Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: piccola sognatrice_    16/05/2013    10 recensioni
La psicologa mi guarda spaventata e preoccupata per me, forse sarà vero che tutti mi ritengono pazza.
Quando andavo con la mamma al Luna Park da bambina, mi dicevo sempre che fare le cose pazze rendono la persona un po’ più speciale, d'altronde questo me lo ripeteva sempre il papà, ma questo non è la cosa che mi rassicura in questo momento
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Parto dal presupposto che so che questa storia è abbastanza lunga, quindi se a voi sta piacendo continuatela a leggere e magari se vi va recensite giusto per sapere cosa ne pensate e come secondo voi potrebbe finire. Buona lettura!

Capitolo uno –

L’acqua è limpida e brillante come il sole, il ricordo mi sembra fosse ieri, la testa mi gira, mentre, la luna piena sale su, nel cielo, e si fonde col colore del mare. Le onde spumeggiano e il sorriso sulle mie labbra si fa sempre più euforico, “ubriaca” non è il termine esatto, pazza, è quello giusto. Pur non avendo la certezza di ciò che sto facendo, io, lo faccio e basta.
Un uomo da dietro sfiora il mio corpo leggermente cullandomi con ali lucide e grandi che mi coprono tutto il corpo. È un uomo, l’uomo alto con mani morbide e unghie perfette, direi anche un po’ abbronzato.
Da allora mi ripeto sempre “è solo un sogno, uno stupido sogno”, ma questo non basta a far calmare la mia anima irrequieta.
«Aurora, per te è importante?» mi dice una donna accanto a me seduta su una poltrona un po’ malridotta.
I miei occhi sono fermi su un punto, scrutano ogni singolo angolo di quel divanetto strappato da un lato cui fuoriusciva la spugna di color giallo ocra, si vede che ci deve essere un gatto in questa stanza.
«Cosa Betsy?»
«Quel sogno Aurora…»
«Ohm, sì, un po’ mi confonde»
Incertezza, ecco cosa sento.
«Se non te la senti di continuare questa seduta, puoi andare».
La psicologa mi guarda spaventata e preoccupata per me, forse sarà vero che tutti mi ritengono pazza.
Quando andavo con la mamma al Luna Park da bambina, mi dicevo sempre che fare le cose pazze rendono la persona un po’ più speciale, d’altronde questo me lo ripeteva sempre il papà, ma questo non è la cosa che mi rassicura in questo momento.
«No… dimmi, pensi che sia pazza?»
La mia bocca trema, mi sento stupida e fragile come la bambina che ero allora quando tutti mi davano per matta.
«Aurora senti, stai passando un brutto periodo, ma ora devi dirmi chi per te potrebbe essere quest’uomo, non voglio che la morte di…» sa che se pronuncia il suo nome mi verrebbero nuovamente quegli attacchi isterici.
Sì, mi crede pazza, ho fatto solo un sogno e questo non vuol dire che io abbia le allucinazioni speravo in un appoggio, almeno il suo, ma a quanto pare devo cavarmela, come sempre, da sola.
«Sentimi tu, io non sono pazza, non sono pazza!».
La luce del sole entra nella stanza illuminandola e accecando i miei occhi che non si lasciano altro che pungere da quel bagliore.
«Dovresti prendere le pillole che ti ho prescritto e non prendere altre cose…»
Le parole “altre cose” per lei hanno sempre significato prendere alcolici o abusare di droga.
Prendo la mia borsa ed esco da quella stanza ignota, una camera vuota per me. Esco, sbatto la porta e ho voglia di quelle “altre cose”.
Non avrei dovuto continuare ad andare dalla psicologa ma, mia madre mi ha sempre costretto a far qualcosa che non ho mai voluto.
Mi avvio all’auto e con stupore guardo il cofano e trovo una rosa con un biglietto: le rose sono rosse le viole sono blu, lo zucchero è dolce, ma non quanto lo sei tu.
Che cazzata, chi sarà la persona che scrive queste cose?
«Aisha!» esclamo ad alta voce per farmi sentire.
«Au… Aurora?!» tutti hanno fatto questa espressione quando mi hanno visto dopo il periodo in cui non mi sono fatta sentire.
«Che fine hai fatto? Dopo la morte di…». «Ho avuto da fare.» Dico sorridendo prima che lei possa continuare dicendo il suo nome.
Il suo viso mi ricorda il giorno della festa quando soccorsero Nico.
«Era fantastico, ricordi il primo giorno che tu ed io lo incontrammo? Già, tu ed io, prima sì che eravamo migliori amiche…» sapeva già che non doveva nominarlo, non così.
Il primo giorno che incontrammo Nico stavamo andando a comprare un libro, chi se lo doveva immaginare che da vedere qualche libro abbiamo visto un bel ragazzone tutto muscoli e abbronzatura nella libreria più grande di tutta la città.
Ricordo ancora quando mi disse “ehi” con quella sua faccia da cucciolo.
«Già, ora si è fatto tardi, vado, ciao Aisha» mi allontano prima che possa continuare per ore e ore a parlare di Nico, del “ragazzo dai libri e muscoli in testa” come lo chiamavamo io e lei.
Ho le lacrime sul viso, aver perso le persone a me care ha fatto davvero molto male e non avrei dovuto fermare Aisha chiamandola, anche se il mio impulso l’ha fatto.
«Aurora ti prego aspetta!» troppo tardi, stavo già andando via da quell’orrido posto.
Basta, non tornerò più indietro, almeno finché l’amore della mia vita non ritorni. Lo aspetterò. Per Sempre.
 
L’auto andava sempre più veloce così che una macchina, anch’essa a tutta velocità, andò a sbattere su quella di Aurora. Il suo grido divenne sempre più forte e i suoi occhi si chiusero, riaprendoli poi in un letto di ospedale.
 
«Ma… dove sono?! Zia?» Mi trovo in un letto di ospedale.
Accanto al mio letto c’è una sedia, mia zia è appoggiata allo schienale con la faccia appoggiata rivolta verso l’alto e con occhi chiusi sta russando.
Dovrebbero essere le quattro del pomeriggio riconosco l’altezza del sole che non è in alto come lo è a mezzo giorno, questa cosa me la insegnarono quando andavo alle medie, un gioco da ragazzini.
Mia madre non c’è, dov’è? Perché mi ha lasciato sola?
«Zia?» dico ancora perplessa, dormiva e non riusciva a svegliarsi probabilmente stava dormendo profondamente.
Sbuffo e affondo la mia testa sul cuscino persa nei miei pensieri, mia madre starà lavorando e starà bene, di certo non sta qui a pensare a una come me. Una stupida figlia che ha dovuto crescere da sola giacché mio padre è morto quando avevo quindici anni, era stupendo e speciale, rendeva i miei giorni sempre allegri e spensierati e io pur avendo quel periodo dell’adolescenza preferivo lui che ai miei amici, non tutti ovviamente, non avrei mai rinunciato ad Aisha, però, con la morte di Nico è stato un bene allontanarmi, sicuramente l’avrei persa comunque poiché dopo la sua morte sono cambiata.
A quel Luna Park una volta c’era venuto anche lui, “il mio babbo” così l’avevo chiamato quando mi era venuto incontro per prendermi in braccio e darmi tanti bacetti sulla fronte.
Avevo già affrontato un periodo così della mia vita ma questa volta era stato tremendo allontanarsi da Nico, più tremendo che perdere un padre.
«Sarà meglio che suono ad un’infermiera» dico a voce alta cercando di alzare il braccio, ma niente, non riuscivo a muovermi, il mio corpo non lo sentivo. Il mio corpo non era più mio. O meglio. Non lo sentivo più mio.
Sento dei passi provenire dal corridoio. Quel lungo e ripugnante corridoio dove la gente non fa altro che camminare malata toccando gli unici sedili che puoi trovarci e che mi ricorda tanto che la mamma mi ha detto una volta che se una persona si vuole ammalare potrebbe benissimo chiudersi in una di quelle stanze dove tutti aspettano il proprio turno per la propria visita al dottore, per non parlare poi del tanfo di ascelle di alcune persone in sovrappeso.
I passi si avvicinano sempre di più alla porta, si sente il rumore dei tacchi, deve essere sicuramente una donna.
«Ti metti a parlare anche da sola ora?» esclama.
Non si può ancora vedere il suo volto, ma pian piano si avvicina ancora di più alla soglia della porta.
I miei sospetti presero forma: mia madre.
«Aurora, che ti è successo figliola? Mi hai fatto preoccupare, cosa ti è saltato in testa? Dopo quella cur…»
Sapevo che non avrebbe detto la parola “cura” per lei è stato sempre un dolore ricordare quel triste periodo.
«Mamma!» ero felice che lei non si sia scordata di me, avevo davvero bisogno di lei.
«Oh. Scusa Aurora se non sono venuta prima, ma la zia voleva…» si ferma, poi prosegue «Caroline? Oh cielo, dovevi controllare che mia figlia si svegliasse e guarda chi ha finito per addormentarsi! Sono Stasy, andiamo! Ciao tesoro, ti lasciamo riposare, ricorda: ti voglio bene.» mi da un bacio e porta via la zia Caroline, dalla stanza, ancora tutta assonnata.
Non riesco ancora a credere come mia madre possa comparire e scomparire così da un momento all’altro, diamine, non ho bisogno di riposare, voglio solo uscire da questo posto orrido. 
Sorrido e m’innervosisco contemporaneamente per l’accaduto di mia zia, ma ora la testa mi scoppia da morire, i battiti del mio cuore si fanno sempre più accelerati e non ho la minima idea di come il mio corpo stia o non stia bene. Chissà quanto dolore ho causato a me stessa, magari sto in fin di vita e nemmeno me ne accorgo. Non dovrei parlare con nessuno, no. Ho solo voglia di scappare ancora, ma ormai il destino mi ha fatto rimanere all’interno di questo buco, dentro questo vortice ad affrontare me stessa e quei ricordi, ricordi insopportabili e dolci allo stesso tempo, ricordi che mi spezzano in due.
Odio me stessa, odio ciò che è successo a Nico. Odio il passato. Lo odio.
Le mani stringono le lenzuola con tutta la forza che possono dare, gli occhi diventano rossi e le dita non resistono un solo attimo al movimento che stanno facendo. Quelle parole continuano a far più male alla mia testa, quelle parole che dicono che lui è morto. Voglio un’infermiera, che qualcuno mi accudisca e mi curi. Voglio allontanare quella ragazza, Aisha, dalla mia vista.
La parola “morto” echeggia nella mia testa e ad un tratto il volto di Nico, in quella festa, appare.
È stata tutta colpa mia, volevo morire e alla fine mi sono ritrovata in una stanza con una psicologa che nemmeno crede in me.
Appoggio dolcemente di nuovo la testa sul cuscino, stanca, mi addormento prima del solito.
Qualcuno sfiora la pelle di Aurora in sua insaputa, un bacio sulla sua fronte, e in quel momento, inconsciamente, si volta verso un lato ed ecco che si sveglia sentendo di nuovo un bacio sulle labbra.
Nessuno. Spaventata, decido di suonare all’infermiera che per mia fortuna sono riuscita a premere il bottone in modo rapido da poter non riuscire a provare dolore.
Biiip.
Va bene, e ora che le dico all’infermiera? Innanzitutto voglio proprio sapere in che condizioni sono dato che qui nessuno mi da notizie.
«Che le succede?» mi risponde una giovane donna che non poteva avere più di trentacinque anni, alta, sì e no, un metro e sessanta centimetri, con capelli tinti biondi e con un piccolo neo accanto all’occhio azzurro destro.
«Uhm. Bé. Ecco. Vorrei sapere che cosa ho, cosa mi è successo.» «Aspetti però, se sto per morire me lo dica subito… » la fermo prima che possa parlare.
Ecco un altro capo giro tremendo, magari sto per morire, chi lo sa.
«Ma no, com’è pessimista lei, lo sa? Mi dica, si sente bene?»
«Bene… » dico ansiosa in una risposta.
«Non muore stia tranquilla!» un sorriso le appare sul viso.
Ok, sto bene e sono viva, ma la testa mi fa davvero male.
«Dammi del tu, non sono una vecchia rompiscatole. Tra quanto posso uscire da qui, me lo puoi dire?» dico sconvolta, vorrei che mi dicesse “puoi uscire anche subito” ma dubito che succeda.
«Va bene. Lei è Aurora giusto?» Ma poi si corregge «Scusa. Tu sei Aurora?»
Faccio cenno di sì, guardando l’orologio appeso al muro di fronte.
«Un giorno in osservazione.»
Lungo e inquietante giorno, come posso resistere a questa congiura… In fin dei conti ho solo un trauma cranico lieve.
Mi alzo dal letto e mi affaccio alla finestra: ecco come sono, sono sola. La realtà è dura per tutti e a volte non si può far altro che accettarla.
Stupida Aurora, sei una stupida stronza. Ma che volevi, che la vita fosse buona con te? Che fosse come stare in paradiso? Più penso a tutto il male che ho passato e più sento questa rabbia venirmi giù pesante. Magari morivo, sarei stata un peso in meno per tutti, un problema in meno e magari avrei risparmiato tanti soldi a mia madre.
Stupida che non sei altro. «Stupida». Nessuno saprà più di me, nessuno.
Ora, ho solo il desiderio di stare con chi mi sa aiutare e comprendere, ma nessuno c’è la potrà mai fare.
So bene che trovare un’amica per me è davvero molto difficile e per di più cercare quel qualcuno che riempie i tuoi vuoti che non potranno mai più essere riempiti.
Riuscire a subissare la morte del solo ragazzo che ha saputo guardare oltre, guardare nei miei occhi e dire “tu sì che stai male, i tuoi occhi sono tristi e voglio essere io la tua felicità” è così complicato.
Quel ragazzo mi ha solo amato per un breve periodo, ha fatto come fanno tutti che vanno via, via da tutti i problemi, via da me.
Le mie lacrime scendono lentamente mentre i miei pensieri si fanno sempre più confusi e il mio dolore sempre più sgradevole, sempre più angosciante.
«Aurora, io non sono una tua conoscente sono solo una tua infermiera, però ci sono se ti va di parlare, ci sono, davvero» mi dice queste parole come se ha già sofferto per qualcuno e anche se potrà avere suppergiù trentacinque anni, so bene che lei può capirmi, lo sento.
«Io, io non voglio annoiarti con questa faccenda magari te ne parlo più in là, ti va bene vero?»
«Tranquilla Aurora, però so bene che hai perso qualcuno, tua madre me ne ha parlato… Credimi so benissimo cosa stai provando» esita un po’, però poi continua «Aurora, ho perso mio marito cinque anni fa, c’eravamo sposati a venticinque anni e io sono caduta in depressione, ma ora sto bene e sai perché? Perché penso che lui sia sempre qui con me, e che mi vorrebbe felice, non una stupida piagnucolona… ah, me lo ripeteva sempre “non fare la piagnucolona”».
Lo sapevo, sapevo che mi avrebbe capito, sapevo che aveva anche lei qualcuno nel suo cuore che amava da impazzire, sapevo che tutta la sua vita era quel granello di amore che le mancava, da morire.
«Gli uomini o ti chiamano “piagnucolona” oppure ”musona” insopportabili e adorabili allo stesso tempo, non trovi?» dico ed entrambe scoppiamo dalle risate, era da tanto che non ridevo, mi ci voleva proprio.
«Ora pensiamo alle cose serie signorina, devi riposare!» non pensavo potesse essere anche così severa, ma è brava, mi piace, era ciò di cui avevo un po’ bisogno.
«Sissignora» esclamo ridendo con lei mettendomi la mano sulla fronte come se stessi di fronte ad un vero capitano.
Affondo la testa, amareggiata dal dolore, sul cuscino e piombo in un lungo sogno.
  
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: piccola sognatrice_