Molti
dei miei ricordi da piccola sono associati a mio nonno. Mio nonno
faceva
l'elettricista, però questo era il
nostro segreto. Vedete, a lui non
piaceva tanto lavorare alla sua età. Si alzava in piedi, e con un aria
tutta
seria mi diceva quasi con orgoglio "Io non sono un elettricista
qualsiasi,
faccio solo lavoretti che la nonna e Aria mi chiedono di fare". Inutile
dire che a quel tempo lui era più un mago per me che un elettricista.
Se lui
toccava qualcosa di rotto, tutto tornava normale. Lui faceva funzionare
tutte
le luci di casa e del giardino. E la radio? Ah, la radio cantava
soltanto se lo
voleva il nonno. Anche oggi, per me lui resta sempre un mago anche se
oggi
naturalmente posso capire che era tutto il suo modo di fare coi fili e
i
circuiti di casa. Comunque mi piace pensare che lui era in grado di
fare le
magie anche se adesso so che le magie sono solo trucchi. Per me il
nonno era un
genio, e i geni sono dei maghi a parte. È così che mi piace
pensare.
Mio nonno era un mago
specialmente a fare sparire il suo orologio. A l'età di cinque anni
avere un
orologio sembra quasi avere un tesoro quindi io non mi separavo mai dal
mio. Lo
mettevo da parte soltanto quando dovevo lavarmi oppure andare a letto.
Non mi
piaceva svegliarmi al mattino con la strana sensazione che qualcosa mi
aveva
strangolato il polso tutta la notte. Lo posavo sempre con cura sul
comodino e
sbirciavo alla mia destra dove il nonno stava sulla sedia per vedere
come lui
sorrideva con quella aria di qualcuno fiero che la nipote cresceva. Li
chiedevo
spesso dove metteva l'orologio; lui invece sorrideva. Sembrava quasi un
bambino
quando lo diceva, e più passava il tempo, più ne ero convinta che il
nonno
assomigliasse ad un bambino contento che non era stato scoperto dalla
madre per
avere fatto finta di dormire il pomeriggio. Quando avevo quindici anni
è stato
il nonno che mi chiese la ragione del perché mi volevo sempre mettere
un orologio.
Io non gli risposi perché mi sembrava un po da bambini dire che era
perché
volevo memorizzare tutti i momenti con lui. Dopo un minuto di silenzio
gli
risposi con la stessa domanda: "Nonno, perché tu invece non lo mettevi
mai?" Quasi contento che gli avevo fatto quella domanda mi disse:
"Perché io ero già in pensione quindi non mi serviva correre sempre per
fare tutto. Credimi arriverà anche per te un momento che odierai averne
uno al
polso" Lo guardai stranita in quel momento, e devo ammettere che non
capii
esattamente quello che voleva dire anche se capisco perfettamente oggi.
Mio nonno era anche il
mio migliore amico. Pensandoci bene adesso era anche ovvio che sarebbe
toccata a
lui, insoma una ragazzina di quasi cinque anni che va a vivere in
Italia coi
nonni, a chi altri poteva lamentarsi tutto il giorno?
Sì, i miei mi
mandarono dai miei nonni perché erano sempre indaffarati
quindi non potevano darmi tutta l’istruzione adata. Inutile dire che
per loro
anche se studiare era la cosa più importante che doveva esistere nella
mia
vita, sapevano anche che non avrei potuto imparare niente se non avevo
altre
persone in giro a me che mi dovevano “istruire” nel modo giusto.
Diciamoci la
verità, i miei erano un po strani anche se forse quello che hanno fatto
credo
sia stata la cosa più sensata, o dio, diciamo la cosa più bella che
potesse
capitare a me. Giustamente uno pensa che andare a vivere da Manchester,
in un
piccolo quartiere di Roma è un po esagerato. Gli ottimisti pensano a
quante cose
belle e nuove si imparano con certe esperienze. No. Avevo solo cinque
anni,
quasi cinque anni compiuti, quindi non mi importava molto di studiare,
suonare
uno strumento per diventare genio nel farlo quando avrei avuto venti
anni o
neanche di come sarebbe stato visitare Roma. Un bambino di cinque anni,
quasi cinque,
non conosce la differenza tra un posto o l’altro, anche se già da quel
tempo
sapevo fare la differenza tra la squadra di calcio del Manchester e
quella
della Roma. Nonno era anche l’unico uomo a Roma che non mi dava una
botta in
testa se gridavo a squarcia gola “Glory Manchester United”. D’altronde
era
anche l’unico che riusciva a capire il mio parlare lo “italinglish”.
Era il
nostro modo di chiamare il mio mezzo italiano-mezzo inglese con un
accento
sempre definitosi “al quanto buffo”. A casa con la nonna era sempre una
lotta
quando si guardava la TV. Io insistevo a guardare “Il re Leone” in
inglese perché
ovviamente quella era la versione che capivo e che conoscevo a memoria,
invece
lei che voleva a tutti I costi vederlo con me voleva la versione
italiana.
Metteva a pausa la video-cassetta, lo tirava fuori e lo metteva di
nuovo al suo
posto e prendeva la video-cassetta italiana. Io che anche se piccola
sapevo già
quello che stava per accadere, allora per farle un dispetto le andavo
piano da
dietro e quando aveva appena finito di mettere la nuova video-cassetta
le
saltavo addosso imitando Simba. “Rawr!!”A mia sorpresa lei si
spaventava sempre
e pensandoci adesso direi che lo faceva solo per potermi poi
abbracciare mentre
io le chiedevo scusa per averla spaventata. All’età di 12 anni non
potevo
cantare le canzone Disney con I miei coetanei perché sapevo a memoria
soltanto
le version in italiano. Quindi mi mettevo sempre da parte e seguivo le
canzone cantandole
a mente in italiano.
Sembra che siano
accadute solo ieri se penso a tutte queste storie, quel ieri che il
giorno che
facevo le valigie chiamavo “domani”. Quel domani diventò il giorno
stesso per
poi diventare in un batter d’occhio sedici anni fa.