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Autore: _Syriana    17/05/2013    1 recensioni
[sequel di Breathless]
Si narrava, in quegli anni, nel Borgo di Altieres, una leggenda che faceva sospirare sognanti la maggior parte delle ragazze.
Narrava di una rosa e di un falco. E il fantasma di un amore mai passato.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caroline Mayfield, Justin Sinclair
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gli  sarà muta l’armonia del giorno1


A chi mi ha detto “Non doveva finire così”
e io dico “A volte non basta nemmeno la speranza”
 

La luna illuminava con timidi raggi la lama della spada, puntata alla schiena di una figura ammantata. Ai piedi, una pozza di sangue sporcava gli stivali del soldato, che però non sembrava minimamente impressionato da quella visione. Non era nemmeno minimamente interessato al cadavere dell’uomo, il collo squarciato. Puntava, invece, lo sguardo sulla figura incappucciata davanti a se.
- Abbassate il cappuccio e fatevi riconoscere – disse Justin, la voce alta e autoritaria.
Una risata cristallina, dal retrogusto amaro, si levò nel piccolo spazio del vicolo, mentre la mano che ancora teneva la giacca del povero uomo bianca più della Luna, perfetta e senza linee, mollava la presa e si alzava verso il cappuccio., abbassandolo. Una cascata di riccioli scure si sparse sulla schiena della vampira, che si voltò lentamente con un sorriso spento sulle labbra.
La spada tremò nella mano di Justin e cadde, mentre i suoi occhi incontravano quelli azzurri della Rediviva: sembravano specchi, tanto erano chiari e cristallini. Piccole gemme incastonate in un volto che negli ultimi diciotto anni non aveva perso la bellezza dei vent’anni. Pelle perfetta, come porcellana, labbra rosse come il sangue che erano abituate a toccare.
- Non penso di aver bisogno di identificarmi con il nome. E non c’è bisogno nemmeno della spada – affermò la vampira, alzando entrambe le mani. Poi piegò la testa di lato, assumendo un espressione assorta, mentre squadrava il ragazzo – Sei cambiato negli ultimi diciotto anni, Justin. Sembri più…uomo –.
- Tu, al contrario, non sei cambiata per nulla, Caroline – commentò Justin, e non seppe da dove gli fosse uscita quella risposta. La risata senza gioia di Carol si sparse di nuovo, e la ragazza si avvicinò, mentre Justin cadeva in ginocchio.
- Non puoi immaginare quanto ti sbagli, Justin – sussurrò la ragazza, vicino al suo orecchio. Fiori e vaniglia, lo stesso profumo di sempre.
Lo lasciò li, in ginocchio, l’espressione di chi ha appena visto un fantasma.
 
Caroline guardava, con curiosità, la scena che si stava svolgendo sotto i suoi piedi. Era seduta su un alta trave del soffitto della casa di Alexandria e faceva ciondolare le gambe come una bambina dispettosa.
Trovava stranamente interessante ciò che stava succedendo: una ragazza di vent’anni strillava contro la madre quanto non la sopportasse, a causa delle numerose restrizioni a cui era soggetta, mentre la madre si portava con disperazione una mano al volto. Un ragazzino, di circa dieci anni, assisteva alla scena con un sorriso divertito, nascosto sapientemente dietro un libro.
Caroline si chiese se anche lei avrebbe vissuto situazioni del genere, se non fosse morta il giorno stesso in cui sua figlia era nata. Probabilmente sì, e si divertì ad immaginarsi scenari in cui sua figlia le urlava contro o il contrario.
Caroline, il tuo modo di divertirsi sta diventando preoccupante, si disse. Sembrava un pensiero divertito anche quello, ma c’era tra le parole una nota di dolore tra quelle parole.
Si riscosse dai suoi pensieri solo quando sentì una sporta sbattere: guardò di sotto e vide che Alexandria era rimasta sola, e guardava assente le fiamme del camino acceso, borbottando tra se e se.
- Sai, - iniziò Carol, a voce abbastanza alta da poter essere udita, e vide con divertimento la cugina voltarsi e lanciare un urlo, sorpresa da quella voce inaspettata, prima di alzare lo sguardo su di lei – se io avessi l’opportunità di parlare ancora con mia figlia da madre, probabilmente non le urlerei contro – si diede uno slancio e atterrò sul pavimento della stanza, mentre l’altra la guardava ancora sconvolta – O magari sì – terminò Carol, con espressione pensierosa.
Alexandria continuava a stare zitta, gli occhi spalancati e una mano davanti alla bocca, quasi a soffocare un grido. Carol le passò una mano davanti agli occhi.
 – Sandria, sembra che tu abbia appena visto un fantasma -.
- Caroline – sussurrò Alex, così piano che se Carol non fosse stato una vampira, probabilmente non l’avrebbe sentita.
- E’ il mio nome, sì. Da circa trentacinque anni, anche se ammetto che il mio aspetto non sembra quello di una trentacinquenne. Tu, al contrario, hai già iniziato ad avere qualche ruga…- iniziò a dire Carol, perdendosi, come le capitava spesso, tra i suoi discorsi. Essendo una vampira, e avendo a disposizione tutto il tempo del mondo, Caroline era fermamente convinta di avere tutto il tempo per arrivare al punto del discorso. Sfortunatamente per lei, non tutti godevano di quella fortuna.
- Caroline! – urlò Alexandria, infatti, causando un irritante rimbombo nella testa della vampira, che si portò le mani alle orecchie. Con un rapido movimento si portò alle spalle della donna e le poggiò una mano sopra la bocca.
- Non capisco davvero perché voi umani troviate che urlare sia un bel modo di reagire. Io trovo solo che sia oltremodo irritante per le mie orecchie – le disse, con voce annoiata. Sentì distintamente il cuore di Alexandria accelerare di ritmo, e il sangue scorrerle più veloce nelle vene. Era agitata, molto.
- Calma, Alexandria. Non ho intenzione di farti del male – Carol roteò gli occhi, come se la sola idea fosse per lei inconcepibile. La lasciò e si andò a sedere comodamente su una poltrona, mentre la cugina la seguiva continuando a osservarla in silenzio. Caroline iniziò a tamburellare con le dita sul bracciolo della poltrona, attendendo pazientemente che la cugina si riavesse dallo shock.
- Quando sei tornata? – chiese Alex, dopo svariati minuti, sedendosi sulla poltrona davanti a quella della cugina, che come risposta alzò le spalle.
- Qualche giorno fa -.
Alexandria si limitò ad annuire.
- Hai avuto un figlio – disse dopo qualche secondo Carol, puntando lo sguardo sul libro abbandonato sul divano vicino a lei; la cugina seguì il suo sguardo e poi annuii.
- Si chiama Jonathan – sussurrò Alex, poi alzò la voce – Jonathan Stephen come il fratello di Gareth. Anche Fayette ha avuto dei bambini. Gemelli -.
Gli occhi di Carol scattarono verso Alexandria, una scintilla nello sguardo.
- Un maschio e una femmina. Lui l’ha chiamato Sebastian, la bambina…-.
- Caroline – concluse Carol, fissando qualcosa alle spalle della cugina. Alexandria pensò che avesse la bellezza e l’immobilità di una statua di marmo nata da una mano di un grande artista; solo una mano incredibilmente abile e una mente illuminata potevano aver creato una tale bellezza.
Ma non era una statua, e quella condizione era dovuta al passaggio di Carol dalla vita alla morte: era il segno che lei era ritornata dal sonno eterno.
- Alla fine si è sposata? – chiese Carol, infine, riportando lo sguardo su Alexandria.
- Sì, - un sorriso divertito si aprì sulle labbra della donna – alla fine ha trovato un povero diavolo disposto a sposarla e a sopportare i suoi continui svenimenti -  la vampira si coprì la bocca con la mano, per soffocare le risate – anche Gabriel e Drayden si sono sposati. Mentre Justin…- si interruppe, abbassando lo sguardo. Caroline era nuovamente immobile.
- Justin? -.
- Lui ci ha provato, Caroline. Per i due anni successivi alla tua… scomparsa non è più uscito di casa, ma passava tutto il suo tempo con Genevieve. Nessuna donna, nessuno svago. Era perennemente in lutto. Poi, una sera, Drayden si è presentato alla sua porta e l’ha obbligato a uscire, lasciando Genevieve qui a casa mia. Da allora, è uscito con qualche donna, ma nessuna di importante. Questo, fino a tre anni fa – la voce di Alex si abbassò, fino a spegnersi. Temeva forse di ferirla, con quelle parole?, si chiese Carol. Non era forse quello che lei aveva sempre voluto?
- Continua – la incoraggiò.
- Non so molto, nessuno sa molto. Sappiamo solo di una donna, lui non l’ha mai presentata. Ma sembra felice -.
- Sono felice che abbia trovato una donna con cui condividere la sua vita – disse Carol, sincera, la voce accuratamente piatta.
- Tu cos’hai trovato in questi ultimi diciott’anni, Caroline? - le chiese Alexandria, fissandola intensamente.
Il campanile, lontano, segnalò che Compieta era passata da un pezzo. Era ora di andare.
- Non puoi trovare nulla, se non stai cercando nulla, Alexandria – rispose e si alzò dalla poltrona, un movimento veloce e fluido – Devo andare, ho un appuntamento a cui non voglio assolutamente fare tardi – disse e prima che Alexandria potesse rispondere, Caroline se n’era già andata.
 
Il Clarimonde era pieno di maschere quella sera. Volti celati dietro nastri e pezzi di pizzo e seta, a celare qualsiasi tipo di emozione.
Caroline, seduta ad un tavolo, sola, attendeva annoiata l’arrivo del suo ospite, rimirandosi nello specchio della parete, spostandosi i capelli da destra a sinistra, tamburellando poi con le dita sul tavolo.
Solo il leggero rumore della sedia davanti a lei che veniva spostata l’avvertì che il suo accompagnatore era arrivato. Sbuffò, portando lo sguardo su Damian Assange, l’aitante –e pazzo- vampiro, che si stava sedendo.
- Elegantemente in ritardo – disse Damian, sorridendo e spostandosi una ciocca di capelli che gli si era posata sopra gli occhi, di un azzurro incredibile.
- Sei ben oltre “l’elegante ritardo”, Damian – commentò Carol, facendo segno ad un cameriere, che dopo qualche secondo portò due brocche riscaldate da una fiammella, e le poggiò sul tavolo, con due calici di cristallo.
- Vorrai scusare il mio ritardo, Caroline – il vampiro abbassò la testa, in segno di scuse, ma non era credibile con quel sorriso ribelle sulla faccia – ma sono stato trattenuto -.
Carol immaginò che fosse un intrattenimento davvero piacevole, visto l’odore di colonia maschile e vino fruttato che accompagnava la presenza del vampiro.
- Spero ne sia valsa la pena. Perché non ci vediamo da diciotto anni, e io sono tua figlia di sangue -.
Damian si aprì in una risata divertita, versandosi una generosa dose di sangue nel bicchiere, mentre i suoi occhi la guardavano con interesse.
- Come sono andati i tuoi anni fuori città, Carol? – le chiese, sporgendosi verso di lei, una scintilla curiosa nello sguardo.
Caroline si sporse a sua volta, poi appoggiò la testa sul palmo della mano, con espressione pensierosa – Strani. Ho imparato che la tua prospettiva della vita e sulla vita cambia radicalmente, quando non ti devi preoccupare del tempo che passa. Alcuni comportamenti umani mi sono diventati… inspiegabili – rispose la Rediviva, sovrappensiero. Damian annuì, appoggiando il mento sulle mani giunte.
- L’hai incontrato, Caroline? – le chiese, dopo un paio di minuti, rialzando la testa e puntando lo sguardo oltre le spalle della ragazza, che si voltò di scatto.
Justin era entrato nella sala, insieme ad altri due uomini. Aveva lo sguardo puntato su di lei e Damian, il volto impassibile.
Caroline si irrigidì, mentre l’uomo si avvicinava, il passo rigido quanto il portamento: aveva avuto ragione, la sera prima, quando aveva detto che era cambiato. Era più uomo, più alto e muscoloso, diverso dal ragazzino che lei aveva lasciato anni prima. Si portava dietro un aria di sicurezza e di calma. D’un tratto, Carol ricordò perché ne era stata innamorata: era quell’aria di sicurezza che ti dava anche il solo guardarlo. Lei si era sempre sentita al sicuro con lui.
In quegli anni, Caroline aveva imparato a non lasciare trapelare nessuna emozione dal suo volto, lasciava che l’immobilità della morte le scolorasse le membra di ogni parvenza di sentimento. Così, quando Justin si fermò vicino al loro tavolo, il suo volto era accuratamente neutro, quasi indifferente a quello che le succedeva attorno, una mano che giocherellava distratta con il calice colmo d sangue davanti a lei.
- Capitano Sinclair – salutò Damian, nella voce una leggera nota divertita, come se la situazione fosse divertente. Carol trattenne a stento uno sbuffo.
Linea di sangue Lancaster, da sempre notoriamente pazzi.
Un sorriso le nacque spontaneo sul volto quando una vocina – si appuntò mentalmente di chiedere a Damian se anche lui sentisse quelle strane e fastidiose vocine nella testa, e se fosse normale  – le ricordò che lei apparteneva alla stessa linea di sangue.
- Assange – rispose Justin, senza degnarlo di nemmeno un piccolo sguardo. Fissava Caroline, così intensamente che la vampira si stupì di non prendere fuoco, tanto era intenso quello sguardo. Cenere alla cenere.
- Justin, diciotto anni ad evitarti e poi ti incontro due volte in due sere di seguito – lo salutò Carol, alzando uno sguardo annoiato al volto del cugino – Questa si potrebbe chiamare sfortuna. O disattenzione -.
- Diciotto anni a crederti morta, Caroline, e ti posso assicurare che non è stata disattenzione – replicò Justin.
C’era una sottile vena di accusa nel tono della sua voce, un astio a malapena trattenuto; la rabbia e il risentimento che cercava di non far trapelare, ma che si poteva percepire dai pugni chiusi sui fianchi o la rigidità della schiena.
Caroline chiuse gli occhi, portandosi una mano alle tempie, massaggiandole: era un gesto assolutamente inutile in se, dato che Carol non provava un mal di testa da quando era rinata, ma che le era rimasto dalla sua vita mortale.
Si alzò, guardando prima Justin poi Damian – Scusa, Dam – disse e vide l’altro fare un semplice cenno con la testa comprensivo.
Senza dire nessun’altra parola, si avviò verso l’uscita, senza nemmeno controllare se la persona che voleva la seguisse lo stesse realmente facendo. Sapeva che era così.
- Mi domando perché debba sempre essere io a correrti dietro – disse Justin, appena furono usciti dal Clarimonde. Nell’aria c’era un leggero sentore di pioggia.
Carol sorrise, amava la pioggia, ma non rispose alla domanda del suo nuovo accompagnatore. Si limitò ad una scrollata di spalle ed a incamminarsi verso il Borgo di Altieres.
 
La luna, piena e imperfettamente perfetta, si specchiava sulla superficie calma del fiume, l’odore pungente dell’acqua solleticava l’olfatto sensibile di Caroline. Alcuni guizzi sulla superficie mostravano la vita sott’acqua mentre tra gli alberi, gruppi di pipistrelli si muovevano veloci in cerca di prede.
Creature della notte, come la ragazza che stava seduta sul parapetto del ponte, le gambe a penzoloni; la luna illuminava il suo viso di bambola, perfetto come la porcellana.
Caroline, gli occhi fissi sull’acqua – occhi che dell’acqua avevano il colore – si beava delle sensazioni che la circondavano: il profumo dolce del pane di zucchero in lontananza, mescolato a quello più forte dell’uomo che, appoggiato con i fianchi al parapetto e le braccia incrociate al petto, stava di fianco a lei. Il rumore dell’acqua che passava sotto di loro e quello del sangue che scorreva nelle vene. Lento, calmo: irresistibile per creature come lei.
- Delle molte cose che mi mancano della mia vita mortale, i pan di zucchero di Altieres sono una delle maggiori. Li amavo – disse Carol, spezzando un silenzio durato molti minuti.
- I pan di zucchero? – chiese Justin, confuso, guardando la vampira come se fosse impazzita tutta d’un tratto. Caroline voltò lo sguardo verso di lui; aveva percepito una brusca accelerazione nel battito del suo cuore quando lei aveva iniziato a parlare         - Vuoi parlare di pan di zucchero – la voce di Justin era un sussurro, però la collera era ben definita nel suo tono.
- Justin – disse lei, con voce calma. Ma lui non la sentì, o almeno non la volle sentire.
- Diciotto anni, Caroline, in cui credevo fossi morta, in cui ogni giorno mi sono svegliato con i sensi di colpa, e tu ora ritorni e vuoi parlare dei pan di zucchero? – urlò Justin, la rabbia ormai esplosa, prendendole un polso e stringendolo forte. Carol fissò il suo polso stretto in quella morsa: una volta una stretta del genere le sarebbe costata almeno un livido sulla pelle. Ora non sentiva nulla.
- Justin, basta, – Caro, portò la mano libera al mento dell’uomo e lo strinse in una morsa gentile, alzandogli il volto fino ad incontrare il suo sguardo. Sentì Justin sussultare impercettibilmente quando le loro iridi si incontrarono, ma non lasciò la presa – smettila. Mi dispiace, Justin. Per quello che hai passato, per quello che hai sofferto. Mi dispiace, non immagini nemmeno quanto. Ma ho fatto quello che ritenevo più giusto per te, per me e per Genevieve –.
- Come puoi pensare che la cosa più giusta per nostra figlia fosse credere che la madre era morta? – chiese Justin, e ci fu un incertezza nella sua voce a quel “nostra”. Un nostra che rendeva tutto dannatamente reale.
- Justin, non sarei mai potuta essere una buona madre per Genevieve. Non avrei potuto crescerla nel modo giusto, come mai non sarei potuta rimanere al tuo fianco – sussurrò Carol, e lo vide scuotere la testa.
- Ti avrei voluta comunque, Caroline. Eri la donna che amavo, più di me stesso. Non mi sarebbe importato della tua natura, di quello che eri, come non sarebbe importato a Genevieve. Le sarebbe importato solo di avere una madre -.
Stavolta fu il turno di Carol di scuotere la testa – Lo dici ora, Justin. Ma sai anche tu che le cose non sarebbero mai potute andare così. Mi amavi, come io amavo te, nonostante gli ultimi mesi, e forse all’inizio ci sarebbe bastato. Ma con il passare del tempo tu saresti cambiato, maturato, cresciuto, mentre io sarei rimasta la stessa ragazza di sempre. E alla fine ci saremmo allontanati. No, Justin, ho preso la scelta migliore per entrambi -.
- L’hai presa da sola! Non hai chiesto, Caroline, ti sei limitata a prendere una decisione! – replicò Justin.
- Volevo darti la possibilità di una vita! Lontano da me, da quello che sono! – la voce di Carol si era alzata, assumendo una sfumatura frustrata.
- Perché continui a credere che mi sarebbe importato quello che sei? -.
- Magari non ti sarebbe importato all’inizio, Justin! La mia natura non mi avrebbe permesso di curare mia figlia senza sentire il desiderio del sangue. E come sarei potuta tornare a casa da te, dopo aver spezzato con le mie mani un a vita umana, vita che tu hai giurato di proteggere in quanto soldato? -.
Calò il silenzio, tra loro. Le ultime parole della Rediviva che ancora aleggiavano nell’aria. Justin la fissava negli occhi e Caroline non avrebbe saputo dire cosa passasse nella sua mente in quel momento.
Dopo qualche minuto, si sentì attirata per i fianchi verso il suo corpo solido. Lui poggiò la fronte alla sua, sospirando appena. Sembrava essersi arreso dopo una lunga ed estenuante battaglia.
- Mi sei mancata, Caroline – sussurrò, chiudendo gli occhi.
- Mi sei mancato anche tu -.
- Non ho mai smesso di pensare a te, nemmeno un istante –.
- Nemmeno io ho mai smesso, Justin. Eri sempre con me, ovunque andassi –
- Non ho mai smesso di amarti, Caroline -. Carol chiuse gli occhi, sospirando.
- Speravo ti saresti innamorato di nuovo, con il passare degli anni – rispose. Ma non era quella la risposta che avrebbe voluto dargli. Ma, semplicemente, l’altra non poteva permettersi le sfuggisse dalle labbra.
Due occhi verdi si puntarono sul suo volto – Eri la donna che amavo, Caroline. Che sognavo di sposare. Nemmeno con la tua morte avrei mai potuto smettere di amarti -.
- Non cambia il fatto che io speravo ti innamorassi di nuovo – replicò Carol.
- Ma l’ho fatto. Una donna fantastica, Caroline, bensì Genevieve non la voglia nemmeno conoscere -. Carol si accigliò.
- E il motivo sarebbe? – chiese e in risposta ricevette solo una scrollata di spalle. Probabilmente Justin ignorava la risposta.
- Sono felice per te, comunque sia – disse, e sorrise sincera. Era davvero felice per lui.
- Hai intenzione di parlare con Genevieve, caroline? – le chiese Justin, poco dopo e lei scosse semplicemente la testa – Non voglio turbarla, Justin. Non saprei nemmeno cosa dirle. Che abbia di me il ricordo che tu le donato in questi anni -.
Negli occhi di Justin poteva leggere il suo disaccordo su quella decisione, ma a lei non importava: non era pronta ad incontrare sua figlia, davvero, e dubitava che mai lo sarebbe stata.
Un leggero fastidio alla base del collo l’avvertì che ilo sole stava per sorgere e che, dunque, lei avrebbe dovuto trovarsi un luogo buio e confortevole in attesa della notte successiva, se non voleva diventare cenere. Cenere alla cenere.
Scese dal parapetto, lisciandosi le gonne e lanciò un occhiata all’orizzonte – Devi andare – disse Justin e la sua non era una domanda, ma lei rispose comunque – Sì, devo andare -.
- Partirai di nuovo Caroline? – le chiese lui, mentre lei faceva il primo passo verso il Borgo.
- Domani – rispose la vampira.
- Dove? -. – Ovunque mi porterà l’istinto – Carol sorrise.
- Tornerai qui? – nella voce di Justin c’era una vena di speranza.
- Torno qui ogni anno, Justin. Il fatto che tu non mi abbia mai vista non implica necessariamente che io non ci fossi -. Justin si limitò ad annuire, prima di prenderla per un gomito a attirarla a se. Caroline si trovò imprigionata in una gabbia fatta di carne e sangue: si stupì di quanto fosse conosciuto ed allo stesso estraneo quell’abbraccio. – Torna – le sussurrò tra i capelli, dandole poi un bacio sulla fronte. Lei sciolse l’abbraccio e senza più parlare si avviò verso un luogo sicuro.
- Tra un anno, Caroline! Qui! – le urlò Justin, e lei si limitò ad annuire, senza fermarsi.
 Justin sorrise – Buon compleanno, comunque, Caroline – sussurrò al vento.
 
Una figura ammantata sedeva su una tomba, rigirandosi tra le mani un mazzo di rose rosse. Sulla lapide, di marmo bianco come la pelle della sconosciuta, una frase
 “Fin quando gli  sarà muta l’armonia del giorno1, una data di nascita e una data di morte. E di rinascita insieme.
 
Si narrava, in quegli anni, nel Borgo di Altieres di una leggenda, che faceva sospirare sognanti la maggior parte delle ragazze.
Una ragazza faceva la sua apparizione nel Borgo, nei pressi del ponte che collegava il borghetto alla Vecchia Capitale. Molti uomini giuravano di averla vista sedersi sul parapetto di quel ponte, sempre lo stesso giorno alla stessa ora di ogni anno. Molti affermavano, inoltre, che fosse una delle ragazze più belle che avessero mai calpestato la terra: pelle diafana senza nessuna imperfezione, quasi traslucida ai raggi della Luna; capelli color del mogano, acconciati in spirali perfette, mossi dal vento autunnale e occhi di un azzurro come il cielo d’estate, senza nuvole, quasi come cristalli preziosi incastonati su un viso degno di una divinità classica. Bellissima, mormoravano quegli uomini. Bellissima e mortale, aggiungevano, per via di quei canini lunghi nascosti dietro le labbra rosse, peccaminose. Una divinità ed un demonio. Tanta purezza in tanto peccato.
E attendeva: attendeva l’arrivo di un uomo, che con il passare degli anni aveva il volto sempre più solcato da rughe e segni del tempo, ma che non perdeva l’originaria bellezza. Spalle alte, rigide, portamento altezzoso e rassicurante insieme. Uno sguardo superiore, calmo di un verde brillante, come gli alberi in fiore.
Si narrava che parlassero, per ore, fino a che il sole non minacciava di sorgere e mettere fine alla vita della ragazza. Cenere alla cenere.
Lei se ne andava, con la domanda di lui sulle labbra. Torna..?
Lei non era mai mancata, nonostante non rispondesse mai, ed ogni anno quella scena tornava a ripetersi.
Infine, era mancato lui, una notte. Si narrava che un falco si era visto volare alto nel cielo quella stessa notte e che una rosa fosse posata sul parapetto dove era solita sedersi la ragazza.
Un fantasma, un amore mai spento, sussurravano le ragazze sognanti, nel Borgo.
 
Si narrava, in quegli anni, nel Borgo di Altieres, una leggenda che faceva sospirare sognanti la maggior parte delle ragazze.
Narrava di una rosa e di un falco. E il fantasma di un amore mai passato.
 
  
Note:
1:Da U. Foscolo, Dei Sepolcri.
 
Ringraziamenti e angolo scrittrice:
 
Ringrazio Giusi/Alexandria/Jace che mi è sempre accanto e che mi aiuta fare del mio meglio. E che mi spaccia i libri. Ti voglio bene.
Ringrazio Rossella/Belladore/Theresa che mi sprona sempre a scrivere. Voglio bene anche a te, tesoro.
Ringrazio Cristina, che tra chat, telefonate e altro riempie sempre le mie giornate. Donna, sei un disastro, ma ti voglio bene anche per questo.
 
Ora, un piccolo angolo autrice: mi scuso veramente con chi segue la mia fan fiction “Start of Something Good”. So che non aggiorno da molto tempo, per vari motivi, ma prometto di tornare ad aggiornare il prima possibile.
 
Detto ciò, un bacio a tutti.
Fra.
 
   
 
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