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Autore: compulsive_thinker    16/05/2013    1 recensioni
Umyen era un Elfo piuttosto giovane e nei suoi appena centocinquant’anni di vita non aveva mai visto nulla di così perfetto come quella creatura. Edorel. Si alzò in piedi con un movimento aggraziato, attento a non far dondolare troppo la bambina, e si rivolse di nuovo alla regina:
“La proteggerò a costo della mia vita, ma chiedo di sapere la verità. Chi è?”

Edorel ha trascorso buona parte dei suoi quasi cinquemila anni di vita viaggiando continuamente, protetta dal fedele Umyen, ignorando il segreto delle sue origini. La sua decisione d'intraprendere il viaggio della Compagnia segnerà il suo destino e quello dell'intera Terra di Mezzo.
“Mi dispiace per quello che ha detto Umyen, non credo lo pensasse davvero.”
“Non m’interessa. Mi basta che tu sappia quanto ti sono riconoscente per avermi salvato la vita.”
“Non è stato solo merito mio.”
“Sì, invece. Ma non riuscirò mai a spiegartelo.”
Fece per tornare dagli altri, ma Edorel gli prese la mano e disse:
“Credo di capire. Avrei dato qualsiasi cosa per salvarti.”
“Avrei sopportato qualsiasi cosa per vederti di nuovo.”
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Hola!
Nuovo capitolo, fresco fresco... Il primo incontro tra Edorel e Galadriel (non aspettatevi grandi rivelazioni, mi piace farvi penare! xD), nonché una strana "scultura" che desterà non pochi dubbi nella nostra protagonista! Ma meglio lasciare a voi la lettura...e il giudizio! Fatemi sapere cosa ne pensate...
C.
PS. Un enorme grazie ad Anaire_Celebrindal per le sue recensioni! :*


Capitolo 13
 
La marcia verso Caras Galadhon fu molto diversa dalle tappe che avevano percorso prima di raggiungere Lothlòrien. Nessun timore di essere seguiti, nessuna fretta. Solo il monotono susseguirsi dei passi, protetti dalle mutevoli ombre del tetto di foglie sopra di loro e accompagnati dai deboli suoni della foresta. I Galadhrim non erano compagni di viaggio loquaci, ma amavano cantare storie del loro popolo. Edorel si unì a loro con piacere, lasciando salire verso le cime degli alberi la propria voce: era stato Umyen a insegnarle tutte quelle antiche melodie e inconsciamente sperava che lui cogliesse nel vento un’eco del suo canto e sapesse che stava bene.
Viaggiarono per una giornata intera, non vedendo attorno a loro altro che stupendi mellorn dalle foglie dorate. Quando il sole cominciò a calare, si accamparono per la notte e tutti gli Elfi scomparvero tra gli alberi. Soltanto Haldir rimase a vegliare sul riposo della Compagnia, spiegando:
“Temiamo che altri Orchi fuoriescano dalla miniera questa notte e che vengano qui. Daremo loro l’accoglienza che meritano.”
Gli Hobbit sussultarono al sentir nominare le orribili creature incontrate nelle miniere, ma non appena fu porto loro del cibo dimenticarono le preoccupazioni.
“Questa foresta non è poi così terribile, a dire il vero.”
Con un morbido lembas tra le mani e una coperta sulle spalle, Gimli concesse finalmente agli Elfi la sua approvazione. Legolas non perse l’occasione per stuzzicarlo, domandando:
“Terribile? Pensavo non esistesse nulla di terribile per l’ascia di un Nano.”
“Parla pure, finché sei nel tuo territorio. Ti darò una lezione, non scordarlo.”
Legolas alzò le mani in segno di resa e tutti risero. Persino Edorel, che cercava di liberare la mente per riposare, fu catturata dalle divertenti schermaglie tra i due. Tornò subito ad appoggiare la schiena al tronco dietro di lei, alzando lo sguardo per cercare d’intravedere qualche stella oltre le fronde buie.
“Mia madre le chiamava Velo di Sposa, perché diceva che glielo ricordavano.”
Aragorn si era seduto accanto a lei e indicava una sottile striscia di stelle con un sorriso malinconico.
“Ma non sento la sua voce da tanto tempo che comincio a dimenticarne il suono.”
Resosi conto di aver probabilmente rattristato la ragazza con quei pensieri, aggiunse:
“Perdonami, sono stato uno sciocco. Non avrei dovuto parlare di questo.”
“Non ho mai conosciuto mia madre né mio padre, e ho vissuto tanto da abituarmi a questa situazione. Nulla da perdonare, dunque!”
Si scambiarono un sorriso, poi Edorel aggiunse:
“Ricordo di aver giocato spesso con Umyen a dare nomi alle stelle, alle nuvole, alle montagne e persino ai rami degli alberi. Era la prima cosa a cui ci dedicavamo arrivati in un nuovo posto, potevo divertirmi per ore senza stancarmene mai.”
“Eri felice?”
“Sì, credo di sì.”
Poi ammise, abbassando gli occhi con un riso imbarazzato:
“Da quando siamo partiti per Mordor, l’ho fatto di nuovo, qualche volta. Per rendere meno spaventoso ciò che ci circondava, credo.”
“Stavo proprio per dirti che quel ramo somiglia un po’ alla testa di Sam.”
“No, direi piuttosto alla barba di Gimli!”
Non si resero conto del tempo che passava, finché non notarono che si era fatto stranamente buio. Il fuoco era stato spento e tutti già riposavano, sotto gli sguardi attenti di Haldir e Legolas che montavano la guardia ai lati opposti della piccola radura.
“Meglio dormire, altrimenti corro il rischio di addormentarmi nel bel mezzo della marcia di domani.”
Aragorn non le rispondeva, così si girò verso di lui. La stava guardando, negli occhi una luce che la fece tremare. Avrebbe potuto contare le screziature più scure nell’azzurro dei suoi occhi, e avrebbe desiderato farlo solamente per prolungare quello sguardo da cui non desiderava separarsi. Il silenzio le sembrò durare ore, quindi l’uomo rispose, distogliendo lo sguardo:
“Hai ragione, meglio riposare.”
Edorel fece per andare verso il suo giaciglio sull’erba, ma si bloccò al sentire la domanda di Aragorn:
“E ora, sei felice?”
“Come mai prima.”
Gli rispose, con un timido sorriso, prima di voltargli le spalle nella speranza di non rimanere ancora prigioniera del suo sguardo.
 
L’indomani arrivarono alla città. Si stupirono non poco del suo aspetto: le abitazioni erano costruite sui rami degli alberi, come il flet su cui avevano trascorso qualche giorno, ma erano squisitamente decorate, come vere e proprie case. Avevano sottili mura in legno intagliato, ampie finestre a ogiva e parevano tutte collegate tra loro da ponti sospesi, su cui si potevano veder passeggiare molti Elfi, a proprio agio nel vuoto come ragni avvinti alle loro tele.
Haldir e gli altri Elfi li scortarono su per una scalinata di legno che pareva non finire mai, salendo fin nel cuore dalla chioma dorata del più alto albero del bosco. Quasi sulla cima, si trovava il palazzo di Celeborn e Galadriel, che la Compagnia avrebbe presto incontrato.
Vennero condotti in un salone ampio e luminoso. Sul pavimento riverberava l’oro delle foglie circostanti e ampi tendaggi bianchi oscillavano alla debole brezza, instillando nel cuore dei viaggiatori una sensazione di pace e sicurezza, per la prima volta dopo lungo tempo.
“Venite avanti, poiché desideriamo parlarvi prima che vi concediate il meritato riposo.”
A parlare era stato un Elfo dall’espressione maestosa, con lunghi e lisci capelli argentei, alzandosi da uno dei due troni collocati in fondo alla sala. I compagni avanzarono verso sire Celeborn, alcuni con gli occhi bassi e reverenti, altri guardandosi intorno a bocca aperta, increduli.
Il sovrano rivolse qualche parola a ciascuno di loro, personalmente, ma quando giunse a Edorel fu interrotto da qualcuno che fino a quel momento era rimasto talmente immobile e silenzioso da passare quasi inosservato.
“Molte cose scoprirai durante questo viaggio, forse più di quante sarebbe bene che tu conoscessi. Tuttavia non ho il potere d’impedirlo, posso solamente invitarti a essere prudente e misurata. Parlo per il tuo bene, cara Edorel.”
La regina Galadriel aveva pronunciato queste parole lentamente, alzandosi dal trono. La ragazza ebbe conferma in quell’istante che la regina conosceva tutto di lei. Avrebbe voluto rispondere, porre mille domande, ma sembrava che il suo sguardo la bloccasse, impedendole di aprire bocca. Si limitò a fissare i propri occhi in quelli glaciali dell’Elfa, come a dire che non si sarebbe accontentata di quella parziale rivelazione, ma avrebbe preteso di più.
Terminati questi insoliti convenevoli, i Galadhrim li riaccompagnarono a terra, con grande gioia di Gimli e Sam, e indicarono loro il padiglione sotto al quale avrebbero potuto riposare nei giorni seguenti. Congedandosi, Haldir disse:
“Devo tornare a sorvegliare i confini. Spero che ci incontreremo nuovamente, magari in circostanze meno angosciose. Che i Valar siano con voi nella vostra missione.”
La Compagnia s’inchinò a colui che li aveva salvati, guardandolo allontanarsi e sparire tra gli alberi.
Al riparo del grande padiglione, proprio vicino a una graziosa fonte, erano stati preparati per loro dei morbidi giacigli. Erano dieci. Anche in quel luogo intriso di serenità in tutti i cuori era ancora greve il dolore per la perdita di Gandalf e quel letto in più non faceva che riportare alle menti di tutti ricordi dello stregone, velando i sorrisi di triste malinconia. Dopo una cena frugale, Legolas si congedò dicendo che sarebbe andato a passeggiare.
“Posso accompagnarti?”
L’Elfo acconsentì di buon grado alla richiesta di Edorel e i due si avviarono per le strade deserte della città. Echi di voci giungevano alle loro orecchie dall’alto, Edorel respirava la tranquillità di quel luogo e la sentiva scendere fin nel profondo del suo cuore inquieto. Provò l’istinto di guardare e toccare il ciondolo, così lo tirò fuori dal vestito.
“Dove hai preso quel gioiello?”
“L’ho sempre avuto, sin da quando ho memoria. Umyen non mi ha mai detto da dove venga.”
“Quella è una pietra elfica e proviene da Eregion.”
Di nuovo quel nome, Eregion, scatenò nella ragazza una vaga reminiscenza, le riportò alla mente immagini confuse di un tempo che esisteva solo nei suoi sogni.
“Come posso averla io?”
“Dama Galadriel lo sa. È stata regina di Eregion, prima che il regno venisse distrutto.”
“Come è successo?”
“Per colpa del Signore Oscuro, molto tempo fa. Ma non spetta a me parlarne, soprattutto non in questo luogo: chi ora vive qui ha sofferto anche troppo.”
L’Elfo si chiuse in un silenzio distante, come se contemplare le foglie dorate inghiottite dal tramonto lo facesse pensare a ben altro. Edorel si guardava intorno, quando scorse una figura in piedi sotto un albero, immobile. Si avvicinò, incuriosita, e notò che si trattava di una statua: era di una pietra grigia e liscia, ancora calda per i raggi del sole. Si trattava di una donna avvolta in un abito semplice, con lunghi capelli sciolti sulle spalle. La ragazza girò attorno alla scultura per ammirarne il voltò e gridò di spavento: quella statua era identica a lei!
Legolas, accorso al suo grido, non riuscì a trattenere un’espressione di profondo stupore. Edorel non perse tempo e corse indietro, verso il palazzo. Passò davanti alla Compagnia riunita e tutti si chiesero dove stesse andando con tanta fretta. Legolas, giunto subito dopo di lei, spiegò:
“Abbiamo visto una statua. Se non fossi certo del fatto che Edorel non ha mai vissuto a Lòrien, giurerei che raffigura proprio lei.”
“Ma dove sta correndo con tanta fretta?”
Domandò perplesso Pipino. Legolas e Aragorn si scambiarono uno sguardo, poi questi rispose:
“A cercare risposte. Sta andando dalla regina!”

  
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