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Autore: katia25    20/05/2013    0 recensioni
Questa è la storia di tre ragazze davvero fortunate, che sono riuscite a realizzare i loro sogni e conoscere i loro idoli preferiti! Aprite la storia se siete curiose e recensite!
Genere: Commedia, Demenziale, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Minchiata

P.o.v. Katherine

«Finalmente!» esclamò la castana, scendendo il più velocemente possibile dall'autobus che l'aveva trasportata fin lì – non sopportava di stare su un mezzo pubblico troppo a lungo, le veniva da vomitare, e quelle sei ore le erano bastate –.
Non ebbe neanche il tempo di realizzare la cosa, che rimase folgorata dal fascino ottocentesco che emanavano gli edifici accademici dell'università; aveva scelto di frequentare quell'accademia privata, solo perché avevano il miglior corso di filosofia di tutta Londra e lei adorava la filosofia.
Quando il cancello le si aprì davanti, ebbe l'insana idea di iniziare a saltellare per la gioia e continuare per tutto il giorno. Fortunatamente non era ancora così idiota da farlo, quindi si avviò tranquillamente all'interno dell'immenso cortile, guardandosi attorno meravigliata.
«Ehm, ehm.» tossicchiò una donna sulla sessantina, osservando la ragazza – che ormai era entrata nell'edificio principale. «Lei è la signorina Katherine Collins?» chiese l'anziana.
La ragazza voltò lo sguardo e guardò la donna come se si stesse chiedendo chi fosse; poi, quando lesse "segreteria" scritto sul cartellino in alto, si rese conto che era entrata senza neanche accorgersene, quindi si affrettò ad annuire.
«Sì, sì! Sono io.» rispose, velocemente e senza neanche pensarci.
La donna la fissò per un po', poi si aggiustò gli occhialini sul naso e si mise a frugare in un cassetto.
Quando tornò nel campo visivo di Katherine, la vecchietta aveva in mano dei fogli e li consegnò proprio alla ragazza.
«Qui ci sono scritti gli orari e qui c'è una mappa dell'accademia. Le lezioni iniziano alle otto in punto, né un minuto prima né dopo; non arrivi in ritardo.» Disse tutto d'un fiato.
La castana annuì, con un sorriso che doveva sembrare rassicurante e invece pareva dicesse "Lei mi fa paura". Ovviamente l'anziana non disse nulla a riguardo, si limitò a scoccarle un occhiata sospettosa, prima di indicarle un punto preciso sul foglio con la mappa.
«Questa segnata in rosso è la sua camera. La condividerà con due persone. I dormitori maschili sono nell'altra ala dell'istituto e sono proibiti alle ragazze. Tutto chiaro?».
Katherine fu tentata di mettersi sull'attenti e rispondere con un "Sì signora!" ma qualcosa in lei – probabilmente un istinto di auto-conservazione – la fermò dal farlo.
«Chiarissimo, grazie.» fu la concita risposta, prima che prendesse i fogli e uscisse dall'edificio, diretta all'ala est dell'accademia, per vedere la sua stanza.
Una volta tanto che credeva di aver scampato alla sfortuna, superando l'esame d'ammissione e arrivando sana e salva, la cattiva sorte arrivò precisa e letale, facendole fare la prima figuraccia della giornata.
«Ma perché a me?» si lagnò, raccogliendo i fogli che le erano caduti, dopo che era caduta anche lei ovviamente.
A sua discolpa poteva dire che qualcuno le era venuto addosso, quindi non era a causa sua se l'altro si era fatto male. Quando alzò lo sguardo desiderò di sprofondare.
«Scusa, stavo cercando i miei amici e non guardavo dove stavo andando. Ah hai per caso visto un gruppo di ragazzi?» le chiese, senza prendere fiato neanche una volta.
Katherine sbatté le palpebre più volte, lievemente intontita dal fiume di parole che le era stato riversato addosso dal biondino davanti a lei.
Certo che se la fortuna era cieca, la sfortuna ci vedeva fin troppo bene e lei faceva le peggiori figuracce coi ragazzi più carini.
«Uhm... sì alla segreteria, mi sembra di...»
«Perfetto! Grazie!»
Non ebbe tempo neanche di finire la frase, che il ragazzo era praticamente corso via; detta anche: sfiga saldamente avviluppata al DNA. Sospirò e si incamminò di nuovo verso il suo dormitorio.

 

P.o.v. Sarah

Sarah si accovacciò sul divanetto, mentre apriva un libro con la copertina rilegata e lo sfogliava frettolosamente; le numerose pagine erano rovinate da segni a matita e cancellature forzate.
Doveva prepararsi per l’imminente esame di letteratura, ma la pigrizia e la voglia di uscire, che si facevano sentire in estate, non la lasciavano in pace e non riusciva a studiare.
Mezz’ora più tardi, dopo aver zuccherato e mangiato una tazza di cereali al latte – già zuccherati –, si mise sul divano, al contrario, con le gambe alzate – come se fosse uno stupido modo di concentrarsi –.
Con abbastanza sangue alla testa, si rialzò, notando una lettera che le era caduta in faccia, dal libro, e ora se ne stava tranquillamente sul pavimento.
La prese in mano, pensando che forse, per la distrazione, l’aveva messa lì per ricordarsi di leggerla dopo, e guardò la busta con il sigillo rosso della scuola; era relativa a due settimane fa.
L’aprì, incuriosita, e incominciò a leggerla in particolare silenzio, con gli occhi scuri e truccati che andavano su e giù quasi automaticamente.
“Gentili signorine del Richardson Vic. College, camera n. 129 dell’ala est.
Vi annunciamo un cambiamento nella vostra disposizione regolare. Nel giorno 26 Settembre 2016, è previsto l’arrivo di una nuova studentessa, Katherine Collins, grazie alla facoltosa borsa di studio, e vostra futura compagna di dormitorio.
Vi preghiamo di integrarla.
Cordiali saluti, la direzione.”
Queste erano le parole scritte sul foglio che teneva fra le mani.
Una nuova compagna, eh? Sarah si rimboccò le maniche, per riordinare la stanza e preparare un bel benvenuto.
Avrebbe voluto avvisare Meredith, ma il suo cellulare era, come sempre, scarico e senza soldi.
Sbuffò, per poi sorridere storto: questo sarebbe stato un motivo in più per non studiare; quindi si mise a decidere la canzone giusta da canticchiare mentre faceva le pulizie.
«What makes you beautiful! Oh, oh, oh!»
E si vide volare una scopa.

 

P.o.v. Meredith

Meredith si avviò con decisione all’interno dell’accademia, mentre teneva tra le mani il pranzo fumante, (comprato al supermercato); era arrivata da più o meno due ore, dopo le vacanze estive, e aveva ricevuto già il suo primo dovere domestico dell’anno: “Io lavo, tu asciughi” era il motto di Sarah, la più grande tra le due, eppure il loro dormitorio era sempre un disastro.
Era a metà del corridoio che la separava dalla segreteria, quando pensò a quello che le avevano detto i professori l’anno precedente, per i suoi voti e per la perfetta condotta.
“Avresti un futuro come insegnante, ma si dovrebbe iniziare a far pratica da giovani.”
Un foglio di registro pieno di nomi ripassati e linee rosse le comparì fra le mani, il ricordo si era fatto chiaro e vivido nella sua mente.
“Ripetizioni?” domandò, la Meredith del ricordo, incredula, arricciando il naso a patata.
Quindi avrebbe dovuto dare ripetizioni anche lei e non perché lo volesse, ma perché i professori lo volevano.
Scosse la testa, come per mandar via il pensiero, puntando lo sguardo sul tabellone degli orari, appeso sul muro accanto alla segreteria – era arrivata alla fine.
La prima ora di lunedì avrebbe avuto storia dell’arte, insieme a tutti quelli che frequentavano quel corso; già, quelle care persone che andavano al suo stesso corso, ecco il motivo per cui non voleva mancare a quell’ora.
Ok forse non tutte le persone, ma una in particolare attirava la sua attenzione, “Ricci e occhi color cielo”, così l’aveva soprannominato, quel ragazzo che per lei era uno sprono in più a mantenere i suoi ottimi voti.
Ci teneva a fare bella figura in ogni situazione e spesso Sarah la derideva, perché era una persona davvero buffa ed imbranata.
Persa com’era nei suoi pensieri si riprese solo quando notò di essere ferma all’uscita dell’edificio principale.
Era letteralmente sconfortata all’idea che stava per iniziare un nuovo anno scolastico.
Fin da piccola, nove mesi ogni sacrosanto anno, si trovava in quell’accademia; lì aveva frequentato le elementari, le medie e anche il liceo, ora invece toccava all’università.
Più ci pensava, più qualcosa la spingeva a scappare; poi però si ricordò di Sarah, la sua compagna di stanza da un anno ormai, oltre che sua ottima amica – in questo caso, come cavolo si era dimenticata di lei?! –.
Con l’idea di passare un altro anno con Sarah, a ridere, scherzare e pulire una stanza che poi era sempre più incasinata di prima, la bionda si avviò verso l’ala est dell’accademia, dove si trovava la sua camera.
«Ma che cavolo…» mormorò, appena aperta la porta della camera 129, ossia quella che condivideva con l’amica.
Era ordinata come non l’aveva mai vista, la musica dei One Direction rimbombava a tutto volume nella stanza – cosa proibita quando riprendevano i corsi invernali – e c’era una ragazza stesa di traverso su un letto, che era sempre stato vuoto, con una valigia lì accanto; probabilmente era una ragazza nuova.
«Meredith!» esclamò Sarah, prima di abbandonare uno straccetto sul pavimento e correre ad abbracciarla.
La bionda, coi capelli ormai gonfi ed elettrici per il viaggio e per lo stress pre-scolastico, ricambiò l’abbraccio e le sorrise, per poi indicare, con fare timoroso, la ragazza stesa sul letto.
La moretta osservò il punto che indicava Meredith e poi scrollò le spalle, «Quando è arrivata e le ho aperto, ha spalancato gli occhi, è entrata come uno zombie, ha biascicato qualcosa sulla sfortuna, su un biondino, ha detto “Horan” e con un “Oooow” è crollata sul letto.» spiegò, come se fosse tutto molto normale.
Come sempre, pensò Meredith, la sua amica era impossibile da impressionare, anche se alla parola “Horan”, una scintilla maliziosa le aveva illuminato gli occhi marroni.

Beh in questa stanza nessuno è normale, d’altro canto.

Angolo dell'autrice:
Spero che questa storia vi piaccia, a presto con il prossimo capitolo! :)

  
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