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Autore: Porrima Noctuam Tacet433    22/06/2013    2 recensioni
[I segreti di Nicholas Flamel, l\'immortale.]1994, Reims.
Un curioso e sfortunato giornalista si trova nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Quanto sarà disposto a rischiare per ottenere le risposte che cerca?
Riuscirà ad avere la sua intervista?
Genere: Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Dee, Niccolò Machiavelli, Nicholas Flamel, Nuovo personaggio, Perenelle Flamel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il messaggio

 

Dagon osservò l’immortale a cui prestava servizio far cadere le zollette di zucchero nella sua tisana, in piedi, un palmo saldamente appoggiato al tavolo e il capo reclinato a fissare la cartolina.

Quando anche l’ottava zolletta cadde nel liquido fumante, la creatura cominciò a preoccuparsi.

Ma si sforzò di ignorare il dettaglio.

« Non crede di star esagerando, signor Machiavelli? »

L’uomo non alzò nemmeno la testa, e Dagon si aspettava il silenzio come unica risposta.

Invece l’italiano, dopo aver  preso una penna e un foglio stropicciato, rispose distrattamente.

« Lo sai che riesco a sentire solo i sapori molto dolci o molto piccanti, Dagon. »

« Non mi riferivo a questo. Personalmente, signore, penso che controllare sia il... quaderno, e in più pretendere di risolvere anche l’enigma della cartolina sia… rischioso. Non starà sottovalutando Dee, mi auguro. »

Machiavelli cominciò a scrivere sul foglio stropicciato, con una grafia più marcata del solito.

« Il Mago sospetta di lei. »

« Lui sospetta sempre di me. Credo che anche i suoi padroni si siano stancati di ascoltare le sue accuse.»

Dagon venne consolato da un unico pensiero. Dietro alle scrollate di spalle di Machiavelli si celavano attente riflessioni.

« Il più delle volte aveva ragione. »

Per un momento Niccolò parve irritato. Poi la sua espressione tornò a distendersi, per lasciare spazio a una serena imperturbabilità. Ancora non lo guardava.

« E ogni volta non aveva nessun mezzo per dimostrarlo. »

« Anche una accusa infondata può mettere in cattiva luce una persona, lo ha detto lei stesso. »

Machiavelli sospirò e si decise a guardarlo.

« Senza un po’ di rischio, non si arriva da nessuna parte. Come pensi abbia fatto Alessandro Magno a conquistare quello che sarebbe diventato il potente impero di Macedonia? Scendendo in prima linea contro il nemico. Se stessi troppo buono gli Oscuri Signori penserebbero che io mi stia guardando continuamente le spalle… in questo modo, pensano solo che c’è del rancore tra me e Dee. Ricorda: il sospetto nasce quando non si hanno le cose sotto controllo. Se io avessi voluto davvero andare contro al volere dei miei padroni, sarei stato più attento a ciò che Dee ha detto di me davanti a loro, mi sbaglio? »

Machiavelli non aveva mai smesso di scrivere sul suo foglietto. Di tanto in tanto si metteva dritto sulla sedia, le braccia tese e i palmi sul tavolo, a contemplare riflessivo la sua opera.

« Naturalmente non è bene esagerare… »  aggiunse dopo qualche secondo, con voce incolore.

« Ma con un padrone col carattere come quello di Aton non posso stare troppo ai margini della sua attenzione. Non lo apprezzerebbe. Non gli piacciono le persone passive, ma quelle con abbastanza spirito di iniziativa, determinazione e scaltrezza che ti portano inevitabilmente ad essere nemico di Dee. »

Dagon era diviso tra ammirazione e turbamento.

Negli anni Machiavelli non aveva perso il tocco. Sapeva esattamente quando comparire e quando stare fuori dai giochi, con quali persone poteva permetterselo, ma continuando a lavorare nell’ombra, malgrado il suo diretto quanto invisibile coinvolgimento.

Ma Dagon aveva il compito di guardare le spalle all’immortale italiano, e questa volta si sentiva in dovere di metterlo in guardia.

« Si sospetta che Alessandro Magno sia stato ucciso dalle persone più fedeli a lui, signore.» disse la creatura, frugando nella memoria alla ricerca delle nozioni storiche che Machiavelli gli aveva insegnato.

L’italiano fece un gesto di approvazione col mento, prima di ghignare e tornare a guardare il suo pezzo di carta.

« La similitudine non ti fa onore, Dagon, considerando che la persona più fedele a me sei tu.»

La bocca larga di Dagon si aprì il una smorfia che poteva somigliare a un sorriso, e per l’ennesima volta la creatura si rese conto di quanto fosse inutile discutere con l’immortale italiano.

Machiavelli gli fece un cenno con la mano, per intimargli di raggiungerlo.

« Guarda qui. » indicò sulla carta, dove c’erano scritte le lettere mancanti del messaggio arrivato poco prima.

Machiavelli sorrise e cominciò a recitare l’intero testo a memoria.

« Non c’è pace nelle stelle, sa? i telescopi funzionano ancora. Dimostrami quanto vali, giovane figlio degli uomini. »

Dagon lo guardò con indifferenza. Non gli diceva niente, ma Machiavelli lo guardava come se si dovesse accorgere da un momento all’altro di una caratteristica bizzarra e lampante del messaggio.

Dopo almeno qualche minuto di silenzio, in cui l’italiano lo aveva osservato con un sorrisetto divertito e le dita intrecciate in grembo, Dagon alzò un sopracciglio.

« Allora? » domandò Machiavelli, colmo di aspettativa.

Dagon si accigliò. Sarebbe dovuto essere lui a dire “Allora?” con quel tono.

« Allora cosa? »

Machiavelli lo guardò come se la risposta fosse evidente.

« Non noti niente di strano? » chiese, gli occhi dilatati da un’esasperata sorpresa.

Dagon sbuffò con una brutta smorfia sarcastica.

« Noto parecchie cose strane… lei è una di queste, signore… con tutto il rispetto. »

Machiavelli arricciò le labbra in un sorriso accondiscendente.

« Cercherò di prenderlo come un complimento. Guarda l’indirizzo. »

La creatura obbedì di nuovo, ma non arrivò a una conclusione nemmeno questa volta.

« Non ha alcun senso. »

Là dove comunemente veniva scritto l’indirizzo con la via e la città, c’era solo una serie di numeri.

Dagon scrollò le spalle, irritato.

« Sono… tredici numeri. E con questo?»

« Errore. » disse Machiavelli. « i numeri sono undici. Due, uno, cinque, sei, tre, sette. E nella riga sotto : Quattro, otto, dieci (non uno e zero), undici ( non una coppia di uno) e nove. »

« Perché non possono essere numeri separati?» chiese Dagon.

Machiavelli gli porse il foglio con le lettere mancanti delle parole, e la creatura ebbe la sensazione che Machiavelli volesse istruirlo sul suo metodo di lavoro.

« Il segreto è cercare un senso in ogni cosa. Hanno un senso, queste lettere messe in questa posizione? » disse l’italiano.

« No.»

« Eppure sono nell’ordine in cui le ho trovate. Sarebbe troppo facile. Quindi ci deve essere un’altra chiave. Ed è questa sequenza numerica, un metodo vecchio e semplice. I numeri corrispondono al posto delle lettere. Inizia con un due, quindi la prima lettera sarà quella al secondo posto nel messaggio. Quella contenuta nella parola “NELE”. La L. »

Dagon cominciava a capire. Si sporse verso il tavolo, e notò che Machiavelli aveva una scintilla compiaciuta nello sguardo. Solo lui riusciva ad interessare una creatura venuta da un profondissimo abisso di un Regno D’ombra sperduto nell’universo.

« Quindi non è possibile che il dieci e l’undici siano in realtà due cifre… perché ci sarebbero più numeri che lettere. E non si potrebbero formare le parole. »

« Molto bene, Dagon, davvero molto bene. Eppure… » Machiavelli fece una piccola pausa, osservando attentamente il suo segretario. « Avanza comunque un numero. »

Dagon ebbe la sensazione di essere tornato al punto di partenza. Non aveva abbastanza pazienza per sopportare la spiegazione di una diversa chiave di lettura di quella dannata cartolina.

Si trattenne dallo sbuffare, sapendo che Machiavelli lo stava prendendo in giro con quella pausa ad effetto.

« Avanza un numero perché, nella speranza che tu lo notassi, non ho contato apposta una lettera. »

« Dove?»

« Non c’è pace nelle stelle, sa? No. Non c’è pace nelle stelle, sai? »

Machiavelli annuì, prendendosi il mento tra due dita, con noncuranza. Come chi è già sicuro da tempo di vedere confermate le sue supposizioni.

« D’altra parte, non ho mai chiesto alla persona che ha scritto questo messaggio di darmi del lei. »

Se possibile, gli occhi di Dagon diventarono ancora più grandi, e la sua bocca, per un momento, si aprì in una O muta, colto dalla stupore.

« Lei sa di chi si tratta? »

Machiavelli sorrise, e fece di nuovo segno a Dagon di avvicinarsi, gli occhi grigi lampeggiavano di una serenità inquietante.

« Vuoi sapere cosa viene fuori dalle misteriose lettere, Dagon? » disse, quasi sussurrando, con malizia.

Spostò con due dita una cartella chiara e sottile. Sotto di essa, un altro dei suoi foglietti stropicciati.

Sopra, solo due parole.

*

Il dottor John Dee alzò il telefono e compose il numero, preparandosi alla difficile conversazione che avrebbe dovuto sostenere.

Sentì due squilli, poi gli arrivò una voce profonda all’orecchio.

« Pronto? »

Dee pensò in fretta che la gentilezza fosse superflua con esseri del genere.

« Passami Machiavelli, Dagon. »

« Si chiede per favore, dottore. Ti ascolto. »

John si morse il labbro, infastidito. L’italiano si era sicuramente avvicinato a Dagon mentre rispondeva.

Infantile.

« Non posso dire che sia un piacere risentirti. » disse il Mago, la voce neutra.

« Non mi sorprende. »

« Ti ricordi quando mi hai detto che Richard si sarebbe fatto sentire, che sarebbe andato in giro a creare fastidi e che l’avrei trovato ed eliminato prima che potesse far danni grazie alla sua voglia di mettersi in mostra? »

« Certo, dottore. Mi ricordo. »

Dee si strofinò la barba. Stava vivendo tutte le emozioni che aveva provato in quei giorni. Preoccupazione per la questione di Richard. Rabbia, perché lui sapeva che poteva essere coinvolto Machiavelli , ma non poteva esserne certo. E divertimento, perché per una volta poteva rinfacciare a Machiavelli un fallimento.

« Non è stato così. Anderson non si è più fatto sentire, e io comincio a sentirmi… irritato. Sai cosa succede quando mi sento irritato. »

« Di solito un disastro. » gli rispose la voce annoiata di Machiavelli. « Ma non capisco perché chiami me. »

« Chiamo te perché sei coinvolto, la sua fuga è anche una tua responsabilità. »

« Veramente non lo è. La missione era affidata a te, io dovevo solo guardarti le spalle, ed è quello che è fatto. »

Dee prese un profondo respiro, intimandosi di restare calmo.

« Sai dove potrebbe essere andato Anderson? » chiese, arrivando velocemente al punto della conversazione.

« Immagino che tu abbia già guardato a casa sua…»

« Sto svolgendo delle indagini in segreto sulle sue abitudini… »

Dall’altro capo della linea arrivò il rumore strascicato delle scarpe di Machiavelli.

« Pensavo che la tua priorità fosse Flamel. »

« Lo è. »

« Cosa aspetti ad andare a prenderlo? »

Dee sorrise, un’idea che si faceva spazio nella sua mente.

« Devi cercare tu Richard Anderson, Machiavelli. O potremmo finire entrambi nei guai. Inutile che lo neghi. Se i nostri padroni lo dovessero scoprire, non farebbero così tanta distinzione tra i miei compiti e i tuoi. »

« Eppure… » la risposta di Machiavelli non tardò ad arrivare. « tu mi sembri molto più preoccupato di me. »

« Pretendi di sapere cosa mi passa per la testa. Ma ti sbagli di grosso, e prima o poi potresti pentirtene. »          

Dee aspettò una risposta, ma evidentemente Machiavelli non aveva alcuna voglia di sostenere una conversazione. Meglio così.

« Io mi metterò sulle tracce di Flamel, ma il silenzio di Anderson inizia a insospettirmi. »

Machiavelli sospirò spazientito. Non sembrava prendere molto sul serio la questione, ma con un tono di accondiscendente gentilezza non aspettò a rispondere.

« Facciamo così, dottore. Manderò Dagon a cercare il giornalista. Così, forse, finalmente potrò avere… »

Dee interruppe la telefonata, sul momento solo vagamente soddisfatto. Non si fidava affatto di Machiavelli, ma se qualche Oscuro Signore avesse scoperto che c’era un figlio degli homines che sapeva troppo, lui avrebbe potuto dire di essersene preoccupato, e di aver affidato il compito all’altro immortale.

Avrebbe potuto dire di essere d’accordo con l’italiano, di aver potuto ritenere risolta questa questione perché Machiavelli aveva accettato di occuparsene personalmente.

Machiavelli gli aveva fornito, pur non sapendolo, una scusa convincente per avere le mani pulite sulla faccenda.

John Dee sorrise con perfidia, rigirandosi il suo registratore vocale fra le dita.

*

Machiavelli aveva appena posato il telefono, e ora osservava Dagon senza vederlo veramente, mentre le parole di Dee gli frullavano ancora per la mente.

«Se i nostri padroni lo dovessero scoprire, non farebbero così tanta distinzione tra i miei compiti e i tuoi. »

Aveva sicuramente ragione, ma non era necessario dargli questa certezza così presto.

« Pretendi di sapere cosa mi passa per la testa. Ma ti sbagli di grosso, e prima o poi potresti pentirtene. »          

A questa frase aveva avuto serie difficolta a trattenere un sogghigno.

Ma davvero?

Pensò quelle due parole con malizia e scetticismo, e per un attimo fu tentato dall’idea di escogitare qualcosa per dimostrargli il contrario, per lasciarlo senza parole.

Ma dovette rinunciare quasi subito all’idea. Non sarebbe risultato producente mandare in pezzi quella alleanza, seppur scomoda, fastidiosa e assolutamente fragile, che i loro Padroni li avevano obbligati a tenere.

Non avevano mai nascosto il loro disprezzo reciproco, ma gli Oscuri Signori li avevano fatti lavorare insieme diverse volte, forse perché per certi versi erano l’uno l’opposto dell’altro.

A questo punto, Dee avrebbe anche potuto smettere di preoccuparsi per Richard, e Machiavelli non aveva bisogno di farlo, dato che aveva un mezzo di spionaggio infallibile e sapeva già dove si trovava in quel momento.

« Lancia Odino?»

La voce dalla sonorità cupa di Dagon ridestò l’italiano dai suoi pensieri.

« Sì. » si affrettò a dire, riportando la concentrazione sul suo segretario e sulle due parole misteriose.

« Immagino che la forma corretta del messaggio sia Lancia di Odino, ovviamente, ma non penso che chi me l’ha mandato abbia avuto molto tempo. Aveva fretta, si capisce dalla scrittura marcata e disordinata, e dal fatto che non abbia potuto inventare un codice più complesso. »

Dagon rimase in silenzio. Non era mai stato abituato a fare tante domande, o ad interessarsi delle risposte. Per lui bastava che Machiavelli avesse la situazione sotto controllo e che non corresse rischi.

« Bene, adesso…» iniziò l’italiano, l’espressione serena e soddisfatta « ti spiacerebbe andare a dare un’occhiata al… quaderno? Intanto io proverò ad usare questo tempo per riflettere.»

La creatura annuì, in silenzio si diresse verso la cucina, e sul tavolo bianchissimo risaltava il sottile quaderno nero con la copertina rigida. Sul colore scuro si potevano distinguere delle cupe sfumature blu notte.

Dagon lo aprì, ad una pagina a caso, poi afferrò una penna e cominciò a scrivere poche parole, con la sua scrittura grossolana, proprio al centro delle due pagine.

Richard Anderson

Poteva bastare? O doveva scrivere anche i nomi dei Flamel?

Ma prima che potesse dare una risposta a quella domanda il sottile libricino aveva già cominciato a vibrare. Un disegno molto realistico cominciò a delinearsi davanti ai suoi occhi, occupando tutte e due le pagine con linee morbide e rossicce, più spesse e più sottili a seconda delle zone d’ombra o di luce.

Dagon incrociò le braccia e osservò il giovane giornalista gesticolare a scatti, dalla prospettiva che quell’antichissimo strumento di spionaggio gli offriva.

*

 Con il volto magro nascosto dal cappuccio grigio di una felpa rovinata, un ragazzo fissava intensamente davanti a sé, aspettando la metropolitana. Dei brividi freddi gli attraversavano la schiena, facendolo sussultare. Una donna di mezza età lo guardò con spaesamento e timore. Chissà cosa doveva pensare in quel momento, quella vecchia figlia degli homines.

I sussulti divennero sempre più frequenti. Il ragazzo gemette, non riuscendo più a controllare il tremore allo sterno, e il sudore freddo che gli scendeva dalla fronte e sul collo. Si strinse nella felpa, piegato in due, ad ogni battito del cuore seguiva un nuovo sobbalzo delle costole e della schiena. E improvvisamente si sentì la mente vuota. Ignorava tutto, perché niente contava più qualcosa. Il rumore della metropolitana, le parole della donna, che adesso si era alzata. Lui non aveva nemmeno il coraggio di alzare gli occhi per guardarla, e anche se lo avesse avuto, non sarebbe riuscito a muovere un muscolo.

Riusciva solo a pensare al freddo. E a lei, come era ovvio.

All’improvviso sentì una mano sulla spalla, una mano calda, così calda da bruciarlo. Qualcosa scattò in lui, e davanti ai suoi occhi tutto si fece rosso.

Si alzò di scatto, si liberò con un gesto violento dalla leggera presa della donna.

Poi scappò. Tenendo gli occhi bassi, e le braccia ancora strette al petto. Ogni figura che vedeva alzando appena le iridi lucide di febbre era cerchiata di rosso vivo.

Corse fino a non avere più fiato, la gente si scansava davanti a lui, istintivamente, e lui aveva paura di cadere, perché non gli reggevano le gambe.

Si gettò in un bagno e si sporse verso il lavandino. Non aveva il coraggio di guardarsi allo specchio.

Sentì un ultimo brivido, più lungo, più agghiacciante, che gli fece inarcare la schiena. Poi tutto finì, velocemente come era iniziato. E lui riprese rapidamente il controllo della sua mente.

« Sei spietata. »

Il bagno non era deserto, lo sapeva. Sapeva che lei era lì, e ancora una volta, dentro di lui l’arroganza fu più forte di ogni altra cosa.

« Sai bene che non è mia la colpa. »

Il ragazzo si girò. Davanti a lui c’era lei, bella come la ricordava, i cappelli biondo platino lunghi fino alla vita, la corporatura esile ma scattante, un perfetto volto ovale e gli occhi color lavanda.

Rimase impassibile, ricambiando l’espressione di ghiaccio della ragazza.

« Questo succede ai traditori come te. »

Il ragazzo ghignò, irriverente.

« Questo succede quando ci sei tu nelle vicinanze… »

La ragazza scosse appena la testa.

« Succede quando sono troppo poco vicina perché tu mi possa vedere… » precisò con voce melodiosa « ma abbastanza vicina perché tu mi possa sentire. »

Il ragazzo alzò le spalle, e per un attimo gli parve di vedere un’espressione ferita sul bel volto della giovane di fronte a lui.

« Devi tornare. » gli disse, esitante ma fredda al tempo stesso.

Fredda. Era così che lui l’aveva sempre ricordata. Era così che era sempre stata, in verità.

Si era solo immaginato quella lieve traccia di speranza nella sua voce?

« Io non penso. »

Sfoderò il suo migliore sorriso sarcastico. Non si era mai pentito delle scelte che aveva fatto, e non sarebbe tornato sui suoi passi. Nemmeno per lei.

Era passato quasi mezzo secolo, e in quel tempo lui aveva rafforzato le sue idee. Era nel giusto, e non ne era mai stato più sicuro.

« Invece devi farlo, adesso è necessario. »

Il ragazzo fece finta di pensarci su, poi, con un sorriso sghembo, scosse la testa.

Lei divenne appena un po’ più pallida, facendo risplendere la chiarezza del suo volto sotto le lampade al neon.

« Ma adesso ti ho trovato. E chiamerò loro, se non vorrai ricongiungerti a noi di tua volontà»

Il ragazzo si accigliò e sbuffò di rabbia.

« Pensi che mi vogliano? Mi uccideranno appena rimetterò piede nel loro Regno d’Ombra!»

Si ricordò solo dopo aver urlato quelle parole di essere nel bagno di una metropolitana piena di homines. Gettò occhiate nervose intorno a lui, ammutolendosi.

La ragazza, invece, sorrise vittoriosa.

« Sono passati più di cinquant’anni, ma ancora non hai imparato a vivere con gli homines! Non ho mai capito che cosa cerchi, Alypion, ma non lo troverai mai, qualunque cosa sia, perché sei un estraneo sia in questo Regno d’Ombra che nella tua vera casa! »

Alypion le rivolse un’occhiata sprezzante, sperando di riuscire a spezzare quel sorriso. Era tutto quello che si meritava.

Un sorriso sarcastico, trionfante e caldo. Troppo caldo per una come lei.

« Quella non è mai stata casa mia. Tu non sei mai stata casa mia. »

Si gettò fuori dal bagno, lasciando aperto il lavandino, salendo le scale fino in superficie.

Non aveva tempo e non aveva voglia di pensare a quell’incontro.

Con un sorriso divertito si chiese se il suo messaggio fosse stato compreso.

*

Machiavelli osservò Dagon tenere d’occhio Richard Anderson attraverso il quaderno, le sopracciglia inarcate in una domanda muta.

La creatura nemmeno lo guardò. Non ne aveva bisogno.

« Niente, per adesso, signor Machiavelli. Ma… Flamel e sua moglie hanno lasciato solo il ragazzo. »

Niccolò annuì. Era logico che volessero consultarsi sul suo conto.

« Avvertimi se noti qualche cambiamento, Dagon. »

L’italiano tornò a concentrarsi sul suo misterioso messaggio. Pensava di aver capito a cosa si riferiva il suo informatore quando parlava di telescopi e stelle.

E poi, c’era il “giovane figlio degli homines”.

Ci aveva già riflettuto parecchio. Non poteva essere sicuro che fosse riferito ad Anderson, eppure era l’unico giovane con cui era venuto in contatto di recente.

Ma era un’idea ridicola. Era solo un giornalista da quattro soldi, non poteva certo essere affiancato a delle informazioni così importanti.

Machiavelli pensò che sarebbe stato utile scoprire cosa era successo alla Lancia di Odino. Gungnir.

« Gungnir è una delle Antiche Armi che sono state usate dagli Antichi Signori per sottrarre agli Arconti il dominio dei Regni d’Ombra. »

Dagon staccò appena gli occhi enormi dal quaderno, per poi riportarceli subito dopo. Machiavelli continuò a ragionare ad alta voce.

« Appartiene ad Odino, ma tutti gli Antichi Signori vorrebbero possederla. Esiste un collegamento tra questa e i “telescopi” del messaggio. Sai a cosa si riferisce questa parola, Dagon? »

La creatura lo guardò e scosse la testa.

« Con questo nome venivano chiamati i Veglianti, quando non si voleva far sapere che si stava parlando di loro. A causa della loro capacità di vedere le realtà presenti in ogni Regno d’Ombra, immagino.  »

Dagon si accigliò.

« Ma adesso sono imprigionati. Ade gli ha rinchiusi nel suo Regno d’Ombra infernale. »

« Sì. » confermò Machiavelli. « e sai qual è la cosa interessante? Gungnir, la lancia di Odino, sarebbe l’unico oggetto in grado di spezzare le catene di Ade e di liberarli. »

L’italiano sorrise.

« Deve essere successo qualcosa alla Lancia. Non sarebbe la prima volta che qualcuno prende di mira le Antiche Armi. La Tunica di Deianira, per esempio, è stata rubata due secoli fa, e ancora la sua padrona non l’ha ritrovata. Che sia successa la stessa cosa alla Lancia? »

Machiavelli si alzò e prese a misurare a grandi passi la cucina, le dita unite davanti al mento. Il suo segretario lo osservava con cupo interesse.

« Il messaggio, in poche parole, ci dice che ai Veglianti è stato permesso di usare i loro poteri per osservare di nuovo ciò che accade nei Regni. Trovo improbabile che siano riusciti a liberarsi, e Ade non è certo il tipo da disfarsi di prigionieri che detesta. Quindi deve essere stato permesso loro di usare di nuovo gli Occhi, pur non potendo uscire dall’Ade. »

Dagon emise un sbuffo scettico.

« Ma perché gli Oscuri Signori dovrebbero farlo? »

« Perché i Veglianti devono ritrovare la Lancia di Odino. Ecco il collegamento con i Veglianti, con i telescopi. È la quarta Arma che è stata rubata, Dagon. Dopo la Tunica sapevo che qualcuno avrebbe cercato di rubare anche Gungnir. Chissà se è sempre la solita… persona, se così si può dire, o se sono stati diversi soggetti a rubare le prime tre Armi. »

Machiavelli si passò una mano nei capelli, eccitato da tutte quelle rivelazioni.

Emise una breve, fredda risata.

« E poi…» disse, tornando serio « il messaggio dice che tutto questo è collegato ad un figlio degli homines, in un modo che con molta probabilità nemmeno l’informatore si spiega. »

Con una strana scintilla negli occhi chiari, Machiavelli raggiunse il tavolo e sfilò il quaderno dalle mani di Dagon, girandolo verso di sé.

Osservò il volto magro e affilato di Richard Anderson, i suoi movimenti a scatti. Poi, con un rapido movimento del posto girò la pagina, mentre Dagon lo guardava non troppo sorpreso.

Machiavelli prese una penna e scrisse due parole, un nome, in cima ad una pagina bianca.

Alypion Desiephr

 

Note di Tacet433

In realtà non ho molto da dire questa volta. Mi scuso per i lunghi tempi che impiego ad aggiornare, per l’ennesima volta-.-“  

Spero di non avervi annoiati con tutte quelle spiegazioni, e spero di inserire un po’ più di azione, nel prossimo. Volevo già farlo in questo, ma sarebbe venuto fuori qualcosa di troppo lungo che non avrei saputo come interrompere.

Ringrazio tantissimo chi continua a seguire questa storia, nonostante i miei tempi biblici.

 

  
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