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Autore: Doila483    18/05/2013    3 recensioni
Alex, una ragazzina di quindici anni, con un sogno, che condivideva col resto del mondo.
Il suo sogno aveva un nome: Justin Bieber. Il suo idolo. Nonostante non l'avesse mai incontrato, mai visto, credeva nel Never Say Never. Sapeva che sarebbe arrivato il suo momento... e non si sbagliava.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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« A domani, Justin! » si sentì dire questi alle spalle.
La voce era chiaramente quella di Dan: il suo amico chitarrista. 
« Ciao, Dan. A domani! » rispose Justin girandosi appena, mentre entrava nella sua stanza.
Aspettò di sentire il rumore della porta che si chiudeva alle spalle e si diresse verso il letto.
In quel momento non pensò a togliersi le scarpe, a cambiarsi o ad andare a lavarsi. Non pensò a niente e si buttò di peso morto sul letto. 
Sfoggiò spontaneamente un sorriso beato ed esalò un sospiro di puro relax.
Beato chi ha inventato il letto!
In quel momento Justin pensò inconsciamente al fatto che volesse semplicemente chiudere gli occhi e non aprirli mai più. No, non vi erano tracce di tristezza in questo pensiero: voleva soltanto farsi una lunga dormita, dimenticarsi dei suoi impegni, e dimenticarsi addirittura di chi fosse e di dove si trovasse.
Chiuse gli occhi e si godette quel momento idilliaco che voleva non avesse alcuna fine. 
Il silenzio lo indusse a riflettere, perché -come ben sappiamo- il silenzio ha lo strano potere di spingerci a pensare. 
E' così: il silenzio e il buio hanno la capacità di farci sentire soli, di farci ripensare a molte cose. Nel corso della giornata siamo presi da una miriade di cose: abbiamo conversazioni di qualunque tipo con chiunque; abbiamo la luce del Sole che illumina ogni cosa; ci sono i rumori della televisione, della radio in macchina, dei clacson in mezzo alla strada, dei lavori in città. Di mattina le strade diventano un via vai di ambulanze, polizia e quant'altro. La mattina si vive, la mattina è piena. Specialmente per Justin, che era pieno di impegni di qualsiasi genere: le prove per il Tour, le interviste, i viaggi, i nuovi pezzi su cui lavorare... 
Justin aveva il mondo sulle sue spalle e ogni giorno doveva sostenerne il peso. 
La notte, invece, era vuota. La notte portava malinconia. La notte, teoricamente, era fatta per staccare la spina fino al sorgere del Sole. Ma praticamente, la notte, era fatta per parlare alla Luna, era fatta per pensare. Mica per niente, si dice che la notte porti consiglio. Un motivo ci sarà.
Ma la notte, forse, era l'unico momento di una giornata-tipo di Justin in cui questo poteva tenere gli occhi chiusi per più di cinque secondi.
L'intento di Justin, in quel momento, era semplicemente di riposarsi. 
Peccato, però, che venne infastidio dal pensiero che si dovesse fare per forza una doccia.
Corrugò le sopracciglia contrariato e sbuffò stizzito. Si alzò a sedere e si rese conto solo in quel momento di cosa stesse stringendo in una mano.
La lettera di Alex.
Si era detto di tenerla in mano così che l'avrebbe senz'altro letta. Durante le prove era stato praticamente impossibile.
In quel momento fu pervaso da una strana e improvvisa emozione. Doveva leggerla, voleva leggerla. Era abituato a ricevere lettere d'ogni tipo, ma -non seppe spiegarsi il perché- in quel momento era davvero curioso di conoscerne il contenuto. 
Spiegò il foglio e puntò gli occhi sulla grafia ordinata di Alex. 
 
"Caro Justin (è così che si inizia una lettera, giusto?),
tu hai la minima idea di cosa si provi a stare chiusi in casa, con la consapevolezza di non essere accettati al di fuori di quelle mura, e passare diverse ore a piangere per qualcuno che sai di non poter raggiungere?
Hai idea di cosa significhi passare interi pomeriggi su un capitolo di storia o di biologia, senza capire niente, perché pensi continuamente a quel qualcuno?
Hai idea di cosa significhi passare giornate in camera, senza mettere il naso fuori di casa, perché impegnati a star male nel letto?
Gli altri mi riterrebbero una persona malata, ma io no.
Sono circa quattro anni che vivo di te, ormai. Quattro anni che non mi sento sola, quattro anni che le mie giornate hanno un senso.
Forse ti farò pena con la mia lettera, ma tanto non ti rivedrò mai più, lo so, dunque non devo preoccuparmi dell'impressione che posso farti. Perché sì, sei il mio idolo, ma domani già ti sarai dimenticato di me, quindi parlo senza problemi. Se ora stai leggendo questa lettera, allora devi sapere.
Sono orfana di padre da otto anni. Mio padre è morto per un tumore al cervello, lasciando me e mia madre -anche se non per sua volontà- in una situazione economica precaria, che mia madre solamente non può aggiustare.
E io per quattro lunghi anni mi sono sentita malissimo. Mi sono sempre sentita sola senza mio padre. Io andavo d'accordo con lui, era un amico. Mi faceva ridere, per me era davvero fantastico. Sai quando un figlio considera il proprio padre un eroe? Ecco, solo che io non lo consideravo tale, per me lui era molto di più, non banalizzavo così tanto la cosa.
Sono stati quattro anni davvero difficili. All'età di sette anni ho visto già mia madre disperarsi per la morte di mio padre e per la sua incapacità nel mandare avanti quello che era rimasto della famiglia. Lei si crede incapace per ogni cosa, ma la verità è che è fantastica, mi è sempre stata accanto e ha sempre voluto il meglio per me. Non può darmi granché, non posso avere la paghetta, non può farmi regali, ma è fantastica così com'è, mi dà tanto amore, e questa è la cosa più bella per me. Se la conoscessi ti piacerebbe.
Sono stata per otto anni senza fare niente che potesse aiutare entrambe, ma da pochi giorni lavoro anch'io, presso un bar vicino casa mia, si chiama 'Cafe Americano'. Era un po' che cercavo un lavoro e finalmente l'ho trovato. Sai, con i soldi che guadagnerò, verrò a vederti sempre. Mia madre me l'ha promesso: i soldi che avrò, li useremo solamente per te (almeno così dice lei, io voglio anche aiutarla nelle faccende economiche).
Te ne parlo perché so che tu, come me, hai avuto -e hai ancora- un idolo, al quale tieni molto. Te ne parlo perché so che tu, come me, hai vissuto una situazione familiare difficile.
Perché sei un ragazzo canadese che è cresciuto con disagi familiari, economici, e andavi avanti cantando sugli scalini di un teatro con la tua chitarra, chiedendo soldi per le tue già incredibili, seppur povere, 'performance'. Ciò ti ha arricchito più di qualunque altra cosa, e mi hai trasmesso tutto, neanch'io so come.
Ecco, Justin, specialmente per questo sei il mio idolo: perché mi insegni cose che nessuna scuola saprà mai insegnarmi, neanche la più importante, famosa, colta scuola del mondo.
Sei un esempio per i giovani, un modello da seguire. 
Io sono davvero fiera di chiamarti 'idolo'. Sei una persona dal cuore d'oro. E magari tu starai pensando 'Non mi conosci, che ne sai di come sono fatto?' e hai ragione, io non ti conosco, ma anche solo con una foto, riesco a vedere nei tuoi occhi la bontà che è in te. L'ho vista anche oggi.
Avrai i tuoi difetti, sei umano, è normale, e come tutti puoi commettere degli sbagli, e io mi aspetto che tu ne faccia e che possa solamente imparare da essi. Ma io ti adoro così come sei, ti adoro così come ti fai vedere, così come io riesco a vederti.
Se sto scrivendo questa lettera è perché voglio che tu sappia che io sono fiera di te, per ogni singola cosa. Sei il mio unico orgoglio, mi fai sempre sorridere. E da quattro anni non mi sento più sola grazie a te, alla tua voce, alla tua musica, alla tua persona. Io ti ringrazio veramente di cuore. 
Non m'importa, in questo momento, di quante volte tu abbia sentito o letto certe parole. M'importa che tu lo sappia, che tu mi stia ascoltando.
Io c'ho sempre creduto in questi anni, non ho mai mollato, e se adesso hai la mia lettera, vuol dire che il Never Say Never esiste davvero, e vale per tutti, me compresa.
Grazie per tutto quello che mi hai dato e che -lo so- continuerai a darmi. Grazie per essere stato così disponibile con me, grazie per essere disponibile con tutti, anche quando non sei del giusto umore, anche quando sei a pezzi. Grazie perché ti fai in quattro per tutti noi, nessuno escluso. Grazie perché ci dai la forza e ci fai sorridere anche quando neanche sei in grado di aiutare te stesso. Grazie, sei.. singolare.
Tu mi completi. La mia vita sarebbe terribilmente vuota senza te, lo giuro. 
..E sai cosa? Mi rendo conto di quanto essa, seppur povera, sia bella. Mi mancano molte cose, cose che i miei coetanei hanno e io no, ma per me è completa anche così, mi basta sentire la tua presenza ogni giorno per stare bene con me stessa. Ma ti rendi conto del perché sono così legata a te? Sei una persona che scoppia di importanza, davvero, e il fatto che io non abbia qualcuno al mio fianco, mi spinge ancora di più a dipendere dalla tua musica. Tu mi aiuti, tu non mi fai sentire sola, e sei l'unico che ci riesce.
Tu mi salvi, Justin. Sei l'unica cosa alla quale io possa aggrapparmi.
Forse sto esagerando, per te. Ma non importa. Come ho già detto, domani ti sarai già dimenticato di me.
Io volevo solo cogliere l'occasione e dirti tutto.
Se hai letto questa lettera, ci sono riuscita. Ho aspettato quattro lunghi anni ricchi di qualsiasi tipo di emozione, dall'emozione più brutta a quella più bella, e ne è valsa la pena. 
Grazie per avermi dedicato il tuo tempo. E' anche per questo che ti amo.
Grazie e.. grazie.
Se non è troppo, fammi un piccolo regalo: sorridi.
Magari se l'hai fatto non lo saprò mai, ma m'importa che tu sappia che anche solo sorridendo tu mi fai un regalo.
Sorridi, sorridi sempre. Ci sono io con te, come tu sei con me, sempre.
Ciao Kidrauhl. 
A presto... spero."
 
Justin lesse fino all'ultimo rigo quasi fosse in trance. Era rimasto piacevolmente sorpreso da tutto quello. 
Dio, se è vero: di lettere ne riceveva un'infinità ogni giorno, eppure quella lettera lo aveva toccato. Forse perché lui poteva davvero capirla, forse perché lui c'era passato e condividevano una grande sofferenza. Forse perché Alex era davvero così fragile come sembrava. Forse perché Alex era completamente dedicata a lui. Non che fosse la prima e l'unica, anzi, ma ognuno -si sa- ha il proprio modo di percepire e manifestare le cose. Lei sorbiva tutto come fosse una spugna e il mondo fosse l'acqua.
Justin si sentì ancora una volta incredibilmente importante. 
Era arrivato alla fine del foglio e si rese conto che stava sorridendo teneramente e seriamente colpito. Gli ci erano voluti alcuni secondi per tornare alla realtà e rendersi conto che sul suo viso allogiava un bel sorriso, quello che Alex voleva. Alla fine le aveva seriamente fatto un regalo. 
Quella ragazza l'aveva fatto sorridere.
A quel pensiero Justin sorrise ancora. Era davvero contento di averle regalato quei biglietti, se li meritava davvero. Una cosa più giusta, forse, non poteva proprio farla.
I suoi fan erano incredibili, provavano davvero un incommensurabile senso di gratutidine. 
Ma.. lui era davvero così.. fantastico, come tutti lo dipingevano? Era davvero così magica la sua voce? Aveva davvero quel potere su ognuno di loro? Come ci riuscisse, neanche lui lo sapeva!
Lui si guardava allo specchio e vedeva.. cosa vedeva? Se stesso. 
Vedeva un ragazzo come un altro. Non vedeva un dio, non vedeva un angelo, come dicevano i suoi fan. Vedeva un semplice ragazzo canadese, solo che era conosciuto.
Agli occhi delle Beliebers era lui che si sottovalutava, che era troppo modesto. Agli occhi di Justin erano gli altri a sopravvalutarlo.
Quindi.. cosa credere? Che Justin fosse fantastico come l'intero mondo lo dipingeva.. o un ordinario ragazzo canadese come lui si vedeva?
Lui optava per la seconda, ma, detto fra noi, era entrambe le cose. 
Justin era semplicemente un ragazzo con un dono: il dono di saper dare voce ai pensieri della gente, dei giovani. Il dono di trasmettere messaggi di fratellanza e amore, come ha fatto Michael Jackson per quattro decenni -e non a caso Michael Jackson era ritenuto l'uomo più dolce del mondo, passato alla storia per la sua bontà e le sue opere di bene, oltre che per la sua musica-.
Justin aveva un cuore, non era un robot. Justin era un ragazzo a cui piaceva la pizza, a cui piaceva il calcio, a cui piaceva il bowling, a cui sarebbe piaciuto frequentare una ragazza, uscire con lei tenendola per mano, vedersi con gli amici, riunirsi con la famiglia il giorno di Natale e aprire i regali. 
E quale ragazzo d'oro e semplice, sapeva dare cose che, evidentemente, nessun altro era in grado di dare. Aveva semplicemente un dono, ed era famoso in tutto il mondo per questo.
Doveva cominciare a farsene davvero una ragione. Doveva cominciare davvero a farci l'abitudine e a crederci: lui era qualcuno, lo era per tutti.
L'indomani avrebbe guardato Alex con occhi diversi, lo sapeva. Adesso conosceva la sua storia. 
Sapeva che lei non si era dilungata troppo e non si era persa nei dettagli perché credeva potesse fargli pena, e perché voleva lasciare spazio a cose ben più importanti -secondo lei- come i suoi sentimenti nei confronti di Justin. L'aveva capito, e quello che gli aveva raccontato gli era bastato per capire quale tipo di vita le fosse capitato. 
L'indomani l'avrebbe abbracciata forte.
L'indomani le avrebbe trasmesso il suo calore, il suo affetto.
L'indomani avrebbe riempito nuovamente la sua giornata, le avrebbe dato ancora un senso.
Sorrise e scosse la testa, realizzando quanto fosse fortunato ad avere fan così.
 
 
*
 
 
“Guardami negli occhi e vedrai cosa significhi per me.”
 
Quella mattina Alex si era svegliata con quella frase in testa, che mai più l'aveva abbandonata quel giorno.
Bryan Adams era davvero bravo a colpirti dritto al cuore con le sue canzoni. E quella mattina Alex si sentiva morire. Forse per chiunque altro non avrebbe avuto motivo per sentirsi in quel determinato modo, ma quella frase le dava i brividi.
Se Justin aveva letto la lettera, allora negli occhi di Alex poteva trovare solo la conferma a tutte quelle parole.
Se Justin aveva davvero letto ogni cosa, se Justin davvero si era fermato a dedicare del tempo ad Alex, allora non poteva che vederci un mondo negli occhi di Alex.
Continuava a pensare a quella frase, che diavolo.
 
“Guardami negli occhi e vedrai cosa significhi per me.”
 
'Dannazione, Justin, guardami negli occhi, ti prego. Non vedi quanto ti amo?' pensava Alex.
 
“Non dirmi che non vale la pena lottare per questo.
Non posso evitarlo, non c'è niente che io voglia di più.
Lo sai che è vero: ogni cosa che faccio, la faccio per te.”
 
Era vero, era incredibilmente vero! Alex sorrideva per Justin, perché lui diceva sempre 'Quando tu sorridi, io sorrido'. Alex credeva nei suoi sogni per Justin, perché il cognome stesso di Justin stava a significare 'Credi in tutto perché tutto è raggiungibile'. Alex respirava per Justin, perché il minimo che lei potesse fare per lui era dedicargli i suoi respiri. Lei gli dedicava la sua vita.
Ogni singola cosa che faceva era profondamente legata a Justin. Il lavoro, i bei voti a scuola.. tutto. Ed era vero: non lo poteva evitare. Mai avrebbe voluto rinunciare a tutto quello, ma sapeva che anche se avesse voluto provarci non ci sarebbe riuscita.
E sapeva che valeva la pena lottare per lui. L'aveva fatto per quattro anni, e si era ritrovata in quella situazione. L'aveva incontrato due volte -con quella sarebbero state tre!-, l'aveva abbracciato, lui le aveva regalato i biglietti per un concerto del Believe Tour a Los Angeles. Ma chi l'avrebbe mai detto?
Valeva la pena lottare per Justin, decisamente.
Bryan Adams deve aver scritto questa canzone apposta per Alex, evidentemente!
« Alex! Sei pronta? » si sentì chiamare questa da lontano. In quel momento si stava specchiando nel bagno, e Mila era in cucina ad aspettarla, insieme a Sonny.
« Sì arrivo! » urlò lei in risposta.
Ed ecco che l'impulso di gridare si fece vivo in Alex. Stava per andare da Justin, di nuovo.
Era tutto troppo strano. L'aveva sognato per quattro anni e ora, da tre giorni, era lì che faceva avanti e indietro per Justin, per vederlo anche solo per un minuto, abbracciarlo e guardarlo negli occhi. Arrivava lì con l'ansia alle stelle e tornava a casa col cuore a pezzi. Contenta come non mai, certo, ma il vuoto chi glielo colmava? Justin le lasciava un senso di vuoto appena girava i tacchi e se ne andava.
Forse era un pensiero egoista, ma voleva che Justin non facesse quelle dannate prove e restasse con lei per parlare. O anche solo per stare zitti: lei voleva semplicemente godere della presenza di lui. Lo desiderava così tanto. Perché era impossibile, perché?
Alex spense la luce nel bagno e si diresse in cucina, con il corpo che tremava visibilmente, il cervello in tilt.
« Andiamo? » disse. 
Quella mattina aveva una canottiera bianca e degli shorts di normale stoffa di jeans e delle scarpe bianche -almeno per così dire-, dove aveva scritto qualcosa -certo, perché un paio di scarpe imbrattate non bastavano!-: 
 
Believe In Everything Because Everything's Reachable” 
 
Già, tutto era raggiungibile.
« Andiamo! » rispose Mila, alzandosi dalla sedia insieme a Sonny.
Alex sentì il suo cuore batterle furiosamente nel petto. Ci voleva un miracolo perché rallentasse!
Si mise una mano in fronte socchiudendo gli occhi e cercò di regolare il respiro. Doveva darsi una calmata. Il giorno prima era andata alla grande!
Sentì la porta di casa aprirsi e, prendendo la mano di Sonny, si avviò alla macchina. Mila chiuse la porta a chiave e raggiunse le ragazze.
Che avventura era quella. Mila non aveva mai mostrato indifferenza in quei tre giorni, aveva adorato ogni singolo momento, aveva accettato ogni sfida. L'aveva fatto per sua figlia. Non poteva darle granché, anzi. E se il suo contributo nel farla sorridere consisteva in quello, al diavolo tutto, l'avrebbe fatto senza pensarci due volte. Ma se fosse stato per lei avrebbe sempre fatto di tutto per Alex. L'ostacolo, però, era sempre stato uno solo: i soldi. Quei fottuti soldi che servono a tutto, e senza i quali non puoi andare avanti. Ormai tutto è legato ai soldi: per salvaguardare la tua salute devi pagare; per studiare devi pagare; per mangiare devi pagare; per avere un tetto sopra la testa devi pagare. C'era qualcosa di gratuito in quel mondo? Forse era un miracolo che non ci fosse una tassa sui respiri.
Mila chiuse lo sportello della macchina e accese il motore.
...O almeno ci provò.
Tentò più volte, ma con scarsissimi risultati che non sapeva spiegarsi.
Inizialmente Alex non ci diede tanto peso, stava sgrovigliando gli auricolari da condividere insieme a Sonny, ma quando Mila perse un battito temendo il peggio, Alex sembrò quasi avvertire la sua preoccupazione.
« ..Mamma? » 
Mila tentò un'altra volta, forse era la terza, o forse la quarta -non c'aveva fatto caso-, senza darsi per vinta. La macchina sembrava stesse per partire ma si bloccava sempre, e Mila riprovava, girando la chiave. 
« Andiamo.. andiamo! » disse Mila, tra un tentativo e l'altro, senza lasciar trasparire la preoccupazione nella sua voce.
Alex sentì i battiti del suo cuore che acclerevano spaventosamente. Che cazzo stava succedendo? Non poteva essere, non a lei, non ora che era il suo momento.
« Mamma, che c'è? » chiese Alex, questa volta allarmata. Sentiva perfettamente il rimbombo, nelle orecchie, del suo cuore che impazziva.
« La.. la macchina non parte » rispose Mila, sperando di sbagliarsi, sperando di riuscire a risolvere tutto, sperando si trattasse di una cosa del momento, e che presto -prestissimo- la macchina sarebbe partita.
Ma quelle erano proprio le parole che Alex non voleva sentirsi dire. Era palese che la macchina non partisse, ma sentirselo dire era un vero e proprio coltello in pieno petto. 
Aveva la bocca schiusa e guardava la mano di sua madre che impugnava un mazzetto di chiavi che scattava in avanti senza dare risultati, senza far partire la macchina.
Lei non lo vedeva, ma Sonny, al suo fianco, aveva la sua stessa espressione e provava la stessa paura di Alex. Sonny stava semplicemente pensando "No, non questo, non ad Alex" e, cosa davvero buffa, era lo stesso pensiero di Mila, che stava ormai perdendo la pazienza. 
Non le sembrava vero, e non poteva esserlo. Poteva essere tutto, fuorché reale. Un sogno -un incubo-, un qualcosa di immaginario che stava durando più del dovuto.
Cazzo, ma certe cose non esistevano solo nei film? O se davvero facevano parte della vita reale, non accadevano in situazioni ben più normali, di comune quotidianità? 
Perché doveva accadere proprio ad Alex, quando era arrivata sul più bello, al punto di realizzare il suo sogno? Perché doveva accadere proprio quando lei si era finalmente convinta che i sogni diventano realtà? Perché? Perché doveva accadere a una ragazza che dalla vita aveva avuto ben poche cose? ..Che aveva sofferto per anni? ..Che era sempre stata a guardare? Non aveva senso, e pregarono tutte e tre, disperatamente, che non fosse vero, o che perlomeno si aggiustasse tutto.
Un altro tentativo.
...Niente.
Mila aveva la mano sinistra sul volante, la destra che impugnava le chiavi. Chinò di poco il capo, sentendosi tremendamente in colpa.
« Alex.. » disse piano « Mi dispiace.. »
In quel momento Alex chiuse lentamente gli occhi, cercando di controllarsi e di non scoppiare a piangere, cercando di autoconvincersi che potevano riprovare e che magari la macchina sarebbe partita. 
Ma sapeva che non sarebbe andata così. 
I suoi occhi si inumidirono velocemente, non aveva avuto neanche modo di realizzare il tutto, il corpo reagiva già.
 
'Perché a me?' pensò Alex disperatamente.
 
Sonny si girò meccanicamente verso Alex, avendo paura persino di dire 'A'. Non voleva che Alex esplodesse, sapeva che in quel momento le ci voleva davvero poco per sbroccare. E sapeva anche che, se mai Alex le avesse dato addosso, non era Sonny il motivo della sua rabbia, ma quel tanto fottuto e nominato destino che l'aveva previta del suo attesissimo Never Say Never.
Vaffanculo il mondo.
Alex aprì lo sportello accanto a sé e scese.
 
Perché, perché?
 
Mise le mani tra i capelli, aveva il cuore a mille e le lacrime che già premevano per uscire. Stava tremando, non poteva vedere Justin. Ma per quale fottuto motivo? Non le sembrò di meritarlo.
Guardò un attimo in cielo e si avvicinò al finestrino della madre, che non si stava ancora arrendendo del tutto, e lanciò anche un'occhiata a Sonny, supplicando entrambe.
« E se andassimo a piedi? » propose disperatamente. Le tramava la voce, era chiaramente agitata.
Mila storse un po' la bocca, non tanto propensa.
« Alex.. non credo sia possibile.. » cominciò la madre « E' lontano da qui e non arriveremmo in tempo.. inoltre ci stancheremmo. »
« Non è lontano, mamma, ti prego, ce la possiamo fare! Alziamo il passo! Per favore! »
« Alex.. Sai che voglio aiutarti, voglio accompagnarti a vedere Justin, ma sai anche che non ce la faremmo. E' impossibile, non possiamo farci tutta quella strada a piedi. Ragiona un attimo. »
Alex si stava disperando. No no, non poteva andare così. Justin sarebbe andato via quel giorno, doveva vederlo ancora, doveva vederlo un'ultima volta e salutarlo.
« Mamma, tu non capisci. Io devo vederlo. Devo sapere se ha letto la mia lettera, devo ringraziarlo per i biglietti, devo chiedergli perché proprio io, devo salutarlo, devo- devo.. »
« Alex! » la chiamò Mila « Non agitarti, per favore. Mi dispiace molto, davvero, sai che mi dispiace, ma non possiamo fare niente. E' lontano e.. »
« Mamma- »
« Lo vedrai direttamente al concerto, d'accordo? »
Alex non poteva crederci. Se fosse stato un cartone animato la sua bocca si sarebbe spalancata così tanto da toccare terra.
« No! No, non sono d'accordo! Tu mi hai vista piangere per quattro anni! E anche tu, Sonny! » disse rivolgendosi alla sua migliore amica, che era ancora in macchina e osservava la scena in silenzio. « Mi avete vista disperarmi, sono sempre stata male, non ho mai avuto la mia occasione, non l'ho mai visto! E ora non posso non vederlo solo perché questa stupida macchina non parte! Non ci sto! »
Aveva il cuore a mille, voleva urlare fino a graffiarsi la gola, sfondare qualsiasi cosa. Ma più di tutto, voleva prendere a calci quel rottame.
E Mila si sentiva terribilmente in colpa: quella "stupida macchina" non partiva, sentiva di averne la colpa, lei non aveva soldi per aggiustarla o per comprarne una nuova. Lei non riusciva a farla partire, lei non sapeva aggiustarla, lei non sapeva cosa fare. 
Sospirò.
« Alex, ti capirei come tu desideri qualora tu non avessi mai e dico mai visto Justin. Ti capirei se questo fosse il tuo primo incontro, il primo giorno, e andasse tutto male. Allora ti capirei. Ma per quanto questo possa infastidirti e farti del male, l'hai già incontrato due volte. Io capisco che stai male, sto male anch'io, credimi, non voglio questo per te. Volerei e ti porterei con me, se potessi farlo. Ma non devi reagire così, consolati col pensiero che l'hai già incontrato e lui ti ha regalato i biglietti del suo concerto. Lo andrai a vedere, lo sentirai cantare. Non è mica poco, o sbaglio? »
Il viso di Alex si contrasse in una smorfia da 'nonpuòsuccedereproprioame'.
Era davvero sua madre a parlare? Lei non lo credeva possibile. Mila le aveva sempre detto che l'avrebbe accompagnata da lui, perché non meritava di star male e voleva fare la sua felicità. E Sonny diceva sempre di crederci e di lottare. Come potevano, adesso, parlare in quel modo? Come potevano mollare e pensare che Alex facesse altrettanto? Non esisteva nel modo più assoluto.
« Tu non capisci. » insistette Alex. Era vero, sua madre non capiva. Voleva farla contenta, okay, ma non l'aveva mai capita veramente e questo Alex l'aveva sempre saputo. « Okay. Va bene. Non importa. » 
Spezzettò quella frase con tanta rabbia e, senza degnare Mila e Sonny di uno sguardo, girò i tacchi ed entrò furiosamente in casa. 
Non voleva reagire così, non voleva far pesare niente a sua madre, non voleva comportarsi da bambina; non si trattava di un capriccio, e lei non era viziata. Poteva essere tutto fuorché viziata: lei non aveva avuto un cazzo dalla vita.
Non voleva mostrarsi ingrata nei confronti di Mila e Sonny, ma cosa ben più imprtante: non voleva starsene lì con le mani in mano, doveva fare qualcosa, con o senza l'aiuto di qualcuno.
 
'Io lo devo vedere.' continuava a pensare. 
 
Aveva gli occhi lucidi e un peso enorme sul suo cuore. Voleva strapparsi i capelli dalla rabbia, voleva tirare calci e urlare. Non aveva mai reagito -o creduto di poter reagire- in quel modo, ma in quel momento era tutto spontaneo. Aveva davvero un incredibile senso di ingratutidine verso la vita. 
Okay, aveva abbracciato Justin due volte, ed era stato a dir poco perfetto, non credeva di meritarsi tanta fortuna -anche se, detto fra noi, la meritava eccome-. Ma non credeva neanche di meritare una simile fregatura. Perché non vivere il sogno fino alla fine? Ormai c'era dentro, perché non doveva incontrarlo? Lei doveva sapere, doveva parlargli, doveva abbracciarlo. Doveva semplicemente guardarlo, stare davanti a lui, stare accanto a lui.
Il senso di colpa la invase lentamente: aveva fatto star male sua mamma senza alcun'ombra di dubbio, e non aveva rivolto la parola a Sonny, se non per arrabbiarsi.
Lo riconosceva, aveva esagerato, ma cavolo aveva tutte le ragioni del mondo per esagerare.
In quel momento sentì la porta d'ingresso chiudersi.
« Alex? » sentì chiamarsi questa da sua madre, che si dirigeva nella sua stanza.
« Cosa? » rispose semplicemente. Non voleva sentire cose tipo 'Non starci male', altrimenti non sapeva come avrebbe reagito.
Mila entrò nella sua stanza lentamente, come se qualche movimento brusco avesse potuto far esplore Alex.
Si sedette sul suo letto: « Mi dispiace.. »
« Non importa. Dalla vita, dalla mia vita, non devo aspettarmi niente. » rispose acidamente Alex. E si pentì anche di avere usato quel tono, lei non era solita rispondere così. Non era mai successo.
« Giuro che se potessi fare qualcosa la farei. » disse mestamente la madre.
Alex le stava dando le spalle, guardava fuori dalla finestra. Vedeva Sonny che se ne stava andando, era arrivata alla fine della strada.
« Lo so. » rispose lei. 
In realtà stava pensando "Non è vero, avresti potuto accompagnarmi anche senza macchina", ma non voleva farla stare male, non aveva il diritto per risponderle in quel modo. Sua madre le voleva bene, aveva sempre fatto di tutto per lei. Non meritava un simile trattamento.
« Però.. per favore.. non stare così.. »
Alex chiuse gli occhi e sospirò.
« Mi passerà. » rispose « Posso stare un po' da sola? »
Alex non poté vederla, ma Mila chinò leggermente il capo, ferita da quella visione: sua figlia stava male, ancora. Quella doveva essere una giornata perfetta, e invece..
« Va bene » rispose Mila alzandosi dal letto e dirigendosi verso la porta. 
In quell'istante Alex venne colpita da una strana e spaventosa idea. 
Voleva andarci si o no? Sì. E allora ci sarebbe andata.
Non era sicura al 100% di ciò che aveva pensato, aveva paura. Ma le paure andavano affrontate, giusto?
« Mamma » la chiamò. Mila si girò e la guardò. « Preferirei stare sola per tutto il giorno. Non.. non mi chiamare, e non prepararmi niente da mangiare, non mangerei niente. »
Mila stava per risponderle, ma dopo aver riflettuto per pochi istanti sulla 'richiesta' di Alex si trovò ad annuire. L'aveva già vista in quelle condizioni, e non aveva mai potuto fare niente. C'aveva sempre provato, con scarsi risultati.
« Come vuoi, tesoro.. »
Alex la vide chinare leggermente il capo e uscire dalla stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
 
..Non poteva restare tra quelle quattro mura, che -per quanto potessero darle calore e protezione, specialmente con i poster di Justin- la soffocavano.
Non poteva restare in camera sua e guardare delle foto di Justin, sentirsi guardata da un poster. Lei doveva guardare Justin, non una foto. Doveva farsi guardare da quegli occhi color miele, lo stesso dei capelli, non da un poster.
Doveva andare.
Si morse l'interno della guancia, sentendosi invadere da un 5% di indecisione. Che fare? Non pensare a niente e lasciarsi andare per la propria felicità, o rispettare le regole e morire dentro? 
Quella era proprio una di quelle situazioni del cazzo, dove non si sapeva bene da che parte stare: quella della pazzia o quella della normalità.
Quello che voleva fare Alex non era propriamente normale, ma era tentata. Aveva paura, ma le paure si affrontavano. Doveva farlo. Dentro di sé aveva una gran carica, sentiva di voler fare qualcosa che -per una volta- non rientrava nei progetti da brava ragazza.
...Fanculo!
 
'Scusa, mamma.' pensò Alex sentendosi male.
 
Aprì la finestra della sua camera e, senza far rumore, cercò di sgattaiolare fuori di casa. Diede un'ultima occhiata alla stanza, si morse le labbra, e socchiuse la finestra, ormai fuori di casa.
Sentiva che sarebbe arrivata troppo tardi, ma almeno sarebbe arrivata.
Non sapeva come avrebbe fatto a incontrare Justin, ma ci sarebbe riuscita, ne era sicura. A costo di aspettarlo tutto il giorno. Sperando che la madre non si accorgesse della sua assenza.
Si mise la strada sotto i piedi e andò il più veloce possibile. 
Non stava facendo proprio una pazzia, tutto quello aveva una spiegazione, e la spiegazione aveva pure un nome: 
Justin Bieber.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
CIAO RAGAZZE :)
PURTROPPO NON E' GRANCHE' QUESTO CAPITOLO, MA PENSO CHE IL PROSSIMO VI PIACERA', SE DECIDETE DI RESTARE E DI VEDERE COME CONTINUA LA STORIA.
SE NON E' TROPPO, POTETE RECENSIRE LA STORIA? A VOI COMUNQUE NON COSTA NIENTE, ANZI, SE RECENSITE IL SITO VI DA' PURE DEI PUNTI A SECONDA DI QUANTO SCRIVETE, ECCETERA. E A ME CONVIENE SAPERE QUELLO CHE LA STORIA VI TRASMETTE, PERCHE' SE NON VI PIACE NON SO SE HA SENSO CONTINUARLA :) DITEMI QUALSIASI COSA, DAVVERO, PURE CHE FA SCHIFO. NON MI OFFENDO NE' NIENTE, MA HO BISOGNO DI SAPERE SE QUESTA STORIA TRASMETTE QUALCOSA, BELLA O BRUTTA CHE SIA.
 
PER FAVORE MI FATE SAPERE? SPERO DI SI.
UN BACIONE A TUTTE :)
  
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