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Autore: dreamlikeview    17/05/2013    8 recensioni
Louis, ventenne ereditario, deve trovare una ricca ereditiera da sposare, per poter ereditare tutto il patrimonio del padre, ma durante la festa organizzata appositamente per trovare una moglie per Louis, il ragazzo si trova coinvolto in un mondo parallelo, che ha bisogno di essere salvato dal "Prescelto" dalla minaccia di un tiranno, chiamato il Rosso, per far tornare la pace e il Bianco sul trono. Riuscirà Louis a far tornare la pace?
[Larry as romance; accenni Ziam e Nosh as bromance.]
(One-shot divisa in tre capitoli.)
Genere: Fantasy, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'All about them.'
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Desclaimer: I personaggi non mi appartengono, nemmeno le ambientazioni, I'm so sad ç_ç 
Niente di tutto ciò è scritto per offendere qualcuno (li faccio essere dei fighi assurdi, come potrei offenderli?)
E non ho scritto niente a scopo di lucro, non ci guadagno un solo euro da tutto ciò. (un po' di soddisfazione personale, ma niente di materiale, giuro!)

Enjoy!


 


I fell down
yeah, I fell down
I’m freaking out
So, where am I now?
(Alice – Avril Lavigne)

 
 
 
Louis, primogenito della famiglia Tomlinson era un ragazzo decisamente dalla testa sulle nuvole, ben lontano dal genere di ragazzi che si apprestavano a diventare tra gli ereditieri del più grande patrimonio mai visto nella Londra degli anni ’60 del ‘900. Suo padre, morto da pochi mesi, aveva lasciato scritto in un testamento che tutti i suoi averi, tutti i suoi capitali, e tutte le sue industrie andassero in mano al suo primo figlio, a patto che egli avesse sposato una donna. Il vecchio Signor Tomlinson era un uomo all’antica, voleva che il figlio prima di ereditare tutte quelle fortune mettesse la testa a posto, perché, detto sinceramente, Louis non era proprio il genere di ragazzo perfetto che tutti i genitori desideravano. Era svogliato, sognatore, maledettamente allegro e mai serio. Studiava solo se costretto, e i suoi voti non erano dei migliori: lui era un artista, o meglio, si definiva un musicista.
Adorava scrivere e suonare al piano canzoni di tutti i tipi, e sognava di trovare l’amore.
Non gli importava di ereditare tutto quello, non gli importava del prestigio. A lui importava solo dei suoi sentimenti e dell’amore che avrebbe voluto dare a qualcuno. E poi, nell’ultimo periodo faceva sempre gli stessi sogni strani. Sognava un luogo immenso, meraviglioso, funghi enormi, alberi bassi, fiori più alti di lui... erano davvero sogni bislacchi e fantasiosi, ma Louis si divertiva da morire ogni volta al risveglio, a raccontarlo a qualcuna delle cortigiane, per farle ridere. Perché lui adorava far ridere la gente, ma spesso non veniva preso in considerazione, veniva deriso, solo perché faceva dei sogni “da bambini”, e quando a vent’anni si facevi sogni da bambini, per l’epoca, potevi anche essere considerato un demonio, e quindi Louis sospirava e diceva solo che scherzava, perché “chi avrebbe mai fatto un sogno del genere? Solo un pazzo!”
Ma siamo sicuri che i pazzi non fossero quelli che non gli credevano mai?
 

*

 
Louis era steso sul prato della tenuta con degli abiti comodi, i capelli castani al vento e gli occhi azzurri fissi su un volume immenso da leggere, i raggi del sole gli accarezzavano la pelle, le gambe magre ondeggiavano al ritmo del vento e si incrociavano di tanto in tanto, le braccia conserte al petto, il collo dritto e la testa china sul volume.
La lettura di quel libro non era affatto pesante per lui, era un volume di racconti fantastici, di persone che avevano fatto esperienze fuori dall’ordinario, e lui si sentiva un po’ come loro, ogni volta che faceva quei sogni. Si sentiva un po’ come Gulliver che si ritrovò nell’isola dei giganti, quando sognava quei fiori più alti di lui, oppure Gulliver quando si era ritrovato a Lilliput, quando sognava quegli esserini più piccoli di lui. Forse erano quelle letture a contagiarlo, com’era possibile che facesse sempre lo stesso sogno? Era diventato più ricorrente, ultimamente.
Avido, leggeva una pagina dietro l’altra. Era arrivato a leggere della grandissima balena Moby Dick.
Sbadigliò, rendendosi conto che era l’ora di un pisolino, prima di andare a prepararsi per la noiosa cerimonia di quel pomeriggio, dove avrebbe dovuto scegliere per forza una moglie, e non ne aveva praticamente voglia.
Lui sognava, voleva amore. Non voleva sposarsi perché costretto, per una questione di soldi. Come si poteva costringere l’amore in quel modo?
Sbuffò stiracchiandosi, tirando le braccia in avanti e tendendo le gambe all’indietro, leggere gli metteva sonnolenza, e quella brezza primaverile era una sinfonia meravigliosa per i suoi padiglioni auricolari.
Appoggiò la testa sul volume, e chiuse gli occhi per un attimo, catapultandosi in quel meraviglioso mondo che lui non conosceva, ma che aveva iniziato  a chiamare Il meraviglioso mondo dalle mille cose strambe.
 
Si svegliò ore dopo, quando era già pomeriggio inoltrato con la consapevolezza che sarebbe dovuto essere costretto – quella sera – a partecipare a quella dannata festa e a dover scegliere una moglie. Entrambe due cose che lui non aveva nessuna voglia di fare. Sbuffò alzandosi da terra, tutto indolenzito e gli scappò uno starnuto. Ridacchiò, rendendosi conto di avere un batuffolo di polline incastrato esattamente sotto il suo naso. Era così delicato, anche se dava particolarmente fastidio al naso, ma quell’ affarino era bello da vedere. Louis lo prese per il piccolo gambo, spostandolo da sotto al naso e sorrise portandolo davanti alle labbra, come faceva sempre da bambino, vi soffio dentro, esprimendo un desiderio:
innamorarsi di qualcuno che volesse per chi era, non per quello che aveva.
E immediatamente vide mille pollini bianchi svolazzare davanti a lui, si espandevano al vento e sembravano creare una danza, che lui mai avrebbe riprodotto, nemmeno nei suoi sogni più sfrenati. Era semplicemente la natura che si liberava, mostrandosi in tutta la sua bellezza. Probabilmente, quei pollini si sarebbero posati su qualche fiore, costruendo così il ciclo naturale, la riproduzione di altri esseri. In quel caso fiori.
Dopo quella vista, Louis sembro misteriosamente rinvigorito. Sentiva la forza dentro, magari avrebbe trovato qualche escamotage, anche quella volta, per non scegliere nessuna donna da tenere accanto per tutta la vita.
Si diresse con una lentezza improponibile all’entrata del casato, e salutate le donne che parlavano nel salone d’ingresso, si recò in camera sua, dove uno dei suoi camerieri aveva sistemato il suo completo.
Camicia bianca, giacca, pantalone e cravatta neri.
Sbuffò.
Sembrerò un pinguino.
Andò nel bagno, dove c’era già pronta la vasca piena d’acqua calda. Alzò gli occhi al cielo, spogliandosi. Odiava che la gente dovesse fare le cose per lui, ma sua madre era fissata con l’avere qualcuno che facesse le cose al loro posto.
Si immerse nell’acqua chiudendo gli occhi, mentre era in cortile aveva fatto un altro di quegli strani sogni, e non sapeva cosa volesse significare come cosa, era... strano.
Fare sempre lo stesso sogno tutte le notti, e non capire il significato, era davvero strano.
Una cosa era vera, con la testa immersa nell’acqua, tutte le preoccupazioni erano svanite, gli era sembrato che tutto fosse più tranquillo, meno opprimente. Aveva quasi dimenticato il ricevimento.
“Il ricevimento!” – strillò alzandosi di scatto dalla vasca, tossicchiando un po’. Uscì dall’acqua, si asciugò velocemente, corse in camera sua, infilò quell’orrendo completo e si guardò nello specchio.
Sembro un pinguino.
Un’ultima sistemata ai capelli, e fu pronto di affrontare il suo destino.
 
Più si guardava intorno, più sentiva l’oppressione farsi strada in lui.
C’era troppa gente sconosciuta, si sentiva troppo oppresso. Non si sentiva nemmeno a casa sua in quel momento.
“E questo qui è mio figlio, Louis!” – la voce di sua madre arrivò prepotente nelle sue orecchie, risvegliandolo dai suoi pensieri -“Louis, tesoro, saluta i signori Calder.”
“Buona sera.”
“Sai che loro figlia è proprio una bella ragazza? Sarebbe perfetta per te!”
“Sì, sì mamma, ne parliamo dopo” – borbottò, dirigendosi verso l’uscita della sala. Voleva rimanere da solo, almeno per una decina di minuti. La testa gli esplodeva, non sapeva più cosa dire o cosa pensare.
“Louis William Tomlinson, torna subito qui!” – tuonò la madre, ma lui non se ne curò. Aveva usato il nome completo, doveva avere paura, e invece  non se ne curava. Non voleva che la madre si impicciasse nella sua vita.
Chi diavolo era ora questa Calder?
Già il nome era orrendo, figurarsi la ragazza in questione.
Uscì nel cortile e fu investito dalla luce lunare.
Si incantò davanti a quella palla di luce, ma poi sospirò. In un dramma shakespeariano che aveva studiato, Romeo e Giulietta, era simbolo di inganno e bugia. E la sua vita era così, piena di inganni e bugie.
Avrebbe dovuto vivere nella bugia di amare una persona, solo per ereditare i soldi di suo padre, che lui non voleva, perché, fondamentalmente, Louis aveva scoperto che a lui i soldi non importavano per nulla, non era quello il suo destino, né quella era la sua vita, lui desiderava viaggiare, suonare e vivere ogni attimo della sua vita come se fosse stato l’ultimo, non trovarsi sposato con una donna che non avrebbe mai amato.
Improvvisamente, la sua attenzione fu catturata da un coniglio bianco.
Non era un coniglio normale, però. Si reggeva su due zampe. Com’era possibile che un coniglio si reggesse su due zampe? E correva, correva in una direzione specifica.
La curiosità, e il farsi gli affari propri non erano mai state due delle caratteristiche migliori di Louis Tomlinson, per questo seguì il coniglio bianco, lungo tutto il giardino. E corse, corse dietro a quell’esserino, cercando di afferrarlo, per guardarlo, ma niente, quello gli sfuggiva.
Poi sparì, saltando in un buco per terra.
Probabilmente era una tana.
Si avvicinò mettendosi in ginocchio, e infilò una mano dentro, per afferrare il coniglio, ma sentì solo vuoto. Cercò di arrivare dall’altro lato, per toccare il terreno, per rendersi conto di cosa fosse accaduto, ma sentì il terreno mancare sotto le sue ginocchia, e fu come se si sentisse risucchiato da un vortice. La tana svanì, e Louis precipitò.
 
Inseguiva un coniglio anche quella volta. Lo aveva visto nel cortile di casa, mentre giocava, nascondendosi dalla tata, perché anche da bambino, Louis era un tipo tutto pepe.
“E’ tardi, è tardi, è tardi!” – urlava l’essere, controllando un orologio da taschino che secondo Louis era più grande di lui stesso.
“Ehi!” – lo chiamò avvicinandosi e mettendosi a pancia in giù sul prato per osservarlo. Era un coniglio bianco, che se ne stava in equilibrio su due zampe, e controllava l’orologio.
“E’ tardi, non c’è tempo,  è tardi!” – urlò ancora, facendo ridere Louis di gusto, che si sporse per afferrarlo tra le mani, ma quello gli sfuggì, correndo via verso una tana situata da quelle parti.
“Aspetta, aspetta!”- urlò Louis, correndo verso il coniglio, che scappava da lui, dirigendosi verso una tana nascosta sotto un albero.
Louis si fermò un attimo osservando la buca, era capiente abbastanza per accoglierlo, e si piegò sulle ginocchia gattonando lentamente verso il buco nel quale era entrato l’esserino.
“Coniglietto? Coniglietto, dove sei?” – urlò a gran voce, fino a che sotto di sé non avvertì più nulla, si sentì risucchiato all’interno di essa, fu come essere risucchiati da qualcosa di più grande di lui.
Era solo un bambino, eppure era precipitato in quella tana.
Levitò per un lungo periodo di tempo, senza sapere dove si trovasse.
Il terrore lo invase completamente, quando si rese conto di star cadendo ad una lentezza spropositata, e intorno a sé v’erano le cose più strane. Sedie volanti, tavole imbandite, letti, lampade, un po’ di tutto insomma.
“Wow” – mormorò Louis durante la sua caduta, ridendo come solo un bambino avrebbe potuto fare davanti a tutta quella roba, e tutte quelle bellezze. Ma lui voleva necessariamente trovare il coniglietto bianco con l’orologio, perché “Era così bello il coniglietto!”, si guardò ancora intorno, mentre lentamente e placidamente cadeva giù, giù sempre più giù, senza capire dove andasse, senza capire cosa fosse successo.
Alla fine della “caduta” si ritrovò per terra, seduto in un’immensa stanza.
 
Louis rinvenne. Era sdraiato in posizione supina ed era in una stanza dal soffitto dannatamente troppo alto per lui.
L’altezza non era il suo forte.
Si mise seduto, ricordando di essere precipitato nella tana del coniglio. Per essere, quella, la tana di un coniglio, era davvero molto bella. Louis si guardò tastandosi prima l’addome, poi le gambe e le braccia.
Non credeva di essere vivo. Ricordava un’orrenda sensazione di terrore e vuoto sotto di sé.
Ormai sicuro di star bene, si alzò in piedi, guardandosi intorno. Si morse ripetutamente le labbra, cercando una soluzione per tornare in superficie, o almeno di uscire da lì. Notò una porticina, leggermente più bassa di lui e si abbassò per terra in ginocchio, notò che fosse stretta, ma con un po’ si sforzo ci sarebbe passato. Tentò di aprirla, ma questa era chiusa a chiave.
“Mmh, pensa, Louis, pensa. Dev’esserci una chiave da qualche parte” – pensò ad alta voce, grattandosi il mento coperto da un leggero strato di barba ispida. Si alzò di nuovo in piedi e si guardò intorno, quando al centro della stanza notò un grande tavolo. Quando era comparso? Non ricordava di averlo visto.
Ci pensò su un paio di volte e poi si avvicinò pacatamente ad esso. E con sua grande sorpresa, trovò la chiave. Sorrise prendendola e si abbassò di nuovo all’altezza della porta, aprendola.
Appena l’aprì, fuori vide con sua grande sorpresa, una distesa di prati, funghi giganti, alberi bassi e fiori enormi.
“Il meraviglioso mondo delle cose strambe” – mormorò tra sé e sé.
“O anche Sottomondo, una volta chiamato Paese delle Meraviglie” – corresse una voce, che fece sobbalzare Louis. Chiuse di scatto la porta, e si guardò intorno.
“Tranquillo, sono solo una porta parlante, non un assassino!” – lo derise la voce.
Louis osservò la porta, e la maniglia dorata aveva gli occhi e la bocca.
“Oh cielo, sono diventato davvero pazzo.” – borbottò tra sé e sé.
“Forse, chi può saperlo? In fondo, chi conosce i veri pazzi?” – rise –“per passare devi rimpicciolirti, Louis”
“C-come sai come mi chiamo?”
“Lo so e basta, bevi dalla boccetta che c’è sul tavolo, forza!” – lo incitò la porta. Louis, tenendo la chiave in mano, si riavvicinò al tavolo e l’appoggiò sopra, prendendo tra le mani una bottiglietta che prima non c’era.
Sospirò e lesse l’etichetta bevimi.
Chi sano di mente avrebbe bevuto da una bottiglia con quella frase sopra?
Ma lui era davvero un sano di mente?
Si tappò il naso e bevve tutto d’un fiato. Non successe nulla, in quel momento, ma l’attimo dopo si sentì tirato verso il basso da una forza misteriosa che non sapeva cosa fosse. Sentì le gambe restringersi, le braccia accorciarsi.
Chiuse gli occhi spaventato e quando li riaprì era piccolo come un insetto.
“Fantastico, sono diventato un lillipuziano. Non che fossi alto prima.” – borbottò, sentendo con orrore che la sua voce fosse… stridula, quasi come se squittisse.
Sono diventato un topo!
“Avanti, figliolo, non lamentarti, e vieni ad aprirmi, così puoi avventurarti per tutto Sottomondo!”
Louis si rese solo in quel momento che la chiave fosse rimasta sul tavolo e sbuffò.
“Maledizione, sono uno stupido.”
“Questo l’avevo capito.”
“Non sei d’aiuto, porta.”
Sbuffò cercando di arrampicarsi sul tavolo per prendere la chiave, ma ogni tentativo fu un vero e proprio fallimento, per questo, sconsolato si lasciò andare per terra contro un muro.
Si guardò intorno e notò un cofanetto, uno di quei portagioie in cui sua madre metteva tutte quelle frivolezze da donna ricca del tempo. Lo prese tra le mani e dentro c’era un pasticcino su cui c’era scritto mangiami.
“O sono impazzito davvero, o sto sognando.” – brontolò Louis, prendendo il pasticcino e mordendolo.
Improvvisamente, la stessa forza di prima, lo spinse in aria e si sentì trasportato verso l’alto, picchiando violentemente la testa contro il soffitto.
“Ahia” – guardò sotto di sé, e quasi non ebbe le vertigini –“sono troppo alto, ora!”
“Non lamentarti sempre e prendi quella maledetta chiave!” – urlò la porta. Louis annuì e con un dito, fece cadere la chiave per terra.
“E ora come scendo da qui?” – urlò.
“La bottiglia, ragazzo, la bottiglia!”
“Mmh, vero.” – riuscì a prendere la bottiglia e a bagnarsi un dito. Lo portò alla bocca e si sentì tirato in basso.  –“preferisco essere basso, piuttosto che enorme.” – fece sistemandosi gli abiti –“porta, è passato di qui un coniglio bianco?”
“Oh sì, ma non pensare al coniglio, tu devi cercare il Cappellaio.” – proferì seria.
“Il Cappellaio, certo... e chi sarebbe?”
“Colui che ti guiderà. Ora vai, Louis, vai e salvaci tutti.”
Louis infilò la chiave nella toppa della porta e la guardò.
“Che signi-?” – non finì la domanda, perché gli occhi e la bocca della porta si erano chiusi.
La aprì completamente e si ritrovò immerso nel mondo che per una vita aveva popolato i suoi sogni da che lui ne avesse memoria.
Devo trovare il Cappellaio, lui mi farà da guida, ma chi diavolo è questo Cappellaio?!
 
 
Louis sbuffò.
Camminava da almeno un’ora in quel luogo che non aveva senso. Perché c’erano così tanti sentieri? Perché era così dannatamente strano quel luogo. Tutto era uguale, non c’era un  posto diverso.
Si sentiva minuscolo, o meglio, lo era.
Maledizione, sono già passato davanti a quest’albero, ma come si esce da qui?
Sbuffò sonoramente, appoggiando una mano contro un albero. Si guardò ancora intorno per capire come era meglio muoversi. Quel posto incuteva decisamente troppa paura.
Deglutì quando dietro le fronde sentì dei rumori.
Oh no, sta calmo, Louis, se non ti vedranno, non potranno farti nulla, vero?
Sentiva delle voci e dei passi avvicinarsi a lui, e non sapeva cosa fare.
Aveva paura, dannatamente paura. E se quelli che si avvicinavano erano dei malintenzionati?
Dannazione, sono troppo piccolo, non posso arrampicarmi sull’albero!
Si guardò intorno disperato, dove poteva nascondersi? Piccolo com’era non poteva correre a gambe levate da nessuna parte. Si sedette a terra a gambe incrociate. Appoggiò un gomito sulla coscia e la testa sul palmo della mano, assumendo un’espressione pensierosa. Come poteva sfuggire alle voci? Come poteva evitare che quelli lo vedessero?
Poi ebbe l’illuminazione. Vide un fiore lì vicino, un po’ più basso degli altri, e sorrise contento di essere abbastanza piccolo per potersi nascondere sopra, corse in quella direzione, ignorando che le voci fossero davvero troppo vicine a lui. Si arrampicò lungo lo stelo, reggendosi sulle foglie larghe, e riuscì ad arrivare fino al centro, sedendosi pesantemente, in mezzo ai petali. Tossicchiò quando dei pollini si posarono sotto il suo naso, ma non se ne curò. Aprì due petali e spiò attraverso essi.
Vide arrivare due ragazzi un po’ strani. Uno bassino, moro dalle spalle larghe, e l’altro più alto, biondino, ma più mingherlino dell’altro. Erano gli esatti opposti.
“Ti ho detto che è qui, Niall!” – tuonò quello più grosso, basso.
“Oh, io penso che tu ti sbagli, lui non può essere già qui, lo avrebbero già portato dal Cappellaio, o l’avrebbero catturato, che ne sai?” – fece pacato l’altro.
Chissà chi era questo lui.
“Niall, per l’amor del cielo, è ovvio che Louis è arrivato qui, di nuovo!” – sbuffò –“perché non mi credi?”
“Perché è impossibile, lo aspettiamo da una vita, non è mai arrivato, Josh”
Quello che doveva essere Josh sbuffò ancora.
“Ma non era ancora arrivato il giorno, Niall.”
Uno pessimista, uno ottimista.
Uno pacato, e uno esuberante.
Uno biondo, e uno moro.
Uno mingherlino e uno grosso.
Decisamente erano due opposti.
Mentre tentava di ascoltare meglio la discussione, sentì un ronzio alle sue spalle, e voltandosi vide un’ape di dimensioni enormi e sobbalzò indietreggiando, senza accorgersi che era finito giusto fuor dal fiore e precipitò verso il basso. Batté il sedere per terra, e si lamentò.
“Hai sentito?” – fece il moro.
“Sarà un’ape” – ribatté l’altro.
“Ma devi sempre contraddirmi?!”
“Sono nato per questo, fratellino.”
“No, sei nato per rompere.” – fece e si avvicinò allo stelo dal quale era caduto Louis, abbassandosi in ginocchio per terra.
Oh diavolo, oh diavolo, oh diavolo. Scappa, Louis, scappa!
Josh si piegò di più e sorrise nel vederlo. Lo afferrò mettendoselo nel palmo della mano e si avvicinò a Niall.
Louis prese a tremare. Lo avevano trovato, era finito, era morto, era spacciato.
Non avrebbe mai trovato il Cappellaio, non avrebbe mai trovato il coniglio, e non sarebbe mai tornato a casa.
Ansimò di panico, e cercò di saltar via dalla mano del tipo, ma era decisamente troppo alto e non avrebbe avuto solo un dannato dolore al fondoschiena saltando da lì.
“Che ti avevo detto? E’ Louis!” – fece Josh.
“Non lo sai, mica ti ha detto di chiamarsi così, e poi è troppo piccolo.”
“Avrà bevuto la pozione, ovvio. Dagli un pasticcino.”
“No, non voglio!” – squittì Louis, rendendosi conto solo in quel momento che la sua voce fosse scesa di almeno due ottave, rendendola simile a quella di un topo. Assurdo, prima non era successo, o forse sì, non lo ricordava. Portò due mani sulla bocca, tappandola immediatamente, schifato da quanto fosse bassa.
“Sciocchezze.” – bofonchiò Niall prendendo un pasticcio e dandogli un pezzetto del dolce. Louis a malincuore lo accettò e Josh lo rimise a terra. Il castano mangiò il pezzetto e ritornò alla sua altezza normale.
Si toccò il corpo credendo di sognare. Non era possibile, era accaduto di nuovo.
“E’ troppo basso” – contestò Niall –“il Louis che doveva venire qui era più alto.”
“Ehi, ma io sono Louis!” – protestò –“non so il vostro Louis come sia, ma io mi chiamo Louis.” – fece offeso –“e non sono basso, sono diversamente alto.”
Il ragazzo che prima lo teneva in mano scoppiò a ridere e gli diede una pacca sulla schiena.
“Ha quello stupido humor inglese, deve convincerti ancora di essere quel Louis?” – fece Josh.
“Non mi fido. Portiamolo dal Brucaliffo, lui saprà se è davvero Louis o no.” – sentenziò Niall, afferrando un braccio di Louis, mentre Josh annuiva e gli afferrava l’altro, ed entrambi lo sollevavano da terra senza alcuna fatica, iniziando a condurlo per una strada che Louis di certo non conosceva.
“Ehi, fermi un attimo, non sono la vostra bambola” – protestò –“e poi devo andare dal Cappellaio, la porta me l’ha detto!”
“Certo, dobbiamo credere ad un tipo che parla con le porte” – borbottò Niall, scettico.
“Appena il Brucaliffo ti avrà riconosciuto, ovviamente andrai dal Cappellaio” – rispose Josh, ilare.
I tre percorsero un bel tratto di strada, quando altri tre animali incrociarono la loro strada.
Un Dodo, un Ghiro e, Louis non volle crederci, il coniglio bianco. Quel maledetto coniglio che lo aveva fatto incuriosire che lo aveva trascinato in quella maledetta buca. Louis provò a dimenarsi dalla presa degli altri due, e si rammaricò di essere troppo basso e non riuscire a toccare con i piedi per terra. Quei due erano decisamente più alti di lui, nonostante Josh fosse più basso di Niall.
Maledetta bassezza.
“Niall, Josh, dove andate?” – chiese cautamente il coniglio, per primo.
“Portiamo il presunto Louis che tu, Bianconiglio, hai prelevato, dal Brucaliffo perché è troppo basso per essere lui.” – rispose freddamente il biondino, senza lasciare spazio all’altro di rispondere, che però intervenne lo stesso.
“Tu non sei sicuro, fratellino, io sono sicurissimo che sia lui.” – fece sicuro il bruno, sorridendo.
Il coniglio stizzito si alzò su due zampe, e in quella posizione arrivava alla pancia di Niall, e Louis si trattenne dal ridacchiare. Esisteva qualcuno di più basso di lui.
E’ un dannato coniglio, è ovvio che sia basso!
Ma è un coniglio che sta su due zampe, una figata, e poi com’è tenero!
“Oh mio dio, sono impazzito” – borbottò tra sé e sé, senza farsi sentire dagli altri.
“Invece è lui. Ne sono sicuro, qui sta scritto che doveva essere di altezza media, mingherilino, capelli castani, e occhi azzurri, e chiamarsi Louis, è lui. L’ho portato qui io, la prima volta, Niall!” – tuonò il coniglietto bianco.
Louis trasalì e la sua mente tornò indietro, riportandolo ad un evento passato, o forse un sogno che aveva già vissuto.
 
 
Un nanerottolo dell’età di sei anni si avviava tra i bellissimi campi di quel luogo.
C’erano fiori, c’era il sole. Tutto era bellissimo, e Louis da bambino l’aveva chiamato “Paese delle Meraviglie” dove altro avrebbe trovato dei fiori parlanti che addirittura cantavano? Come avrebbe fatto a dimenticare quel luogo?
L’avrebbe sempre vissuto nei suoi sogni.
 
Louis sembrò tornare alla realtà, quando...
“Io credo a Niall, in fondo lui ha conosciuto il vero Louis!” – fece il Dodo. Louis si stupì di come potesse esistere un animale del genere. Era un pennuto blu, con un becco enorme e l’espressione perennemente corrucciata, quasi arrabbiato.
“Anche Josh” – protestò il Ghiro e Louis con orrore scoprì che fosse una sottospecie di ratto, e tirò le gambe verso l’alto, aveva il terrore di quegli animali, e che la vocina squittante del ghiro somigliasse orribilmente alla sua quando era un lillipuziano –“anche lui l’ha conosciuto, quindi io mi fido di Josh!”
“Basta!” – tuonarono Niall e Josh, stranamente in accordo, accordo che durò pochi istanti perché...
“Portiamolo dal Brucaliffo!” – fece Niall.
“Portiamolo dal Cappellaio!” – fece Josh.
Ed entrambi parlarono in coro. Louis chiuse gli occhi, sapeva che prima o poi la testa gli sarebbe esplosa a furia di tutte quelle urla. Chi diceva che dovevano andare dal Cappellaio, chi diceva dal Brucaliffo, chi diceva di rispedirlo da dove era venuto – e il castano avrebbe preferito di sicuro tornare alla tortura della festa piuttosto che sentire quelle voci irritanti -  chi diceva di mandarlo dal Principe Rosso, chi diceva di...
“BASTA!” – tuonò Louis, liberandosi finalmente da Niall e Josh –“sono stufo delle vostre urla, mi fa male la testa, contenti?” – e diventava intrattabile quando il mal di testa esplodeva feroce nella sua testa. –“adesso accontentiamo il biondino che vuole andare da questo Brucocoso e poi mi portate dal Cappellaio, intesi?!” – la sua voce non era mai stata così decisa, nemmeno quando si era imposto con sua madre che non voleva assolutamente che qualcuno lo aiutasse a vestirsi, lui era autosufficiente.
Niall, Josh e tutti gli animaletti si zittirono, sentendo la voce di Louis echeggiare tra di loro, come se fosse stata lanciata contro di loro una granata. Annuirono seduta stante e il Bianconiglio si permise di dire: “Io l’avevo detto che era lui” – guadagnandosi un’occhiataccia dall’interpellato, che in tutta la sicurezza prese ad ancheggiare davanti a loro camminando, seguendo il Ghiro che era stato il primo ad incamminarsi verso il Brucaliffo.
E Louis iniziò a chiedersi chi fosse questo Brucaliffo, magari una misteriosa creatura, un veggente, un sensitivo... le sue aspettative furono molto deludenti. Quando il gruppetto di adorabili bestiole si fermò davanti ad un fungo decisamente troppo grande, su questo v’era posato un bruco blu gigante, che fumava un narghilè. Questo aspirò attraverso il tubo e poi spirò l’aria. Louis lo osservò, ed era decisamente bruttino. Un bruco di certo non poteva essere carino, giusto?
“Cosa volete? Perché mi disturbate?” – chiese il Brucaliffo, in modo burbero. Tutti storsero il naso, eccetto Louis, sapevano come fosse davvero quel bruco, ma dovevano per forza chiedere, per sapere.
“Vogliamo sapere se questo ragazzo è realmente il Louis che ci salverà.” – pronunciò Niall, prima di tutti, mentre in sottofondo Josh contraddiceva il fratello, dicendo che sarebbero dovuti andare direttamente dal Cappellaio.
Il bruco studiò Louis per un manciata di secondi, e poi aspirò ancora dal suo narghilè e schiarendosi la voce iniziò con fare solenne, quasi fosse in trance, quasi come se fosse stato in un'altra dimensione, a parlare.
“Quando a Sottomondo Louis arriverà
Il Rosso quasi tutto distrutto avrà,
E il Bianco svanito sarà,  
Tutto scuro diventato sarà.
Solo Louis salvarci potrà,
Quando nel giorno Gioiglorioso la malefica bestia ucciderà,
Il Rosso svanirà,
Il Bianco risorgerà,
E Sottomondo, Paese delle Meraviglie ritornerà”
Tutti, Louis per primo, rimasero sbigottiti. Parlava davvero di lui? Ma non poteva... lui uccidere una bestia? Era un’assurdità. Quella non era la realtà. Era addormentato sotto l’albero, o era svenuto a causa delle pressioni.
Non poteva essere vero.
“E comunque, non somiglia al vero Louis, è troppo basso” – fece il Brucaliffo, ritornato in se stesso.
“La volete piantare tutti con la mia altezza? Non sono uno stallone e allora?” – protestò indignato il ragazzo dagli occhi cielo, facendo scatenare una risata spontanea da tutti, ma senza prestare ascolto agli altri il Brucaliffo continuò.
“Ma l’Oraculum ha parlato. Proteggetelo” – terminò prima di sparire.
Tutti si guardavano perplessi. Era quel Louis o no? Dovevano andare dal Cappellaio? Potevano fidarsi di lui?
Louis si grattò la nuca spaesato. Perché mai lui un ragazzo, maschio, umano, doveva essere protetto da delle bestiole, piccole, più basse di lui, che sarebbero potuto essere schiacciate tranquillamente da – che ne sapeva – un albero che cammina, non si sarebbe stupito più di niente. Forse Niall e Josh avrebbero potuto difenderlo, ma sicuramente sarebbero stati troppo impegnati a litigare per aiutarlo, ma che importava? Lui era in grado di difendersi da solo, non aveva bisogno di nessuno. Gli sembrava di risentire sue madre, che gli diceva che doveva essere protetto, che non poteva permettersi di rischiare, perché doveva ereditare tutto. Gli scoppiava di nuovo la testa.
Gli animaletti lo guardavano, il biondo  lo guardava con astio, il bruno lo guardava soddisfatto, voleva solo sparire, voleva solo che quell’ennesimo sogno finisse.
Il bruco era sparito, e dietro di sé, sul fungo, aveva lasciato una pergamena. Louis cauto la prese tra le mani e l’analizzò, cercando di capire se su quella ci fosse scritto qualcosa in più, magari non era lui quel Louis, magari era davvero troppo basso per essere lui, magari l’avrebbero spedito indietro a casa sua, a quella noiosissima festa, magari non era lui il prescelto. Tremava, e ora aveva decisamente paura. Quella pergamena riportava le stesse parole pronunciate dal bruco, dannazione.
Improvvisamente, si sentirono dei rumori. Dei rumori di passi, qualcuno che correva, qualcuno che forse scappava, qualcuno che si avvicinava a loro. Louis rimase paralizzato. Ecco di nuovo che la paura si impossessava di lui, e non lo faceva muovere. Josh lo aveva afferrato per una spalla, già pronto ad andare via, quando Louis lo vide. Era un animale grosso, grigio, con gli occhi bassi e un aspetto terrificante. Non aveva mai visto una bestia del genere.
Era strana, grossa, grigia, brutta, il pelo sembrava ispido, rugoso, a macchie più scure. I peli si rizzavano sulla schiena, gli occhi piccoli, sottili e inquietanti guardavano intorno alla ricerca di qualcosa, i denti digrignati, serrati, in mostra, le zampe grigie e piccole, estremamente piccole per una bestia del genere, e poi un latrato, un verso che fece accapponare la pelle di tutti. Louis continuava ad essere immobile, mentre la bestia si dimenava. Louis solo in quel momento notò che il collo fosse circondato da alcune corde lunghe, che terminavano tra gli alberi.
Aveva una brutta sensazione, qualcosa di brutto stava per accadere.
“Louis, nasconditi dietro di me!” – fece Josh, nascondendolo dietro di sé con uno strattone. L’ansia era palpabile, e mentre la bestia ad un palmo da loro annusava l’aria, un uomo si avvicinò a loro. Louis guardò oltre la spalla di Josh, e lo vide. Alto, altissimo, decisamente molto più alto di lui, armato di corazza nera e spada, due occhi neri penetranti, e capelli di un buffo rosa. Un occhio era coperto da una benda a forma di cuore.
“Dannazione, il Fante di Cuori” – mormorò Josh, spingendo Louis più lontano, senza accorgersi che quello era scrutato attentamente dalla bestia sopraggiunta prima, il Grafobrancio. Il ragazzo non sapeva se essere spaventato per la bestia o per quel Fante di Cuori, di cui non sapeva nemmeno il nome. Deglutì indietreggiando, fino ad un albero, dietro al quale, spuntò la bestia infernale che aveva visto avvicinarsi prima. Rimase paralizzato lì.
Improvvisamente, si sentirono delle urla, e il castano vide il topo, il ratto, il ghiro o quel che era, avventarsi sulla bestia, riuscendo a cavargli un occhio. Mentre il Dodo, e il Bianconiglio tenevano impegnati il Fante di Cuori e… erano delle carte da gioco quelle? Josh e Niall lo presero per le braccia, facendolo uscire dal suo nascondiglio e con  lui iniziarono a scappare alla ricerca di un posto sicuro in cui rifugiarsi, magari dal Cappellaio.
Louis intuito il pericolo iniziò a correre da solo, seguito dagli altri due, quando qualcos’altro lo pietrificò.  Un verso raccapricciante, stridente gli ferì le orecchie, fece per voltarsi, ma:
“No!” – urlò Niall –“scappa, va dal Cappellaio, ci pensiamo noi!”
“Stavo per dirlo io!” – protestò Josh.
Louis vide solo un uccello rosso come il fuoco afferrare con le sue enormi zampe i due fratelli, e sparire nel cielo. Non sapeva che il Fante avesse preso la pergamena che gli era caduta, e che avesse catturato gli altri animaletti, sapeva solo che doveva correre, correre e correre per arrivare finalmente da quel Cappellaio e tornare a casa. Perché sarebbe tornato a casa, vero?
 

*

 

 “Cosa?!” – tuonò un ragazzo seduto sul trono. –“non ho capito, Grimshaw, cosa stai cercando di dirmi?” – sibilò tra i denti, lanciando uno sguardo inceneritore sul giovane inginocchiato di fronte a lui.
Zayn, o meglio, il Rosso, era un ragazzo piuttosto alto, dal fisico asciutto, capelli mori alzati sempre in un ciuffo alto, occhi scuri. Il suo nome significava nero, oscurità. Non a caso era il discendente della Regina di Cuori, la donna che aveva sottratto il regno di Sottomondo alla sorella, la Regina Bianca, e l’aveva mandato in rovina, riempiendolo di oscurità, facendo appassire la maggior parte dei fiori e delle cose belle, rendendo gli animali privi di vita. Era decisamente la parte negativa della medaglia. Si dice che una medaglia abbia due facce, una positiva ed una negativa, Zayn era la parte negativa, quella scura, sporca, malvagia.
“Io, ecco, Zayn, ho trovato solo la pergamena, del ragazzo non c’era traccia, non è vero che Louis è arrivato qui. Siamo ancora al sicuro.” – fece il Fante di Cuori, Nick Grimshaw, leccapiedi per eccellenza di Zayn.
“Hai la pergamena?”
“Sì.” – la estrasse da sotto l’armatura e la consegnò al ragazzo che la lesse restando con gli occhi spalancati, e una serie di goccioline ad imperlargli la fronte. Non potevano aver detto la profezia, sarebbe dovuta essere bianca, in modo che nessun Louis giunto a Sottomondo avesse potuto dargli fastidio.
“Sei un incompetente, Nick!” – tuonò ancora una volta –“Louis è qui!” – indicò la pergamena –“questa parla chiaro! Trovalo, o ti farò tagliare la testa.” – sentenziò, sedendosi stanco sul suo trono, e invitando uno dei servi a mettersi carponi sotto di lui per appoggiare le gambe allenate sulla schiena del povero malcapitato.
“Sarà fatto, signore” – mormorò Nick, congedandosi.
Se voleva avere salva la vita, doveva trovare quel dannato ragazzino e portarlo lì, conosceva Zayn, ed era meglio non mettersi contro di lui, mai.
 

*

 
Louis correva, correva e non sapeva nemmeno dove stesse andando, voleva solo fuggire, nascondersi forse, e aspettare di svegliarsi, perché diamine quello era solo un maledetto sogno, solo un maledetto sogno.
Era stanco, correva da tanto tempo. Le gambe gli facevano male, erano pesanti, il respiro affannato, gli occhi quasi fuori dalle orbite. Arrivato ad un nuovo bivio, si lasciò cadere sulle sue ginocchia. Qualcosa riaffiorò nella sua mente, qualcosa che non capì subito. Era un ricordo,  o forse un nuovo sogno?
Si poteva sognare dentro ad un sogno?
 
Era esattamente lì, nello stesso punto.
Una figura, due denti bianchi nella notte spuntavano, due occhi gialli, felini.
Le foglie che si alzavano, rivelando la strada giusta. Un labirinto, delle carte che camminavano su due piedi, una donna che urlava di tagliare la testa a qualcuno...
 
“Ben tornato, Louis!” – esclamò una voce all’ombra di un albero.
Il cuore del ragazzo prese a battere come un martello nella cassa toracica. Chi c’era?
Che volevano da lui?
Perché non si facevano vedere?
“Non puoi vedermi, non ancora, io sono invisibile, sai?” – continuò la voce, e Louis si terrorizzò a tal punto che indietreggiò ancora con le ginocchia per terra, finendo con il sedere a terra dolente.
“C-Chi sei?” – riuscì a balbettare tra i tremiti.
“Oh andiamo, ragazzo, sono lo Stregatto!” – esclamò felice, e Louis vide comparire una semiluna davanti alla corteccia dell’albero. Strabuzzò gli occhi, strofinandoseli anche, stranito da una cosa del genere. Era davvero finito nel mondo dei pazzi.
Pian piano prese forma. Gli occhi gialli, come quelli di un felino, la coda, il corpo, e poi intorno a quel sorriso inquietante comparve una testa. Era davvero un gatto. Aveva anche le orecchie a punta, insomma.
“So che cerchi il Cappellaio” – sorrise in quel modo che a Louis faceva venire i brividi –“oh, sei proprio tu, mi ricordo quando avevi appena sette anni e ti trovasti proprio qui. Ti condussi dalla Regina, ricordi?”
Louis scosse la testa, in segno di negazione.
“Non ricordo, ho fatto dei sogni però che riguardavano questo posto, e... è strano, più ci sono e più credo che io qui ci sia già stato, ma è impossibile, vero?” – chiese preoccupato, credendo di esser davvero impazzito.
“Niente è impossibile per chi apre la mente, ricordalo, Louis.” – fece lo Stregatto per un attimo, smettendo di ridere. –“e adesso seguimi, devo condurti dal Cappellaio”
Il giovane annuì e si mise alle spalle del gatto strambo che svolazzava allegro davanti a lui. Percorsero diversi tratti, durante i quali Louis potette farsi un’idea del luogo. I fiori giganti, i funghi altrettanto grandi, gli alberi così strani, molti erano appassiti, ma mostravano comunque un aspetto maestoso, come se non volessero arrendersi.
Animali piccoli e grandi che alla vista del ragazzo con il gatto strano fuggivano impauriti, o che si rintanavano nelle buche, e Louis si chiedeva come mai avessero così tanta paura, lui era solo un ragazzo in fondo, no? Perché dovevano essere così terrorizzate?
“Perché hanno paura?” – chiese innocentemente.
“Il Rosso sta distruggendo tutto. Tu sei l’unica speranza per Sottomondo. Loro temono tutto. Da quando il Rosso ha iniziato il suo dominio tutto è peggiorato. Si stava meglio quando si stava peggio, con la Regina di Cuori, intendo. Era una pazza squilibrata, ma chi non è? Almeno non era così... distruttiva.” – spiegò lo Stregatto, mentre avanzavano nella sterpaglia.
“Ho avuto un flash poco fa, c’erano dei fiori che cantavano allegri, perché sono in silenzio, ora?” – chiese ancora.
“Al Rosso non piace la musica, la odia, quindi vieta qualsiasi arte musicale. Qui a Sottomondo non si ode una bella melodia da tempo. Ma tu riporterai anche quella, ne sono sicuro.”
“Riponi troppe speranze in me, io sono...” – come hanno detto gli altri? –“...troppo basso.”
Lo Stregatto scoppiò in una risata cristallina, inquietante e forte, che fece accapponare la pelle di Louis, a tratti sembrava anche maligna, e il ragazzo di certo non voleva problemi di quel tipo, non con un pazzo furioso che lo cercava. Non riusciva a dimenticare quei pozzi scuri del Fante. Erano inquietanti, e gli avevano lasciato un senso di paura incredibile. Appartenenti di sicuro ad un pazzo, e lui temeva i pazzi.
“Oh Louis, ammetto che tu non sia così alto, aspetta di vedere il Cappellaio, ma non è dall’altezza che si misura il valore di una persona. Potresti essere piccolo come un moscerino, ed essere un gran guerriero, ma anche grosso come una montagna e non valere niente, come il Rosso” – volteggiò in aria divertendo il giovane –“e poi non ti hanno insegnato che nella botte piccola, c’è il vino più buono?”
“E come dovrei sconfiggere la bestia maligna? Insomma, non ho-...” – fece per chiedere, ma lo Stregatto lo fermò prima che potesse finire.
“Ti spiegherà tutto il Cappellaio, siamo quasi arrivati.”
Man mano che si avvicinavano, Louis sentiva l’ansia salire. Com’era questo Cappellaio?
Un po’ più normale degli altri?
Uno squinternato?
Aveva un sorriso inquietante o rassicurante?
Gli occhi? Cosa avrebbero trasmesso i suoi occhi?
Era matto?
Avanzava seguendo il gatto stregato, che era decisamente inquietante, però in fondo aveva visto qualcosa di non inquietante in quel posto? Si morse nervosamente le labbra, quando lo Stregatto si fermò davanti ad una radura, al centro della quale c’era un tavolo imbandito per l’ora del tè.
L’ora del tè in quel caos?  Giusto, non doveva farsi domande, tanto tutto era possibile se uno ci credeva, no?
Il tavolo era imbandito. C’era di tutto. Teiere, probabilmente piene di tè, vassoi con i pasticcini, ed anche due persone sedute al tavolo, che conversavano tranquillamente.
Tranquillità con un tipo  che minacciava di distruggere quel mondo?
Si passò una mano nei capelli, studiando le due persone, o meglio la persona e la lepre sedute al tavolo. Da quando le lepri erano alte quanto un uomo e prendevano il tè? Appoggiò due mani sulle tempie massaggiandole lentamente.
Gli stava esplodendo la testa, di nuovo.
“Ehi, Harry, siamo arrivati!” – strillò lo Stregatto.
Louis guardava a terra, non voleva alzarlo, non voleva incontrare nessuno. Lo sconforto si faceva strada in lui, la paura non era mai andata via, la speranza che fosse solo un brutto incubo era ancora viva in lui.
“Ciao micino! Finalmente sei arrivato!” – esclamò una voce roca, calda, rassicurante.
“Ancora mi chiami così?” – sbuffò in un miagolio il gatto matto –“sono una figura secolare di Sottomondo, insomma, un po’ di rispetto!”
“Oh gattino” – fece la voce rilassante – “sei adorabile quando fai così, e chi porti con te? Chi è quel meraviglioso ragazzo?” – domandò tranquillamente, mentre il gatto si lasciava scappare un altro miagolio irritato.
“E’ Louis, e tu dovresti, che ne so, insegnargli quello ad affrontare quello che dovrà affrontare. Non fare battute sul mio conto, o provarci con lui”
Louis, a quel punto, arrossì vistosamente e fu quasi obbligato ad alzare lo sguardo, incrociandone uno magnetico. Una particolarità di quello sguardo erano gli occhi di due colori. Un occhi era di un verde intenso, smeraldo quasi, mentre l’altro era giallo, felino. Louis dovette deglutire e boccheggiare alla ricerca di aria, per permettere al suo cervello di sbloccarsi e riprendere a ragionare normalmente. Lasciò vagare lo sguardo sul ragazzo che aveva di fronte. Era più alto di lui – ma chi in quel dannato Sottomondo non lo era? -  i capelli erano una massa informe, riccia di un marrone scuro, e gli ricadevano morbidi sulla fronte. Era semplicemente… bellissimo.
Accanto a lui, c’era una lepre un po’ spelacchiata, con un pizzetto bianco e una casacca marrone. Le stranezze non finivano mai in quel luogo, vero?
“E così tu sei Louis!” – fece il riccio –“certo che ti facevo più alto.” – inclinò la testa ridacchiando –“ma non sei male.”
Louis sbuffò infastidito. Ancora la sua altezza? Ancora?
“Sono basso, la smettete di ripeterlo tutti?” – esclamò stizzito.
“Calmino, signorino, sei tenero, non ho mica detto che non sia tu, è che mio padre mi ha parlato di te. Eri ancora piccolo la prima volta che sei stato qui, vero?” – fece ancora il ragazzo dagli occhi di due colori.
“Beh, così dicono” – borbottò Louis, intimidito da quella voce, da quel ragazzo così alto che ora lasciava la sua postazione a capotavola e avanzava verso di lui.
Aveva sbagliato qualcosa ne era sicuro. In fondo, lui sbagliava sempre. Ricordava quando il suo insegnante gli aveva detto che sbagliava i conti, o che sbagliava a scrivere una frase. Ricordava tutti i suoi fallimenti, ed erano decisamente troppi. L’unica cosa che non sbagliava era suonare il piano. Sorrise tra sé e sé, avrebbe tanto voluto suonare un po’, gli mancava dannatamente quella sensazione. Magari appena sveglio...
“Vuoi un pasticcino?” – chiese cordiale l’altro – “o una tazza di tè?”
Louis si grattò la nuca, imbarazzato.
“Tè, grazie.” – rispose ancora intimorito dalla figura di... com’era che si chiamava? Jerry? Terry?
“Io sono Harry, comunque, il figlio del Cappellaio Matto.” – si presentò. Il Cappellaio era vero, lui doveva trovare il Cappellaio.
“E-e non potrei incontrarlo? Insomma, tutti dicono che devo incontrarlo...” – balbettò imbarazzato, guadagnandosi un’occhiataccia da Harry.
“Tutto quel che rimane di mio padre è quel cappello” – indicò il cappello posto al centro della tavola, che Louis non aveva assolutamente notato prima –“è impazzito alla fine.”
Louis si morse le labbra in difficoltà. Lo faceva sempre quando non sapeva cosa dire o fare.
“M-mi dispiace, n-non lo sapevo” – conosceva il dolore della perdita di un padre, lo sapeva fin troppo bene. Aveva perso da poco il suo, come poteva non capire come probabilmente si sentisse il ragazzo di fronte a lui? In fondo, quanti anni poteva avere? Non gliene avrebbe dati più di diciotto. Se in quel paese l’età si contava come nel suo ovvio.
Harry non diede segno di risposta, e versò del tè in una tazza.
“Quanto zucchero?” – chiese invece, e Louis si sentì sollevato dal sapere che non aveva offeso in qualche modo il giovane dai capelli ricci.
“Tre.” – sospirò, mentre Harry, udendo le sue parole annuì, e mise tre zollette nella tazza del ragazzo.
“Ci vuoi il latte?” – chiese ancora, e il castano annuì deciso, mentre il riccio tratteneva una risata. Era buffo quel ragazzo. Era bassino, mingherlino. Davvero era il salvatore di Sottomondo? Quel nanerottolo?
Gli porse la tazza di tè, e Louis prese a girare con il cucchiaino portogli da Harry il liquido giallastro contenuto nella tazza, lasciando vagare lo sguardo in tutte le direzioni. Cercava risposte alle mille domande che aveva dentro di sé, cercava una dannata motivazione del perché fosse accaduto a lui, cercava... qualcosa che nemmeno lui conosceva.
“Grazie” – biasciò, prendendo la tazza e portandola alle labbra, soffiandoci lentamente sopra.
Harry fu come rapito da quei momenti, gli piaceva come il naso di Louis si arricciasse annusando il profumo emanato dal tè, gli piaceva come gli occhi si chiudessero assaporando meglio il profumo, gli piaceva come le labbra si chiudessero attorno al bordo della tazza.
“Figurati, allora. Parliamo un po’ di te, so che sei Louis, e che devi sconfiggere il Rosso.” – fece –“mio padre mi ha affidato il compito, almeno prima di impazzire totalmente si è degnato di dirmi quale fosse il mio ruolo.”
Louis si fermò prima di bere, e alzò lo sguardo su Harry.
“A-ah, ma non so cosa fare” – fece riappoggiando la tazza sul tavolo –“non sapevo nemmeno di essere io quel ragazzo. Insomma, guardami sono basso e non ho muscoli!”
Harry si lasciò sfuggire una risatina, e lo squadrò. Non era possente, ma almeno i bicipiti li aveva. Avrebbe potuto maneggiare la spada, allora.
“Bene, ti spiegherò rapidamente cosa devi fare, devi trovare la Spada Bigralace e uccidere il Ciciarampa” – disse con ovvietà, come se quelle parole non fossero per nulla pesanti. Louis spalancò gli occhi e per poco quelli non saltarono fuori dai suoi bulbi oculari. Si portò una mano sul petto, all’interno del quale il cuore aveva preso a battere in maniera troppo veloce, troppo davvero troppo veloce.
“I-Il cosa?” – balbettò Louis.
“Il Ciciarampa” – fece Harry –“una bestia ancora assopita al servizio del Rosso. Una volta sconfitto quello, saremo liberi, perché il Rosso sarà sconfitto, chiaro? Ma per ucciderlo, devi trovare la spada. Ma per quella non preoccuparti, ci penserò io, ho un piano per entrare nel castello.”
“E come?” – chiese Louis curioso.
“Bevi il tè” – ordinò invece Harry, lasciandolo di stucco. Cosa voleva fare con un tè, salvare il mondo?
Ah probabile, in quel luogo tutto era possibile.
Basta crederci.
Louis bevve il tè, e si sentì improvvisamente tirato verso il basso, trovandosi ai piedi della sedia che occupava. Intanto intorno a lui, sentiva dei passi veloci, urla. Harry velocemente lo raccolse da terra, e appoggiò sul cappello, dandogli in mano un pezzo di torta.
“Mangiala quando sarai lontano da qui, devi andare dal Bianco, d’accordo?” – fece Harry, in un tono tutt’altro che rassicurante.
“Ma, Harry, non so...”
“Tutto chiaro, non azzardarti a cercarmi, Louis, lo sento che mi cercherai, non farlo.” – ordinò solenne, poi si voltò verso lo Stregatto che non si era ancora mosso da lì –“micino, sta attento a lui, altrimenti ti stacco la coda a morsi, sappilo”
Questo è matto – pensò Louis, prima che Harry gli urlasse un “reggiti al cappello!”  e lo lanciasse via, lontano da lui. Louis urlò di paura. Odiava le altezze, odiava il non trovarsi con i piedi per terra, e soprattutto odiava essere così minuscolo. Non era abbastanza discriminato per la sua altezza?
Quando il cappello terminò il suo volo, si ritrovò in una radura che non aveva mai visto in vita sua.
Una cosa era certa, non avrebbe lasciato Harry da solo. Lui doveva aiutarlo, come Harry aveva impedito che qualcuno che stava arrivando lo catturasse, lui doveva liberarlo.
In fondo, quel Rosso non sapeva lui come fosse fatto, e questo giocava a suo vantaggio. In mano aveva ancora il pezzo di torta datogli dal riccio, ma decise di conservarlo. Da piccolo, non avrebbe attirato troppo l’attenzione su di sé. Era sicuro che quel dolce fosse quello per far crescere di nuovo.
Si ritrovò a sbuffare. Doveva accettarlo, no? Vivere quello che gli veniva dato alla lettera.
Annuì a se stesso, sicuro di dover trovare il castello del Rosso, liberare Harry, la lepre, e gli altri che prima erano stati catturati. Uno strano sesto senso gli diceva che avrebbe trovato tutti lì, e che avrebbe rincontrato anche gli altri, quelli che lo avevano ritenuto troppo basso per essere se stesso.
Ma era davvero lui? Insomma, non poteva essere lui il prescelto, non davvero.
Eppure tutti lo riconoscevano  per tale, se si escludevano quelli che gli avevano detto fosse basso, come Niall o il Brucaliffo. Si lasciò andare all’indietro sul prato. Come avrebbe trovato il castello? Come avrebbe fatto a liberare tutti? Doveva infiltrarsi, era vero, ma come avrebbe potuto fare?
Alzò lo sguardo al cielo ed guardò le nuvole. Se nuvole potevano essere chiamati quegli ammassi di grigio e paura. Come poteva dire che le nuvole fossero ammassi di paura? Come se la paura avesse una forma. Allargò le braccia sul prato e respirò profondamente, per raccogliere le forze e soprattutto il coraggio.
Si era ritrovato in un mondo completamente diverso dal suo, così assurdo e così surreale. Si diede un pizzico sulla pancia ad occhi chiusi, per accertarsi che non stesse sognando, e quando riaprì le sue pozze di cielo limpido, si accorse che quel cielo curo era ancora sopra di lui, che niente intorno a lui era sparito.
Un sorriso spuntò sulle sue labbra, iniziava a piacergli tutta quella situazione surreale. Aveva paura, sì, ma iniziava ad essere maledettamente emozionante. E poi c’era lui. Il figlio del Cappellaio.
Maledizione se è bello! – sorrise tra sé e sé, guardando di nuovo il cielo scuro. Con un balzo si alzò in piedi, determinato a trovare il castello del Rosso. Non sapeva con esattezza quanto tempo era passato da quando era arrivato, ma ad occhio e croce, visto che si era ritrovato lì di sera, doveva essere l’alba, circa. Chissà come si misurava il tempo in quel momento. Le domande le avrebbe conservate per dopo, e una volta sistemato tutto, sarebbe riuscito a scoprire qualcosa di più su quel mondo. Allungò le braccia verso l’alto, sentendo che le ossa delle spalle scricchiolassero, congiunse le mani e si stiracchiò meglio.
Si morse il labbro e solo in quel momento, quando lasciò andare le braccia lungo i fianchi, si rese conto che davvero non avesse idea dove fosse il castello del Rosso.
Appoggiò una mano sul fianco, mentre l’altra la portò sotto il mento, assumendo un’espressione decisamente pensierosa, iniziando a riflettere su come uscire da quella situazione, e riuscire a capire che stanza prendere. Poi ricordò che lo Stregatto gli aveva detto che nelle tane, di sicuro c’erano altri animali nascosti, doveva solo riuscire a ritrovarli, no? Sorrise, fiero delle sua geniale intuizione, e si incamminò per i sentieri di quella foresta, fino a che non sentì un rumore, un sussurro.
“Pss”
Louis rabbrividì. Ora era più forte di prima quel sussurro.
“Pss, Louis, girati, alla tua sinistra!”
Louis sobbalzò, quello non era più un sussurro, ma un vero e proprio urlo.
Si voltò a sinistra, come la voce ordinava e vide dinanzi a sé un fiore decisamente più alto di lui, che si agitava come se fosse stato colpito dal vento.  Louis si avvicinò allo stelo alto ed esile, accarezzandolo piano, sorridendo come un ebete. E non sapeva nemmeno lui perché sorridesse, ma lo stava facendo. Probabilmente stava impazzendo, in fondo si sa, “chi va con lo zoppo, impara a zoppicare”, e Louis trovandosi in mezzo ai pazzi, stava impazzendo. Era l’unica spiegazione plausibile. Alzò lo sguardo sul fiore e lo osservò.
Era simile a tutti gli altri fiori, tranne per il fatto che fosse molto più chiaro, quasi puro, di un giallo tenue né troppo scuro, né troppo chiaro, come se tutto il male che impregnava ogni cosa in quel luogo non l’avesse scalfito nemmeno di poco.
“Ciao Louis!” – fece una voce evanescente, la stessa che lo aveva chiamato e lo aveva incitato ad avvicinarsi. Louis sorrise di nuovo e accarezzò di nuovo lo stelo del fiore.
“Ciao a te, fiore” – ridacchiò –“mi sento abbastanza stupido a parlare con un fiore, sai?”
“Sì, lo hai detto anche quando eri un bambino.”
La mente di Louis vagò di nuovo. Un nuovo flashback si fece spazio nella sua mente, sconvolgendola ancora una volta.
 
 
“Non voglio più stare qui, non mi piace, voglio la mia mamma!” – piagnucolò un bambino di appena sette anni, sedendosi ai piedi di un grande fiore. Era stato rimpicciolito non ricordava da chi, e vagava per quel posto strano da solo. Era buio, lui aveva paura del buio, e non sapeva come tornare a casa.
Improvvisamente una risata proveniente da sopra la sua testa, lo fece trasalire e spaventare.
“Chi-chi sei?” – chiese il bambino scattando in piedi e voltandosi verso la voce proveniente dall’alto, appoggiando una mano inconsciamente sullo stelo del fiore.
“Io, il fiore!” – esclamò la stessa voce che aveva prodotto quella risata.
“Mi sento stupido a parlare con un fiore!” – disse piccato –“come fai a parlare? C’è qualcuno che parla dietro di te? Perché parli? A casa mia i fiori non parlano. Come si fa a far parlare i fiori? Posso far parlare anche i fiori del mio giardino? Io voglio un amico, solo sempre da solo!”
Il fiore esplose in una nuova risata piena di divertimento. Quel bambino era davvero buffo, e per di più, se prima piagnucolava ora sorrideva e parlava talmente veloce che il fiore non riusciva a stargli dietro.
“Louis, Louis, calmo” – rise ancora –“ascoltami, Louis. Devi recarti al castello della Regina di Cuori, sai come si arriva?” – chiese premurosamente il fiore.
Il bambino scosse la testa, non sapeva nemmeno chi fosse la Regina di Cuori.
“Te lo spiegherò io.”
 
Louis batté un pugno sul palmo della mano sorridendo.
“Mi indicherai anche stavolta la strada per il castello?”
“Esattamente, e ti spiegherò cosa devi fare, in modo che tu non corra rischi inutili. Però, Louis, sta attento.”
“Sono minuscolo, non mi vedrà nessuno, promesso.” – sorrise.
Non sapeva perché, ma sentiva di potersi fidare di un fiore, di un fiore insomma. Non sapeva nemmeno se quello fosse affidabile, ma ormai era dentro, doveva solo seguire il suo destino o qualunque cosa lo avesse condotto lì.
Bastava fidarsi di quelli giusti, no?
“Bene, allora, devi andare verso nord, sempre verso nord, percorri tutti i sentieri liberi che trovi, e poi, ti troverai davanti ad un bivio. Vai a sinistra, e ti troverai in un labirinto. Supera il labirinto, e poi mangia il dolce, crescerai di almeno due metri, e non potranno riconoscerti. Infiltrati, trova la spada e libera tutti.” – spiegò il fiore, mentre il ragazzo annuiva, cercando di memorizzare più cose possibili. –“una volta liberato Harry, con lui dovrai dirigerti al castello del Bianco. Ma quel riccio scapestrato saprà indicarti la strada da percorrere. Mi raccomando, Louis, sta attento.” – fece prima di lasciarlo andare. Il giovane annuì e strinse i pugni lungo i fianchi. Sapeva che quegli avvertimenti erano utili, sapeva che doveva davvero stare attento, sapeva che qualsiasi cosa avesse fatto, avrebbe avuto delle ripercussioni su di lui, o su altri, e quindi doveva stare attento.
Louis, per la prima volta nella sua vita, stava davvero, concretamente, prendendo sulle proprie spalle una responsabilità, ed era anche decisamente importante. Insomma, si trattava del destino di un… mondo? O una dimensione? Non aveva ancora capito bene dove fosse finito, però capiva che quel luogo aveva bisogno di qualcuno, e stava chiedendo il suo aiuto, non poteva ignorare. Sarebbe andato contro i suoi principi.
“Louis!” – lo chiamò ancora il fiore, mentre lui stava per andare nella direzione indicatagli.
“Mh?” – fece alzando lo sguardo verso il fiore.
“Tu sai che tipo di fiore sono?”
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, e analizzò la pianta. Era gialla, non ricordava nessun tipo di fiore di quel colore, forse non l’aveva nemmeno studiato. Erano importanti i fiori?
Sapeva che ognuno avesse un significato, ma erano stupidaggini che inventavano i fiorai per attirare clientela, no? Cosa importava a lui del significato dei fiori? Era pur sempre un ragazzo!
“No, dovrei?”
“Louis, io sono un’Achillea, conosci il mio significato?” – chiese ancora il fiore.
Ecco, ecco dove voleva andare a parare. Il significato. Cosa significava?
Non lo sapeva, lui non si era mai applicato, non era intenzionato a scoprire il significato dei fiori, non gli interessava, non voleva nemmeno una donna accanto, a cosa sarebbe servito conoscerlo?
“No” – ancora una volta negazione.
“Sono il simbolo delle persone solari, essenziali, belle sia fuori che dentro, Louis.”
Il ragazzo fu colpito dall’affermazione. Perché intuiva da quelle parole che c’entrassero qualcosa con lui? Perché sospettava che quelle indirettamente fossero per lui?
Lui si era estroverso, ma non si sarebbe mai definito bello fuori e dentro, e tutte quelle altre cose. Guardò ancora perplesso il fiore e annuì insicuro.
“Lo so che non ci credi, Louis, ma dentro di te nascondi tanto coraggio e tanto amore, devi solo capire come tirarli fuori. Ora va, e sta attento.”
Il giovane Tomlinson annuì deciso, e dopo aver ringraziato ancora una volta il fiore ed averlo salutato prese la strada che gli aveva indicato.
Doveva andare a nord.
 







NO, JIMMY PROTESTED!

Alzate le mani! Su, quante mi avevano dato per dispersa?
Lololol. Io non sparisco mai.
Questa shot, sì è una shot, ma.. accidentalmente mi è venuta di 30 pagine..
Faccio sempre più schifo con la lunghezza, la pubblicherò in tre capitoli. Ovviamente è tutta pronta, quindi la aggiornerò velocemente.
Brevemente. E' ispirata tratta e narrata da "Alice in Wonderland", un Louis Alice e un Haz Cappellaio li avevate mai visti?
Eheheh.
Ma tranquilli, nel prossimo capitolo vi divertirete particolarmente. Lol
Spero vi sia piaciuta, e... niente.
Ormai sapete che a Louis do tutti i ruoli più strambi. Ne avrà uno ancora più figo.  EEEH ho troppi progetti, ultimamente e dovrei studiare per l'università, non ne ho voglia.
Aaaw. 
Ringraziamo Lu per il magnifico banner. LO AMO. E' stupendo, meraviglioso, lo amo *-*
Adoro le battute sull'altezza di Louis, Louis che sclera, i battibecchi di Niall e Josh (come li vedete come fratelli? *-*) e la OS in generale. Ci lavoro da mesi, spero davvero che vi sia piaciuta! 
Passo e chiudo, Ciao! 

P.s  Giuro che se vedo qualcosa di simile in giro per il web mi incazzo.
P.p.s  Non ho mai letto niente di simile, quindi non mi venite a dire che è di vostra inventiva.
P.p.p.s  La "profezia" l'ho scritta io, quindi... non copiatela, thaaanks!

   
 
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