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Autore: Ezzy O    19/05/2013    1 recensioni
"Quando fu sicuro di non sentire più niente se non la roccia sotto la pelle e l'aria che scivolava nei polmoni, aprì gli occhi.
La creatura era lì.
Sembrava aspettarlo.
La vide avviarsi, lentamente e senza nascondersi.
Non si alzò, non la rincorse.
Quella se ne accorse e si fermò dopo pochi passi silenziosi.
Rimase a fissarlo dritto negli occhi.
"Vieni." disse con la sua voce roca, e riprese a camminare.
Questa volta, Loki la seguì."
Dall'Inferno, sorgerà di nuovo il Caos pieno di rancore, assetato di vendetta e, questa volta, non sarà solo...
Genere: Angst, Dark, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Thor
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Outcast'
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Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, citazioni e personaggi appartengono ai rispettivi proprietari.

Per il trailer della storia cliccate qui: http://www.youtube.com/watch?v=rpN3zfr5Sp8&feature=youtu.be

Η ΕΡΙΣ ΧΙΛΙΩΝ ΑΠΑΤΩΝ
La discordia di mille inganni
 

 

I
ΔΕΣΜΩΤΗΡΙΟΝ
Desmoterion


"Per me si va ne la città dolente, 
per me si va ne l’etterno dolore, 
per me si va tra la perduta gente.

[...] 
Dinanzi a me non fuor cose create 
se non etterne, e io etterno duro. 
Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate."

Dante Alighieri, Inferno

Λ

La prima cosa che lo colpì, forte come un pugno nello stomaco, fu il silenzio: l’aria era completamente immobile, pesava su di lui come un macigno, lo soffocava. C’era qualcosa di così innaturale in quell’assenza di suoni, che temeva di spezzarlo con il suo solo respiro e per questo non osava prendere fiato.
Aveva la sensazione che sarebbe successo qualcosa di orrendo, se solo ci avesse provato.
Aprì gli occhi e vide ancora buio, di un nero così profondo da sembrare solido; non c’era nemmeno una luce, neanche un riflesso, una scintilla, niente che scalfisse quella massa di tenebre che lo avvolgeva. Era certo che le sue mani fossero davanti al volto, a poca distanza, ma non riusciva a scorgerle.
Che la caduta lo avesse reso cieco?
Perché, si chiese, c’era stata forse una caduta?
Non ricordava.
Un barlume di memoria si fece strada nella sua mente annebbiata: luce dorata, una voce imperiosa, lastre fredde sotto la sua pelle.
Freddo.
Provò a muovere le dita, con cautela perché aveva la paura irrazionale che non gli appartenessero più; pian piano riprese coscienza delle sue mani: i polpastrelli erano ancora a contatto con un pavimento gelido, o almeno pensava che fosse un pavimento, completamente liscio e asciutto, sterile.
Alla fine non riuscì a trattenere di più il fiato. Il rumore del suo respiro era un boato in quel silenzio; con paura, si rese conto di non sentire alcun odore, di non percepire niente se non il gelo che gli pugnalava i polmoni e anch’esso aveva un non so che di asettico che lo terrorizzava: non era l’aria ghiacciata di un mattino invernale ad Asgard, non era il respiro lento di Jotunheim, ma solo freddo, nient’altro che freddo.
Non seppe mai per quanto fosse rimasto lì, sdraiato sul petto, a fissare le tenebre vuote; la paura di muoversi lo teneva bloccato a terra: alzarsi significava rassegnarsi a quel destino, significava raccogliere ciò che era rimasto della sua anima e tentare di sopravvivere.
I ricordi tornavano poco alla volta, a ondate dolorose: rivide un Æsir in armatura sopra di lui, rivide la sua lancia puntata contro, la rabbia profonda e il disgusto nel suo sguardo, gli occhi disperati di Thor e Frigga… E poi… Poi il pavimento era collassato sotto i suoi piedi.
Incapace di scappare, incapace di urlare, aveva visto la voragine venirgli incontro, circondarlo, inghiottirlo nelle sue fauci nere e spietate; il buio lo aveva avvolto, si era avvinghiato a lui in mille tentacoli e lo aveva trascinato giù, giù, sempre più in fondo.
In ogni istante aveva creduto di morire.
In ogni istante era effettivamente morto.
Pregava di esserlo, pur di vedere una luce, una singola luce, pur di non provare più un terrore come quello.
Il suo respiro si faceva via via più spezzato, sentiva che stava soffocando. Provò ad aprire la bocca, cercando di fare entrare più aria possibile; una fitta lancinante lo fece urlare. Il dolore aumentò.
Percorse il profilo delle labbra con la lingua: il sapore metallico del sangue fresco gli diede la nausea.
Quando le sue mani sfiorarono il volto, si accorse che stava tremando. Fece passare le dita sul contorno della bocca, il più delicatamente possibile, ma non servì a niente: ogni volta che il suo tocco incontrava i fili resi spessi e bagnati dal sangue, una nuova fitta si aggiungeva alle altre.
Se si lasciava sfuggire un gemito, il dolore aumentava.
Se invece provava a serrare le labbra per trattenerlo, era ancora peggio.
Non c’era via d’uscita.
Un nodo ghiacciato gli premeva nel petto, irrigidendo via via ogni osso, muscolo, vena e nervo; fremeva e scattava, cercando una via d’uscita dal suo stesso corpo. Le convulsioni aumentavano con il panico.
Con la totale assenza di luce, non si rese conto del velo che gli copriva gli occhi, non subito, non prima che lacrime salate scivolassero verso le labbra cucite, mischiandosi al sangue e aumentando la tortura.
Loki pianse di paura e dolore; tremò finchè i muscoli non ressero più; fissò in vano il buio, cercando la prova che tutto fosse solo un sogno, solo l’ennesima bugia, che si sarebbe svegliato o che presto sarebbe morto. Avrebbe dato qualsiasi cosa, pur di non affrontare l’oscurità.
Quando le convulsioni si ridussero a minuscoli scatti isolati, quando si sentì dolorante in ogni singolo punto del corpo, quando si accorse che nemmeno il contatto con la sua pelle aveva scaldato la roccia, solo allora capì; era lucido e razionale come non mai, capiva.
Non finirà mai…
Il buio, il dolore, il freddo che provava, erano solo l’inizio dell’eternità.
 
Forse aveva dormito, forse no, difficile dirlo: tutto era esattamente uguale a prima.
Questa era la tortura a lui assegnata in quell’Inferno: l’infinito. Qualunque cosa avesse fatto, non sarebbe morto; poteva anche aspettare lì in eterno, contorcersi nella fame e nella sete, e non sarebbe cambiato niente.
Mosse leggermente le labbra, infastidito dal sangue rappreso che gli pizzicava la pelle.
Chissà se riusciva ancora a camminare…
Pensò intensamente ad alzarsi in piedi, immaginò i suoi muscoli lavorare, ma questi non gli risposero: la paura di poco prima (era poco? Era molto? C’era differenza?) li intorpidiva, legandoli al suolo. Gli sembrava di pesare tonnellate, e allo stesso tempo si sentiva stanco e gracile come mai prima di allora.
Gli ci volle un grande sforzo di volontà solo per sollevare il busto. Ebbe un capogiro, le braccia smisero di reggerlo e cadde nuovamente, battendo la mascella contro la pietra.
Intontito, si lasciò andare al suolo, senza più muoversi; e, d’altra parte, che vantaggio avrebbe mai potuto ricavarne? Sarebbe cambiato qualcosa se fosse riuscito ad alzarsi?
No.
Avrebbe forse trovato una via d’uscita, mettendosi in piedi?
No.
Avrebbe dimostrato qualcosa a qualcuno, intestardendosi?
No.
No, ma… questo valeva anche nel caso si fosse arreso. Era combattuto tra orgoglio e ragione: l’idea di rinunciare, dopo tutto ciò che aveva affrontato, dopo tutte le sue battaglie, forse inutili ma ostinate, lo disgustava. La superbia faceva pian piano leva sull’inattaccabile logica del suo cervello.
Provò ancora.
Le articolazioni scrocchiarono e i muscoli gemettero di nuovo per lo sforzo.
Alla fine, combattendo contro i giramenti di testa, riuscì a mettersi in ginocchio.
Allungò le braccia intorpidite, cercando un appiglio per aiutarsi, ma le dita incontrarono solo la massa nera del buio.
Provò anche a girarsi. Stesso risultato.
Di nuovo ebbe la tentazione di arrendersi, di nuovo il suo orgoglio glielo impedì e, come già aveva fatto dopo la caduta dal Bifrost, si alzò in piedi con le sue sole forze.
Le gambe tremarono mentre il sangue ricominciava a scorrere.
Vacillò, ma riuscì a non cadere.
E adesso?
Adesso, poteva provare a camminare, sempre meglio che rimanere lì.
Cominciò, un passo indeciso alla volta, e mentre avanzava contò.
Dieci.
Cento.
Mille.
Diecimila.
Quando perse il conto, capì che l'eternità non sarebbe passata neanche camminando. In compenso, si sentiva prossimo allo svenimento.
Si sporse in avanti, stanco.
Con sua sorpresa, sfiorò quello che sembrava una parete. Era fredda, liscia e sterile come il pavimento.
Ci si appoggiò, mentre lottava per continuare a respirare col naso. Sentiva un disperato bisogno d'aria, ma non ci teneva a riaprire le ferite sulla bocca.
Restò così a lungo, cercando di riprendere fiato nonostante ogni respiro fosse una lama ghiacciata nella gola.
Dopo un po', il sonno premeva già sulle palpebre, gli occhi bruciavano disidratati dal freddo.
Si ritrovò a fissare l'oscurità immobile davanti a sè, così per un tempo indefinito, senza pensare o provare niente a parte la stanchezza.
Flash di ricordi, forse allucinazioni, forse sogni o incubi, gli balenavano nella mente, soprattutto di Thor, dei momenti in cui giocavano insieme da bambini.
E non sentì nessuna angoscia, nessun dolore per quelle immagini; era come se appartenessero a un estraneo, magari al personaggio di un libro letto tanto tempo prima.
Pian piano stava perdendo conoscenza.
Anche il dolore si era assopito: ora non sentiva che un sordido battito che gli percorreva il corpo, confondendosi con quello del cuore, sempre più lento e flebile, ma mai sul punto di fermarsi.
Nell'ultimo barlume di coscienza, sperò con disprezzo che l'Allfather fosse soddisfatto: era riuscito a privarlo di ogni cosa, della sua casa, delle sue speranze, della parola, della vendetta, perfino della libertà di morire.
Rabbia e rancore si agitavano in lui.
Erano una ninna nanna dolceamara di speranze irrealizzabili, ma dopotutto si stava ormai abituando a vedere i suoi piani andare in frantumi...
 
Non se ne accorse, non subito.
Nello stato di dormiveglia in cui stava piombando, il suo cervello fece fatica a elaborare ciò che già avevano visto i suoi occhi.
Eppure era lì.
Ancora un guizzo; improvvisamente capì e il suo corpo ebbe un fremito: luce, verdognola, debole e lontana.
Luce.
Luce.
Pensò di star sognando; mosse le labbra scatenando di nuovo il dolore e la luce restò là dov'era, senza sparire.
Si drizzò in piedi, mentre la paura di credere a quella piccola, impossibile visione lo destava del tutto.
La luce doveva venire da qualcosa, forse una via d'uscita, forse qualcuno che avevano mandato a prenderlo, non lo sapeva, riusciva solo a pensare che esistesse qualcosa oltre al buio.
Fece per muovere un passo, ma una strana sensazione lo bloccò: come un brivido di freddo sotto la pelle, che penetrava sottile nelle ossa e scavava dentro di lui.
La luce pulsò.
Il battito di un cuore estraneo ruppe il silenzio; si insinuò come un cuneo nel suo petto, portando con sé una paura violenta e irrazionale.
La pulsazione accelerò, mentre la luce si faceva via via più brillante e vicina.
Loki era irrigidito in una morsa di panico: qualcosa lo osservava, stava arrivando e non sarebbe stato in grado si affrontarla!
Il battito si era trasformato nel rombo di un tamburo da guerra; il suono gli serrava la gola e gli mozzava il respiro. Ebbe la certezza di dover fuggire, scappare il più velocemente possibile da qualunque cosa stesse avanzando verso di lui.
"Fuggi!" urlò una voce nella sua testa.
"Fuggi!" le gambe era bloccate da un gelo che non sapeva se definire paura o peggio.
"FUGGI!"
Indietreggiò di scatto; il suo piede incontrò solo il vuoto.
Si sbilanciò, cadde nel buio, ma non per molto: scontrò le rocce della gola con la schiena, stoffa e pelle si lacerarono e sentì le ossa della colonna stridere contro i bordi affilati.
L'impatto lo lasciò senza fiato dal dolore.
Doveva aver urlato durante la caduta, perchè avvertiva di nuovo il sapore del ferro sulla lingua e i fili che incidevano la carne.
Tossì, liberandosi la gola dal sangue.
Il rumore dei tamburi non era cessato, se ne accorse appena le orecchie smisero di ronzare, anzi, era ancora più forte.
Vide la luce sull'orlo della gola, la vide piombare su di lui con dietro una massa informe e nera.
Gli atterrò addosso, lo bloccò a terra facendo scricchiolare le ossa della spalla e lo scintillio di un'arma brillò nell'oscurità mentre calava sulla sua gola.
Chiuse gli occhi, preparandosi al dolore... ma nulla arrivò.
I tamburi tacevano adesso, invece un respiro freddo e affannato gli investiva piano il viso. La pressione sulla spalla non diminuì, ma qualunque cosa lo stesse trattenendo esitava.
Aprì piano le palpebre; le pupille, ormai abituate al buio, vennero accecate da una luce verde chiaro. Solo quando si fu abituato, riuscì a mettere a fuoco ciò che aveva davanti e il suo sguardo ne incontrò un altro: occhi neri profondi come abissi, in cui leggeva mille sentimenti contrastanti, un misto di sorpresa, rabbia, gelo e curiosità. Li incorniciava quello che sembrava un viso magro e scheletrico.
Quegli occhi lo trapassavano, scavavano letteralmente nel suo cuore; riconobbe la sensazione di panico di poco prima: era quell'essere a trasmetterla, lo circondava come un'aura.
Poi parlò, la sua voce era roca e indefinita in un modo orribile: "Ti ei?" ringhiò, mostrando i denti.



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Spazio dell’Autrice
 
Salve a tutti!
Per prima cosa, grazie per aver letto il primo capitolo della mia storia spero che vi abbia terrorizzati e ansiati vi sia piaciuto, commentate mi raccomando :) poi un paio di informazioni e precisazioni:
1. What if, perché ho iniziato a scriverla poco dopo l’uscita di Avengers, ma ho posticipato la pubblicazione in modo da avere a disposizione abbastanza capitoli da permettermi di postarli regolarmente ogni domenica :) Quindi dimenticate il trailer di Thor 2, ma non Iron Man 3 per motivi che saranno chiari in seguito.
2. La storia sarà raccontata dal punto di vista dei vari protagonisti; capirete quando cambia la voce narrante dalle lettere greche in corsivo poste tra un paragrafo e l’altro e che indicheranno sempre l’iniziale del personaggio-narratore. Ho previsto cinque diversi punti di vista che saranno svelati man mano che la storia prosegue.
3. La lunghezza dei capitoli varierà (questo, per esempio, è uno dei più corti che ho scritto); il motivo è che il capitolo si fermerà sempre in un punto di tensione perché sono sadica *w* perché ho intenzione di tenervi con il fiato sospeso fino al capitolo seguente ^^
4. Ci saranno sempre delle citazioni, sia fuori che dentro la storia. Certo è che ne metterò almeno una ogni capitolo, per aiutarvi a coglierne l’atmosfera e darvi un’idea di che cosa succederà, ma per lo stesso motivo a volte cambierà la loro posizione: questa volta è all’inizio, però potrà capitare anche alla fine a seconda delle necessità di narrazione.
- Il titolo di oggi!!
La traduzione in italiano del titolo odierno è “prigione”.
- La citazione di oggi!!
Oggi la nostra citazione viene dal canto terzo dell’Inferno del nostro caro Dante Alighieri; si tratta della scritta che il poeta legge sulla Porta dell’Inferno prima di entrarci (tutto un programma!).
Ci vediamo domenica prossima con un nuovo capitolo! Ezzy O
 
P.s. Il titolo della storia contiene un indizio sull’identità di uno dei nuovi personaggi… chi sa indovinare? **
  
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