancora di più verso di me. La sentii aggrapparsi alla mia maglia, alzandosi sulle punte dei piedi per arrivare meglio a me. Mi abbassai di più per facilitarle il compito, continuando comunque a baciare quelle dolcissime labbra delle quali pensavo già di non poter più fare a meno. Quando lei mi morse appena il labbro inferiore gemetti. In quel momento il suo corpo si fece più vicino al mio e il cavallo dei miei pantaloni ne risentì subito.
Passai a torturarle il collo. Il suo odore mi stava facendo perdere la testa. La mordicchiai appena sotto l’orecchio e subito un gemito le scappò dalle labbra mentre si aggrappava ancora di più a me. Sorrisi. Avevo appena scoperto un suo punto debole.
“Nathan…” mormorò piano con un tono quasi di scuse, mentre la sentivo cercare di staccarsi da me. Non le diedi il tempo di continuare che mi avventai di nuovo sulle sue labbra. Non volevo che mi fermasse. Non in quel momento. Sarei tornato con i piedi per terra più avanti, ma non in quell’attimo.
Cedette anche lei. Sentii le sue mani salire verso il mio collo e fermarsi lì per tenermi giù. Le mie invece fecero la strada opposta e scesero lungo il suo corpo. Stana rabbrividì e gemette piano sotto al mio tocco quando le sfiorai il seno. Poi, mentre tornavo a torturale il collo, le mie mani arrivarono ai suoi fianchi. Come guidate da una volontà propria, trovarono il lembo della sua maglia e ci si infilarono dentro. Da sotto i palmi potevo sentire i suoi respiri veloci e irregolari. La sua pelle era liscia e calda come la ricordavo. Avrei voluto non smettere mai di accarezzarla.
Poi però Stana iniziò a staccarsi di nuovo da me, lentamente, quasi avesse paura che non avrei sopportato la sua assenza. Si allontanò lasciandomi contemporaneamente dei piccoli baci sul viso, come se anche lei non volesse realmente spostarsi. Tentai di riavvicinarmi, ma stavolta la sua mano sul mio petto me lo impedì.
“Nathan…” sussurrò di nuovo per fermarmi. “Non possiamo…” dichiarò con voce decisamente ansante. Quello e i suoi capelli scompigliati mi fecero venire voglia di riprendere seduta stante a baciarla, ma mi trattenni. Sapevo che aveva ragione. “Abbiamo… abbiamo una serie tv da fare, ricordi?” disse alla fine. La guardai per un momento come un cane bastonato. I suoi occhi erano lo specchio dei miei: desiderosi e frustrati. Ma non avevamo scelta. E lo sapevamo entrambi.
Sospirai e feci un passo indietro, togliendo nel frattempo le mani dalla sua calda pelle. Feci per passarmi una mano tra i capelli e trattenni a stento una smorfia quando incontrai solo garze. Mi ero dimenticato del taglio alla testa.
“Scusami” mormorai con lo sguardo basso. Cercai di riprendere a respirare normalmente, sperando nel frattempo che la mia euforia per quel bacio non si fosse palesata troppo sul davanti dei miei pantaloni. “Hai ragione, noi… dobbiamo girare insieme.” Stana annuì, anche se vedevo nel suo sguardo il malcontento per quella scelta.
“Non possiamo rischiare di rovinare Castle a causa nostra…” aggiunse, come se bastasse a chiarire tutto e a farsene una ragione.
“Mai mischiare vita privata e lavoro” dissi per concludere, sospirando. Era una regola non scritta, ma che ogni persona conosceva. In qualche posto di lavoro, come nella polizia, era addirittura un obbligo. Noi eravamo due attori professionisti ed entrambi eravamo stati scelti per quei ruoli che sembravano calzarci così bene. Non potevamo mettere a repentaglio tutto, le nostre carriere comprese, per qualcosa che non sapevamo neanche definire. Avevo visto molti miei colleghi coinvolti emotivamente sul set. Non andava per niente bene, soprattutto se poi gli interessati si rendevano conto di non aver più nulla da condividere, che era stata solo una passione passeggera. Girare diventava pesante per tutti, fino a mettere a rischio il film o la serie televisiva. Non era la prima volta che accadeva. E noi non volevamo che succedesse. Entrambi tenevamo troppo a Castle per rovinarlo.
Stana si morse il labbro inferiore e annuì di nuovo alla mia massima. Fece per allontanarsi ancora di più da me, ma la bloccai.
“Dimmi solo…” mi fermai cercando le parole adatte mentre lei si girava di nuovo, cauta, verso di me. “Dimmi solo se per te ha significato qualcosa.” La guardai ansioso mentre lei spostava il peso da un piede all’altro, nervosa.
“Ha importanza?” mi domandò alla fine. Credo avesse cercato un tono di noncuranza che però non le uscì per niente.
“Dipende” replicai. Mi guardò confusa, aggrottando le sopracciglia.
“Dipende da cosa?”
“Da quanto sei disposta ad aspettare.” La bocca le rimase aperta quando capì il senso delle mie parole. Sospirai. “Stana, io non voglio perderti…”
“Chi ti dice che io non sia solo una delle tue conquiste?” mi domandò bloccandomi con una nota triste e amara nella voce. Beh, c’era da aspettarselo. Il mio passato amoroso non era certamente tra i più rosei o duraturi.
Le feci un mezzo sorriso per rassicurarla.
“Perché, per prima cosa, decisamente sarei io una delle tue…” replicai prendendo spunto dalle parole di Castle. Lei si morse il labbro inferiore e mi sorrise appena. “E poi perché… non so… non mi sono mai sentito così… vivo come mi sento quando sono con te” riuscii a tirare fuori a fatica cercando di spiegarle quello che provavo. Non lo sapevo nemmeno io in realtà cos’era. Sapevo solo che era qualcosa che non avevo mai provato per nessun’altra donna.
Stana scosse la testa sorridendo appena, un po’ rossa in volto.
“Non lo sai neanche tu cos’è…” mormorò come leggendomi nei pensieri.
“Quindi vuoi gettare via tutto?” le chiesi quasi con una nota disperata nella voce. Ero già a questo punto?
Tutto?” mi domandò con un sopracciglio alzato. “Nath, non c’è nessun tutto al momento…” Mi morsi la lingua. Che altro potevo fare se non darle ragione? Il mio ‘tutto’ era fatto più di film mentali che di realtà. Il mio ‘tutto’, in fondo, era fatto solo di un bacio. Stana sospirò passandosi una mano tra i capelli. “Senti perché… perché non lasciamo tutto come fino a prima di stasera?” domandò quasi timorosa. “Continuiamo da buoni amici, finiamo questi provini, giriamo gli episodi e vediamo come va la serie… Poi, chissà, forse quando entrambi capiremo cosa sentiamo e vogliamo… allora forse potremo riprovarci.” La guardai per un momento, soppesando le sue parole. Avrebbe voluto dire cancellare il bacio, far finta che non ci fosse mai stato, e intanto tentare di capire che diavolo ci sconvolgeva tanto senza mettere a repentaglio la serie.
Sospirai rassegnato. Sapevo già quale sarebbe stata la mia risposta. Sarei stato male, ma non c’erano alternative per il momento.
“Affare fatto” esclamai con un mezzo sorriso per tentare di alleggerire di nuovo l’atmosfera. Stana mi sorrise timidamente. Poi però tornò più seria.
“Forse ora dovrei andare…” disse, cercando forse di convincere più sé stessa che me. Agii d’istinto. Non ero ancora pronto a lasciarla andare.
“Perché non resti ancora un po’? Per un film magari…” La vidi combattuta, così la buttai sul ridere. “Giuro che non ti salto addosso!” aggiunsi alzando le mani con un mezzo sorriso furbo. Lei alzò un sopracciglio, dubbiosa.
“Perché? Non mi ritieni all’altezza?” chiese seria. La guardai a bocca spalancata.
“Cos… No!” dissi subito, preoccupato. “Io intendevo… non quello! Ti salterei addosso, sì, ma, insomma, non ti salterei stasera addosso e… no aspetta, non era quello che volevo dire!” iniziai a incespicare sulle parole, agitato, finché non notai che Stana era sull’orlo di un attacco di risa.
“Sei così facile da prendere in giro, Fillion” disse ridacchiando. Io sospirai sollevato. Poi le feci una smorfia offesa che la fece scoppiare a ridere. Alla fine, quando si fu calmata, le indicai il divano alle mie spalle con un cenno della testa.
“Allora, Katic, ti va un film?” domandai con un sorriso mettendo da parte lo scherzo. Stana rimase dubbiosa ancora per un attimo, mordendosi il labbro inferiore, poi, con mia grande gioia, annuì.
Scelse un film dalla montagna di dvd che avevo e ci accomodammo sul divano per guardarlo. Eravamo abbastanza vicini perché le nostre braccia si toccassero, ma senza andare oltre. Su di noi stesi la coperta che mi ero ritrovato addosso qualche ora prima, al mio risveglio. Circa a metà film, Stana, ormai stanca, appoggiò la testa alla mia spalla e io, lo ammetto, ne approfittai subito per far passare il mio braccio intorno alle sue spalle. Lei mi lanciò un’occhiata come a dire ‘bada a quel che fai’, ma io le risposi con un sorriso angelico. Alla fine crollammo entrambi addormentati, e praticamente abbracciati, sul divano.
 
La luce proveniente dalla finestra mi svegliò. Sbattei le palpebre contro la luce, quindi mi stiracchiai per riprendermi dalla posizione non propriamente comoda in cui ero rimasto tutta la notte. Con mio grande sollievo notai che il taglio non mi faceva male nonostante ci avessi dormito sopra. Alzando gli occhi, vidi che la tv era spenta. Guardai accanto a me e mi accorsi in quel momento che il divano era vuoto e freddo. Sbuffai. Era la seconda volta nel giro di poche ore che mi risvegliavo da solo.
Nello scostarmi la coperta di dosso, sentii un lieve fruscio. Cercai la fonte di quel sottile rumore e mi accorsi che un foglio di carta era caduto in terra accanto ai miei piedi. Curioso, lo presi e lo osservai. Nonostante l’avessi vista poche volte, riconobbi subito la scrittura di Stana. Anche perché chi altro avrebbe potuto lasciarmi quel biglietto?
 
Buongiorno dormiglione!
Scusa se ti lascio di nuovo da solo, ma ho un po’ di cose da fare oggi e non potevo rimandarle. Avrei voluto dirtelo di persona, ma dormivi così bene che non ho voluto svegliarti. Comunque se durante la giornata avessi bisogno di qualcosa non esitare a chiamarmi, ok? Ricordati che il dottor Lyas ha detto che non devi fare sforzi, mi raccomando. E non prendere troppe pillole!
Inoltre volevo dirti che, nonostante tutto, ho passato davvero una bellissima serata. Grazie di tutto. Davvero.
Ci vediamo lunedì sul set!
Xoxo Stana
Ps: per non disturbarti ho preso il paio di chiavi di casa tua in più che ho trovato sul tavolo accanto alla porta. Te le restituisco appena ci vediamo. Riposati.
 
Sorrisi come un idiota senza riuscire a trattenermi. Tralasciando il fatto che mi avesse abbandonato in casa da solo, il bigliettino mi aveva mandato su di giri. Un po’ per la sua preoccupazione verso di me, un po’ per le sue parole. E un bel po’ per quel ‘xoxo’, ovvero il suo modo di scrivere ‘baci’. Cavolo, se fossi stato sveglio forse almeno uno me lo sarei beccato…
La chiacchierata della sera prima però mi fece tornare subito con i piedi per terra e con il morale sotto le scarpe. No, quasi sicuramente non me ne avrebbe dati di baci. Guardai il biglietto e sospirai. Beh, almeno così potevo immaginare che me ne avesse dato perlomeno uno. Chiusi gli occhi e tornai alla sera prima. Avevamo detto che dovevamo dimenticare, ma non volevo farlo subito. Ero stato troppo bene. Le sue labbra che si muovevano sulle mie, calde e morbide, i suoi piccoli gemiti…
Rabbrividì di piacere involontariamente. Poi scossi la testa. Qualcosa al cavallo dei miei pantaloni stava già iniziando a muoversi solo al suo ricordo. Mi alzai velocemente diretto in bagno per prepararmi a una bella doccia gelata prima di colazione.
 
Passai tutto il sabato e la domenica a poltrire sul divano insieme a un libro e, sporadicamente, a un po’ di televisione e qualche visita di amici. In pratica avevo preso alla lettere il consiglio di Stana: Riposati. Sì, l’aveva detto anche il dottore, ma lui non era sexy come la mia partner.
Più di una volta mi venne voglia di prendere il telefono e chiamarla, solo per sentirla, ma ogni volta mi tratteneva il nostro accordo e il pensiero del suo sguardo assassino. Anche se era incredibilmente bella anche quando era esasperata… Dio, stavo proprio messo male! E poi non sentirla e immergermi nella lettura mi dava la possibilità di tenere la mente il più possibile occupata. Altrimenti non avrei fatto altro che pensare a lei, al suo sorriso, al suo corpo, alle sue labbra… Insomma avrei passato la giornata sotto un getto di doccia ghiacciata. E di certo non avrebbe aiutato molto la mia salute fisica e mentale.
In quei due giorni passarono a trovarmi praticamente tutti i miei futuri colleghi. Tamala fu la prima che si presentò alla mia porta nel primo pomeriggio di sabato. Da come mi interrogò, su come stavo e tutto, ebbi come l’impressione che poi sarebbe andata a riferire tutto a una certa sua amica neo detective. Dovevo stare attento a ciò che dicevo. Dopo di lei seguirono Molly insieme a Susan. La domenica invece venne a farmi un po’ di compagnia Jon insieme al nuovo capitano del 12th, Ruben. Ebbi modo di passare un po’ di tempo con lui e compresi che avevo visto giusto al provino. Era davvero un tipo simpatico e disponibile.
Alle loro visite si aggiunsero le chiamate di Terri, anche per conto del marito, di Bowman, dei miei e di mio fratello.
L’unica da cui non ricevetti notizia era anche l’unica per la quale mi tuffavo sul telefono o alla porta ogni volta che suonavano. Stana infatti non si fece né sentire né vedere. Ma forse fu meglio così. Forse stare un paio di giorni lontani avrebbe solo schiarito le idee a entrambi. E magari evitato anche che l’incontro che avremmo avuto ai provini il giorno dopo si trasformasse in qualcosa di imbarazzante. Eppure io continuavo a guardare la porta, sperando di vedere il suo volto sbucare, oppure il telefono, dal quale ogni volta pregavo di sentir uscire la sua voce. Non potevo farci niente. Nonostante tutti gli accordi, tutte le belle e giuste parole, non potevo farne a meno. Mi mancava.
 
Lunedì mattina mi sentivo decisamente più in forma e allegro. Non presi neanche la pillola gialla per il dolore. Non ne sentivo il bisogno, nonostante la fasciatura fosse ancora ben presente sulla mia testa. Neanche il taglio mi infastidiva. Mi lavai e mi preparai per andare agli studios.
Una volta arrivato sul set del distretto, dove avremmo fatto i provini per il detective Ryan, cercai quasi inconsciamente (sì, certo, a chi volevo darla a bere??) Stana. Non la vidi da nessuna parte, ma notai Jon, Tamala e Molly chiacchierare appoggiati a una delle scrivanie in mezzo alla sala. Mi chiesi cosa ci facesse la piccola Quinn sul set. Lunedì non era giorno di scuola?
“Ehilà, buongiorno!” li salutai avvicinandomi a loro.
“Giorno, bro” replicò Jon facendomi un cenno con la testa. Le due ragazze mi salutarono con un sorriso.
“Dì un po’, tu, non dovresti essere a scuola?” domandai con un sopracciglio alzato a Molly. “Ho promesso a tuo padre di prendermi cura di te. Per quanto apprezzi il fatto che tu voglia lavorare con un fusto come me…”
“Un fusto rotto” commentò ironico Jon a mezza voce. Gli feci una smorfia, ma tirai dritto come se nulla fosse mentre la piccola e Tam ridacchiavano.
“…non credo sia davvero il caso di saltare già giorni di scuola” conclusi. Molly scosse la testa.
“Oggi non dovevo andare” replicò divertita. “Per tutto il giorno ci saranno una serie di conferenze per quelli dell’ultimo anno così che possano decidere in che college andare.” La guardai dubbioso per un momento, poi annuii. “A proposito, cos’è questa storia di te e mio padre che vi siete messi d’accordo?” mi chiese poi lei di rimando con un sopracciglio altrettanto alzato. Ops.
“Cazzo…” borbottai prima che riuscissi a trattenermi.
“Fillion, evita le parolacce in presenza di una minorenne per favore” mi richiamò scherzoso Marlowe apparso in quel momento.
“Perché non ti fai pagare ogni volta che ne dice una?” aggiunse divertita Tamala facendo l’occhiolino a Molly. Sgranai gli occhi e scambiai uno sguardo preoccupato con Jon. Non che fossi un gran bestemmiatore, eh, solo che a volte scappava.
“Perché no?” dichiarò sorridente la piccola. Furba la ragazzina. Aveva preso la palla al balzo. Sbuffai, ma in fondo aveva ragione. Era una minore e dovevo imparare a trattenermi. Insomma, per quanto sembrasse strano, ero un adulto e dovevo prendermi qualche responsabilità.
“Ok…” dissi tirando fuori un dollaro dal portafoglio e porgendoglielo. “Però!” mi bloccai tirando su la mano e portando la banconota lontano dalla sua presa. “Lo stesso varrà anche per gli altri!” aggiunsi. Quindi allungai di nuovo la mano con sopra il dollaro a Molly, come a sigillare un patto. Lei mi guardò per un momento pensierosa, poi sorrise e mi strinse la mano. Quindi mi sfilò la banconota dalle dita.
“Affare fatto” replicò intascandosi i soldi. Sentii dietro di me Jon mugugnare rassegnato, mentre Andrew e Tam ridacchiavano.
“Ehi, che fate? Vi lascio soli un momento e iniziate a fare scommesse clandestine?” La voce divertita di Stana mi fece voltare immediatamente. Le sorrisi, senza riuscire a trattenermi, per salutarla e lei ricambiò con piccolo sorriso mentre arrossiva un poco. Quanto era bella quella donna quando arrossiva?
Sbattei le palpebre cercando di tornare con i piedi per terra.
“Non erano scommesse clandestine!” replicai quindi fintamente seccato. “Tamala ha suggerito a Molly il modo migliore per spillarci soldi e metter via la paghetta” aggiunsi lamentoso scuotendo la testa. “Ogni parolaccia è un dollaro.” Stana guardò verso la piccola come a chiedere conferma. Quando lei annuì, la mia partner sorrise divertita e le fece l’occhiolino. “Ehi!” esclamai offeso. “Non vorrai entrare anche tu in combutta con loro! Sono il tuo partner! Dovresti essere dalla mia parte!” Stana alzò appena le spalle cercando di non ridere.
“Scusa, partner” replicò rimarcando l’appellativo. “Ma la loro squadra mi attira di più. In fondo è quella che guadagna, no?” aggiunse ironica indicando la tasca in cui Molly aveva infilato il dollaro. Socchiusi gli occhi e la squadrai. Sul serio??
Un lieve schiarimento di voce ci fece ricordare che non eravamo gli unici sul set e che c’era un motivo se eravamo lì.
“Ragazzi, rimarrei ore a sentirvi discutere” disse Marlowe divertito. “Ma abbiamo un provino da fare. Quindi prendete i copioni e preparatevi.”
Qualche minuto dopo io, Stana e Jon stavamo studiando le nostre parti per le audizioni. Erano tre scene. Nella prima l’aspirante detective avrebbe dovuto destreggiarsi su una scena del crimine con Beckett. Nella seconda invece ci sarebbe stata una discussione, sempre sul caso, con la donna, ma anche con Castle ed Esposito. L’ultima scena invece sarebbe stata un botta e risposta solo fra i due detective maschi. Secondo quanto ci aveva già detto Marlowe infatti, nella sua testa Esposito e Ryan erano come due fratelli.
Mentre leggevamo, ne approfittavo per guardare sottecchi la mia partner. Sembrava che il bacio-che-non-c’era-stato di un paio di sere prima non avesse intaccato il nostro rapporto. Anzi in qualche modo sembravamo addirittura più rilassati. Forse il fatto che avessimo messo tutto in pausa ci rendeva entrambi più tranquilli.
Poco dopo arrivarono anche Susan e Ruben che, dopo averci salutato calorosamente, si andarono a sedere accanto a Tamala e Molly nei posto loro riservati vicino al tavolo dei produttori. Bowman ci annunciò che c’erano solo una trentina di candidati, quindi non sarebbe stata una cosa troppo lunga. Sospirai sollevato a quella constatazione. Avevo paura che la testa ricominciasse a pulsarmi dolorosamente se mi fossi stancato troppo. Terri arrivò all’ultimo, salutando comunque tutti con un sorriso, e si sedette accanto al marito. Marlowe a quel punto ci chiese se eravamo pronti. Annuimmo tutti e tre e Andrew chiamò la sua assistente, Isabel, per dirle di cominciare a far entrare i candidati.
Il primo a entrare fu un uomo piuttosto in carne con i capelli castani tagliati a spazzola e un’aria familiare. Lo squadrai inclinando appena la testa. Lo avevo già visto da qualche parte. Quando si presentò e diede il suo curriculum a Marlowe capii perché. Si chiamava Colby French e, oltre ad aver avuto diversi altri ruoli, era stato anche in Heroes, una serie televisiva di cui avevo visto qualche puntata.
French finì di parlare con Andrew e Rob e fu mandato da noi. Ci venne incontro con un sorriso sereno e allo stesso tempo sincero. Sembrava un tipo tranquillo e con un’aria tenera da orso di peluche.
“Benvenuto ai provini aspirante detective!” lo salutai divertito quando gli strinsi la mano. Lui ridacchiò e scosse la testa come a dire ‘ne riparliamo quando finisco’. Gli passammo un copione e lui si fece subito serio mentre gli dava un’occhiata. Quindi provammo qualche battuta prima che Marlowe ci chiedesse se eravamo pronti.
La prima scena andò liscia. Si muoveva sicuro intorno al manichino che era stato messo a terra per simulare il corpo della vittima e anche i termini da poliziotto scambiati con Stana/Beckett sembravano non creargli problemi. Anche la scena successiva andò bene. Rispondeva a tempo con ognuno di noi sul caso e sembrava in effetti un vero poliziotto. Pure l’ultima scena alla fine non andò male, anche se non ci convinse del tutto. Colby era un tipo simpatico e scherzava tranquillamente con Jon/Esposito, ma serviva qualcosa di più. Sembravano semplicemente amici e noi volevamo un rapporto quasi fraterno tra i due. Un po’ di sana bromance insomma. Ovviamente non contavamo di trovarla da subito, ma chissà. Marlowe era stato fortunato con me e Stana per Castle e Beckett, magari lo sarebbe stato anche per Esposito e Ryan.
 
Due ore dopo eravamo arrivati finalmente all’ultimo candidato e, lo confesso, stavamo per gettare la spugna. Si erano presentati molti attori più o meno bravi, qualcuno con il quale avevamo anche stretto amicizia in poco, ma non ce ne era stato uno che avesse quel qualcosa in più che cercavamo. Solo French era stato vicino a quel traguardo.
Cercai di passarmi una mano tra i capelli, ma poi mi ricordai della benda intorno alla mia testa e mi limitai schiaffarmi la mano in faccia per svegliarmi. Fortunatamente non avevo dolore, ma mi sentivo stanco. Guardai Stana accanto a me e la vidi scuotere la testa sconfortata con gli occhi rivolti alla schiena del candidato appena uscito dalla porta. Buon attore, ma dalla faccia di Jon avevo capito subito che non gli andava troppo a genio. In effetti era un po’ troppo pieno di sé.
Sospirai e mi passai, mugugnando appena, i palmi delle mani sugli occhi. Un attimo dopo sentii una leggera carezza dietro al collo. Sorrisi senza farmi vedere. Sarebbe stato da stupidi chiedersi chi fosse. Solo lei mi avrebbe fatto provare quel brivido con una semplice carezza.
“Dai, Nate, ancora uno e poi possiamo staccare” mormorò dolce. Quanto mi sembrava suonare bene il mio nomignolo sulle sue labbra?
Alzai la testa e le sorrisi per rassicurarla sulle mie condizioni. Quindi annuii. In quel momento entrò l’ultimo candidato e io mi rialzai dalla sedia sulla quale mi ero accasciato. Scossi la testa per riprendermi un poco e osservai il nuovo arrivato. Era un uomo piuttosto giovane dalla pelle chiara, capelli castani con un gran ciuffo sulla testa e occhi azzurri. Indossava una camicia a quadretti grigiastri con il collo aperto e un paio di jeans neri.
Diede il suo curriculum a Andrew e si presentò come Seamus Patrick Dever, 32 anni. Secondo quanto potevo sentire, Dever aveva recitato in singoli episodi di differenti serie televisive ed era apparso anche in qualche film. A quanto pareva lo avevano appena scritturato, all’inizio dell’anno, come personaggio più o meno ricorrente nella soap opera General Hospital e nella serie Army Wives. La serie non la conoscevo, ma la soap sì. Era una delle più longeve e famose della televisione americana. Poco dopo Marlowe lo mandò da noi. Dever ci salutò con un sorriso allegro e strinse la mano a tutti e tre. Noi ci presentammo e gli passammo un copione.
“Wow, devo impararmi tutti questi termini??” domandò scherzando Seamus mentre leggeva la parte riguardante la scena del crimine. “Posso usare dei fogliettini?”
“Solo se fai dare una sbirciata anche a me” rispose Jon ridacchiando.
“Andata” replicò l’altro con tono complice. Li guardai curioso. Quindi feci un mezzo sorriso e scambiai un’occhiata con Stana. Lei ricambiò il mio sguardo divertito e speranzoso. Possibile che avessimo trovato ciò che cercavamo?
Dopo qualche momento provammo le tre scene. In effetti Seamus faticò a ricordare i termini polizieschi, ma allo stesso tempo sembrava molto professionale e quando sbagliava rimaneva sorridente senza essere irritante. Fu però nella parte tra Esposito e Ryan che avemmo la conferma dei nostri sospetti. In qualche modo, Jon e Seamus riuscivano a comportarsi già come se si conoscessero da una vita, scherzando e infilando anche un paio di battute loro nella scena. Erano semplicemente fantastici. Alla fine fecero addirittura un feed the birds senza che fosse richiesto.
I due si scambiarono subito i numeri di telefono e poco dopo Seamus ci salutò e se ne andò. A quel punto ci riunimmo, attori e produttori, per decidere chi sarebbe diventato il detective Ryan. Ovviamente però non poteva andare tutto liscio. Stavolta ci fu un problema. I possibili detective erano due: Colby French e Seamus Dever. Il fatto era che non riuscivamo a decidere quale fosse il migliore. Il primo era molto professionale e simpatico, ma era con il secondo che Jon aveva trovato quel feeling che cercavamo, anche se faticava un po’ di più. Ma in fondo chi di noi nasce genio? Il problema era farlo capire a quei produttori-seguaci delle mie scarpe che sembravano non volerne saperne di Dever. Pensavano che, visto che French aveva già una base di fan, forse avrebbe portato qualcuna delle sue ammiratrici a vedere la serie. Non avevano capito che Castle avrebbe avuto in ben poco tempo un fandom sicuro. Di questo ne ero certo.
Alla fin fine dopo un’ora non eravamo ancora arrivati a niente e Marlowe fu costretto a rimandare la scelta a dopo pranzo. Non ci avevamo mai messo così tanto per decidere un personaggio. E avevo come l’impressione che non sarebbe bastato nemmeno il pomeriggio.
 
Come avevo immaginato, perdemmo altre due ore in conclave dopo pranzo, prima di capire che in questo modo non saremmo arrivati a niente. Marlowe decise che avremmo dovuto risentire French e Dever. Magari fuori dal set, giusto per vedere come se la cavavano con noi. Se Colby avesse acquisito quel pizzico in più con Huertas allora sarebbe stato dentro, se invece Seamus fosse riuscito a districarsi un poco con i termini polizieschi e avesse confermato il suo feeling con Jon, allora sarebbe entrato lui. Da quello che intuivo però, sembrava che Andrew avesse comunque l’intenzione di dare una parte a ognuno dei due. Certo, la differenza sarebbe stata che uno sarebbe stato fisso nel posto del detective Ryan, mentre l’altro invece avrebbe fatto forse da ospite per una puntata o due.
Alla fine concordammo sul rimandare la decisione. Andrew ci lascò andare a casa e disse che avrebbe pensato a qualcosa per risolvere la questione. Prima di tornarmene al mio appartamento, rimasi un poco a parlare con gli altri. Scoprii che io, Jon, Stana e Molly eravamo più orientati su Seamus. Tamala, Ruben e Susan invece non avevano ancora scelto. Venti minuti dopo ci salutammo e ce ne andammo.
Quella sera stessa Marlowe mi chiamò per dirmi che a sua moglie era venuta un’idea.
“L’idea di Terri sarebbe quella di una passeggiata al parco o una gita o qualcosa di simile. Giusto per vedere a colpo d’occhio chi si trova meglio con chi. Tu ci staresti?” Sorrisi. Adoravo le gite fuori porta con gli amici!
“Certo che ci sto!” replicai subito allegro.
“Pensavamo di fare anche qualcosa di un po’ più elaborato, come una gita in barca” aggiunse Andrew pensieroso. “Ma in effetti quella forse è meglio lasciarla per quando abbiamo già deciso tutti gli attori… Tu che dici, ti piacerebbe come idea?” Non so come diavolo feci a non iniziare a non saltellare di gioia per la stanza. Un gita in barca!! E mi chiedeva anche se mi piaceva!! Cavolo, non solo voleva dire ridere e scherzare con gli altri per mezza e più giornata, ma c’erano anche buone probabilità di farsi un bel bagno. E questo voleva dire buone probabilità di vedere Stana in costume. Come poteva il mio livello di gradimento non salire a livelli stellari??
“Uhm… sì, sì, è una buona idea” risposi come se stessi perdendo tempo a pensarci su. “Ci sto!”
“Ottimo” replicò Andrew allegro. “Comunque per il momento iniziamo a pensare per questa gita, ok? Però dovrà essere un giorno entro settimana prossima, non oltre. A te andrebbe bene comunque?”
“Sì, certo” risposi. “Basta che mi fate sapere il giorno esatto” aggiunsi divertito.
“Ovvio” ribatté. “Mica posso fare una gita di gruppo con gli attori senza il mio protagonista!” disse ridacchiando. “Ora chiamo gli altri e ti faccio sapere, d’accordo?”
“Ok. Oh, a proposito, perché non settimana prossima?” chiesi poi curioso.
“Perché gli altri dovranno andare a vedere come si lavora in una vera centrale di polizia” rispose Andrew semplicemente facendomi spalancare gli occhi e la bocca dalla sorpresa. “La sezione omicidi del 20th distretto di Los Angeles ci ha già dato il permesso. Per una settimana Stana, Jon, Ruben, Tamala e Colby o Seamus, bisogna vedere chi verrà scelto, seguiranno un paio di detective e l’anatomopatologo del distretto. Non andranno davvero sulle scene del crimine, ma gli spiegheranno come si lavora sul campo e in centrale per gli interrogatori e nel raccogliere informazioni…”
“E perché io non lo sapevo??” domandai ancora stupito e anche un po’ risentito.
“Perché Castle non è un detective!” rispose ridacchiando Marlowe per il mio tono. “Tu imparerai insieme allo scrittore come si vive in una centrale di polizia.”
“Ma… ma…” balbettai. Stavo per mettermi a piangere. Entrare in una vera centrale di polizia e parlare con dei veri detective all’opera senza dover essere vittima, sospettato o assassino!! Era una cosa fantastica!! E io me la sarei persa!! “Andrew ti prego, manda anche me!” lo supplicai. “Sarò buono, non toccherò niente e guarderò solo senza aprire bocca!”
“Nath, non posso, ho già detto che sarebbero venuti solo i futuri det…”
“Ti prego!!” lo interruppi implorandolo. Sì, probabilmente ero peggio di Castle, ma io non avevo agganci con il sindaco, quindi in qualche modo dovevo pur fare, no?
Ci fu un momento di silenzio. Quindi il sospiro rassegnato di Marlowe.
“Va bene, vedrò che posso fare, ok?” Ebbi di nuovo l’impulso di saltellare per il salone. “Però non ti prometto niente!” aggiunse velocemente.
“Grazie, Andrew! Sei un amico” replicai sincero ed esaltato insieme. Con un po’ di fortuna sarei entrato in un vero distretto di polizia. Ma quanto figo sarebbe stato??
 
Mi richiamò un’ora e mezza dopo, mentre, inquieto ed eccitato, facevo zapping compulsivo sul divano non trovando nulla di decente da vedere. Appena vidi il suo nome lampeggiare sul telefono presi immediatamente la chiamata.
“Ehi, Andrew allora??” domandai impaziente senza dargli la possibilità di parlare. “Ci sono tutti per il giro?? Posso andare anche io al distretto??”
“Posso parlare?” mi chiese divertito Marlowe. “Allora per prima cosa ci saranno tutti per la scampagnata e, se a te va bene, il giorno migliore per tutti sarebbe venerdì, soprattutto perché Molly non ha lezioni per un altro giro di conferenza per i futuri collegiali alla sua scuola. Ti crea problemi?”
“No, è perfetto” replicai sorridente. Giovedì sarei andato a farmi togliere le bende e i punti dalla testa, quindi venerdì era davvero l’ideale.
“Va bene, allora confermiamo per venerdì” disse Andrew. Sentii dei fogli muoversi dalla cornetta. Probabilmente si stava appuntando l’impegno da qualche parte.
“E per il distretto invece?” continuai con speranza e ansia represse.
“Giusto” rispose come ricordandosi in quel momento dell’altra mia richiesta. Ma dal tono divertito avevo come l’impressione che invece l’avesse fatto apposta per farmi rimanere sulle spine. “Ho chiamato la detective capo del 20th, Dana Flanders, e ha detto che ti concede mezza giornata al distretto...” Beh, mezza giornata era meglio che niente. Cacciai un urlò di felicità senza lasciarlo finire.
“EVVAI!! Grazie Andrew!!” Lui ridacchiò.
“Di nulla.”
“A proposito… Flanders? Come quello dei Simpson?” chiesi divertito.
“Ah, ecco, bravo che me lo hai ricordato! Ha aggiunto una condizione: se fai un solo commento sul suo cognome ti sbatte fuori dal distretto a pedate.” Rimasi in silenzio per qualche secondo. Però, niente male come donna. Si era già documentata su di me? Wow!
Ridacchiai.
“Ok, prometto che farò il bravo” gli assicurai. Ci salutammo e riagganciai. Quindi spensi finalmente la tv e mi stravaccai sul divano con le mani dietro la testa, gongolando. Sarei stato in vero distretto di polizia!!
 
Venerdì, il giorno designato per la nostra gita, mi alzai presto e sorridendo. Mi infilai subito sotto la doccia, mi feci la barba canticchiando con solo l’asciugamano attorno alla vita, facendo un po’ il figo allo specchio, lo ammetto, e alla fine tornai in camera per vestirmi. Optai per la comodità, pensando che, secondo le previsioni, sarebbe stata una giornata calda, una delle ultime prima dell’arrivo del freddo: un paio di pantaloni blu scuri al ginocchio, una maglietta a maniche corte azzurra, scarpe da ginnastica e, per concludere, occhiali da sole per aumentare il fascino. Appena fui pronto mi guardai allo specchio e sorrisi soddisfatto, passandomi anche una mano tra i capelli. Il giorno prima mi avevano tolto i punti, quindi ora ero libero anche dalle garze. Il dottor Lyas mi aveva avvertito solo di non toccare, né infastidire in qualunque modo la ferita appena richiusa. La cosa migliore era che i miei capelli erano abbastanza lunghi da andare a coprire il taglio, nascondendolo alla vista. Nonostante facesse molto macho, volevo evitare che la gente rimanesse a fissarmi la testa.
Andai in cucina per fare colazione e dieci minuti dopo ero pronto per la nostra passeggiata. Prima di uscire mi preparai due panini con prosciutto, formaggio, insalata e maionese. Quindi recuperai lo zainetto che mi ero preparato il giorno prima e ce li infilai dentro. Controllai di non aver dimenticato niente. Panini, c’erano. Acqua, c’era. Crema solare, c’era. Cappellino, c’era. Portafoglio, c’era. Chiavi, c’erano. Cellulare, c’era. Macchina fotografica… manca!
Mi guardai subito intorno come sperando che apparisse dal nulla davanti ai miei occhi. Dove diavolo l’avevo lasciata? Ci pensai su qualche secondo, quindi mi ricordai di averla abbandonata sul comodino di camera mia. Proprio per non dimenticarla. Che genio.
Andai in camera e trovai subito la macchinetta dove l’avevo lasciata. Quindi tornai in salone e la misi nello zaino. In realtà probabilmente avrei fatto le foto con il cellulare, ma preferivo stare tranquillo. A quel punto ero davvero pronto per andare. Diedi un’occhiata all’orologio e decisi di avviarmi.
Alla fine avevamo deciso di non fare nulla di troppo stancante. Saremmo andati tutti al Malibu Bluffs Park, a circa un’ora di auto da Los Angeles. Non ci ero mai stato, ma Molly e Seamus sì e ne avevano parlato davvero bene. Avremmo fatto un giro nel grande parco e poi un pic-nic con vista mare solo per chiacchierare e divertirci. Anche per scegliere il più adatto tra Colby e Seamus in effetti, ma questo era un altro discorso. E poi Jon aveva promesso che avrebbe portato anche un pallone!
Un’ora dopo, come previsto, vidi un grande cartello di benvenuto all’entrata del parco e appena più in là il parcheggio. L’ingresso era gratuito, uno dei pochi ancora esistenti negli Stati Uniti, ma non c’erano molte macchine visto che era ancora un giorno settimanale. Non osavo immaginare quel posto di sabato e domenica.
Parcheggiai e scesi dall’auto cercando con lo sguardo uno qualunque dei miei compagni. Dopo qualche secondo di ricerca vidi finalmente Jon farmi segno con la mano da sotto una tettoia, creata apposta per non stare sotto il sole, nel cottage all’ingresso del parco che offriva cartine e avvisava sui comportamenti da tenere. Recuperai lo zaino dal sedile passeggero e lo raggiunsi. Vidi che, oltre a lui, erano già arrivati anche Colby, Andrew e Terri. Il tempo di salutarli e un’altra macchina entrò nel parcheggio. Era Susan insieme alla piccola Molly. Cinque minuti dopo arrivarono contemporaneamente altre tre auto: una era quella di Stana, che portava con sé anche Tamala; la seconda era di Ruben; la terza era quella di Seamus. Con lui c’era una donna, piccolina, capelli biondi e occhi di un colore che non avevo mai visto, come verde mare. Ci sorrise radiosa e per nulla imbarazzata quando Seamus la presentò come Juliana Dever, ovvero sua moglie. Jon si lasciò sfuggire un fischio mentre le stringeva la mano.
“Però, amico, ti tratti bene!” esclamò guardando la donna con la bocca semiaperta. “Senti, non è che ha una sorella?” lo sentii chiedere a Seamus a bassa voce quando sua moglie si voltò per presentarsi a Stana.
“Sì, ce l’ho una sorella, Jon” replicò la diretta interessata, ancora di spalle, divertita. Vidi Jon sgranare gli occhi per la sorpresa per essere stato beccato. “E se farai il bravo magari te la farò conoscere!” aggiunse poi voltandosi e facendogli l’occhiolino. Mentre Jon aveva ancora la faccia del pesce lesso, Seamus gongolava.
“E’ mia moglie!” mi disse allegro.
Qualche minuto dopo, tutti armati di mappa e con zaini o borse in spalla, partimmo per la nostra camminata. A far tutto il giro, secondo l’omino all’ingresso, ci avremmo messo un paio d’ore se ce la fossimo presa con calma e se avessimo seguito il percorso panoramico consigliato.
Mi guardai in giro. Non molto lontano dall’ingresso riuscivo a vedere i famosi campi per lo sport di cui mi aveva parlato Molly. Anche da lontano potevo vedere il ‘diamante’ del campo di baseball e poco più in là tre diversi campetti per tennis, pallavolo e basket. Quando Jon li vide mi diede un colpetto con il gomito e aprì lo zaino per farmi vedere un pallone arancione scuro con righe nere perfetto per la pallacanestro. Gli sorrisi allegro e mi fece l’occhiolino. Magari al ritorno saremmo riusciti a organizzare una partita.
Visto che erano le undici passate e il sole era già alto e caldo, tirai fuori il mio cappellino dallo zaino, mettendomelo poi in testa.
“Ehi, guarda che qui non c’è nessun paparazzo da cui nascondersi!” esclamò Colby divertito vedendomi con gli occhiali da sole e il cappello. Alzai le spalle e feci per replicare, ma non feci in tempo ad aprire la bocca che qualcosa, meglio qualcuno, mi distrasse. Stana si stava mettendo della crema solare nello scollo a V della sua maglietta a maniche corte mentre chiacchierava con Susan. E poi anche sulle gambe coperte solo da un paio di pantaloncini che le arrivavano a mezza coscia… Deglutii e distolsi lo sguardo. Per lo meno se fossi svenuto avrei potuto attribuirlo a un colpo di calore causato dal Sole invece che dalla mia partner.
 
Nella prima mezz’ora passai diverso tempo a chiacchierare con Ruben e Tamala. Mi stava davvero simpatico quell’uomo. Con la coda dell’occhio intanto tenevo sotto controllo il resto del gruppo. Andrew era preso in un’animata discussione con Colby riguardo ad alcuni film. Stana, Susan, Juliana, Terri e Molly stavano parlando dei luoghi che avevano visitato o che avrebbero voluto vedere. Jon e Seamus chiacchieravano invece di sport e videogiochi. Notai però che la piccola Molly continuava a distrarsi. Cercare di fare la ragazza seria e restare con noi solo a parlare, ma sapevo che non avrebbe resistito molto. La vedevo che si guardava tutt’attorno come se volesse vedere più cose possibili intorno a sé. La capivo. In fondo aveva solo quindici anni e parlare sono con adulti poteva essere noioso, soprattutto se, come a lei, ti piaceva la natura e avevi voglia di esplorarla. In quel momento vidi il mare, di lato a noi, che iniziava a spuntare da una delle collinette del parco. Poiché ero il più alto, fui il primo a vederlo, ma in poco anche gli altri se ne accorsero e ci fermammo a osservarlo da una piccola altura. Sotto di noi c’era un’insenatura naturale con un breve tratto di spiaggia contornata da rocce. Era davvero bello e il mare calmo rendeva quasi magico quel luogo.
A un certo punto vidi un piccolo sentiero laterale e mi venne un’idea. Mi avvicinai a Molly.
“Ehi, piccola, che ne dici di andare a fare un po’ di esplorazioni?” domandai allegro. Lei spalancò gli occhi alla mia domanda, non pensando che qualcuno avrebbe voluto scendere là sotto. Ma evidentemente ancora non mi conosceva bene. Se c’era da esplorare qualcosa, io mi ci buttavo dentro.
“Davvero vuoi scendere?” mi domandò infatti dubbiosa. Annuii. Lei mi sorrise subito felice ed eccitata io sentii una piccola stretta al petto. Era così che si sentiva un padre quando faceva felice la figlia?
“Dai andiamo!” le dissi allungandole la mano. Lei la prese senza esitazione e mi seguii. Appena prima di scendere però mi fermai e mi voltai. “Qualcun altro ha voglia di scendere?” domandai. Vidi diverse facce indecise, più che altro per l’altezza dalla spiaggia e per il sentiero stretto. Sì, in effetti era piccolo, ma facendo attenzione si poteva scendere facilmente. “Ok, se siete troppo fifoni allora noi andiamo, vero Molly?” commentai ridacchiando. Non feci in tempo a finire la frase che ci fu un coro di voci in protesta, prima fra tutti quella di Stana che si avvicinò e diede uno schiaffetto alla visiera del mio cappello per farmelo scendere sugli occhi.
“Non darmi della fifona, Fillion, o potresti pentirtene” esclamò lei a metà tra il divertimento e la minaccia.
“Non vedo l’ora…” mormorai quando mi passò davanti in modo che non mi sentisse nessuno. Evidentemente non fu abbastanza piano perché Stana si girò, mi lanciò un’occhiataccia e poi scosse la testa divertita.
Alla fine scendemmo io, Molly, Stana, Jon, Seamus, Juliana e Tamala. Andrew, Terri, Susan, Ruben e Colby, insieme ai nostri zaini, invece rimasero sull’altura a osservarci divertiti, e forse anche un po’ preoccupati, mentre cercavamo di non ruzzolare giù dal sentiero roccioso. Tenni la mano alla piccola Molly per tutto il tempo della discesa. Non volevo che si facesse del male per un’idea che era venuta a me. Quando fummo davanti al mare però, sulla spiaggia soffice, capimmo che le nostre fatiche erano state ricompensate. Era bellissimo. Il mare si stendeva calmo davanti a noi e le rocce sembravano avvolgerti come in un abbraccio. Avevo ragione. Sembrava davvero un luogo magico.
“Non vogliamo fare una partitina a beach volley, vero??” domandai eccitato agli altri dopo qualche minuto di contemplazione.
“Beach volley?” domandò Stana con un sopracciglio alzato. Annuii subito. “Scortatelo” dichiarò tornando a guardare il mare.
“Perché no?” domandai con lo stesso tono di un cane bastonato.
“Per il beach volley serve, oltre che il pallone, il costume, Fillion.” Certo che lo sapevo.
“E quindi?” chiesi candidamente.
“Quindi scortatelo” ripeté Stana divertita. “Non reggeresti alla vista di me in bikini…” Sbuffai.
“Io volevo farlo proprio per questo…” borbottai. Mi arrivò un altro colpo sul cappello. Gli altri risero. Pensavano che stessimo solo scherzando. Non potevano sapere quanto fondo di verità ci fosse in quelle battute.
Poco dopo, io, Molly e Stana partimmo alla ricerca di possibili conchiglie sulla spiaggia facendo intanto esplorazioni tra le rocce laterali. Jon e Seamus presero a lanciare sassi per vedere chi lo mandava più lontano, mentre Juliana e Tamala si sedettero all’ombra sulla spiaggia a chiacchierare.
Venti minuti dopo Andrew ci richiamò. Conchiglie ne avevamo trovate ben poche, ma c’erano un mucchio di sassi strani tra i quali ne recuperammo uno grigiastro con striature verdi, uno che sembrava blu a pallini bianchi e un ultimo grigio scuro con venature bianche che era un perfetto ovale.
Prima di risalire tirai fuori il cellulare e scattai qualche foto in giro, sia al panorama sia ai miei compagni di scampagnata, compresi i cinque che erano rimasti sopra di noi ad aspettarci. Lo ammetto, scattai diverse foto a tutti, ma soprattutto a Stana. La presi anche in un momento in cui sembrava un po’ pensierosa a guardare il mare mentre una leggera brezza le scompigliava i capelli. Sembrava una visione. Una visione a cui non mi sarei mai abituato, ne ero certo.
Tre quarti d’ora dopo eravamo a circa metà giro del parco e trovammo una piccola collinetta con dei tavoli in legno attrezzati per pic-nic. La vista sul mare era spettacolare. Ci sedemmo tutti su uno dei tavoli più lunghi e iniziammo a tirare fuori viveri e vivande. Fu in quel momento che scoprii che Seamus e Juliana erano vegani. I loro panini sembravano fatti apposta per dei conigli tanto erano pieni di verdure. Molly sembrò molto interessata a quello stile di vita. Per conto mio, non credo sarei mai riuscito a rinunciare alla carne. Ero un carnivoro convinto.
Andò a finire che il pic-nic fu un mezzo pranzo poiché, dopo i panini, Juliana tirò fuori un’enorme ciotola piena di frutta in pezzi, mentre Susan aveva pensato bene di fare una torta per tutti. Diedi un’occhiata alle loro borse, stupito. Dove cavolo le avevano nascoste fino a quel momento quella mega teglia e l’insalatiera gigante??
Per tutto il pranzo continuai a fare foto qua e là ai presenti e al cibo. Feci anche una fantastica foto a Jon e Seamus, entrambi con due panini in bocca, che mi guardavano con gli occhi spalancati come se avessi interrotto il pranzo più importante della loro vita. Mi diedi da fare con le istantanee, in qualche modo mi avevano onorato del ruolo di fotografo ufficiale delle gita, e riuscii a farne anche alcune molto belle, come una con tutte le donne del gruppo sorridenti insieme, subito seguita da una foto di noi uomini con le facce e le pose più idiote che potessimo pensare. Altre molto belle erano quelle con le coppie Andrew-Terri e Seamus-Juliana. Sembravano sempre bellissimi insieme, qualunque espressione avessero.
A un certo punto Tamala mi rubò il telefono e iniziò a fare qualche foto a me in gruppo insieme ad altri o da solo in qualche posa stupida. Ne fece però anche qualcuna seria: in una ero insieme a Molly, seduto accanto a lei sulla panca con un braccio intorno alle sue spalle come a proteggerla; in un’altra ero con Stana. Avevo cercato di chiacchierare un po’ con lei, ma quando c’è tanta gente è sempre difficile beccare una persona da sola. Tamala aveva trovato proprio quel momento per farci una foto. Quando mi ripresi il telefono e vidi l’istantanea, sorrisi. Stana e io eravamo seduti uno accanto all’altro e semplicemente ci guardavamo. Avevo appena detto una cavolata e lei mi aveva ripreso a suo solito. Tam aveva colto esattamente il momento dopo. Quello in cui, per un attimo, avevo sperato di essere di nuovo solo con lei nel mio appartamento una settimana prima.
Finalmente ci convincemmo ad alzarci e a concludere il giro. In realtà non volevo già che finisse, ma poi mi ricordai che c’erano ancora i campi sportivi alla fine del percorso. Magari una partitella sarebbe scappata.
Il resto del parco era altrettanto bello, anche se senza la vista mare che avevamo costeggiato nel primo tratto. Qui c’era più verde e in lontananza potevamo vedere le collinette che separavano la spiaggia di Malibu dalla cittadina. Quando rividi il diamante del campo di baseball, guardai l’ora. Erano passate da poco le tre del pomeriggio.
“Abbiamo già finito?” domandò Molly sospirando. Il mio pensiero era lo stesso, ma subito scambiai un’occhiata con Jon e sorrisi.
“Forse no” replicò Huertas aprendo il suo zaino militare e tirando fuori il pallone da basket che mi aveva fatto vedere all’inizio del giro. Lo lanciò appena in aria facendolo girare e lo riprese sul dito indice continuando a farlo ruotare. Lo guardai a bocca aperta. Io era una vita che ci provavo e non ci ero mai riuscito! “Allora, chi vuole fare una partita?” domandò divertito Jon facendo segno con la testa verso uno dei campetti laterali del parco.
 
Dieci minuti dopo eravamo tutti al campo di basket a fare le squadre. Marlowe, Terri e Susan non vollero partecipare e si sedettero su alcune panchette laterali al campo per osservarci giocare e fare il tifo. Ruben disse di essere troppo vecchio per unirsi a noi, ma che non si sarebbe tirato indietro per il ruolo dell’arbitro. Alla fine quindi rimanemmo in 8. Cercammo di fare delle squadre equilibrate (nel senso che cercai in tutti i modi di stare nella stessa squadra di Stana), ma alla fine decidemmo di fare maschi contro femmine. Io, Jon, Seamus e Colby contro Stana, Tamala, Juliana e Molly. Noi eravamo più forti e alti, ma loro erano decisamente più veloci e agili.
Lasciammo giù zaini, occhiali e cappellini e ci preparammo. Da galantuomini, lasciammo a loro tenere la palla e scegliere il campo. Quindi Ruben diede il via e partimmo. Dopo mezz’ora eravamo già completamente sudati e ansanti e il risultato era 16 a 18 per noi. Cavolo, erano davvero svelte quelle quattro! Stargli dietro era un’impresa, soprattutto a Molly. Ci passava davanti che neanche un fulmine!
Terri faceva ovviamente il tifo per le donne, Andrew per noi e Susan semplicemente ci osservava giocare ridendo di noi maschi che cercavamo di bloccare quelle quattro e che ci incasinavamo da soli.
Dopo tre quarti d’ora eravamo 26 a 24 per loro e decidemmo di fare una pausa per riprenderci. Mi sedetti stancamente su una panchetta e recuperai la bottiglia d’acqua dal mio zaino.
“Ragazzi, ci stiamo facendo fregare!” esclamò Jon concitato riunendoci come se fosse una vera partita dell’NBA. Lanciò un’occhiataccia alle quattro ragazze che stavano parlando allegramente, ignare dei nostri piani malefici.
“Che pensi di fare?” domandò Colby. Il ghigno sul volto di Jon mi fece preoccupare.
“Le distraiamo ovviamente!” rispose convinto. Lo guardammo straniti. Lui sbuffò e ci spiegò il piano con la pazienza di un adulto che spiega un concetto facilissimo a un bambino idiota. Anzi a tre bambini idioti.
Quando concluse ci guardò con le braccia incrociate davanti al petto, fiero di sé stesso. Noi ci osservammo dubbiosi.
“Lo sai che una di quelle donne è mia moglie, vero?” domandò alla fine Seamus poco convinto. Jon annuii.
“Ovvio” replicò. “Ma se guarderà un fusto latino come me, non so proprio che farti” aggiunse come se fosse mortificato, scherzando. Dever fece una smorfia e io e Colby ridacchiammo. Poi mi voltai a guardare le ragazze. Stavano riprendendo fiato semisdraiate sulle panche. Notai che sembravano divertirsi parecchio ad additarci di nascosto e a ridacchiare. Juliana inoltre sembrava essere quella più maliziosa. Il che era tutto dire, visto che c’era anche Tamala nel gruppo. Sperai che non mi traviassero la piccola Molly oppure avrei dovuto fare io i conti con suo padre…
“Seam, posso farti una domanda?” chiesi a Seamus. Lui, che stava bevendo, annuì mentre buttava giù un sorso d’acqua.
“Dove hai trovato tua moglie?” domandai curioso. Sembravano così perfetti l’uno per l’altra, da quel poco che avevo visto, che quasi mi chiesi se fossero stati scelti apposta per stare insieme.
Dever sorrise e guardò verso sua moglie.
“Qualche anno fa venni a Los Angeles per cercare lavoro nel mondo del cinema. Purtroppo sai anche tu come vanno queste cose, no?” commentò lanciandomi un’occhiata. “Si comincia con la gavetta: qualche secondo di film, un apparizione in un episodio di una serie e poi in un’altra, senza alla fine nulla di concreto. Dovevo pur mantenermi però, no? Perciò mi cercai un lavoro…”Annuii. Sapevo sì come andavano queste cose. Non era scontato che ti prendessero da qualche parte e magari ci voleva un po’ prima che qualcuno si accorgesse di te e ti desse la possibilità di mostrare le tue doti. Nel frattempo dovevi pur vivere e per vivere serviva una fonte di guadagno. Io stesso, prima di affermarmi come attore, avevo fatto qualche altro lavoretto per mantenermi. “Beh, trovai un lavoro presso una libreria, al banco della cassa. Non so neanche come accadde…” aggiunse non riuscendo a nascondere un enorme sorriso, lo sguardo perso nel ricordo. “So solo che un giorno me la ritrovai davanti che mi chiedeva se potevo darle qualche informazione su un libro. L’aiutai a trovare il libro, quindi parlammo per un po’ e, prima di lasciarla andare, le diedi il mio numero di telefono. Non l’avevo mai fatto prima… non con qualcuna conosciuta così da poco comunque!” continuò ridacchiando. “Da lì è cominciata la nostra storia… e da due anni siamo sposati.”
“Wow…” mormorai stupito. “Come un incontro casuale possa cambiarti la vita, eh?” commentai sinceramente felice per loro. Lui annuì, ancora perso a guardare Juliana.
“Beh, una bella storia, fratello” esclamò all’improvviso Jon per fuoriuscire da quel momento nostalgico che si era creato. “Ma ora che ne dici di insegnare a tua moglie e alle sue amiche come si gioca a basket?” domandò con un sorrisetto divertito.
“Allora, ragazzi, vi siete ripresi o avete bisogno ancora di tempo?” ci urlò proprio in quel momento Tamala ridacchiando. “Certo che non siete un granché come uomini, vi stancate facilmente…” Prendemmo quel commento come un oltraggio personale. A un cenno di Jon, tutti e quattro ci togliemmo le magliette, rimanendo a petto nudo. Colby non era molto in forma, ma si vedeva ancora che da giovane, seppure ben piazzato, aveva avuto dei bei muscoli. Seamus al contrario era in forma, ma un po’ pallido. Jon era ovviamente palestrato. Io, nonostante tutto, facevo la mia porca figura. Pancetta ne avevo giusto il minimo, nonostante ancora sfottessero a volte sul fatto che avevo sempre fame, ma ero pronto a scommettere che almeno una delle quattro donne, quella che in realtà mi aveva già visto a petto nudo, non trovasse per niente male quella visione.
Avevo appena fatto in tempo a pensarlo che mi voltai verso le quattro e notai Stana fissarmi mentre si mordeva il labbro inferiore. Sentii Terri fischiare in segno di approvazione mentre Andrew borbottava qualcosa. Tamala stava squadrano piuttosto attentamente Jon e Juliana ovviamente sembrava non avere occhi che per il marito. Anche se mi accorsi che anche lei lanciava qualche occhiata altrove.
Ruben ci guardò con un sopracciglio alzato, ma poi, divertito, ci diede il via libera per giocare. Ricominciammo la partita che erano quasi le quattro. Devo dire che all’inizio la trovata di Jon ebbe il suo effetto. Le ragazze erano un po’ distratte e noi segnammo diversi punti. A un certo punto però si accorsero del loro errore. Stana, per il caldo o per vendetta, si annodò i lembi della camicia che indossava appena sotto il seno lasciando la pancia scoperta. Inutile dire che a quel punto fui io quello rimasto intontito. Potevo vedere il sudore colarle in piccoli rigagnoli lungo la pancia e la vista mi diede più di un brivido lungo la schiena.
In qualche modo a un certo punto i contatti fra le due squadre divennero decisamente più frequenti, anche se molto meno per Molly e Colby. Ad esempio non fu raro a un certo punto vedere Seamus bloccare Juliana praticamente abbracciandola dalle spalle oppure Tamala che quasi si attaccava alla schiena di Jon per fermarlo. Oppure ancora io che cercavo in tutti i modi di fermare Stana prendendola per la vita. In realtà accadevano anche i casi misti, in cui ad esempio ero io a bloccare Tamala o Jon a fermare Juliana e così via, ma quelle erano avvenimenti meno frequenti.
In un’azione mi vidi arrivare Stana davanti, palla alla mano, sorrisetto in volto, che cercava il passaggio migliore per sorpassarmi e andare a canestro. Ah, no, se pensava che gliela dessi vinta così si sbagliava di grosso!
La vidi andare a sinistra prima che scattasse al contrario verso destra. Riuscii a bloccarla per un pelo con un braccio, contro cui si schiantò con la pancia. Non mollò la palla però. Così la strinsi per la vita da dietro, il mio petto contro la sua schiena, per cercare di bloccarle i movimenti e prenderle la palla. Lei lanciò un urlo, che era a metà una risata, quando la tirai su dalla vita per fargliela mollare. A quel punto lanciò la palla a Tamala sulla destra. Nel passargliela però fece un movimento brusco che fece sbilanciare entrambi e ci fece cadere a terra abbracciati mentre ancora ridevamo.
L’attimo dopo mi ritrovai una Stana ansante, accaldata e sorridente con i capelli scompigliati, le mani sul mio petto, la pancia scoperta e i leggins corti, sopra di me. Non smisi di respirare solo perché ero già a corto di fiato per la partita. Senza pensarci la strinsi appena di più a me e con il pollice le carezzai il fianco scoperto. Il calore del suo corpo sul mio stava già per farmi un brutto scherzo quando lei stessa capì la situazione e si alzò velocemente da me, rossa in volto. Il lamento che mi uscì il momento dopo riuscii per fortuna a farlo passare per un dolore alla testa dato dal taglio appena rimarginato.
Decidemmo di smettere di giocare. Finì 56 a 52 per le ragazze, ma ci sarebbe stato tempo per una rivincita in futuro. Erano le cinque passate ed era ora di rientrare, senza contare che eravamo tutti stanchi, soprattutto noi che avevamo giocato la partita. Ci risistemammo, recuperammo gli zaini e ci avviamo lentamente all’uscita del parco.
Prima di rientrare nelle auto, rimanemmo qualche minuto a parlare nel parcheggio, aspettando che Marlowe finisse una telefonata che aveva iniziato poco prima. Qualche minuto dopo riagganciò e si riavvicinò a noi soddisfatto. Il primo ad andarsene fu Colby, seguito a ruota dai coniugi Dever.
“Ehi, ci conto per tua sorella, eh!” gli gridò dietro Jon ricordandosi della battuta di Juliana all’inizio della nostra passeggiata. La donna gli fece un segno con la mano per salutarlo mentre, ridacchiando, si allontanava abbracciata al marito. Li guardai felice per loro anche se con un po’ di invidia. Avrei voluto anche io essere fortunato come Seamus. Mentre formulavo quel pensiero, i miei occhi si spostarono subdoli su Stana. Dio, quanto avrei voluto ancora stringerla a me… Ma ormai avevamo fatto il nostro accordo. Prima la serie. Poi noi.
Prima che ce ne andassimo anche noi, Marlowe ci disse di presentarci la mattina dopo agli studios alle nove. A quel punto salutai tutti, salii in macchina e partii alla volta di casa, pensieroso.
 
Il mattino dopo mi presentai come concordato sul set del distretto, dove vidi già appostati tutti i produttori-seguaci di Andrew insieme al regista stesso, a Bowman, Molly, Ruben e Stana. Durante la serata avevo preso una decisione. Salutai tutti, quindi mi feci coraggio e mi avvicinai alla mia partner prima che arrivassero gli altri e fosse ora di cominciare la riunione.
“Posso… posso parlarti un momento?” le chiesi cercando di mascherare la mia ansia. Lei mi guardò curiosa per un attimo, quindi annuì e con me si spostò di qualche passo, in modo che gli altri non ci sentissero.
“Cosa volevi dirmi?” mi domandò Stana sorridendo.
“Ecco io…” cercai di rispondere, ma iniziai a balbettare. Che fine aveva fatto il bel discorso che mi ero preparato nella mia testa?? “Io stavo… stavo ripensando all’altra sera e... e a quello che si siamo detti e io non…” Non riuscii a concludere che il suo cellulare squillò.
“Scusami…” mormorò imbarazzata. Le feci segno con la testa che andava tutto bene e che poteva rispondere. Tirò fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni e rimase un secondo a fissare telefono, dubbiosa. L’attimo prima che portasse il telefono all’orecchio, riuscii a leggere il nome del chiamante: Justin. Justin? Nessuno dei suoi fratelli si chiamava Justin e lei non l’aveva mai nominato. Chi diavolo era Justin??
“Pronto?” rispose mentre io attendevo, impaziente e nervoso. Sbuffai appena cercando di non farmi sentire. “Sì, ciao Justin.” Continuai ad attendere mentre la osservavo con la coda dell’occhio, come se sapessi che la cosa non doveva riguardarmi. “Domani sera?” chiese Stana esitante. Non voltarmi a guardarla fu impossibile. La vidi mordersi il labbro inferiore incerta. Poi alla fine sospirò e sorrise appena. “Va bene, ok, vada per domani sera.” Non seppi perché, ma fu in quell’attimo che sentii qualcosa dentro di me lacerarsi. Rimasi ad annaspare alla ricerca d’aria. Mi accorsi a malapena di Stana che salutava lo sconosciuto e riattaccava. “Scusa…” disse alla fine rivolta a me, mentre infilava di nuovo il telefono in tasca. “Era… un amico” aggiunse esitante senza che fosse richiesto. Ma da come lo aveva detto avevo capito che mentiva. Annuii piano. “Allora, cosa… cosa volevi dirmi?” mi chiese poi un po’ agitata. Continuava a torturarsi le mani. Aprii la bocca per replicare ma non ne uscì suono. Cosa potevo dirle? Che volevo invitarla ad uscire con me, non come semplici amici? Che avevamo sbagliato a stipulare quel ‘patto’? Che mi sarebbe piaciuto provarci con lei? Che avevo voglia di spaccare la faccia al tipo a cui aveva appena detto che avrebbe passato la sera successiva? Che non avrei voluto altro che stringerla di nuovo contro di me? Che non volevo altro che riassaggiare le sue labbra? Potevo dirglielo? Sì. Ma non lo feci.
“Niente” replicai con un mezzo sorriso forzato. Insomma che razza di attore ero?? “Niente di importante” aggiunsi più convinto. Stana aggrottò le sopracciglia, confusa. Vedevo nei suoi occhi che voleva sapere cosa avevo, ma per fortuna Marlowe ci chiamò a raccolta proprio in quel momento e ci portò via da quell’angolo che per me era diventato decisamente stretto.
Presi posto su uno sgabello e scossi la testa per riprendermi. In fondo forse era stato meglio così. Che cosa mi era venuto in mente? Non potevamo rischiare ora di mischiare lavoro e vita privata. Sarebbe stato uno sbaglio. Forse in futuro, chissà…
Senza volerlo i miei occhi cercarono Stana e la trovarono quasi subito accanto a Tamala, due sedie più in là di me. Sembrava tranquilla, anche se notavo perfettamente quella sua rughetta di espressione tra le sopracciglia. Presi un respiro profondo e cercai di allontanarla dalla mia mente. In fondo uscire con qualcun altro non era una così cattiva idea. Magari avrei potuto finalmente rispondere alle chiamate di quella modella bionda mozzafiato che avevo incontrato a una cena qualche sera prima.
Sbuffai e mi passai una mano tra i capelli. Cercai di concentrarmi. Alla fine mi decisi a lasciare i miei problemi emotivi fuori e a pensare alla discussione di Andrew con i produttori per la nomina del detective Ryan. Marlowe gli stava raccontando del giorno prima e di alcuni particolari che avrebbero fatto propendere per Colby o per Seamus. Venti minuti dopo votammo. E sorrisi. Avevamo trovato il nostro uomo. Seamus Dever era appena diventato ufficialmente il detective Kevin Ryan del dodicesimo distretto della omicidi di New York.

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Xiao!! :D
Prima di dire qualsiasi cosa, mi scuso per il ritardo, ma ho avuto un po' di casini (università compresa) e non sono riuscita a scrivere... poi è arrivato Watershed (*________*) e il giorno dopo ho scritto un terzo del capitolo che mi mancava! XD
Ok niente spero vi sia piaciuto! :) Volete indovinare il prossimo personaggio? X)
Un grazie enorme a Katia e Sofia, le mie due confidenti e compagne di stanza con cui ho sclerato per tutto questo tempo e che mi hanno sopportato e aiutato quando mi facevo venire mille fisime mentali per la storia! XD (anche quando abbiamo scoperto un "particolare" e ho dovuto cambiare mezza storia... XD)
Ah a proposito di questo... 1.il giro in barca lo faranno sul serio, ma poco prima dell'inizio delle riprese! 2.sono stati sul serio per un breve periodo in una vera centrale di polizia 3.il parco di Malibu esiste (da google maps se lo cercate si vedono i campi da baseball! XD) ma l'ho "ristrutturato" un pochino per esigenze di storia... XD
Ok ho parlato anche troppo! XD Grazie a chi ancora mi sopporta e aspetta paziente che mi dia una mossa! XD
A presto!! :D
Lanie
  
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