Enigmi
irrisolti
Perenelle
non si mise a spiare dalla finestra solo perché l’idea di
sembrare una di quelle pettegole che scostano appena le tendine per
osservare,
arcigne, i passanti, dall’alto della loro perfezione, non la ispirava
particolarmente.
E poi
Nicholas si meritava un po’ di fiducia.
O almeno così spero…
Perenelle
aveva conservato nei secoli quell’indole fondamentalmente
diffidente che un tempo aveva avuto in comune con le donne della sua
epoca.
Quando
aveva conosciuto Nicholas si era aperta al mondo, e il mondo si
era aperto a lei. Come avrebbe potuto essere altrimenti? Suo marito era
un uomo
ben poco ancorato alle tradizioni, alle consuetudini. Le aveva mostrato
meraviglie, anche se era più vecchia di lui e anche se era una donna.
Perenelle
non rimase a lungo immersa in questi pensieri.
Sapeva
di doversi fidare di Nicholas, sapeva che chi li cercava era
solo un ragazzo umano, sapeva che ai loro nemici non sarebbe mai
passato per la
testa di adottare certi mezzi.
Eppure
non poteva fare a meno di sentire una sottile vocetta nella sua
testa che continuava ad affermare che fosse tutto opera di Dee.
Perché
Perenelle sapeva anche che Nicholas non avrebbe mai lasciato una
persona in difficoltà, soprattutto se aveva il dubbio che fosse a causa
sua.
E lo
sapeva anche Dee.
La
donna mantenne la mente lucida e la schiena dritta, nonostante le
fitte di ansia che continuavano ad assalirla.
Chiuse
gli occhi per un secondo.
Un
secondo in cui, come molte altre volte gli era capitato di fare, si
impose la calma.
Era
perfettamente cosciente della sua potenza. Se ci fossero stati dei
pericoli, lei sarebbe stata attenta a svelarli prima che fosse troppo
tardi, e
poi li avrebbe eliminati.
Sarebbero
scappati in un altro stato. Come sempre, tutto alla
normalità.
Perenelle
si riscosse, distogliendo lo sguardo dalle sue scarpe e
puntandolo sulla porta. Sentì il rumore della chiave che girava nella
serratura, all’esterno.
Nicholas
ed il suo sorriso furono i primi ad entrare, seguiti da un
ragazzo dai capelli e dagli occhi castano scuro e dai tratti pallidi e
affilati.
La
Fattucchiera si sforzò di sorridere e di essere gentile, imponendo a
se stessa di ignorare il modo in cui l’ospite squadrava il loro
appartamento.
Che
cosa si aspettava di veder spuntare dal forno a microonde?
La
donna salutò cortesemente, invitandolo a sedersi e offrendogli del
caffè. Anche se il ragazzo le sembrava abbastanza agitato anche senza
caffeina.
«
Bene, allora. » cominciò Nicholas quando il ragazzo ebbe preso posto
in salotto, su una poltrona color vinaccia.
« Io
sono Stephan Donovan, e lei è mia moglie Amanda. Tu come ti
chiami? »
*
«
Richard » il giornalista si bloccò di colpo, ma la breve pausa che si
concesse risultò quasi impercettibile.
Quasi.
«
Vailand. »
Stephan
gli strinse la mano.
«
Piacere. Ma veniamo a noi. » disse, battendosi i palmi delle mani sui
jeans.
« Mi
pare di capire che hai fretta. »
Sorrise.
Richard si sentiva rassicurato dal contegno incoraggiante
dell’uomo, ma proprio per questo non riusciva a fidarsi. Per quanto ne
sapeva
poteva anche non sapere niente di Nicholas Flamel, oppure poteva essere
un
amico di John Dee, la persona da cui stava scappando.
« Che
cosa vuoi sapere di Nicholas Flamel? » domandò Stephan, e Richard
non poté fare a meno di notare che lo sguardo di Amanda si era fatto
più
attento.
«
Cosa c’è da sapere? » chiese di rimando.
L’uomo
inclinò leggermente la testa verso destra, con un’ espressione
divisa tra innocenza e impassibilità.
«
Devo dedurre che non sai niente? »
Richard
si irrigidì, allarmato. Non sarebbe dovuto essere lui a fare le
domande?
Più
restava in quella casa e più aveva la sensazione di trovarsi su un
altro pianeta.
Come
aveva potuto pensare che bastasse chiedere in giro per trovare una
persona che, per ovvi e validi motivi, probabilmente non voleva essere
trovata?
E
come mai invece aveva funzionato?
« è
interessato anche lei, vedo. » rispose, diffidente.
Donovan
sospirò, accavallando le gambe con apparente disinvoltura.
«
Nicholas Flamel è una persona… bizzarra. Non ama che si parli di lui,
ma » fece una pausa, accarezzandosi il mento e puntando lo sguardo su
uno
spazio indefinito sopra la testa di Richard.
«
Quando qualcuno lo cerca ha un motivo ben preciso. E di solito non è
amichevole. »
Richard
percepì l’accusa velata nella voce e negli occhi dell’uomo, ma
rimase in silenzio. Non sapeva cosa rispondere.
Se
avesse detto che già lo sapeva avrebbe perso quel piccolissimo
margine di vantaggio che intendeva riservarsi per un secondo momento.
Non
poteva nemmeno dire di volerlo trovare per una visita di cortesia,
visto che aveva girato mezza città con l’espressione sconvolta di un
animale in
trappola.
Si
maledisse un centinaio di volte. Se solo fosse stato più cauto, se
avesse pensato prima di agire…
Il
silenzio cominciava a farsi pesante.
Richard
si schiarì la gola.
«
Anche io ho un motivo ben preciso. E non è piacevole, però… non gli
procurerà
danni. Almeno credo. »
« Ti
tieni molto sul vago. »
Richard
lo fulminò con un’occhiataccia.
« Lei
sa che genere di… problemi ha Nicholas Flamel? »
Se
Stephan Donovan rimase sorpreso dalla sua domanda, fu bravo a
dissimulare in fretta il suo stato d’animo. Ma la breve pausa che seguì
suggerì
a Richard di averlo colto alla sprovvista.
«
Vagamente. » rispose l’uomo, lo sguardo ora più severo. Amanda si
mosse nervosa alla sua destra.
Richard
non si scompose, deciso ad assumere anche un atteggiamento
maleducato pur di trovare le sue risposte.
« Vagamente. Un po’ poco, no?
io ne so più di lei, allora. Ha detto che Flamel è una persona per
bene. Lo
sono anche io, e questa è probabilmente l’unica cosa che abbiamo in
comune, a
parte essere invischiati negli stessi guai. »
*
Nicholas
Flamel fu colto improvvisamente da una miriade di emozioni
diverse, e gli risultò difficile, più del solito, nasconderle.
Sorpresa,
diffidenza. Rammarico per quel ragazzo. Dubbio, misto alla
consapevolezza di avere anche lui molti interrogativi da risolvere.
Sa
più di quel che
lascia intendere,
pensò, e scambiò uno sguardo con la moglie, sicuro che
stesse riflettendo sulla stessa cosa.
Che
cosa doveva fare adesso? Cacciarlo?
E se fosse stato vero quello che aveva detto?
Ma
come può questo
ragazzo avere qualcosa a che fare con me?
Perenelle
fu la prima a prendere nuovamente la parola, con voce
tranquilla ma lievemente tagliente.
«
Quindi… » cominciò, il suo accento francese che impregnava ogni
lettera.
« Tu
sai chi è. »
Richard
la guardò con un lampo sconsolato ma deciso negli occhi scuri.
« Non
so chi sia Nicholas Flamel. » affogò un sospiro nella tazza di
caffè, ormai fredda, che teneva ancora tra le mani.
« Ma
so da chi sta scappando. »
*
« Una
simile imprudenza da parte sua, signore… non credevo di poter
vivere abbastanza da poterla vedere. »
Machiavelli
poggiò i gomiti sul davanzale della finestra, ascoltando lo
sbattere delle ali dei piccioni e il rumore delle auto sulla strada con
i suoi
sensi risvegliati.
Non
cambiò posizione quando sentì Dagon strusciare i piedi, impaziente
di una risposta. Solo le sue iridi grigio acciaio si spostarono nella
sua
direzione.
« Tu
la chiami imprudenza, Dagon? Io lo
chiamo istinto. »
Dagon
si pose di fianco a lui, osservando
l’immortale volgere il capo verso il cielo nuvoloso, poi più giù verso
i
palazzi, poi sui passanti.
Per
un attimo pensò che Machiavelli non
avesse nessuna intenzione di aggiungere altro.
Capitava
spesso che lasciasse libera interpretazione
alle sue parole, quando non aveva voglia di spiegarsi. Dagon lo
lasciava fare,
senza porre domande. Sapeva che l’immortale detestava essere disturbato
mentre
pensava.
Si
voltò, ancora impassibile, ormai
rassegnato a rispettare il silenzio del suo padrone.
« Hai
ragione, ho agito senza un’idea ben
definita, all’inizio. Ma sapevo che avrei potuto utilizzare Richard in
qualche
modo. Diciamo che me lo sentivo. »
Dagon
inarcò un sopracciglio e si tolse
con due dita gli occhiali scuri, scoprendo gli occhi enormi e lucidi.
« Se
lo sentiva? »
Machiavelli
teneva molto in considerazione
il suo istinto, ma difficilmente agiva senza aver pensato alle
conseguenze.
L’italiano
sorrise di fronte alla sua
sorpresa.
«
Già. Ovviamente in seguito mi sono fatto
venire un’idea. Non ho intenzione di rischiare niente per Richard. E
sai, Dagon
» Machiavelli si girò, i palmi delle mani poste sul davanzale dietro di
lui.
Le
labbra si incurvarono appena.
«
Penso di aver avuto ragione. »
« Lei
pensa sempre di aver avuto ragione. »
L’immortale
scosse le spalle, invitando
con un cenno la sua guardia del corpo a seguirlo in cucina.
«
Vieni. Andiamo a verificare se ho fatto
centro anche questa volta. Sai, prima o poi dovrò pur sbagliare. »
Machiavelli
parlò come se non ci fosse
alcun dubbio, mentre si avviava verso la cucina seguito dal suo
segretario.
Quest’ultimo
non si fece sfuggire il breve
bagliore passato negli occhi dell’immortale.
«
Certo che l’umiltà non è il suo forte. »
Niccolò
sogghignò appena, con
l’espressione di chi è stato colto sul fatto.
All’improvviso
si arrestò in mezzo al corridoio, e Dagon trattenne un
gemito, consapevole di aver acceso una lampadina nella mente, assai
difficile
da gestire, dell’immortale italiano.
Lo
capiva, perché erano secoli che lo conosceva.
E
come si aspettava, Niccolò si voltò velocemente e lo guardò. La sua
espressione sarebbe stata impassibile, se non fosse stato per gli occhi
sgranati.
« Sei
diventato estremamente chiacchierone, Dagon. A questo proposito,
questa notte, mentre non riuscivo a trovare un programma in tv che mi
annoiasse
abbastanza da farmi addormentare, ho fatto qualche calcolo. E ti
interesserà
sicuramente sapere che la tua loquacità in queste ultime cento
trentanove ore è
aumentata del »
Dagon
si rifiutò di starlo a sentire e lo superò, arrivando per primo
alla cucina.
Machiavelli
interruppe il suo discorso e lo seguì.
Sul
tavolo immacolato della cucina un quaderno rilegato in pelle nera
era in netto contrasto con tutto l’ambiente circostante.
I due
immortali rimasero un attimo in silenzio a guardarlo, entrambi
consci del potere di cui erano in possesso.
Il
primo istinto era quello di allontanarsi. E di non toccarlo.
Machiavelli
prese posto su una sedia e pose le mani sopra la copertina
rigida del quaderno.
« So
che i miei calcoli matematici non ti vanno a genio, Dagon. Me la
faresti lo stesso una tisana alla menta? »
Dagon
raggiunse lo scaffale e afferrò una piccola tazza, poi aprì un
altro mobiletto lì a fianco e prese le erbe.
« Lei
non fa nessun calcolo. Se li inventa. »
Machiavelli
chiuse il discorso con un gesto disinvolto della mano.
Non
aveva intenzione di sprecare tempo.
Ignorando
il bruciore ai polpastrelli, aprì il quaderno, e le pagine,
coperte da una scrittura tondeggiante, si illuminarono per un momento.
*
Niccolò
si strofinò gli occhi chiari, cerchiati da occhiaie marcate,
non ancora del tutto ripreso dall’ennesima notte in bianco.
Dagon
entrò nella stanza con una certa fretta, dopo aver bussato,
mentre l’italiano si stava infilando le scarpe con l’aria di chi non
assume
caffeina dall’età elisabettiana.
«
Signor Machiavelli, ho trovato questa nella cassetta delle lettere. »
Dagon
porse una sottile busta, bianca quanto la sua mano,
all’immortale.
Machiavelli
la aprì con curiosità, dimenticandosi come per magia della
stanchezza, senza curarsi di non strappare la carta. Era raro ricevere
posta
per uno come lui. Nessuno sapeva il suo indirizzo.
Quasi
nessuno.
E
quindi poteva essere solo lui.
Niccolò
si rigirò tra le mani una brutta cartolina di Toronto,
scambiando uno sguardo col suo segretario, che osservava in silenzio.
L’uomo
esitò, prima di voltarla.
Niente
saluti, niente dediche, niente inviti o parole amichevoli.
Solo
una frase, scritta in una calligrafia dalle forme alte e oblique,
in italiano moderno.
Machiavelli
quasi se la fece cadere di mano, e a quel punto Dagon
drizzò la schiena.
« Che
cosa succede?» chiese la
creatura, mentre l’immortale faceva scorrere freneticamente gli occhi
da un
capo all’altro della cartolina.
« Non
mi aspettavo niente di buono, dopotutto…»
Dagon
lo raggiunse, deciso a non permettergli di cominciare a parlare
solo con se stesso. Sporse la testa al di sopra della spalla di
Machiavelli e
lesse il messaggio, i suoi grandi occhi tondi che indugiavano con
fatica su
ogni parola.
Non
c’è pce nele stelle, sa?
I
telescpi funzioano anor.
Imstram
quanto vali,
giovae
figli degli uomini.
Dagon
rimase impietrito, non trovando niente da dire per spezzare il
silenzio pesante, per diversi minuti.
Machiavelli
non diede alcun tipo di spiegazioni e si sedette alla
scrivania del suo elegante studio privato, una penna in una mano e la
cartolina
nell’altra.
« Non
ci vuole molto per capire che mancano delle lettere. » disse
Dagon, in un momento in cui gli sembrò che Machiavelli fosse giunto a
una
qualche conclusione, e che quindi potesse allentare l’attenzione sulla
cartolina e rispondergli.
«
Migliori di giorno in giorno, Dagon. In effetti, è un codice
complessivamente facile da risolvere. È poco articolato. »
Machiavelli,
colto da un fiotto di curiosità e da una brutta seppur
interessante sensazione, si chinò appena sulla cartolina e fece
scricchiolare
la penna sulla carta
«
Aggiungendo le lettere mancanti per ottenere parole corrette… »
iniziò a spiegare, mentre Dagon lo ascoltava impassibile.
« Si
ricava il messaggio completo. Nel caso della prima frase, non
c’è pace nelle stelle, sa? le
lettere mancanti sono la A e la L. Poi: i telescopi funzionano… ancora. »
Machiavelli
scandì bene ogni parola, come per accertarsi che fosse
corretta, e Dagon non osò interromperlo.
« “Anor”. Sarà “ancora” o
“ancor”? »
Dagon
fece un gesto disinvolto con la mano.
« Cambia molto? »
«
Cambia tutto. Sono convinto che il messaggio in sé abbia un
significato, ma credo anche che le lettere tolte abbiano un loro scopo.
»
Dagon
avrebbe fatto spallucce, se fosse stato più propenso ad assumere
atteggiamenti umani. Non riusciva a capire perché Machiavelli, con Dee
alle
costole e Anderson da tenere d’occhio si stesse dando tanta pena per
quel
messaggio senza senso.
« Non
ha pensato che potrebbe essere solo uno scherzo? Non c’è scritto
il suo nome sulla cartolina, né il suo indirizzo. Non è stata lasciata
dal
postino. »
Dagon
continuò imperterrito, nonostante la fastidiosa sensazione di non
essere ascoltato.
«
Qualche ragazzino avrà pensato di scrivere il testo di una di quelle
canzoni che vanno di moda al giorno d’oggi, e avrà sbagliato a
scrivere. »
Finalmente
Machiavelli sembrò degnarlo di attenzione, trapassandolo con
uno sguardo impenetrabile.
Evidentemente
stava riflettendo se valesse davvero la pena perdere
tempo per spiegarsi, o lasciare Dagon ai suoi dubbi. Sospirò.
«Questo
non si avvicina nemmeno lontanamente a una teoria probabile.
Per tre motivi. »
Alzò
il dito indice.
«
Uno. Questa cartolina arriva da Toronto. »
Dagon
fu pronto a rispondere.
« Il
ragazzino di cui parlo l’avrà trovata in casa sua, oppure è appena
tornato dalle vacanze.»
«
Teoria esclusa dal secondo e terzo punto. Due: mentre non mi è
difficile pensare che la lettera mancante nella parola “telescopi”
possa essere
un errore di distrazione, così non è per “Imstram”.
Davvero troppo storpiata. Non può essere casuale. »
Sul
volto di Dagon apparve una smorfia di disappunto, nello stesso
istante in cui la creatura capì che Machiavelli aveva già calcolato
tutto.
E
quindi, l’ennesimo enigma li aspettava.
« E
tre : mi tengo aggiornato sulle canzoni italiane in voga di questi
tempi. »
Dagon
alzò un sopracciglio di fronte al sogghigno di Niccolò.
« Non
è vero. »
« E
tu come fai a saperlo? »
Dagon
avrebbe facilmente risposto che era al suo servizio da secoli e
che di recente era stato in sua compagnia per buona parte del giorno.
Ma si
frenò all’improvviso, preferendo rimanere in silenzio.
Per
buona parte
del giorno. Del giorno, non della notte.
«
Comunque sia… nessuno in questa città sa il mio vero nome, né la mia
nazionalità. Curiosa coincidenza che il messaggio sia proprio in
italiano,
vero? »
Machiavelli
non aveva più voglia di parlare. In quel momento tutta la
sua mente era concentrata sul messaggio, e sul metodo di risoluzione.
Non
doveva essere molto difficile.
Aveva
visto schemi molto più complicati.
Piuttosto,
lo preoccupava il mandante, ma anche il significato del
testo.
Perché
il suo informatore avrebbe potuto trovare altre centinaia di
parole, che contenessero le lettere che gli interessavano.
Perché
proprio quelle?
E
poi… l’indirizzo…
*
Rubata.
Le
figure nascoste nell’ombra di una stretta sala circolare, sormontata
da vetri neri e decorati di antiche rune, si muovevano una dietro
l’altra. Due
passi avanti. Uno indietro. Una pausa e di nuovo indietro, i piedi che
parevo
non toccare terra, tanto il loro passo era leggero.
Rubata.
Nessun
suono arrivava alle orecchie delle figure, ma questa parola
sembrava espandersi nella mente di ognuno di loro, nascendo dal nulla.
Quegli
esseri non avevano mai aperto le loro labbra strette dai fili
della tela di Aracne.
Quando
erano riuniti formavano un’unica entità, i loro pensieri erano
comuni, la loro età era comune, il loro sapere era comune.
Come
se fossero parte di una sola persona.
Chi
ha osato tanto?
Ritrovarla.
Era
furioso.
Davvero furioso.
Lo è
ancora. Noi
lo vediamo.
Noi
vediamo tutto
ciò che è sui nostri sentieri.
Ma
adesso, cosa
sarà di lei?
Loro
non lo sanno.
E mai lo sapranno, senza di noi.
Rischieremo.
Ma
saremo
liberati.
Grazie…
figlio
degli homines.
N.D.A.
Lo
ammetto, non è un granché.
La
cosa positiva è che l’ispirazione è
tornata e credo che rimarrà per un po’. E la situazione di ogni
personaggio non
sarà delle migliori, anzi, mi sa che qualcuno sarà nei guai fino al
collo.
Ci
ho messo tanto, e mi dispiace
tantissimo. Non ci è voluto molto tempo per il capitolo, ma ho
modificato tutte
le mie idee sulla continuazione, che adesso è un bel po’ più
articolata.
I
miei impegni sono quasi finiti e, a parte
fare i salti mortali per non rovinarmi la media del seiiiiiinooooo
scarso in
matematica, non ho altre preoccupazioni. Conto (spero) di postare il
prossimo
capitolo prima del solito ; )
Grazie
a chi continua a seguirmi, mi date
grinta e carica : D
Ciao!
Tacet433