6)Let's start over?
Due
giorni dopo le cose
iniziano a muoversi.
Per essere precisi casa
mia viene inondata da rose di tutti i tipi – rosse, rosa,
bianche, gialle – che
provengono tutti dallo stesso mittente: Mark.
Visto che non voglio
parlargli deve avere deciso che in qualche modo devo cambiare idea e ha
deciso
che le rosse possono essere un buon incentivo.
Come diceva la canzone: “She left me roses by stairs,
surprise let me
know she cares”?
Ora però è troppo, ogni
volta che suona il campanello ho paura che sia un fattorino, ho
esaurito i vasi
e ormai distribuisco rose ai vicini pur di non averle intorno.
Quando al campanello è
effettivamente il fattorino sento l’impulso di cacciarlo via
e non lo faccio
solo perché lui non c’entra nulla e fa solo il suo
lavoro.
“Che rottura di palle!”
Esclamo, Tom mi guarda.
“Accetta di parlargli,
così forse la finisce.”
Io sospiro.
“Mi sa che sarà l’unica
cosa da fare.”
“Gli darai una
possibilità?”
“Non lo so.”
Alla fine decido almeno di
fissare un appuntamento con lui, cosa che lui sfrutta per ottenere una
cena.
Va bene e cena sia.
La fissa per la sera
stessa e io mi preparo svogliata
Ci troviamo in un costoso
ristorante di Londra, elegantissimo come Mark, mentre io
così vestita vado bene
giusto per un fastfood.
“Wow.”
Mormoro piatta, la cosa
non mi stupisce.
Sembra un ragazzino che
vuole riconquistare la fidanzatina, ma il tempo delle mele è
passato da un
pezzo per noi.
“Dai entriamo.”
Mi fa strada, io sono
piuttosto fredda, avrei preferito stare a casa mia.
Ci sediamo in un tavolo
piuttosto riservato e lui mi serve subito il vino, io non alzo il
bicchiere.
“Passiamo subito al
dunque.”
Gli dico asciutta.
“Scusa Skye, non volevo…
ferirti.
Era solo sesso e non avrei
dovuto lasciare la famiglia,non ne valeva la pena, ecco.”
Io gli applaudo le mani
sarcastica.
“E tutti questi bellissimi
ragionamenti non li potevi fare prima di lasciarmi?
Non sei stupido, Mark.”
“Le crisi di mezza età
rendono stupidi, a volte.”
Lo dice con una voce a
malapena udibile, ma questa parziale ammissione di colpevolezza mi
placa almeno
un po’.
“Già.”
“Mi spiace per averti
sputato in faccia che volevo farmi Jen.”
Io non dico nulla.
“Per favore, riproviamoci,
almeno per Jack.”
Io lo guardo negli occhi,
sono sinceri, io invece sono combattuta. C’è una
parte di me che dice di
perdonarlo e un’altra che mi dice che non potrò
mai passare sopra a questa
storia e far tornare tutto come prima, anche perché Tom mi
piace.
Alla fine le mie due parti
trovano un onorevole compromesso.
“Va bene, riproviamoci, ma
a una condizione. Ci proveremo per un mese e Jack continuerà
a stare da Anne.”
“Ti ho ferito tanto?”
“Più di quello che
immagini e adesso lasciami chiamare Tom. Deve trovarsi un albergo o
qualcosa
del genere. Immagino che tu non lo voglia a casa, vero?”
“Vero.”
Dice a denti stretti, deve
aver già capito che il nemico contro cui deve combattere non
è solo il suo
madornale errore, ma anche Tom.
In ogni caso lo chiamo e
gli dico quello che è uscito dalla cena, Tom ha un tono
strano mentre dice che
si cercherà un albergo. Sembra quasi deluso o dispiaciuto,
forse non sono
l’unica che nasconde qualcosa, forse anche lui si
è preso una sbandata per me.
Che bel casino!
Il resto della cena
trascorre tranquillamente, mangiamo, ogni tanto lui tenta di prendermi
la mano,
ma io rifiuto e chiacchieriamo o meglio lui chiacchiera.
Racconta di tutto e di più
per riempire il silenzio che c’è tra noi, un
silenzio imbarazzato e mi torna in
mente “Pulp fiction” e quella parte dove si parla
del silenzio.
Com’era?
“I silenzi che mettono a
disagio... Perché sentiamo la necessità di
chiacchierare di puttanate, per
sentirci a nostro agio? E' solo allora che sai di aver trovato qualcuno
di
davvero speciale, quando puoi chiudere quella cazzo di bocca per un
momento e
condividere il silenzio in santa pace.”
Ecco, con Tom ci riesco,
con Mark ci riuscivo e ora non più. Ora lascio che lui
riempia i silenzi quando
tutto quello che vorrei è che stesse zitto, visto che non mi
interessa una sola
parola di quelle che gli escono dalla bocca.
Vorrei dirgli che se non
ci fosse Jack di mezzo gli avrei già stampato
l’impronta dei miei anfibi sul
culo per sbatterlo fuori di casa, che un tradimento fatto per infilare
il suo
pene in un buco nuovo è inaccettabile da un quarantenne,
visto che il limite
massimo di età per cui l’avrei accettato era
trent’anni.
È per Jack che voglio
provare a salvare questo matrimonio in un mese, anche se una parte di
me sa
benissimo che sarà solo un’agonia, una terapia del
dolore per accompagnare
dolcemente alla fine qualcosa che è già morto.
Arrivati a casa la
troviamo vuota e sul frigorifero c’è un biglietto
di Tom che ci informa che per
ora starà in un albergo.
Mark lo strappa
rabbiosamente ed esclama: “Perché non torna a San
Diego, il bastardo?”
Io lo fulmino e vado in
camera mia, come si permette di chiamare Tom bastardo dopo quello che
ha fatto
lui?
Mi metto un pigiama anti
stupro, uno di quelli brutti e molto coprenti che scoraggiano qualsiasi
attacco
e poi mi metto a letto.
Mark mi raggiunge poco
dopo e tenta di allungare una mano, io lo scaccio infastidita: voglio
dormire,
non fare sesso o almeno non con lui.
Il solo pensiero che mi tocchi
dopo aver toccato Jen mi provoca un conato di vomito.
Lui si ritira
immediatamente e schiena contro schiena ci addormentiamo.
Il
giorno dopo il posto
accanto al mio è vuoto, per un attimo provo una sorta di
tristezza pensando che
Tom non c’è, poi mi chiedo dove sia finito Mark.
Mi alzo e lo trovo in
cucina che tenta di cucinare uova e bacon, probabilmente per farmi una
sorpresa, peccato che ora il locale sia in condizioni pessime.
Sembra che un reparto di
tedeschi l’abbia violentemente colonizzato senza sapere
nemmeno come si usa una
padella.
Sospiro e lui mi sente.
“Buongiorno, amore. Ho
provato a cucinarti la colazione.”
“Vedo.”
Sospirò sconsolata.
Alla fine mangio delle
uova troppo cotte e del bacon mezzo bruciacchiato solo per farlo
contento, approfittando
della sua fumatina post colazione quotidiana
corro a vomitare tutto e poi lo raggiungo in terrazza per
fumare
insieme.
Tra di noi siamo freddi
come due estranei o meglio io sono fredda, non gli facilito affatto le
cose.
“Beh, hai da fare dopo?”
“Alcune cose per Mtv che
posso fare anche con il computer, ma penso di essere libera per le
dieci.”
“Ok.”
Lui si aggira per un po’
per la casa come se stesse cercando qualcosa.
“Ehi, Skye dove sono i
miei bassi?”
“In discarica.”
Rispondo distratta.
“COSA?”
Il suo urlo mi fa
trasalire.
“Hai detto che sono in
discarica??”
Io annuisco.
“Sì, sai è quel posto dove
la gente butta la roba che non serve più.”
“So cos’è una discarica!
Il punto è: cosa ci fanno lì?”
“Li ho buttati dalla
finestra.”
“Anche quello rosa?”
Io annuisco.
“Ma io…”
“Ci tenevi?
Forse te lo saresti dovuto
portare dietro o non andartene, perché, nel caso non te ne
fossi accorto, ci
sono un sacco di cose e persone a cui tenevi e che hai lasciato
indietro!”
Lui rimane in silenzio e
si piazza sul divano, per fortuna in tv danno una maratona mattutina
dei
Simpson e dei Griffith che lo tiene occupato fino alle dieci e mezza.
“Skye, hai finito?”
“Sì.”
“Andiamo a fare un giro.”
“Ok.”
Mi cambio e lascio le
chiavi della macchina a lui, che decide di portarmi a uno dei primi
parchi di
Londra che abbiamo visitato una volta arrivati qui.
Non c’è praticamente
nessuno, solo io e lui che tenta di prendermi per mano, io
però sono più furba
e corro verso le altalene. Incurante del fatto che siano coperte da un
leggero
strato di brina mi ci siedo sopra e comincio a spingere dando origine a
una
sinfonia di cigolii che probabilmente si sente a chilometri di distanza.
Lui mi raggiunge poco dopo
e si siede sull’altalena in parte alla mia che non regge il
suo peso facendolo
cadere si schianto nel fango sottostante.
Quando si rialza io
scoppio a ridere, sembra che se la si fatta sotto, in altri tempi lo
avrei
aiutato, ma oggi se la può cavare da solo.
Una volta ripulito in
qualche modo riprendiamo la passeggiata e lui mi indica una giostra
deserta e
paga due corse al giostraio che ci guarda come se fossimo picchiatelli,
io
indico Mark.
Questa scena ha il sapore
di qualcosa di già vissuto, lui la fatto la stessa cosa la
prima volta che
siamo venuti qui e allora avevo sorriso raggiante, oggi sorrido amara.
I replay non sono belli,
soprattutto se i protagonisti si riducono a essere la brutte copie di
sé
stessi: una volta eravamo la coppia perfetta, quasi da fiaba, sempre
allegri e
sorridenti, ora siamo una coppia in pezzi che cerca pateticamente di
rimettere
insieme i cocci.
Mentre la giostra gira e
diffonde una musica da carillon ottocentesco, sento anche
l’eco delle nostre
risate di qualche mese fa, lugubri fantasmi
dei bei tempi.
Il giro finisce e io e
Mark ce andiamo, Mark tenta ancora di prendermi la mano senza che io
glielo
permetta. Ha uno sguardo ferito, io mi sento vagamente in colpa, ma
ogni volta
che lui ci prova ci sono due pensieri che configgono nella mia testa
con la
forza di una bomba nucleare: quella è la stessa mano che ha
toccato e preso per
mano quella di quella troia di Jen e poi il mio desiderio che al suo
posto ci
fosse Tom.
Non va bene.
Prima pensavo che la mia
attrazione per Tom fosse solo voglia sessuale inappagata, ora inizio a
vederla
sotto un’altra luce. Mi manca lui e i suoi mille strambi
gesti quotidiani e mi
mancano Ava e JoJo e Mark di contro è quasi un estraneo.
Ho il sospetto che il mio
matrimonio non finirà solo perché lui ha avuto
una relazione con Jennifer, ma
anche perché io ho un altro nella testa e presto lui se ne
accorgerà.
Usciamo dal parco, lui ha
un’aria scura che raramente gli ho visto.
“Ho il sospetto che
andarmene da Jen sia stata la cazzata più grande della mia
vita, ho il sospetto
che la pagherò cara e che questo è solo
l’inizio.
Pensi davvero che qualcosa
possa cambiare in questo mese tra di noi?”
“Vuoi una risposta onesta?
Penso di no. Ogni volta
che ti avvicini penso che hai stretto, preso per mano, consolato e
baciato Jen
e provo un senso profondo di disgusto per questo.”
“In questo mese cercherò
di fartelo dimenticare e se non ce la farò sarai di
Tom.”
Io sgrano gli occhi.
“Come fai a saperlo?”
“Beh, mi sono accorta che
ogni tanto involontariamente lo cerchi e che ti mancano i suoi figli.
Alla fine
sarai l’ennesima ragazza che mi sono fatto fregare dal mio
migliore amico,
ammesso e non concesso che io possa chiamarlo ancora così.
Ma per te brucia di più,
perché non sei più un amore adolescenziale, sei
mia moglie, quella con cui
speravo di dividere la vecchiaia.”
“Mi dispiace, Mark.”
Lui alza le spalle.
“Magari ce la faccio a
convincerti, sono abbastanza persuasivo se voglio.”
Sì, lo sa essere e magari
finirà come dice lui, ma io sono un po’ scettica.
Saliamo in macchina senza
dirci nulla, Mark questa volta lascia che il silenzio cali senza
tentare di
riempirlo con una sola sillaba.
Entrambi abbiamo tanti pensieri
in testa, entrambi siamo preoccupati per il futuro.
Entrambi abbiamo giocato
con il fuoco e alla fine ci siamo scottati, come dei bambini
irresponsabili.
Sarà dura uscire da questa
situazione – sia che rimaniamo insieme, sia che divorziamo
– e molte persone
soffriranno. Purtroppo è così che va la vita, a
volte ti fa degli sgambetti
pazzeschi e a te non rimane altro che cadere e vedere cosa ci
sarà dopo.
Arrivati a casa preparo il
pranzo, Mark lo mangia senza problemi poi va a letto, dicendo di essere
stanco.
Non appena sento chiudersi
la porta della mia camera, prendo in mano il mio cellulare e un
pacchetto di
sigarette ed esco in terrazza.
Mi accendo una sigaretta e
chiamo Anne, il telefono suona un po’ a
vuoto poi sento la voce di Jack rispondermi.
“Ciao tesoro, come stai?”
“Ciao mamma” Sto bene!
Oggi zia Anne mi ha
portato alla spiaggia per fare surf e ho conosciuto un sacco di ragazzi
interessanti. Loro sono bravissimi a fare surf e io vorrei diventare
bravo come
loro, così stupirò Ava.
E poi mi sto abbronzando e
c’è il sole tutti i giorni!”
C’è una nota di autentico
stupore nell’ultima frase che mi strappa
un’autentici risata.
“Jack, vivevi in
California fino all’anno scorso, perché sei
così sorpreso?”
Di là c’è una pausa di
silenzio e scommetto che si sta grattando la testa.
“Beh, non lo so. So solo
che tutto questo sole mi piace di più della pioggia di
Londra.”
Eccolo, il mio piccolo
vero californiano.
Parliamo ancora un po’,
poi ci salutiamo e io rimango con il cellulare in mano e tanta
nostalgia nel
cuore, manca anche a me il sole della California e mi manca mio figlio.
Sinceramente Londra mi ha stancato, vorrei andarmene, ma se devo
provare a far
funzionare le cose con Mark devo reprimere questo desiderio
perché lui non ha
nessuna intenzione di tornare stabilmente a San Diego, al massimo a New
York.
Che palle!
Finito di lamentarmi
compongo un altro numero, quello di Tom, e aspetto che qualcuno mi
risponda.
Dopo qualche squillo è lui
a rispondermi.
“Ciao Tom, come va?”
“Bene, anche se la
battaglia per divorziare da Jen sarà piuttosto dura, intanto
il mio avvocato ha
chiamato il suo investigatore privato personale per raccogliete le
prove dei
tradimenti di Jen. Tu?”
“Male, sento come se Mark
fosse un estraneo.
Odio che mi abbracci, che
mi tocchi, che mi
baci o mi prenda per
mano perché subito mi ricordo che ha fatto tutte queste cose
con Jen e mi viene
il disgusto.
Temo che il nostro
matrimonio abbia poche speranze di uscire vivo da questa storia, Mark
ha
esagerato.”
Lo sento sospirare.
“Non riesci a passarci
sopra, vero?”
Io rimango un attimo in
silenzio.
“No, non ci riesco. Ci sto
provando, ma non ci riesco.”
Prendo una lunga pausa.
“E mi manchi.”
Dall’altra parte c’è un
lungo silenzio.
“Anche tu e questo non va
bene.”
“No, ma sta succedendo e
ho il sospetto che prima o poi dovremmo farci i conti.”
“Anche io, ma tu adesso
cerca di salvare il tuo matrimonio, almeno provaci.”
“Lo farò, lo devo a Jack.”
“Già, ciao Skye.”
“Ciao Tom.”
Chiudo la chiamata e
sospiro, poi torno dentro e mi sdraio sul divano, anche io sono stanca.
Vengo svegliata poco dopo
dal campanello, è la donna delle pulizie e la faccio entrare
insonnolita.
“Scusa, Namita ma mi sono
addormentata.”
Lei sorride.
“Perché non sei
andata a letto,
signora?”
“Perché è tornato il
signore.”
“Bello.”
Io non dico nulla e
acchiappata la giacca e la borsa esco, voglio fare un giro da sola per
Londra.
Prendo la macchina e
raggiungo il mercato di Porto Bello, lascio la giacca in macchina e mi
acciò
fra le bancarelle. Compro un paio di anfibi neri con dei fiori fucsia e
un
chiodo da punk, al primo angolo metto anfibi e chiodo e metto le mie
scarpe nel
sacchetto degli anfibi, con la mia gonna scozzese sto benissimo, mi
mancano
forse delle spille.
Mentre sto meditando se
prenderle o meno una voce mi chiama: è Ava.
“Ciao, Skye! Cosa fai
qui?”
“Niente, cerco di comprare
qualcosa.”
Lei guarda il mio chiodo e
gli anfibi e annuisce.
“Bella scelta! Ne ho
appena presi anche io un paio, solo che sono viola.
Doc Martens.”
“I Doc Martens mi
ricordano la mia adolescenza.”
“Come va con zio Mark?”
“Va.”
“Ti piace mio papà.”
Io non rispondo.
“Ti va se ci facciamo
questo giro insieme?”
Lei annuisce, da quando
non è più Jen a decidere il suo abbigliamento
sembra molto più Tom. Oggi
indossa un paio di pantaloni a tre quarti neri, degli anfibi neri, dei
calzini
a righe rosse e nere, una giacca dell’esercito tedesco aperte
da cui si
intravvede una felpa della Adidas gialla a righe verdi e un sacco di
braccialetti..
Gironzoliamo a lungo tra
le bancarelle, provando di tutto, dai cappelli con le piume e i boa di
struzzo,
alle cose da hippie. Alla fine lei si compra un paio di pantaloni
nepalesi a
righine e un maglione enorme a righe gialle, verdi e rosse. Io mi
prendo una
borsa di tela, un vecchio disco dei Sex Pistols
e una chitarra.
Ci salutiamo quando lei
sale sul suo pullman e io torno verso la macchina con i miei acquisti,
sono
abbastanza di buon umore.
Peccato che sia destinato
a svanire quando rientro a casa e trovo un Mark arrabbiato in salotto.
“Dov’eri?”
“Al mercatino di Porto
Bello.”
“Con chi?”
“Con Ava, l’ho incontrata
là.”
“Perché non hai risposto
alle mie chiamate?”
Io tiro fuori il cellulare
e mi accorgo che in effetti ci sono tre chiamate senza risposta con il
numero
di casa.
“Non le ho viste.”
“Perché non hai lasciato
un biglietto o hai detto a Namita dove andavi?”
“Non mi è venuto in
mente.”
Lui mi guarda, scuote
tristemente la testa e poi va in cucina.
In tempi normali avrei
avvisato, oggi non mi è nemmeno passato per la testa.
Questi non sono tempi
normali e se è vero che è dalle piccole cose che
si vede la solidità di un
rapporto, direi che il nostro è molto traballante.
Temo che il nostro
matrimonio non reggerà, anzi ne sono quasi sicura.
Angolo di Layla
Ringrazio fraVIOLENCE e
ValeDeLonge
per le recensioni.