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Autore: KiraGiuls    16/05/2013    2 recensioni
Eccolo. È il grande giorno. Sei qui, seduto sugli spalti che tra poco tempo saranno pieni di senatori, cavalieri, mercanti e plebei ridenti, mentre tu, ora, pensi che oggi, giorno della festa del Sole, la tua vita potrebbe prendere la piega migliore, cambiare per sempre. O finire, per sempre.
Genere: Fluff, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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MUNERA GLADIATORIA
 
 

 
Eccolo. È il grande giorno. Sei qui, seduto sugli spalti che tra poco tempo saranno pieni di senatori, cavalieri, mercanti e plebei ridenti, mentre tu, ora, pensi che oggi, giorno della festa del Sole, la tua vita potrebbe prendere la piega migliore, cambiare per sempre. O finire, per sempre.
Dipende tutto da quell’attimo, l’attimo fuggente in cui individui il bersaglio da colpire, e la tua lama ferma il cuore dell’avversario. È così fin dai tempi in cui i munera venivano celebrati durante i funerali.
MUNERA GLADIATORIA.
Ti faceva quasi ridere quel nome, era assurdo, ti chiedevi chi l’avesse inventato.
Nessuno sceglieva di diventare gladiatore, nessuno si sentiva soddisfatto alla fine di un allenamento ben riuscito, nessuno. Allenamenti per diventare macchine di morte, per imparare ad uccidere e non essere ucciso.
Da quando l’imperatore se n’era uscito con quel “panem et circenses”, la tua vita era diventata un incubo. La tua famiglia era stata soffocata nel sangue, tua sorella scomparsa, e tu fatto schiavo. Al mercato, quel patrizio ti aveva indicato, e aveva iniziato a contrattare con il tuo padrone girandoti intorno come per esaminarti. Alla fine aveva pagato tre monete d’oro al mercante borbottando qualcosa come “…buon affare”, ti aveva fatto sciogliere le corde che ti tenevano legato agli altri prigionieri e ti aveva condotto a casa sua, un’enorme domus su un piano. Lì eri stato nutrito, lavato, le ferite delle corde sui polsi erano stati spalmati d’unguento ed eri poi stato condotto attraverso il peristilio negli alloggi adiacenti alla tenuta dell’uomo che avresti poi imparato a chiamare Caius.
“Meno male”, avevi pensato. “Questa è la dea bendata che mi bacia e protegge”, avevi esagerato.
Ma ti ricredesti il giorno della tua prima gara, quando conoscesti Alessandro.
Lui era stato il tuo primo compagno di combattimenti, il tuo primo commilitone, il tuo unico amico.
Il tuo primo, unico, inconsapevole amore.
Lui ti  aveva salvato dal venire incornato dal toro che avevi dovuto affrontare nel tuo ingresso ai munera.
Era un ragazzo romano ripudiato dal padre e cresciuto di nascosto dalla madre fino all’uxoricidio di quest’ultima. Era stato infine accolto da Caius grazie alla sua forza e alla prestanza fisica che l’avevano fatto ben presto diventare il più acclamato gladiatore di Roma. Era molto bello, e ne era decisamente consapevole, ma ne’ la bellezza ne’ la fama erano riuscite a tenerlo lontano dalla sorte che l’attendeva dietro l’angolo dal giorno in cui era stato sconfitto da un combattente barbaro.
Il senatore di quel giorno aveva deciso di lasciarlo in vita, ma la grave ferita che aveva riportato al ventre non gli aveva più permesso di tornare il gladiatore di una volta.
Caius se n’era accorto, e aveva deciso che era arrivata l’ora della sua ultima esibizione.
DAMNATIO AD BESTIAS.
La condanna più terribile che potesse capitargli.
E il pubblico che tanto l’amava era lì, mentre Alessandro, il grande gladiatore, veniva divorato dagli animali. Era lì, e rideva, mentre Alessandro piangeva le sue ultime lacrime. E se n’era infischiato, della morte di Alessandro. BASTARDI. Solo tu avevi pianto il tuo amico. Solo tu avevi abbracciato il suo corpo dilaniato.
E quel giorno giurasti che te ne saresti andato.
Avevi sentito di un certo Spartaco, che era scappato da Roma e si stava dirigendo verso nord, ma eri convinto che non sarebbe sopravissuto a lungo. No, tu non volevi scappare. Tu volevi la libertà.
Così ti gettasti in qualcosa più grande di te.
La festa del Sole.
Il giorno in cui le gare erano sempre più sanguinarie, crudeli, in cui partecipavano solo i gladiatori più forti, i veterani.
Ed eccoti, intento a contemplare i raggi del sole nascente.
Ti alzi, scendi dagli spalti e torni nei carceres dove ti aspettano gli altri ragazzi. Prima di indossare l’armatura di cuoio fai un giro per vedere che genere di animali dovrà affrontare. Nelle gabbie ci sono bestie di ogni genere: cinghiali, tori, lupi, c’è perfino un’orso. Ma non sono i loro versi spaventosi che ti attirano verso il fondo del corridoio, no, è qualcos’altro. Una forza che ti spinge dall’altezza dell’addome, come un filo invisibile che ti tira verso quella gabbia. “Che strano, una gabbia vuota”, pensi di getto. Poi ti accorgi che vuota non è. Una massa dorata di pelo è accoccolata sul fondo, non hai mai visto questo genere di fiera. Ecco, la vedi alzare quello che poi si rivela essere il suo muso e aprire la bocca dotata di terribili e aguzzissime zanne giallastre in uno sbadiglio felino. La bocca si richiude, l’animale sta’ per addormentarsi quando incrocia il tuo sguardo. Ed è un attimo, i tuoi occhi si fondono nei suoi e rivivi i momenti migliori della tua vita, Alessandro che ti abbracciava dopo le gare vinte, l’euforia di Caius nel presentare i suoi due campioni, l’ebbrezza del vino, Alessandro che ti stringeva l’avambraccio per darti forza, prima delle gare. Da qualche parte, nel tuo profondo, senti un richiamo verso un’altra vita, una vita libera, una vita selvatica. Una nostalgia antica per qualcosa di mai provato.
È un attimo, poi la fiera sbatte le palpabre, e si rimette a dormire.
Ti volti, e torni verso i tuoi compagni. Prima di abbandonare la zona delle gabbie, però, chiedi ad una guardia se sa qualcosa circa la gabbia in fondo.
“Oh, sì”, risponde lui. “Quella bestiaccia, eh. L’hai notata? Lo chiamano Leo, Leonis, qualcosa del genere… non vorrei mai essere lo sventurato di voi che dovrà affrontarlo”
Te ne torni da dove sei venuto.
Indossi i pettorali, i gambali e i sandali di cuoio, stai per attaccarti il pugnale in vita quando senti una voce.
“Achille.” Hai sempre odiato il tuo nome, e come lo pronuncia quell’uomo.
“Caius.”, rispondi.
“Senti Achille, ho da farti una proposta. Vinci questa gara.”
“Sarebbe una proposta?”
“Lo è. Vincila, e sarai libero. Ma se non vieni sbranato e perdi, prega tutti gli dei conosciuti e non, perché te la farò pagare. Buona giornata, Achille.”
È sempre stato così, Caius. Enigmatico, e stronzo.
Per lo meno, ora sei sicuro del tuo futuro. Vincerai, e poi sarai libero. LIBERO!
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“ACHILLE! OH! Sto’ dicendo a te, sai? È il tuo momento, vai, e distruggili!”
Sei rimasto fermo a pensare alla libertà, alla vita che ti si avvicina sempre più, per così tanto tempo che quasi non ti sei accorto dell’uomo che ti sta chiamando.
È ora.
Sali gli scalini, esci nell’arena e sei accolto da un boato del pubblico. Ti amano, lo sai, ti amano falsamente come amavano Alessandro. “Non fidarti dei ricchi”, diceva. Ma non è il momento di perdersi nei ricordi. Ricacci l’immagine di Alessandro da dove è venuta e ti concentri sulla porta dall’altra parte del recinto. Eccola, si sta aprendo. Le sbarre si alzano lentamente, puoi immaginare gli argani cigolanti che le tirano su mentre ti chiedi cosa mai ne uscirà. Un lupo? Un altro toro? L’orso, forse? Era destinato a lui?
Ma quando vedi le zampe del felino avanzare ti manca il fiato.
La sua criniera, folta e impiastricciata di sporcizia rende ancora più regale la bocca che stavolta spalanca in un ruggito di furore. L’avranno aizzato, prima di farlo entrare, sicuramente. È la prassi. Non vorrei mai essere lo sventurato che dovrà affrontarlo, aveva detto la guardia.
Respiri profondamente, cerchi di calmarti. Il trucco è rimanere lucidi, quante volte te l’avrà ripetuto Alessandro?
Cerca di non guardarlo, non guardarlo!, ti auto imponi.
Ma non ci riesci. Quella forza che ti aveva condotto alla sua gabbia spinge il tuo sguardo nel suo. E di nuovo, i ricordi riaffiorano, accompagnati dal remoto pianto sconosciuto per la vita perduta. Tutto il tempo passato a fare piani per il futuro. Le notti passate ad amare la figlia dell’anziano servitore di Caius nelle cucine della domus, pensando ad Alessandro. La sua risata. Le sue lacrime, mentre moriva nell’arena. Che senso aveva, poi, essere liberi senza di lui?
Eccolo, l’attimo fugge, e il leone si avventa su di te.
Chiudi gli occhi giusto in tempo per sentire i suoi artigli affondare nella carne, e il sangue inizia a sgorgare a fiotti dalla gola.
È la fine.
Ma almeno, ha un senso.
   
 
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