Serie TV > Castle
Segui la storia  |       
Autore: dilpa93    19/05/2013    7 recensioni
Solo allora, sentendo il suo nome, la donna alzò la testa incrociando lo sguardo del nuovo arrivato.
Lui la scrutò a fondo. Nei suoi occhi verdi aveva trovato più di quanto potesse immaginare, aveva trovato la pace.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Quasi tutti, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

L’agente Fallon si era lamentato del comportamento indisciplinato tenuto da Castle durante l’operazione, così che il capitano del 9th distretto si era ritrovato con le spalle al muro. Quando quella mattina arrivò trafelato, stanco, irritato, in ritardo, Tobias era già alla sua scrivania ad aspettarlo.
“Sei in ritardo, e non hai un bell’aspetto. Non ti vedevo con certe occhiaie da… beh, da anni.” Lo sfotté, rincarando la dose, ancora prima che gli arrivasse davanti. “Sei nei guai. L’FBI è venuto a fare storie. Hanno cercato di rifilarti la colpa per ciò che è successo ieri notte. Sono riuscito ad evitarti un richiamo disciplinare e la sospensione, ma mi hanno messo alle strette e… per un po’ non potrai seguire alcuna indagine sul campo.”
“Allora preferisco essere sospeso” disse acido sorridendo amaramente.
“Cerca di capire, ho le mani legate, e l’unica cosa che posso fare è mandarti negli archivi a sistemare carte arretrate.”
“Perché negli archivi, perché non qui?”
Il capitano si alzò e gli si mise accanto. Gli circondò le spalle cominciando a dirigersi verso il seminterrato.
“Se sarai di sotto non ti farai distrarre da altri casi, e soprattutto potrò portarti informazioni riguardo il caso Tisdale, lontano da occhi e orecchie indiscrete.”
Un poco contrariato si lasciò convincere.
 
Il tempo passava a rilento. Forse per via della luce fioca che ogni tanto faceva le bizze, o per la quantità di polvere che riempiva quel luogo di un odore acre e pungente.
Domandandosi saltuariamente come mai nessuno avesse mai dato una ripulita, riordinava fascicoli, riempiva scartoffie, contrassegnava scatoloni, nella speranza che gli arrivassero presto notizie. E ancora gli rimbombava nella testa la frase sentita alla radio quella mattina.
 
‘Peter Tisdale, ormai noto come lo Sgozzatore di Boston, è riuscito a sfuggire all’arresto questa notte. Poche sono le notizie trapelate circa l’accaduto. Pare che la colpa sia riconducibile all’azione avventata di uno degli agenti, ma nulla è certo.’
 
Indolenzito si stiracchiò e guardò l’ora.
 
Erano le 22.38
 
Non credeva fosse già così tardi.
A passo spedito e deciso, salì le scale e percorse il lungo corridoio che lo avrebbe condotto all’ascensore.
“Ehi Castle, riemerso dall’inferno?” Lo schernì un collega.
“Molto simpatico Dimitri. Mi sa tanto che se avrò bisogno di un aiuto suggerirò il tuo nome.”
“Ho capito, sto zitto.” Alzò le mani in segno di difesa passandosele poi tra i radi capelli biondi.
 
Dimitri era arrivato al 9th distretto due anni prima. Inserito da subito nella squadra di Castle, si era trovato immediatamente a suo agio. Il suo lieve accento ucraino e i suoi tratti marcati, tipici dell’Est, gli davano un’aria dura e severa, l’opposto del suo carattere.
Con Rick era nata una bella amicizia anche fuori dall’ambiente lavorativo. Aveva capito come prendere quel detective ogni tanto un po’ burbero. Sapeva quando era il momento di aiutarlo, o di lasciargli fare le cose da solo, ed inoltre, con l’aiuto di Castle, era anche riuscito a sciogliersi un po’.
 
“Bravo...” Lo redarguì ironico facendogli l’occhiolino e li augurò una buona serata. Poi, passando davanti all’ufficio del capitano, lo vide salutarlo con un sorriso e un lieve cenno di mano dopo essersi sfilato gli occhiali da lettura.
Non appena salì in macchina, infilò le chiavi nel quadro. La radio si accese immediatamente quando diede un po’ di corrente. Non aveva voglia di sentirla e, dopo averla spenta, riservò il medesimo trattamento al cellulare.
Si mise la cintura, fece manovra per uscire dallo stretto parcheggio in cui era riuscito ad infilarsi miracolosamente quella mattina, e si diresse verso casa.
 
22.46
 
Il telefono al distretto squillò nel momento in cui il detective dell’Europa dell’Est aveva spento il computer.
Uno squillo.
Due squilli.
La luce sulla sua scrivania cominciò a sfarfallare fino a spegnersi.
 
Tre squilli.
Fissò la cornetta nera vibrare leggermente a seguito del trillo.
 
Quattro squilli.
Alzò il ricevitore portandolo tremante all’orecchio.
Qualcosa non andava, provava la strana sensazione che fosse appena accaduto qualcosa di brutto e sgradevole.
“Detective Sokolòv.”
 
22.51
 
Spazientito sbatté le mani sul volante. Come mai tutto quel traffico a quell’ora?
Si procedeva a rilento. Aveva preso la solita scorciatoia, ma, quella sera, avrebbe fatto meglio a scegliere la strada principale.
 
Guardò alla sua sinistra, un bicicletta lo aveva appena sorpassato.
 
In lontananza si sentivano le sirene di un’ambulanza.
“C’è chi sta peggio di me” si ritrovò a pensare mentre si passava la mano lungo il collo nel tentativo di sciogliere la tensione accumulatasi in quel punto.
All’improvviso un’auto si inserì nella sua corsia, qualche metro davanti a lui.
I clacson presero a suonare impazziti, il conducente del taxi urtato scese imprecando. Riusciva solo a vederne i contorni, illuminati dai fari delle macchine provenienti dalla corsia opposta.
Sperò di non dover essere costretto ad intervenire, che riuscissero a risolvere tutto in fretta. Voleva tornare a casa.
 
22.57
 
La carnagione di Dimitri si fece ancora più pallida mentre annotava sul block notes l’indirizzo.
Sospingendosi con le braccia al bordo della scrivania, vi ci si allontanò e corse nell’ufficio del suo superiore facendovi irruzione.
“Capitano, c’è stato un omicidio.”
L’uomo dai capelli brizzolati quasi sorrise sentendo il suo accento storpiare, anche se di poco, le parole appena pronunciate. “Sai come procedere Sokolòv.”
“Signore, l’indirizzo... l’indirizzo è...” non riuscì a dirlo, così gli allungò l’agendina.
“Dannazione!”
Fece radunare tutti gli agenti disponibili. Il caso doveva avere la massima priorità.
Le volanti partirono a sirene spiegate, i lampeggianti blu si riflettevano in quel buio sceso troppo velocemente.
Tobias provava imperterrito a chiamarlo al cellulare.
Niente.
Sempre staccato.
Sbraitava e imprecava mentre inseriva una marcia dietro l’altra. Si ritrovò a bestemmiare contro la voce registrata della segreteria.
“Andiamo diamine. Rispondi! Dai cazzo, accendi quel cellulare!”
Ma le sue preghiere non vennero ascoltate.
Il cellulare era sempre spento.
 
23.32
 
Ancora non aveva svoltato nella sua via, e già in lontananza poteva vedere la luce intermittente delle sirene farsi spazio tra il cielo stellato.
Abbandonò l’auto in mezzo alla carreggiata e, velocemente, si fece strada tra le ombre fino a raggiungerne una conosciuta.
“Dimitri c-che succede?”
“Rick, mi dispiace, mi dispiace tanto.”
“D-di cosa ti dispiace, che succede? Dov’è Alexis?”
L’ucraino non disse nulla, si limitò a puntare gli occhi nei suoi, mischiando l’azzurro del cielo con il blu del mare.
“N- no… no, Alexis, Alexis no. Devo andare da lei.” Balbettava sentendo un peso nel petto. Il solo pensiero della sua morte lo stava già corrodendo, lentamente, infidamente.
“No amico.” Gli si parò davanti, stringendolo tra le braccia.
“Lasciami andare! Devo andare da lei, devo! Lasciami!” Si dimenò, spinse contro il petto del ragazzo, ma non riuscì a trovare la forza necessaria per buttarlo a terra. Era svanita, lasciando spazio solo alla debolezza.
“Non entrare Rick.” La voce profonda di Tobias si avvicinò a loro, “non voglio che tu la ricordi così.”
Le narici si allargarono permettendo a molta più aria di entrare, lo sguardo si fece sanguinolento; i denti digrignavano senza sosta.
“Ho detto fammi entrare” scandì bene, “è di mia figlia che stiamo parlando porca puttana!!”
“Come vuoi.” Si fece da parte lasciandogli il via libera, lo guardò fiondarsi nel palazzo e salire le scale due gradini alla volta, gli ultimi tre con un balzo solo.
 
Tutto parve bloccasi al suo ingresso.
 
La vicina era stata colta da uno dei suoi attacchi di singhiozzo; il rimedio più efficace per lei era sempre stato un buon bicchiere di acqua zuccherata. Aveva aperto l’antina sopra i fornelli in cerca dello zucchero, ma la ricerca non diede buoni risultati. Si era dimenticata di comprarlo quando quello stesso pomeriggio era andata a fare la spesa. Uscì sul pianerottolo bussando alla porta accanto pregando di non disturbare nessuno. Con il lieve colpo dato dalla mano chiusa a pugno, la porta socchiusa si aprì, e lo spettacolo che si trovò di fronte fu talmente raccapricciante, che il singhiozzo svanì.
 
Il medico legale fece in modo di restare solo vicino a quel corpo senza vita coperto dal leggero lenzuolo bianco.
Ogni cosa gli risultava sfocata, annebbiata, ogni suono ovattato.
Il flash di una macchina fotografica lo raggiunse alle spalle, facendogli intravedere il cadavere della sua bambina nella trasparenza del tessuto.
Si era accasciato a terra e le aveva scoperto il volto.
Un gioco della sua mente gli ripropose il suo sorriso meraviglioso e la sua risata cristallina gli rimbombò negli orecchi.
Le sfiorò i capelli ora zuppi del suo stesso sangue, osservò le posizione innaturale della sua gamba. La carezzò lungo la guancia sfiorando quel taglio ancora fresco.
Anche il suo stesso cuore cessò di battere, spezzato a metà, accartocciato come un foglio di carta buttato nel cestino.
 
Non versò neanche una lacrima. Si alzò lentamente, sentendo la stanchezza pesargli addosso come se fosse invecchiato improvvisamente. Entrò in bagno avanzando a testa bassa per non incontrare sguardi compassionevoli. Si sciacquò il viso nella penombra della stanza e, quando lo rialzò, la sua immagine si riflesse sullo specchio frastagliata tra quelle parole vermiglie.
‘detective, stai soffrendo?’
 
Lasciò la casa, ma non sua figlia, quello che era sdraiato nel salotto della loro casa era solo un semplice involucro, un contenitore di cui ora non si sarebbe più servita.
Non poteva pensare a quanto avesse sofferto, o il dolore sarebbe stato troppo da sopportare, lancinante come una lama che ti trapassa da parte a parte, amaro come il retrogusto del suo passato.
 
Sua madre lo raggiunse immediatamente.
Prenotò una camera d’albergo, dove sarebbero potuti stare per i prossimi giorni.
Quando lo vide, scesa dall’aereo, lasciò andare il borsone e lo strinse a sé senza dire nulla. Pianse in silenzio, senza poter impedire però al suo petto di compiere movimenti convulsi.
Lui raccolse il bagaglio da terra e la condusse alla macchina.
Stettero in silenzio, si poteva udire il gorgoglio del motore, le foglie scorrere sulla strada come a  gareggiare con le vetture. I ciottoli gracchiare sotto i pneumatici, il rumore metallico dei cartelli piegati dal vento.
 
Martha aveva predisposto tutto per il funerale. La salma sarebbe stata trasferita a New York, la lapide in marmo bianca sarebbe andata a tenere compagnia a quella della madre al cimitero Green Wood e venerdì si sarebbe tenuta la cerimonia.
 
Richard aveva passato le ultime due notti insonne al distretto, aspettando che arrivasse qualche notizia dai posti di blocco posti all’uscita della città, oppure dagli aeroporti o dalle stazioni ferroviarie e degli autobus.
Ogni minuto gli veniva in mente qualcosa, il suo cervello non riusciva a spegnersi.
 
Pensava e pensava.
 
Peter avrebbe potuto tranquillamente fare l’autostop, obbligare un camionista a farlo nascondere nel retro del furgone. Aveva sempre una pistola con sé. Probabilmente era già riuscito a lasciare la città senza che loro potessero fare nulla.
 
 
Giovedì sera aveva raggiunto New York.
Quando le porte scorrevoli dell’aeroporto si aprirono, inspirò forte l’odore della città. Era passato così tanto tempo dall’ultima volta.
 
Lasciò che sua madre salisse su di un taxi e lui, a piedi, girovagò fino a raggiungere il cimitero.
Passeggiava frenetico davanti la tomba della moglie senza saper che dire, fino a che le parole non uscirono di getto dalla sua bocca.
“Non ho mantenuto la promessa. Non ce l’ho fatta. Quando è nata ti avevo giurato che l’avrei protetta sempre. E invece, invece… perdonami Meredith, ti prego, perdonami. Non ti sono venuto a trovare per tanto. Non ci riuscivo, mi sentivo così in colpa, e ora questa colpa è divenuta enorme. Ti ho abbandonata e ho paura che accadrà lo stesso ora che lei sarà di nuovo con te. Voglio solo che tu sappia che vi ho amate con tutto me stesso, che vi amo come la prima volta che ho incontrato i vostri sguardi.” Inginocchiato davanti alla lapide la carezzò come a carezzare il volto della donna che vi era seppellita. “E se non verrò”, proseguì alzandosi, “non è perché vi ho dimenticate o sono andato avanti, ma perché sono troppo codardo per affrontare tutto questo.”
  
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Castle / Vai alla pagina dell'autore: dilpa93