«Finalmente!» esclamò la castana, scendendo il più
velocemente possibile dall'autobus che l'aveva trasportata fin lì – non
sopportava di stare su un mezzo pubblico troppo a lungo, le veniva da vomitare,
e quelle sei ore le erano bastate –.
Non ebbe neanche il tempo di realizzare la cosa, che
rimase folgorata dal fascino ottocentesco che emanavano gli edifici accademici
dell'università; aveva scelto di frequentare quell'accademia privata, solo
perché avevano il miglior corso di filosofia di tutta Londra e lei adorava la
filosofia.
Quando il cancello le si aprì davanti, ebbe l'insana
idea di iniziare a saltellare per la gioia e continuare per tutto il giorno.
Fortunatamente non era ancora così idiota da farlo, quindi si avviò
tranquillamente all'interno dell'immenso cortile, guardandosi attorno
meravigliata.
«Ehm, ehm.» tossicchiò una donna sulla sessantina,
osservando la ragazza – che ormai era entrata nell'edificio principale. «Lei è
la signorina Katherine Collins?» chiese l'anziana.
La ragazza voltò lo sguardo e guardò la donna come
se si stesse chiedendo chi fosse; poi, quando lesse "segreteria"
scritto sul cartellino in alto, si rese conto che era entrata senza neanche
accorgersene, quindi si affrettò ad annuire.
«Sì, sì! Sono io.» rispose, velocemente e senza
neanche pensarci.
La donna la fissò per un po', poi si aggiustò gli
occhialini sul naso e si mise a frugare in un cassetto.
Quando tornò nel campo visivo di Katherine, la
vecchietta aveva in mano dei fogli e li consegnò proprio alla ragazza.
«Qui ci sono scritti gli orari e qui c'è una mappa
dell'accademia. Le lezioni iniziano alle otto in punto, né un minuto prima né
dopo; non arrivi in ritardo.» Disse tutto d'un fiato.
«Questa segnata in rosso è la sua camera. La
condividerà con due persone. I dormitori maschili sono nell'altra ala
dell'istituto e sono proibiti alle ragazze. Tutto chiaro?».
Katherine fu tentata di mettersi sull'attenti e
rispondere con un "Sì signora!" ma qualcosa in lei – probabilmente un
istinto di auto-conservazione – la fermò dal farlo.
«Chiarissimo, grazie.» fu la concita risposta, prima
che prendesse i fogli e uscisse dall'edificio, diretta all'ala est
dell'accademia, per vedere la sua stanza.
Una volta tanto che credeva di aver scampato alla
sfortuna, superando l'esame d'ammissione e arrivando sana e salva, la cattiva
sorte arrivò precisa e letale, facendole fare la prima figuraccia della
giornata.
«Ma perché a me?» si lagnò, raccogliendo i fogli che
le erano caduti, dopo che era caduta anche lei ovviamente.
A sua discolpa poteva dire che qualcuno le era
venuto addosso, quindi non era a causa sua se l'altro si era fatto male. Quando
alzò lo sguardo desiderò di sprofondare.
«Scusa, stavo cercando i miei
amici e non guardavo dove stavo andando. Ah hai per caso visto un gruppo di
ragazzi?» le chiese, senza prendere fiato neanche una volta.
Katherine sbatté le palpebre più volte, lievemente
intontita dal fiume di parole che le era stato riversato addosso dal biondino
davanti a lei.
Certo che se la fortuna era cieca, la sfortuna ci
vedeva fin troppo bene e lei faceva le peggiori figuracce coi ragazzi più
carini.
«Uhm... sì alla segreteria, mi sembra di...»
«Perfetto! Grazie!»
Non ebbe tempo neanche di finire la frase, che il
ragazzo era praticamente corso via; detta anche: sfiga saldamente avviluppata
al DNA. Sospirò e si incamminò di nuovo verso il suo dormitorio.
P.o.v. Sarah
Sarah si accovacciò sul divanetto, mentre apriva un
libro con la copertina rilegata e lo sfogliava frettolosamente; le numerose
pagine erano rovinate da segni a matita e cancellature forzate.
Doveva prepararsi per l’imminente esame di
letteratura, ma la pigrizia e la voglia di uscire, che si facevano sentire in
estate, non la lasciavano in pace e non riusciva a studiare.
Mezz’ora più tardi, dopo aver zuccherato e mangiato
una tazza di cereali al latte – già zuccherati –, si mise sul divano, al
contrario, con le gambe alzate – come se fosse uno stupido modo di concentrarsi
–.
Con abbastanza sangue alla testa, si rialzò, notando
una lettera che le era caduta in faccia, dal libro, e ora se ne stava
tranquillamente sul pavimento.
La prese in mano, pensando che forse, per la
distrazione, l’aveva messa lì per ricordarsi di leggerla dopo, e guardò la
busta con il sigillo rosso della scuola; era relativa a due settimane fa.
L’aprì, incuriosita, e incominciò a leggerla in
particolare silenzio, con gli occhi scuri e truccati che andavano su e giù
quasi automaticamente.
“Gentili signorine del Richardson Vic. College,
camera n. 129 dell’ala est.
Vi annunciamo un cambiamento nella vostra
disposizione regolare. Nel giorno 26 Settembre 2016, è previsto l’arrivo di una
nuova studentessa, Katherine Collins, grazie alla facoltosa borsa di studio, e
vostra futura compagna di dormitorio.
Vi preghiamo di integrarla.
Cordiali saluti, la direzione.”
Queste erano le parole scritte sul foglio che teneva
fra le mani.
Una nuova compagna, eh? Sarah si rimboccò le
maniche, per riordinare la stanza e preparare un bel benvenuto.
Avrebbe voluto avvisare Meredith, ma il suo cellulare
era, come sempre, scarico e senza soldi.
Sbuffò, per poi sorridere storto: questo sarebbe
stato un motivo in più per non studiare; quindi si mise a decidere la canzone
giusta da canticchiare mentre faceva le pulizie.
«What makes you
beautiful! Oh, oh, oh!»
E si vide volare una scopa.
P.o.v. Meredith
Meredith
si avviò con decisione all’interno
dell’accademia, mentre teneva tra le mani il pranzo fumante,
(comprato al supermercato); era arrivata da più o meno due ore,
dopo le vacanze
estive, e aveva ricevuto già il suo primo dovere domestico
dell’anno: “Io lavo,
tu asciughi” era il motto di Sarah, la più grande tra le
due, eppure il loro
dormitorio era sempre un disastro.
Era a metà del corridoio che la separava dalla
segreteria, quando pensò a quello che le avevano detto i professori l’anno
precedente, per i suoi voti e per la perfetta condotta.
“Avresti un futuro come insegnante, ma si dovrebbe
iniziare a far pratica da giovani.”
Un foglio di registro pieno di nomi ripassati e
linee rosse le comparì fra le mani, il ricordo si era fatto chiaro e vivido
nella sua mente.
“Ripetizioni?” domandò, la Meredith del ricordo,
incredula, arricciando il naso a patata.
Quindi avrebbe dovuto dare ripetizioni anche lei e
non perché lo volesse, ma perché i professori lo volevano.
Scosse la testa, come per mandar via il pensiero,
puntando lo sguardo sul tabellone degli orari, appeso sul muro accanto alla
segreteria – era arrivata alla fine.
La prima ora di lunedì avrebbe avuto storia
dell’arte, insieme a tutti quelli che frequentavano quel corso; già, quelle
care persone che andavano al suo stesso corso, ecco il motivo per cui non
voleva mancare a quell’ora.
Ok forse non tutte le persone, ma una in particolare
attirava la sua attenzione, “Ricci e occhi color cielo”, così l’aveva
soprannominato, quel ragazzo che per lei era uno sprono in più a mantenere i
suoi ottimi voti.
Ci teneva a fare bella figura in ogni situazione e
spesso Sarah la derideva, perché era una persona davvero buffa ed imbranata.
Persa com’era nei suoi pensieri si riprese solo
quando notò di essere ferma all’uscita dell’edificio principale.
Era letteralmente sconfortata all’idea che stava per
iniziare un nuovo anno scolastico.
Fin da piccola, nove mesi ogni sacrosanto anno, si
trovava in quell’accademia; lì aveva frequentato le elementari, le medie e
anche il liceo, ora invece toccava all’università.
Più ci pensava, più qualcosa la spingeva a scappare;
poi però si ricordò di Sarah, la sua compagna di stanza da un anno ormai, oltre
che sua ottima amica – in questo caso, come cavolo si era dimenticata di lei?!
–.
Con l’idea di passare un altro anno con Sarah, a
ridere, scherzare e pulire una stanza che poi era sempre più incasinata di
prima, la bionda si avviò verso l’ala est dell’accademia, dove si trovava la
sua camera.
«Ma che cavolo…» mormorò, appena aperta la porta
della camera 129, ossia quella che condivideva con l’amica.
Era ordinata come non l’aveva mai vista, la musica
dei One Direction rimbombava a tutto volume nella stanza – cosa proibita quando
riprendevano i corsi invernali – e c’era una ragazza stesa di traverso su un
letto, che era sempre stato vuoto, con una valigia lì accanto; probabilmente
era una ragazza nuova.
«Meredith!» esclamò Sarah, prima di abbandonare uno
straccetto sul pavimento e correre ad abbracciarla.
La bionda, coi capelli ormai gonfi ed elettrici per
il viaggio e per lo stress pre-scolastico, ricambiò l’abbraccio e le sorrise,
per poi indicare, con fare timoroso, la ragazza stesa sul letto.
La moretta osservò il punto che indicava Meredith e poi
scrollò le spalle, «Quando è arrivata e le ho aperto, ha spalancato gli occhi,
è entrata come uno zombie, ha biascicato qualcosa sulla sfortuna, su un
biondino, ha detto “Horan” e con un “Oooow” è crollata sul letto.» spiegò, come
se fosse tutto molto normale.
Come sempre, pensò Meredith, la sua amica era
impossibile da impressionare, anche se alla parola “Horan”, una scintilla
maliziosa le aveva illuminato gli occhi marroni.
Beh in questa
stanza nessuno è normale, d’altro canto.
Spero che questa storia vi piaccia, a presto con il prossimo capitolo! :)