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Autore: La Mutaforma    17/05/2013    1 recensioni
Rebecca si appoggiò al muro, chissà dove, e si nascose il viso tra le mani come a voler proteggere quel segreto che faceva male più di qualunque altra cosa. Il cellulare bruciava ancora lì dove aveva da poco smesso di vibrare. Era un bruciore che andava oltre la pelle, oltre i suoi pensieri, e che non si poteva curare.
Mi chiamo Rebecca Crane, e sono un’assassina.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lucy Stillman , Rebecca Crane, Shaun Hastings
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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And the hardest part

Was letting go not taking part

Coldplay, The Hardest Part, X&Y

 

 

“Ti vedo più serena. E’ perché stai frequentando quel ragazzo?” chiese Lucy con tono casuale, durante l’intervallo. Rebecca infilò il libro di matematica nella grande borsa di tessuto bianca e nera, ridacchiando.

“Si chiama Shaun. E comunque no, non è per lui”

Lucy rise, gli occhi azzurri che mandavano scintille. “Ancora devi farmelo conoscere, quando usciamo?”

L’altra sorrise rosseggiando come un sole albeggiante e si appoggiò col mento sul libro di fisica “Chissà”

Cominciò a canticchiare Paracadutes, perché era l’unico suono che sentiva echeggiare dentro.

 

Però Lucy aveva visto bene. Si sentiva più leggera da quando aveva scoperto che GuyFawkes era Shaun, e da quando gli aveva rivelato la sua identità.

Sentiva che, quando il suo lavoro sarebbe diventato insostenibile, avrebbe avuto un posto dove fuggire, dove abitava qualcuno che, pur essendo insopportabile, avrebbe ascoltato le sue inquietudini, magari sparando fuori qualche divertente pillola di sarcasmo e di acidità per farla ridere e darle motivo di arrabbiarsi.

C’era un’allegra vivacità tra loro, nonostante la compostezza inglese di Shaun.

Nonostante gli innumerevoli rischi.

Improvvisamente si fece seria e chiuse gli occhi.

 

“Shaun” disse non appena gli fu davanti.

“Faccio il the?”

“Shaun”

“Non ci metto molto” la interruppe lui, riempiendo d’acqua una teiera “Sono le 17.00 ormai. Qualunque cosa tu mi debba dire me la potrai rivelare davanti al the”

Rebecca sbuffò per le sue manie british e si mise seduta scompostamente al tavolo in cucina per osservarlo mentre, con eleganza britannica, metteva la bustina nell’acqua.

C’era qualcosa di sacro e rituale in quel gesto.

Shaun faceva sembrare importante ogni cosa: il the, i suoi libri, persino le date in storia. Kate l’aveva messa in guardia quando si erano conosciuti. Era appassionato, lo capiva, ma non credeva fino a quei livelli.

Ogni volta che passava a trovarlo, era sempre a cercare chissà-che-cosa tra i suoi libri. Probabilmente il senso della vita, che comunque non avrebbe mai trovato.

Spesso le faceva domande di storia sparse, giusto per prenderla in giro, oppure per mettersi in mostra.

Le porse una tazza di the che lei annusò disgustata.

“Allora, cosa dovevi dirmi di così importante?”

“Non ora Shaun, è importante davvero”

Lui sorrise a stento. I suoi occhiali avevano il potere di non appannarsi anche quando beveva il the caldo. “Come era importante la tua relazione di storia?”

Rebecca prese un sorso di the, più per educazione che per gradimento.

“Anche quella era importante” posò la tazzina sul piatto e lo guardò “Shaun, sto parlando della pagina web”

Il ragazzo strinse più forte la tazzina tra le dita, ma non rispose.

“Shaun!” lei lo guardò prima severa, poi disperata, e si alzò, puntellandosi sul tavolo con le mani “Shaun, guardami!”

Lui tenne gli occhi lontani, persi nel fumo di the e nel grigio paesaggio metropolitano fuori dalla finestra.

“Shaun!”

Si decise a voltarsi a guardarla. Ansimava. Era disperata.

Quando cominciavano a parlare di cosa gli avrebbe fatto l’Abstergo, andava sempre così.

“Shaun..”

“Sì, lo conosco il mio nome”

“Ti prego, devi chiudere la pagina”

Lui scosse la testa.

“Ti prego!”

“Non lo farò”

Rebecca lo guardò. I suoi occhi marroni gli parvero più lucidi.

A volte gli dispiace che succedesse. Pensò che fosse perché entrambi erano molto ostinati. Non l’aveva mai vista piangere, Rebecca non lo faceva mai.

Magari era il suo carattere.

Spesso Shaun si ritrovava segretamente a sperare che non lo facesse mai, perché non avrebbe saputo cosa dirle.

Rebecca lo afferrò per le spalle, più con disperazione che con violenza.

“Smettila di fingere di non capire”

“Sei tu che non capisci” disse il britannico, distogliendo lo sguardo.

“Cosa non capisco? So cosa succederà! Se non vuoi farlo per te stesso, o per me, fallo per Kate! Almeno lei!” strinse le mani sulle sue spalle “Lei meriterebbe di soffrire se ti accadesse qualcosa?”

Smisero di parlarsi per alcuni minuti. Poi Rebecca si alzò e uscì di casa.

Entrambi sapevano che sarebbe tornata.

Con una scusa nuova, col vecchio sorriso. E avrebbero litigato di nuovo.

 

Durò più a lungo del solito.

Nella sua ostinazione Shaun non andò a cercarla, pur sapendo esattamente dove trovarla.

Dopo tre giorni, quando passava a prendere Kate a scuola gettava un occhio in giro sperando di vedere anche lei. Non pensava che sarebbe durato ancora per molto, quindi era rilassato come sempre.

“Insomma, è Rebecca. Fra un paio d’ore me la ritroverò sulla porta di casa”

Rebecca fece passare una settimana intera, prima che si incontrassero casualmente fuori scuola.

“Chi non muore si rivede” sbottò il britannico non appena si videro. Rebecca annuì lievemente, mal celando un senso di nervosismo, l’impercettibile tremolio delle sue labbra era troppo evidente, per quanto entrambi cercassero di non soffermarsi troppo sui dettagli.

Erano passati sette giorni, ed era cambiata. Non avrebbe potuto dire in cosa.

“Ciao Shaun”

“Torni a casa? Se vuoi ti do un passaggio”

“E Kate?”

“Va a mangiare con le sue amiche. Stavo per andarmene”

Rebecca indugiò alcuni istanti, poi prese il caso dalle sue mani e se lo allacciò sotto il mento.

“Facciamo il giro lungo. Non ho voglia di tornare”

Shaun inventò la strada più lunga e trafficata che si potesse trovare a New York.

 

“Fammi scendere”

“Manca ancora un po’ per arrivare a casa tua. Alla fine del viale”

Era difficile non notarlo. Era palese, sotto tutti i punti di vista, che Rebecca era in collera con lui. Ancora.

Guardando fisso la strada davanti a lui, Shaun si chiese in che modo avrebbe potuto dissuaderla.

Ormai quella pagina web non esisteva nemmeno per voglia di verità e di ricerca, ma per pura ostinazione. Non voleva cedere a Rebecca. Non lo avrebbe fatto.

Appena fermò la motocicletta la ragazza si sganciò il casco e glielo spinse malamente tra le mani, voltandosi per andare via.

“Quando la smetterai di trattarmi come un ragazzino?”

“Quando finalmente la smetterai di comportarti come un ragazzino che non sa a cosa va incontro” rispose lei di botto, come se avesse covato il segreto desiderio di dirgli quelle parole per tutto il tragitto.

Shaun, nel suo orgoglio, finse di non intendere.

“Non cancellerò quella pagina. Non la smetterò di fare quello che faccio”

“E allora ti prenderanno. Ti prenderanno e ti faranno smettere loro, con un bel buco in fronte dal diametro di una galleria. Mandami un sms quando arrivi nell’aldilà e dimmi come si ci trova”

“Puoi starne certa” rispose il ragazzo, girando la chiave per mettere in moto.

Rebecca lo guardò con odio, un sentimento così controverso i quei suoi occhi scuri che lui quasi la temette: con quello sguardo avrebbe potuto fare di tutto.

“…mi chiedo cosa mi abbia spinto a preoccuparmi tanto per uno stupido come te”

Mentre andava via, Shaun pensò all’eventualità che Rebecca non avesse mai smesso un momento di preoccuparsi per lui in quella settimana.

 

Tornò a casa.

Rebecca chiuse la porta del suo appartamento con la forza violenta di un sospiro.

E la chiuse in fretta, cosicché tutti i demoni che la inseguivano restassero fuori, non avessero il tempo di entrare in casa.

Chiuse la porta con tre giri di chiave.

Sperò che il resto del mondo ne restasse fuori.

 

 

 

 

 

 

  

 

 

   
 
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