Il
messaggio
Dagon
osservò l’immortale a cui prestava servizio far cadere le
zollette di zucchero nella sua tisana, in piedi, un palmo saldamente
appoggiato
al tavolo e il capo reclinato a fissare la cartolina.
Quando
anche l’ottava zolletta cadde nel liquido fumante, la creatura
cominciò a preoccuparsi.
Ma si
sforzò di ignorare il dettaglio.
« Non
crede di star esagerando, signor Machiavelli? »
L’uomo
non alzò nemmeno la testa, e Dagon si aspettava il silenzio come
unica risposta.
Invece
l’italiano, dopo aver
preso una penna e un foglio stropicciato, rispose
distrattamente.
« Lo
sai che riesco a sentire solo i sapori molto dolci o molto
piccanti, Dagon. »
« Non
mi riferivo a questo. Personalmente, signore, penso che
controllare sia il... quaderno, e in
più pretendere di risolvere anche l’enigma della cartolina sia… rischioso. Non starà sottovalutando Dee,
mi auguro. »
Machiavelli
cominciò a scrivere sul foglio stropicciato, con una grafia
più marcata del solito.
« Il
Mago sospetta di lei. »
« Lui
sospetta sempre di me. Credo che anche i suoi padroni si siano
stancati di ascoltare le sue accuse.»
Dagon
venne consolato da un unico pensiero. Dietro alle scrollate di
spalle di Machiavelli si celavano attente riflessioni.
« Il
più delle volte aveva ragione. »
Per
un momento Niccolò parve irritato. Poi la sua espressione tornò a
distendersi, per lasciare spazio a una serena imperturbabilità. Ancora
non lo
guardava.
« E
ogni volta non aveva nessun mezzo per dimostrarlo. »
«
Anche una accusa infondata può mettere in cattiva luce una persona,
lo ha detto lei stesso. »
Machiavelli
sospirò e si decise a guardarlo.
«
Senza un po’ di rischio, non si arriva da nessuna parte. Come pensi
abbia fatto Alessandro Magno a conquistare quello che sarebbe diventato
il
potente impero di Macedonia? Scendendo in prima linea contro il nemico.
Se
stessi troppo buono gli Oscuri Signori penserebbero che io mi stia
guardando
continuamente le spalle… in questo modo, pensano solo che c’è del
rancore tra
me e Dee. Ricorda: il sospetto nasce quando non si hanno le cose sotto
controllo. Se io avessi voluto davvero andare contro al volere dei miei
padroni, sarei stato più attento a ciò che Dee ha detto di me davanti a
loro,
mi sbaglio? »
Machiavelli
non aveva mai smesso di scrivere sul suo foglietto. Di
tanto in tanto si metteva dritto sulla sedia, le braccia tese e i palmi
sul
tavolo, a contemplare riflessivo la sua opera.
«
Naturalmente non è bene esagerare… »
aggiunse dopo qualche secondo, con voce incolore.
« Ma
con un padrone col carattere come quello di Aton non posso stare
troppo ai margini della sua attenzione. Non lo apprezzerebbe. Non gli
piacciono
le persone passive, ma quelle con abbastanza spirito di iniziativa,
determinazione e scaltrezza che ti portano inevitabilmente ad essere
nemico di
Dee. »
Dagon
era diviso tra ammirazione e turbamento.
Negli
anni Machiavelli non aveva perso il tocco. Sapeva esattamente
quando comparire e quando stare fuori dai giochi, con quali persone
poteva
permetterselo, ma continuando a lavorare nell’ombra, malgrado il suo
diretto
quanto invisibile coinvolgimento.
Ma
Dagon aveva il compito di guardare le spalle all’immortale italiano,
e questa volta si sentiva in dovere di metterlo in guardia.
« Si
sospetta che Alessandro Magno sia stato ucciso dalle persone più
fedeli a lui, signore.» disse la creatura, frugando nella memoria alla
ricerca
delle nozioni storiche che Machiavelli gli aveva insegnato.
L’italiano
fece un gesto di approvazione col mento, prima di ghignare e
tornare a guardare il suo pezzo di carta.
« La
similitudine non ti fa onore, Dagon, considerando che la persona
più fedele a me sei tu.»
La
bocca larga di Dagon si aprì il una smorfia che poteva somigliare a
un sorriso, e per l’ennesima volta la creatura si rese conto di quanto
fosse
inutile discutere con l’immortale italiano.
Machiavelli
gli fece un cenno con la mano, per intimargli di
raggiungerlo.
«
Guarda qui. » indicò sulla carta, dove c’erano scritte le lettere
mancanti del messaggio arrivato poco prima.
Machiavelli
sorrise e cominciò a recitare l’intero testo a memoria.
« Non
c’è pace nelle stelle, sa? i telescopi funzionano ancora.
Dimostrami quanto vali, giovane figlio degli uomini. »
Dagon
lo guardò con indifferenza. Non gli diceva niente, ma Machiavelli
lo guardava come se si dovesse accorgere da un momento all’altro di una
caratteristica bizzarra e lampante del messaggio.
Dopo
almeno qualche minuto di silenzio, in cui l’italiano lo aveva
osservato con un sorrisetto divertito e le dita intrecciate in grembo,
Dagon
alzò un sopracciglio.
«
Allora? » domandò Machiavelli, colmo di aspettativa.
Dagon
si accigliò. Sarebbe dovuto essere lui a dire “Allora?” con quel
tono.
«
Allora cosa? »
Machiavelli
lo guardò come se la risposta fosse evidente.
« Non
noti niente di strano? » chiese, gli occhi dilatati da un’esasperata
sorpresa.
Dagon
sbuffò con una brutta smorfia sarcastica.
«
Noto parecchie cose strane… lei è una di queste, signore… con tutto
il rispetto. »
Machiavelli
arricciò le labbra in un sorriso accondiscendente.
«
Cercherò di prenderlo come un complimento. Guarda l’indirizzo. »
La
creatura obbedì di nuovo, ma non arrivò a una conclusione nemmeno
questa volta.
« Non
ha alcun senso. »
Là
dove comunemente veniva scritto l’indirizzo con la via e la città,
c’era solo una serie di numeri.
Dagon
scrollò le spalle, irritato.
«
Sono… tredici numeri. E con questo?»
«
Errore. » disse Machiavelli. « i numeri sono undici. Due, uno,
cinque, sei, tre, sette. E nella riga sotto : Quattro, otto, dieci (non
uno e
zero), undici ( non una coppia di uno) e nove. »
«
Perché non possono essere numeri separati?» chiese Dagon.
Machiavelli
gli porse il foglio con le lettere mancanti delle parole, e
la creatura ebbe la sensazione che Machiavelli volesse istruirlo sul
suo metodo
di lavoro.
« Il
segreto è cercare un senso in ogni cosa. Hanno un senso, queste
lettere messe in questa posizione? » disse l’italiano.
«
No.»
«
Eppure sono nell’ordine in cui le ho trovate. Sarebbe troppo facile.
Quindi ci deve essere un’altra chiave. Ed è questa sequenza numerica,
un metodo
vecchio e semplice. I numeri corrispondono al posto delle lettere.
Inizia con
un due, quindi la prima lettera sarà quella al secondo posto nel
messaggio.
Quella contenuta nella parola “NELE”. La L. »
Dagon
cominciava a capire. Si sporse verso il tavolo, e notò che
Machiavelli aveva una scintilla compiaciuta nello sguardo. Solo lui
riusciva ad
interessare una creatura venuta da un profondissimo abisso di un Regno
D’ombra
sperduto nell’universo.
«
Quindi non è possibile che il dieci e l’undici siano in realtà due
cifre… perché ci sarebbero più numeri che lettere. E non si potrebbero
formare
le parole. »
«
Molto bene, Dagon, davvero molto bene. Eppure… » Machiavelli fece una
piccola pausa, osservando attentamente il suo segretario. « Avanza
comunque un
numero. »
Dagon
ebbe la sensazione di essere tornato al punto di partenza. Non
aveva abbastanza pazienza per sopportare la spiegazione di una diversa
chiave
di lettura di quella dannata cartolina.
Si
trattenne dallo sbuffare, sapendo che Machiavelli lo stava prendendo
in giro con quella pausa ad effetto.
«
Avanza un numero perché, nella speranza che tu lo notassi, non ho
contato apposta una lettera. »
«
Dove?»
« Non
c’è pace nelle stelle, sa?
No. Non c’è pace nelle stelle, sai?
»
Machiavelli
annuì, prendendosi il mento tra due dita, con noncuranza.
Come chi è già sicuro da tempo di vedere confermate le sue
supposizioni.
«
D’altra parte, non ho mai chiesto alla persona che ha scritto questo
messaggio di darmi del lei. »
Se
possibile, gli occhi di Dagon diventarono ancora più grandi, e la
sua bocca, per un momento, si aprì in una O muta, colto dalla stupore.
« Lei
sa di chi si tratta? »
Machiavelli
sorrise, e fece di nuovo segno a Dagon di avvicinarsi, gli
occhi grigi lampeggiavano di una serenità inquietante.
«
Vuoi sapere cosa viene fuori dalle misteriose lettere, Dagon? »
disse, quasi sussurrando, con malizia.
Spostò
con due dita una cartella chiara e sottile. Sotto di essa, un
altro dei suoi foglietti stropicciati.
Sopra,
solo due parole.
*
Il
dottor John Dee alzò il telefono e compose il numero, preparandosi
alla difficile conversazione che avrebbe dovuto sostenere.
Sentì
due squilli, poi gli arrivò una voce profonda all’orecchio.
«
Pronto? »
Dee
pensò in fretta che la gentilezza fosse superflua con esseri del
genere.
«
Passami Machiavelli, Dagon. »
« Si
chiede per
favore, dottore. Ti ascolto. »
John
si morse il labbro, infastidito. L’italiano si era sicuramente
avvicinato a Dagon mentre rispondeva.
Infantile.
« Non
posso dire che sia un piacere risentirti. » disse il Mago, la
voce neutra.
« Non
mi
sorprende. »
« Ti
ricordi quando mi hai detto che Richard si sarebbe fatto sentire,
che sarebbe andato in giro a creare fastidi e che l’avrei trovato ed
eliminato
prima che potesse far danni grazie alla sua voglia di mettersi in
mostra? »
«
Certo, dottore.
Mi ricordo. »
Dee
si strofinò la barba. Stava vivendo tutte le emozioni che aveva
provato in quei giorni. Preoccupazione per la questione di Richard.
Rabbia,
perché lui sapeva che poteva essere coinvolto Machiavelli , ma non
poteva
esserne certo. E divertimento, perché per una volta poteva rinfacciare
a
Machiavelli un fallimento.
« Non
è stato così. Anderson non si è più fatto sentire, e io comincio
a sentirmi… irritato. Sai cosa succede quando mi sento irritato. »
« Di
solito un
disastro. » gli
rispose la voce annoiata di Machiavelli. « Ma non capisco
perché chiami me. »
«
Chiamo te perché sei coinvolto, la sua fuga è anche una tua
responsabilità. »
«
Veramente non lo
è. La missione era affidata a te, io dovevo solo guardarti le spalle,
ed è quello
che è fatto. »
Dee
prese un profondo respiro, intimandosi di restare calmo.
« Sai
dove potrebbe essere andato Anderson? » chiese, arrivando
velocemente al punto della conversazione.
«
Immagino che tu
abbia già guardato a casa sua…»
« Sto
svolgendo delle indagini in segreto sulle sue abitudini… »
Dall’altro
capo della linea arrivò il rumore strascicato delle scarpe
di Machiavelli.
«
Pensavo che la
tua priorità fosse Flamel. »
« Lo
è. »
«
Cosa aspetti ad
andare a prenderlo? »
Dee
sorrise, un’idea che si faceva spazio nella sua mente.
«
Devi cercare tu Richard Anderson, Machiavelli. O potremmo finire
entrambi nei guai. Inutile che lo neghi. Se i nostri padroni lo
dovessero
scoprire, non farebbero così tanta distinzione tra i miei compiti e i
tuoi. »
«
Eppure… » la
risposta di
Machiavelli non tardò ad arrivare. « tu
mi sembri molto più preoccupato di me. »
«
Pretendi di sapere cosa mi passa per la testa. Ma ti sbagli di
grosso, e prima o poi potresti pentirtene. »
Dee
aspettò una risposta, ma evidentemente Machiavelli non aveva alcuna
voglia di sostenere una conversazione. Meglio così.
« Io
mi metterò sulle tracce di Flamel, ma il silenzio di Anderson
inizia a insospettirmi. »
Machiavelli
sospirò spazientito. Non sembrava prendere molto sul serio
la questione, ma con un tono di accondiscendente gentilezza non aspettò
a
rispondere.
«
Facciamo così,
dottore. Manderò Dagon a cercare il giornalista. Così, forse,
finalmente potrò
avere… »
Dee
interruppe la telefonata, sul momento solo vagamente soddisfatto.
Non si fidava affatto di Machiavelli, ma se qualche Oscuro Signore
avesse
scoperto che c’era un figlio degli homines che sapeva troppo, lui
avrebbe
potuto dire di essersene preoccupato, e di aver affidato il compito
all’altro
immortale.
Avrebbe
potuto dire di essere d’accordo con l’italiano, di aver potuto
ritenere risolta questa questione perché Machiavelli aveva accettato di
occuparsene personalmente.
Machiavelli
gli aveva fornito, pur non sapendolo, una scusa convincente
per avere le mani pulite sulla faccenda.
John
Dee sorrise con perfidia, rigirandosi il suo registratore vocale
fra le dita.
*
Machiavelli
aveva appena posato il telefono, e ora osservava Dagon
senza vederlo veramente, mentre le parole di Dee gli frullavano ancora
per la
mente.
«Se i
nostri padroni
lo dovessero scoprire, non farebbero così tanta distinzione tra i miei
compiti
e i tuoi. »
Aveva
sicuramente ragione, ma non era necessario dargli questa certezza
così presto.
«
Pretendi di
sapere cosa mi passa per la testa. Ma ti sbagli di grosso, e prima o
poi
potresti pentirtene. »
A
questa frase aveva avuto serie difficolta a trattenere un sogghigno.
Ma
davvero?
Pensò
quelle due parole con malizia e scetticismo, e per un attimo fu
tentato dall’idea di escogitare qualcosa per dimostrargli il contrario,
per
lasciarlo senza parole.
Ma
dovette rinunciare quasi subito all’idea. Non sarebbe risultato
producente mandare in pezzi quella alleanza, seppur scomoda, fastidiosa
e
assolutamente fragile, che i loro Padroni li avevano obbligati a
tenere.
Non
avevano mai nascosto il loro disprezzo reciproco, ma gli Oscuri
Signori li avevano fatti lavorare insieme diverse volte, forse perché
per certi
versi erano l’uno l’opposto dell’altro.
A
questo punto, Dee avrebbe anche potuto smettere di preoccuparsi per
Richard, e Machiavelli non aveva bisogno di farlo, dato che aveva un
mezzo di
spionaggio infallibile e sapeva già dove si trovava in quel momento.
«
Lancia Odino?»
La
voce dalla sonorità cupa di Dagon ridestò l’italiano dai suoi
pensieri.
« Sì.
» si affrettò a dire, riportando la concentrazione sul suo
segretario e sulle due parole misteriose.
«
Immagino che la forma corretta del messaggio sia Lancia di Odino,
ovviamente, ma non penso che
chi me l’ha mandato abbia avuto molto tempo. Aveva fretta, si capisce
dalla
scrittura marcata e disordinata, e dal fatto che non abbia potuto
inventare un
codice più complesso. »
Dagon
rimase in silenzio. Non era mai stato abituato a fare tante
domande, o ad interessarsi delle risposte. Per lui bastava che
Machiavelli
avesse la situazione sotto controllo e che non corresse rischi.
«
Bene, adesso…» iniziò l’italiano, l’espressione serena e soddisfatta
« ti spiacerebbe andare a dare un’occhiata al… quaderno? Intanto
io proverò ad usare questo tempo per riflettere.»
La
creatura annuì, in silenzio si diresse verso la cucina, e sul tavolo
bianchissimo risaltava il sottile quaderno nero con la copertina
rigida. Sul
colore scuro si potevano distinguere delle cupe sfumature blu notte.
Dagon
lo aprì, ad una pagina a caso, poi afferrò una penna e cominciò a
scrivere poche parole, con la sua scrittura grossolana, proprio al
centro delle
due pagine.
Richard
Anderson
Poteva
bastare? O doveva scrivere anche i nomi dei Flamel?
Ma
prima che potesse dare una risposta a quella domanda il sottile
libricino aveva già cominciato a vibrare. Un disegno molto realistico
cominciò
a delinearsi davanti ai suoi occhi, occupando tutte e due le pagine con
linee
morbide e rossicce, più spesse e più sottili a seconda delle zone
d’ombra o di luce.
Dagon
incrociò le braccia e osservò il giovane giornalista gesticolare
a scatti, dalla prospettiva che quell’antichissimo strumento di
spionaggio gli
offriva.
*
Con il volto magro nascosto dal
cappuccio grigio di una felpa rovinata, un ragazzo fissava intensamente
davanti
a sé, aspettando la metropolitana. Dei brividi freddi gli
attraversavano la
schiena, facendolo sussultare. Una donna di mezza età lo guardò con
spaesamento
e timore. Chissà cosa doveva pensare in quel momento, quella vecchia
figlia
degli homines.
I
sussulti divennero sempre più frequenti. Il ragazzo gemette, non
riuscendo più a controllare il tremore allo sterno, e il sudore freddo
che gli
scendeva dalla fronte e sul collo. Si strinse nella felpa, piegato in
due, ad
ogni battito del cuore seguiva un nuovo sobbalzo delle costole e della
schiena.
E improvvisamente si sentì la mente vuota. Ignorava tutto, perché
niente
contava più qualcosa. Il rumore della metropolitana, le parole della
donna, che
adesso si era alzata. Lui non aveva nemmeno il coraggio di alzare gli
occhi per
guardarla, e anche se lo avesse avuto, non sarebbe riuscito a muovere
un
muscolo.
Riusciva
solo a pensare al freddo. E
a lei, come era ovvio.
All’improvviso
sentì una mano sulla spalla, una mano calda, così calda
da bruciarlo. Qualcosa scattò in lui, e davanti ai suoi occhi tutto si
fece
rosso.
Si
alzò di scatto, si liberò con un gesto violento dalla leggera presa
della donna.
Poi
scappò. Tenendo gli occhi bassi, e le braccia ancora strette al
petto. Ogni figura che vedeva alzando appena le iridi lucide di febbre
era
cerchiata di rosso vivo.
Corse
fino a non avere più fiato, la gente si scansava davanti a lui,
istintivamente, e lui aveva paura di cadere, perché non gli reggevano
le gambe.
Si
gettò in un bagno e si sporse verso il lavandino. Non aveva il
coraggio di guardarsi allo specchio.
Sentì
un ultimo brivido, più lungo, più agghiacciante, che gli fece
inarcare la schiena. Poi tutto finì, velocemente come era iniziato. E
lui
riprese rapidamente il controllo della sua mente.
« Sei
spietata. »
Il
bagno non era deserto, lo sapeva. Sapeva che lei era lì, e ancora
una volta, dentro di lui l’arroganza fu più forte di ogni altra cosa.
« Sai
bene che non è mia la colpa. »
Il
ragazzo si girò. Davanti a lui c’era lei, bella come la ricordava, i
cappelli biondo platino lunghi fino alla vita, la corporatura esile ma
scattante, un perfetto volto ovale e gli occhi color lavanda.
Rimase
impassibile, ricambiando l’espressione di ghiaccio della
ragazza.
«
Questo succede ai traditori come te. »
Il
ragazzo ghignò, irriverente.
«
Questo succede quando ci sei tu nelle vicinanze… »
La
ragazza scosse appena la testa.
«
Succede quando sono troppo poco vicina perché tu mi possa vedere… »
precisò con voce melodiosa « ma abbastanza vicina perché tu mi possa
sentire. »
Il
ragazzo alzò le spalle, e per un attimo gli parve di vedere
un’espressione ferita sul bel volto della giovane di fronte a lui.
«
Devi tornare. » gli disse, esitante ma fredda al tempo stesso.
Fredda.
Era così che lui l’aveva sempre ricordata. Era così che era
sempre stata, in verità.
Si
era solo immaginato quella lieve traccia di speranza nella sua voce?
« Io
non penso. »
Sfoderò
il suo migliore sorriso sarcastico. Non si era mai pentito
delle scelte che aveva fatto, e non sarebbe tornato sui suoi passi.
Nemmeno per
lei.
Era
passato quasi mezzo secolo, e in quel tempo lui aveva rafforzato le
sue idee. Era nel giusto, e non ne era mai stato più sicuro.
«
Invece devi farlo, adesso è necessario. »
Il
ragazzo fece finta di pensarci su, poi, con un sorriso sghembo,
scosse la testa.
Lei
divenne appena un po’ più pallida, facendo risplendere la chiarezza
del suo volto sotto le lampade al neon.
« Ma
adesso ti ho trovato. E chiamerò loro, se non vorrai
ricongiungerti a noi di tua volontà»
Il
ragazzo si accigliò e sbuffò di rabbia.
«
Pensi che mi vogliano? Mi uccideranno appena rimetterò piede nel loro
Regno d’Ombra!»
Si
ricordò solo dopo aver urlato quelle parole di essere nel bagno di
una metropolitana piena di homines. Gettò occhiate nervose intorno a
lui,
ammutolendosi.
La
ragazza, invece, sorrise vittoriosa.
« Sono passati più di
cinquant’anni, ma ancora non hai
imparato a vivere con gli homines! Non ho mai capito che cosa cerchi,
Alypion,
ma non lo troverai mai, qualunque cosa sia, perché sei un estraneo sia
in
questo Regno d’Ombra che nella tua vera casa! »
Alypion le rivolse
un’occhiata sprezzante, sperando di
riuscire a spezzare quel sorriso. Era tutto quello che si meritava.
Un sorriso sarcastico,
trionfante e caldo. Troppo caldo per
una come lei.
« Quella non è mai stata
casa mia. Tu non sei mai stata casa mia. »
Si gettò fuori dal
bagno, lasciando aperto il lavandino,
salendo le scale fino in superficie.
Non aveva tempo e non
aveva voglia di pensare a quell’incontro.
Con un sorriso divertito
si chiese se il suo messaggio
fosse stato compreso.
*
Machiavelli osservò
Dagon tenere d’occhio Richard Anderson
attraverso il quaderno, le sopracciglia inarcate in una domanda muta.
La creatura nemmeno lo
guardò. Non ne aveva bisogno.
« Niente, per adesso,
signor Machiavelli. Ma… Flamel e sua
moglie hanno lasciato solo il ragazzo. »
Niccolò annuì. Era
logico che volessero consultarsi sul suo
conto.
« Avvertimi se noti
qualche cambiamento, Dagon. »
L’italiano tornò a
concentrarsi sul suo misterioso
messaggio. Pensava di aver capito a cosa si riferiva il suo informatore
quando
parlava di telescopi e stelle.
E poi, c’era il “giovane
figlio degli homines”.
Ci aveva già riflettuto
parecchio. Non poteva essere sicuro
che fosse riferito ad Anderson, eppure era l’unico giovane con cui era
venuto
in contatto di recente.
Ma era un’idea ridicola.
Era solo un giornalista da quattro
soldi, non poteva certo essere affiancato a delle informazioni così
importanti.
Machiavelli pensò che
sarebbe stato utile scoprire cosa era
successo alla Lancia di Odino. Gungnir.
« Gungnir è una delle
Antiche Armi che sono state usate
dagli Antichi Signori per sottrarre agli Arconti il dominio dei Regni
d’Ombra.
»
Dagon staccò appena gli
occhi enormi dal quaderno, per poi
riportarceli subito dopo. Machiavelli continuò a ragionare ad alta
voce.
« Appartiene ad Odino,
ma tutti gli Antichi Signori
vorrebbero possederla. Esiste un collegamento tra questa e i
“telescopi” del
messaggio. Sai a cosa si riferisce questa parola, Dagon? »
La creatura lo guardò e
scosse la testa.
« Con questo nome
venivano chiamati i Veglianti, quando non
si voleva far sapere che si stava parlando di loro. A causa della loro
capacità
di vedere le realtà presenti in ogni Regno d’Ombra, immagino. »
Dagon si accigliò.
« Ma adesso sono
imprigionati. Ade gli ha rinchiusi nel suo
Regno d’Ombra infernale. »
« Sì. » confermò
Machiavelli. « e sai qual è la cosa
interessante? Gungnir, la lancia di Odino, sarebbe l’unico oggetto in
grado di
spezzare le catene di Ade e di liberarli. »
L’italiano sorrise.
« Deve essere successo
qualcosa alla Lancia. Non sarebbe la
prima volta che qualcuno prende di mira le Antiche Armi. La Tunica di
Deianira,
per esempio, è stata rubata due secoli fa, e ancora la sua padrona non
l’ha
ritrovata. Che sia successa la stessa cosa alla Lancia? »
Machiavelli si alzò e
prese a misurare a grandi passi la
cucina, le dita unite davanti al mento. Il suo segretario lo osservava
con cupo
interesse.
« Il messaggio, in poche
parole, ci dice che ai Veglianti è
stato permesso di usare i loro poteri per osservare di nuovo ciò che
accade nei
Regni. Trovo improbabile che siano riusciti a liberarsi, e Ade non è
certo il
tipo da disfarsi di prigionieri che detesta. Quindi deve essere stato
permesso
loro di usare di nuovo gli Occhi, pur non potendo uscire dall’Ade. »
Dagon emise un sbuffo
scettico.
« Ma perché gli Oscuri
Signori dovrebbero farlo? »
« Perché i Veglianti
devono ritrovare la Lancia di Odino.
Ecco il collegamento con i Veglianti, con i telescopi.
È la quarta Arma che è stata rubata, Dagon. Dopo la Tunica sapevo che
qualcuno
avrebbe cercato di rubare anche Gungnir. Chissà se è sempre la solita… persona, se così si può dire, o se sono
stati diversi soggetti a rubare le prime tre Armi. »
Machiavelli si passò una
mano nei capelli, eccitato da
tutte quelle rivelazioni.
Emise una breve, fredda
risata.
« E poi…» disse,
tornando serio « il messaggio dice che
tutto questo è collegato ad un figlio degli homines, in un modo che con
molta
probabilità nemmeno l’informatore si spiega. »
Con una strana scintilla
negli occhi chiari, Machiavelli
raggiunse il tavolo e sfilò il quaderno dalle mani di Dagon, girandolo
verso di
sé.
Osservò il volto magro e
affilato di Richard Anderson, i
suoi movimenti a scatti. Poi, con un rapido movimento del posto girò la
pagina,
mentre Dagon lo guardava non troppo sorpreso.
Machiavelli prese una
penna e scrisse due parole, un nome,
in cima ad una pagina bianca.
Alypion Desiephr
Note
di
Tacet433
In
realtà non ho molto da dire questa volta. Mi scuso per i lunghi tempi
che
impiego ad aggiornare, per l’ennesima volta-.-“
Spero
di non avervi annoiati con tutte quelle spiegazioni, e spero di
inserire un po’
più di azione, nel prossimo. Volevo già farlo in questo, ma sarebbe
venuto
fuori qualcosa di troppo lungo che non avrei saputo come interrompere.
Ringrazio
tantissimo chi continua a seguire questa storia, nonostante i miei
tempi
biblici.