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Autore: HypnosBT    20/05/2013    4 recensioni
Breve riflessione sulla speranza, trattata da un punto di vista particolare.
  "In un mondo in cui la morte pretendeva vigliaccheria, Alberto si limitava a respirare illusioni luminose, prosciugando tutta l’erba sul mercato." 
Buona lettura.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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BLUE JOINT

 

 

  Cosa resta quando si perde la speranza? Apatia, cenere, fumo.

Il fumo di una canna che ti rode la gola, il fumo di una vita consumata di cui non rimane che polvere.

  Questo pensava Alberto, mentre rollava. Le mani affusolate manovravano esperte una cartina lunga firmata smocking. Gli occhi erano ancora fissi su un passato prossimo costellato di buchi neri come il peccato; neri come gli occhi dannati di lei, neri come la disgustosa società in cui era incastrato da una vita.

  Lui agognava il bianco, lui meritava il nulla, Alberto voleva la pace.

In un mondo in cui la morte pretendeva vigliaccheria, Alberto si limitava a respirare illusioni luminose, prosciugando tutta l’erba sul mercato.

  Ormai tutti lo sapevano: una parte dell’insieme si faceva di sogni assieme a lui, una minoranza spendeva tempo a preoccuparsene senza un motivo.

  La sua famiglia lo aveva scoperto un paio di settimane prima e, tra pianti e preghiere gridate ad un dio sordo, aveva destinato Alberto ad una comunità di morti.

  Ma non gli interessava; che lo guardassero pure come un appestato, la situazione non sarebbe cambiata.

  «Oh, vecchio, fammela accendere» pretese Pietro, in una parodia di quel linguaggio sentito troppo spesso per strada.

  «Chi l’arriccia l’appiccia» rispose Al, scostando la mano tozza dell’altro che si era protesa per afferrare la joint.

  «Dai, cazzone!» il suo amico gli mollò un pugno sulla spalla.

  «Ahia, bastardo!» cominciavano e finivano così le loro lotte. Pietro si agitava e Alberto, incapace di far del male ad una mosca nonostante il suo metro e novanta di muscoli, le prendeva. Sempre. «Quando la finisci magari fumiamo!» tentò di fargli capire, il tono alterato da uno sbuffo di impazienza.

  «Okay, okay, stiamo calmi» Pietro accompagnò la frase con un gesto pacifico, come se volesse acquietare il vento notturno. Serse non si perse in commenti: sapeva che quell’espressione era un tic ricorrente, ormai usciva dalle labbra del compare fin troppo spesso.

  Iniziò a bruciare la cartina all’estremità, evitando che si formassero unghie.

  Fatto. Ora, il primo tiro.

Il secondo.

Il terzo.

Il quarto.

  “Lucy in the sky with diamond”, sente i Beatles che rivivono attraverso le casse del cellulare.

Il quinto.

  «Non erano quattro a testa?»

  «All’inizio c’era solo tabacco», si giustificò Alberto.

  «Cazzate!» sbottò Pietro, burrascoso come sempre.

Il sesto.

  Quello che per lui era un fratello gli stappò la joint dalle dita.

I suoi riflessi erano troppo lenti, non riuscì a fermarlo.

Il Benz gli aveva dato roba incredibilmente forte, pensò allora, mentre la botta arrivava.

  Ed ecco, iniziava il trip. 

  In quel momento, perso in se stesso, confuso con la terra, aveva una sola certezza: avrebbe venduto tutta la speranza del mondo per avere in cambio quel briciolo di niente. 

  
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