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Autore: Morgiana    18/05/2013    3 recensioni
Avete mai letto un libro così bello da desiderare con tutto il cuore di voler vivere in quel mondo? Vi siete mai innamorati di uno dei protagonisti, facendo il tifo per lui in ogni sua avventura? Vi siete mai persi nei vostri pensieri, occupati a immaginare storie alternative che cambiavano un finale deludente o tragico?
E' qualcosa che ogni lettore fa almeno una volta nella sua vita... Ma se tutto ciò accadesse realmente?
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un giorno lessi un libro e tutta la mia vita cambiò. Fin dalle prime pagine ne percepii a tal punto la forza che mi parve quasi che il mio corpo si staccasse dalla sedia e dal tavolo a cui sedevo per allontanarsene. Il locale semivuoto in cui mi trovavo quella mattina era diventato pian piano sempre più sfuocato, indistinto, come una nebbia improvvisa e ogni rumore si era attutito, lasciando spazio al silenzio. Ricordo di aver chiuso gli occhi, strofinandoli con una mano e pensando ad un malore, per poi riaprirli e guardarmi attorno. Non era cambiato nulla. Attraverso le vetrate potevo vedere ancora la neve cadere in piccoli fiocchi compatti, e una schiera di ombrelli colorati sfilare per la strada affollata. Anche il bar era rimasto lo stesso: piccolo, caldo, tranquillo e, soprattutto, quasi vuoto. Dall’altro capo del locale una coppia stava facendo colazione con una tazza fumante di cappuccino e una brioche, guardandosi in continuazione, senza smettere di parlare, mentre un distinto signore vestito in giacca e cravatta leggeva il giornale, tenendo con una mano un cellulare che osservava con preoccupazione. E poi c’ero io, seduta ancora vicino all’entrata, con un libro appoggiato sul tavolino, accanto a una grande tazza di caffè che non avevo ancora finito. 
Per un momento avevo pensato, scioccamente, di essere stata risucchiata dal libro, e che una volta riaperti gli occhi mi sarei ritrovata nel mondo di cui stavo leggendo: alle mie spalle ci sarebbe stata una piccola cascata, che riversava le sue acque in un laghetto poco profondo, popolato da minuscole creature simili a cavallucci marini, mentre tutto intorno a me si sarebbe estesa una fitta foresta di alberi dalle foglie nere-blu. Io sarei stata una dei protagonisti, una ragazza di nome Aria, dai lunghi capelli argentei leggermente ondulati, sempre raccolti in una coda di cavallo scomposta, con grandi occhi azzurri di due tonalità diverse. I miei compagni di viaggio sarebbero stati una giovane maga dai capelli biondi e occhi verdi di nome Morgiana, sempre alla ricerca di nuovi incantesimi, Devon, un ragazzo sempre allegro e dalla battuta pronta e Caran, una piccola scimmietta sputa fuoco dalle enormi orecchie rosse come il sangue. 
Avrei incontrato Morgiana in una città commerciale affacciata sul mare, intenta a cercare un passaggio per una delle tante isole che si stagliavano all’orizzonte: avrei subito notato il grande bastone bianco che portava sulla schiena, bastone che la identificava come Maga, e i suoi vani tentativi di salpare senza conio. L’avrei poi rivista, fuori da una locanda, chiedere una mano ad ogni persona che incrociava, fino a finire nei guai, infastidendo un signorotto locale e la sua scorta. Le avrei salvato la pelle, facendola scomparire alla vista di quei farabutti, e ottenendo come ricompensa una ragazzina petulante che mi chiedeva di portarla con sé, qualsiasi fosse stata la mia meta del mio viaggio. Devon e Caran si sarebbero aggiunti al nostro gruppo quasi un anno dopo, quando, colte da una tempesta improvvisa, ci saremmo rifugiate in una grotta semi nascosta in cerca di un riparo, solo per scoprirla già occupata da un ragazzo: era vestito con dei semplici pantaloni alla turca molto sgualciti, degli stivali di cuoio incrostati di fango, e una casacca di pelle che aveva sicuramente visto giorni migliori, e giaceva addormentato accanto a quel che rimaneva di un fuoco. Al suo fianco ci sarebbe stata una piccola scimmia, di nome Caran, una sorta di fata di fuoco sempre in cerca di cibo. Nonostante la diffidenza iniziale ci saremmo raccolti tutti quanti intorno ad un nuovo fuoco, condividendo notizie dalle diverse parti del continente. Costretto a lasciare quella regione, sommerso di debiti e inseguito da quasi ogni genere di furfante, si sarebbe poi aggregato a noi, con la speranza di trovare qualche tesoro che avrebbe fatto ritornare la sua vita alla normalità. 
La pagina che stavo leggendo descriveva la foresta in cui il gruppo si era inoltrato alla ricerca di antiche ricchezze, spinto da vecchie leggende ben radicate nella cultura dei villaggi vicini. Stavo ancora fantasticando su quella storia quando il cellulare nella mia tasca aveva cominciato squillare, riportandomi alla cruda realtà: il lavoro chiamava. Avevo finito quel che rimaneva del caffè, avevo raccolto la borsa, e avevo pagato il conto, dirigendomi verso l’uscita, con la speranza di poter ritornare al più presto alla lettura. 
Per raggiungere il luogo in cui lavoravo, una clinica veterinaria che condividevo con altri due colleghi, sarei dovuta passare attraverso la grande piazza della città, per poi proseguire per una decina di minuti, fino a raggiungere un quartiere poco distante dal centro. 
Quel giorno la piazza era stranamente più affollata del solito e non era stato difficile scoprirne il motivo: due ragazzi, probabilmente artisti di strada, si stavano esibendo, attirando intorno a sé un folto gruppetto di curiosi. Uno dei due ragazzi, un giovincello allampanato vestito come un giullare, si destreggiava con delle palline colorate, riuscendo a non farle cadere nonostante le sue continue capriole e acrobazie. L’altro, un adolescente coetaneo del giocoliere, intratteneva il pubblico danzando col fuoco: le fiamme lo accarezzavano, senza bruciarlo, mentre giocava con sfere, bastoni e cerchi infuocati, maneggiandoli senza paura. Le fiamme del Mangiafuoco sembravano vive, con il loro continuo cambio di colore, di forma e con la luce che emanavano, chiarore che si rifletteva sul loro padrone, mettendo in risalto i suoi occhi dorati e i suoi capelli dello stesso colore del fuoco. “Mi sembra di averlo già visto” avevo pensato ritornando sui miei passi, tentando di dare un nome a quel volto, per poi dimenticarmene una volta raggiunta la clinica. 
La giornata era proseguita normalmente, senza pazienti straordinari o eventi degni di nota: arrivata l’ora di chiusura, stanca e non proprio profumata, il mio unico obiettivo era tornare a casa al più presto possibile. Giunta a metà strada, tuttavia, ero stata interrotta da una voce alle mie spalle, una voce giovane e disperata, appartenente a una ragazzina sui sedici anni, dal viso lentigginoso e una bionda chioma leonina.
< Ti prego puoi aiutarmi? > aveva cominciato <Mi hanno appena rubato la borsa e non ho né soldi né un cellulare. Non so nemmeno in che zona della città sono!> aveva continuato, sull’orlo delle lacrime. Mettendo da parte la mia stanchezza le avevo dato una mano, prestandole il mio telefono per chiamare a casa e accompagnandola alla stazione di polizia più vicina, costretta ad ascoltare i suoi discorsi infiniti: aveva un carattere allegro, sempre rivolto verso il positivo e aperto alle novità, ma non riusciva a stare un minuto in silenzio. Avevo scoperto che era arrivata in città alla ricerca di un negozio di antiquariato, con la speranza di trovare qualche vecchio manufatto, ma la sorte le aveva fatto trovare chiuso il negozio e l’aveva diretta verso una grande biblioteca nelle vicinanze, dove aveva passato la maggior parte del pomeriggio, fino a quando non era stata derubata. Adorava tutto quello che aveva una connessione con la storia e le leggende, e adorava leggere i racconti del passato. Per tutto il tragitto avevo sentito una strana sensazione, qualcosa che non riuscivo a comprendere, ma che avevo continuato a provare durante l’intera conversazione e anche dopo che l’avevo lasciata: mi sentivo smarrita, confusa, come se avessi dimenticato qualcosa di importante, ed era la stessa cosa che avevo provato quella mattina, davanti al Mangiafuoco. Anche a casa, dopo un bagno ristoratore, quella sensazione continuava a perseguitarmi, e solo una lunga dormita mi aveva permesso di ritornare alla normalità. 
Il giorno seguente, un sabato fresco e soleggiato, sarebbe stato il mio giorno libero, il che significava ventiquattrore di assoluta libertà. Con l’intenzione di cominciare bene la giornata mi ero lavata e vestita, e mi ero diretta verso il solito bar, stranamente occupato da più di quattro persone. Una ragazza era seduta al bancone, con lo zaino appoggiato sulla sedia accanto, gustandosi una cioccolata calda mentre ripassava gli appunti per una verifica imminente. Al tavolo alle sue spalle due vecchiette discutevano allegramente, scambiandosi pettegolezzi e notizie dei loro nipotini. Quella mattina il mio solito posto, un tavolino ben illuminato affacciato sulle vetrate, era occupato: un giovane uomo dai capelli corvini e gli occhi azzurri stava leggendo un libro, reggendosi la testa con una mano, mentre con l’altra sfogliava lentamente le pagine, anche se non sembrava stesse realmente leggendo. Quando mi ero avvicinata, alla ricerca di un altro posto vicino alle finestre, aveva alzato lo sguardo, rivolgendomi un sorriso enigmatico, che poteva essere interpretato in molti modi: poteva essere un gesto di cortesia, o di interesse, o un semplice apprezzamento al libro che tenevo in mano. Rispondendo a mia volta con un piccolo sorriso mi ero seduta qualche posto davanti al suo, chiedendo alla cameriera il mio solito caffè. Facendo finta di nulla avevo cominciato a leggere il libro, riprendendolo dove lo avevo lasciato, ritornando a quelle creaturine nel laghetto e a quella foresta intricata. 
“Ci eravamo accampati in quel luogo con l’idea di rimanerci solo per qualche ora, per riposare e rifornirci di cibo e acqua, ma alla fine avevamo deciso di fermarci più a lungo, usando quella piccola oasi come punto d’appoggio per esplorare la foresta. Quella sera era toccato a me cominciare il turno di guardia, aspettando improbabili pericoli, e per far passare il tempo avevo cominciato ad intagliare nuove frecce per compensare quelle che avevo perso o rovinato. Quelle che avevo terminato avevano un’asta di legno sottile, nera come la corteccia degli alberi attorno a noi, con un impennaggio bianco venato di rosso. Stavo lavorando sulla quarta freccia quando vidi Devon alzarsi dal suo giaciglio e venire nella mia direzione. Dal giorno in cui lo avevamo incontrato, addormentato in una grotta, avevamo avuto il modo di conoscerlo meglio, scoprendo un ragazzo spigliato, intelligente e creativo, ma anche serio e maturo rispetto alla sua età”. 
Dopo aver letto quel paragrafo avevo alzato lo sguardo dal libro, solo per vedere quello sconosciuto fare lo stesso, e prima di poter distogliere gli occhi dai suoi aveva sorriso nuovamente, rivolgendomi la parola. 
<Ottimo scelta> aveva detto indicando il libro tra le mie mani. <Sono d’accordo, continua a sorprendermi a ogni pagina> avevo risposto ripensando a quanto quella storia mi aveva assorbita. <Non voglio dirti nulla, per non rovinarti il finale> <Molto gentile da parte tua> avevo replicato, lasciandomi sfuggire una risata. <E tu cosa stai leggendo?> <Un racconto noioso, troppo reale e con un finale pessimo> aveva sospirato, mostrandomi per la seconda volta quel sorriso dai mille significati. <Preferisco storie che finiscano con personaggi vivi, felici e con tutte le parti del corpo ancora attaccate>. E mentre parlava avevo cominciavo a sentire di nuovo quel senso di confusione e smarrimento che avevo provato il giorno precedente, con il Mangiafuoco e con quella ragazzina. Più guardavo quel ragazzo, e più ci parlavo, più avevo come l’impressione che fosse familiare: il suo modo di parlare, il modo in cui torceva la bocca mentre sorrideva, lo sguardo dei suoi occhi. Ma ero certa di non averlo mai incontrato, e di non conoscere nessuno che potesse essergli simile. Cominciavo a credere di avere qualche strano problema a fare nuove conoscenze. 
<Tutti preferiscono la fantasia alla realtà, ma non possiamo sfuggirle purtroppo> avevo ribattuto, guardando nuovamente i suoi occhi brillare di una luce divertita. <Esiste sempre l’eccezione alla regola> aveva risposto. <Ci sono volte in cui il reale e il fantastico si scambiano di ruolo, o si uniscono, si mescolano, si confondono e tu non puoi più distinguerli >< Fammi un esempio >.A quella richiesta non aveva risposto, ma si era alzato dal tavolo, sedendosi sulla sedia vuota davanti a me. <Conosci già ben più di un esempio> aveva detto alla fine, abbassando lo sguardo sul mio libro, per poi guardarmi nuovamente, aspettando una risposta. <Non credo di aver capito, Mr Enigma> avevo detto, confusa, ricordandomi anche che non ci eravamo neppure presentati. <Ti dirò il mio nome quando risponderai alla domanda> aveva risposto ridendo per la millesima volta. <Dammi almeno un indizio!> <Quello è già un indizio più che sufficiente> aveva replicato, riferendosi nuovamente al libro. <Il libro è un esempio? Ne ho letto solo metà, ma sono abbastanza sicura che non sia l’eccezione di cui parli> < Non è un esempio, è un indizio. Pensa alla quella storia, a quel mondo … a quei personaggi> aveva continuato, appoggiandosi allo schienale della sedia e incrociando le braccia al petto. Credo di esser rimasta in silenzio per qualche minuto, pensando a qualsiasi cosa: che quel ragazzo fosse un pazzo, per esempio. Continuavo a fissare la copertina del libro, pensando alle sue parole, ma non riuscivo a capire quale fosse l’indizio nascosto in esso. <Secondo indizio: reale e irreale non sono più distinti> aveva detto, mettendosi a giocherellare con una piccola moneta che aveva tirato fuori da una tasca dei pantaloni. “La nostra avventura all’interno della foresta era incominciata da meno di un giorno ed eravamo già bloccati. Tra rami e radici intricate, muri di foglie nere e una notte senza luna non ci avevamo messo molto a perderci, decidendo di fermarci fino al mattino. Ognuno di noi stava facendo qualcosa, Morgiana si esercitava con qualche incantesimo, Devon giocava con delle monete, facendole scomparire o cambiare colore, mentre io mettevo a posto quelle poche provviste che avevamo”. All’improvviso avevo pensato a quel passo del libro, e avevo continuato a pensarci, credendo di essere definitivamente diventata matta: sapevo quale era la risposta, per pure assurda, e assecondandola tutto il disagio che avevo provato in quei giorni aveva trovato una spiegazione. “Non essere ridicola, non può essere” ricordo di aver pensato, rifiutandomi di credere a quello che la mia mente aveva elaborato. < Esatto > aveva detto quel ragazzo, allungando la mano destra come per presentarsi < Devon, piacere di conoscerti > <Non prendermi in giro!> avevo replicato, cominciando a percepire la mia sanità mentale andare in pezzi. <Non ti sto imbrogliando! Hai già incontrato Caran e Morgiana?> aveva detto allegramente, guardando fuori dalle vetrate, come nella speranza di vedere qualcuno. <Un Mangiafuoco e una ragazzina tutta lentiggini e capelli che non sa stare in silenzio?> avevo risposto, sentendomi ancora una stupida nel credere in quello che stava ipotizzando: lui, il giocoliere che avevo incontrato in piazza il giorno precedente e la ragazzina derubata erano identici ai protagonisti del libro. Era esattamente il contrario di quello che avevo fantasticato, quando avevo pensato di ritrovarmi in quel mondo e di vivere quelle avventure come una dei protagonisti: loro erano nel mio mondo. Una sorta di “Alice nel Paese delle Meraviglie” al contrario. 
La mia parte razionale si rifiutava ancora di crederci, ma tutti quei piccoli particolari che non avevo notato in precedenza, e che mi avevano lasciato disorientata, ora erano impressi chiaramente nella mia mente: il modo in cui quella ragazzina si era cacciata nei guai, pur di imparare qualcosa; le fiamme del Mangiafuoco, vive e colorate come quelle di Caran; il carattere del ragazzo che avevo davanti, il suo modo di parlare e di muoversi. Ogni pezzo del puzzle nella mia testa si era incastrato alla perfezione, non lasciando spazio alle coincidenze. O quasi. 
<Cosa succederà una volta finito il libro? Sparirete?> avevo chiesto, guardando anche io all’esterno, aspettando di vedere gli altri due ragazzi sbucare da una via.
< Perché dovremmo? > aveva risposto con un tono stranamente confuso, come se fossi stata io a dire qualcosa di assurdo, e lui non fosse appena uscito da un libro. <Siete qui perché ho cominciato a leggere la vostra storia no?> avevo replicato <Una volta che l’avrò finita voi sparirete>. Non aveva risposto, ma si era messo a ridere, facendo girare gli ignari clienti del bar. <Credi veramente che se un libro finisce anche la sua storia finisca con esso?> < Sì… > <Ti rivelerò un segreto> aveva detto, abbassando la voce fino ad un sussurro <Una storia non finisce mai, perché chi legge ha un grande privilegio, quello di poter decidere come farla continuare. Può cambiarla, stravolgerla, decidere le regole del gioco, e se vuole può farla continuare all’infinito> <Non pensavo di avere un potere del genere> avevo risposto, cominciando a pensare di non voler comunque finire quel libro, ma di scriverne uno tutto mio. 
< Sai, stavo cominciando ad innamorami di questo libro, è un peccato che ora non voglia più finirlo > avevo continuato, chiudendo quel piccolo mondo e mettendolo in borsa. 
<Ti rivelerò un secondo segreto> aveva risposto, sempre sussurrando <Di solito il lettore si innamora del libro, ma hai mai pensato che il libro si possa innamorare del lettore?>


[Nda: La prima frase è tratta dal libro "La nuova vita" di O. Pamuk. Per favore, se leggete questo racconto lasciate un commento, che la storia vi sia piaciuta o meno. Pareri oggettivi e critiche sono per me molto importanti, grazie! ]
   
 
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