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Autore: Akilendra    21/05/2013    8 recensioni
Gli Hunger Games sono giochi senza un vincitore, ventitrè ragazzi perdono la vita, l'ultimo che rimane perde sè stesso in quell'arena, non c'è nulla da vincere, solo da perdere. Nell'arena si è soli, soli col proprio destino, Jenna però non è sola...
Cosa sei disposto a fare per non perdere te stesso? E se fossi costretto a rinunciare alla tua vita prima ancora di entrare nell'arena?
Gli Hunger Games saranno solo l'inizio...
(dal Capitolo 1):
"Un solo rumore e so che lei è qui...l'altra faccia della medaglia, il mio pezzo mancante, la mia immagine riflessa allo specchio, una copia così perfetta che forse potrebbe ingannare anche me, se non fosse che io sono la copia originale dalla quale è stata creata. Dopotutto sono uscita per prima dalla pancia di nostra madre, quindi io sono l'originale e lei la copia."
(dal Capitolo 29):
"'Che fai Jenna?'
Mi libero della menzogna.
'Che fai Jenna?'
Abbraccio la verità.
'Che fai Jenna?'
Mostro l'altra faccia della medaglia."
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Angoletto dell'autrice terribilmente in ritardo:

ok... vi prego non picchiatemi! si, lo so, sono in clamoroso ritardo, siete tutti autorizzati a tirarmi qualsiasi oggetto appuntito vi capiti a tiro. A parte gli scherzi, mi dispiace davvero tanto di questo ritardo, diciamo che ci sono state varie complicazioni che mi hanno tenuta lontana dal pc... di solito sono una abbastanza puntuale, ma questa volta proprio non ce l'ho fatta, non ho avuto un attimo per scrivere; mille impegni, mille cose da fare: la scuola, la scuola, la scuola... no seriamente, è un periodaccio!
La "buona" notizia è che ora sono qui con il ventesimo capitolo, in realtà non so se sia esattamente una buona notizia, ho sempre paura che quello che scrivo non vi piaccia, a maggior ragione dato che sono in ritardo, dovrei presentarmi con un super capitolo, non sono sicura che sia esattamente 'super',io faccio del mio meglio, sta a voi darmi il vostro parere!

Buona lettura!











Vuota. Mi sento vuota. In un secondo una domanda ha fatto crollare tutte le mie certezze ed ora mi sento vuota. Eppure solo un momento fa era tutto chiaro.
Io non voglio morire.
Credo.

No che non voglio morire, io devo salvare Anna, io non posso morire.
Vuoi vivere, Jenna?’
Devo vivere.
Vuoi o devi?’

Cambia qualcosa? C’è davvero differenza? C’è davvero una scelta? Io non ho mai avuto scelta, hanno sempre deciso gli altri per me. Ha deciso Anna risollevandomi dalla depressione dopo la morte di mia madre. Ha deciso Ares sacrificandosi per farmi vivere. Ha deciso Sam impedendo al dolore e agli incubi di portarmi via. Io non ho deciso proprio niente, ho solo subito le decisioni degli altri, continuo a scappare, non so fare altro.

E l’ho fatto, l’ho fatto ancora quando ho capito che sarei potuta ritornare nell’arena,sono scappata dalla verità, Sam l’ha capito prima di me.
La verità è che sono una codarda, che senza neanche accorgermene ho cercato la via più facile, offrirmi volontaria,ritornare nell’arena, davvero ho pensato di riuscire a tornare indietro? Se rientro nell’arena non torno più a casa, saranno i miei incubi ad uccidermi prima degli altri tributi.

E se fosse questo, quello che volevo? Finirebbe tutto, niente più dolore niente più incubi ... eppure non posso, ripenso alle parole di Sam, renderei inutile il sacrificio di molte persone, renderei inutile il dolore che abbiamo provato finora.
E allora scegli!’
Scelgo cosa?
Scegli di vivere la tua vita!’
Quale vita? La mia vita è da molto tempo che non è più mia, ha smesso di esserlo quando ho cominciato fingere di essere un’altra.
E allora scegli di morire’
Non posso.
Vuoi morire, Jenna?
Non voglio.

No che non voglio, io ho ancora una speranza, ho ancora una scelta.
E ho scelto, ho scelto di vivere, di lottare per riprendermi la mia vita, l’ho scelto quel giorno davanti a ciò che rimane del mio bosco, ho scelto di vivere, di rinascere dalla cenere.

Io non posso morire, non voglio morire.

No, non mi offrirò volontaria, non rientrerò nell’arena, troverò un’altra via, un altro modo per riportare a casa Anna.

 

Apro la porta di casa che poco fa ha sbattuto Sam sco di casa, esco, vedo in lontananza il puntino che è diventato Sam, corro a perdifiato, lo chiamo, ma non risponde, forse sono ancora troppo lontana perché mi senta, ma anche quando sono abbastanza vicina Sam non mi risponde, continua a camminare sulla strada stretta senza nemmeno girarsi.
Con gli ultimi passi ed il cuore in gola lo raggiungo, lo affianco e lo chiamo ancora, ma lui sembra non sentirmi, lo sguardo fisso sulla strada, lo afferro per un braccio costringendolo a girarsi verso di me, si libera dalla mia presa e continua a far finta che io non ci sia.

È proprio un testardo, lo odio quel suo maledetto orgoglio, lo odio perché è troppo simile al mio, ma ora io sono davanti a lui, l’orgoglio l’ho messo da parte, lui è più importante di tutto.

Proprio non ce la fa, non sa tenermi il muso più di tanto, non sa essere arrabbiato con me tanto da non potermi guardare negli occhi, infatti dopo un po’ di tacita lotta, alza lo sguardo.
I suoi occhi azzurri sono due specchi, li guardo e ci vedo dentro me, lui, ci vedo dentro noi, questi anni passati insieme, le lacrime, i sorrisi, i baci, gli abbracci, gli urli, i sussurri, le carezze, gli schiaffi …

Guardo nei suoi occhi e ci vedo dentro la verità, quella verità dalla quale ho cercato di scappare, quella verità di cui ho paura.
Come ho potuto, anche se inconsciamente, pensare di morire?
Sam mi ama, io lo amo, lui è la mia vita, non c’è verità più forte di questa e per una volta questa verità non mi fa paura.

Ho capito, ho capito di essere stata la persona più stupida del mondo, ho capito che se non fosse stato per Sam non me ne sarei mai accorta, anche lui ha capito, ha capito, guardandomi finalmente negli occhi, che questa volta non fuggirò, che non ripeterò l’errore, che non mi offrirò volontaria, perché non voglio morire, perché voglio vivere la mia vita, con lui.
 

Seguono giorni di tranquillità, tutto quello che faccio è stare con Sam, passo ogni singolo secondo con lui, senza preoccuparmi di quello che mi succede attorno, poi un giorno Johanna bussa alla mia porta e con una sola frase mi ributta senza il minimo riguardo, nell’amara realtà.

-Irina è morta – sputa le parole brusca, senza nemmeno aspettare che la inviti ad entrare – Si è impiccata al lampadario del soggiorno questa mattina all’alba – aggiunge subito dopo a bruciapelo, ancora ferma sull’uscio.

Non trovo la forza di dire niente, riesco solo a fissarla per un tempo che mi pare infinito, cerco senza riuscirci, di dire qualcosa, anche solo una di quelle frasi di circostanza, ma la verità è che non esiste una frase per questa circostanza, non esiste proprio questa circostanza, non esiste che una persona si tolga la vita pur di non rivivere un incubo, perché è di questo che si parla, è paura, Irina aveva paura, anch’io ora ho paura, perché domani è il giorno della mietitura.

Sento una mano posarsi sulla mia spalla, mi giro, Sam mi scansa dalla porta e fa entrare Johanna.
Per un attimo tutti seduti sul divano sembriamo tre statue, poi Johanna rompe il silenzio con un sospiro
– Ora siamo in due. Male, più possibilità di essere scelte – sentenzia rivolgendosi a me, alzo gli occhi dal pavimento e li punto nei suoi.
Come può dire una cosa del genere? Come può pensare a questo?
-Se tu non te ne fossi accorta, è morta una persona, una persona che conoscevamo, una nostra amica! – la accuso con la voce rotta, mi guarda intensamente, il suo sguardo è gelido, quando parla le sue parole lo sono di più – Non era mia amica – dice con tono piatto e la discussione sembra finita lì.

In realtà neanch'io posso dire che Irina fosse mia amica, ho avuto modo di conoscerla poco durante i miei Hunger Games, ero troppo impegnata a cercare di sopravvivere, però se penso che è morta, non riesco a fermare quella morsa all’altezza dello stomaco, lei era una di noi ed anche se non veniva mai alle nostre riunioni, faceva parte del gruppo ristretto dei sopravvissuti alle follie sadiche dei giochi della capitale.
Un tempo li ha vinti quei giochi, ora anche solo la paura di ripetere quell’esperienza l’ha portata a rinunciare alla sua vita.

È così che finirò anch'io? Risucchiata dagli incubi, prigioniera della mia stessa paura, è così che andrà a finire? Penserò anch'io che sia più facile morire?
'Non lo hai forse già fatto, Jenna?'
Si, ma io mi sono sempre rialzata, non ho mai permesso alla paura ed al dolore di distruggermi, lei si è lasciata andare, lei ha perso senza combattere.
'Proprio perché ti sei sempre rialzata puoi capirla, lo sai quanto è dura, lo sai quanto costa e sai che non tutti sono così forti' .

È vero, non posso condannarla, ognuno fa la sua scelta, Irina ha scelto di non lottare perché sapeva già che avrebbe perso, sapeva che non ce l'avrebbe fatta, è morta quando, dove e come voleva, ha fatto la sua ultima scelta da persona libera, prima che la capitale potesse togliergli anche quella.

Ed io? Cosa farò io?
'Hai paura, Jenna?'
Si.
'Vuol dire che ci tieni alla tua vita. Vuoi vivere, Jenna?
Si, voglio vivere.
'Lotterai?'
Lotterò!

 

Questa mattina non apro gli occhi, semplicemente non li chiudo, per tutta la notte.
Questa mattina Sam non mi porta la colazione a letto, entrambi i nostri stomaci sono
chiusi.
Questa mattina quando mi alzo, non lo bacio, ho paura di consumarlo, ho paura di
consumarmi sulle sue labbra, di non avere la forza di staccarmi.
Questa mattina sembra uguale a tutte le altre, il sole sorge ignaro fuori dalla finestra, nel cielo non c'è neanche l'ombra di una nuvola, eppure questa mattina è tutto diverso, questa mattina è l'inizio di un giorno d'inferno, il giorno della mietitura.

Nel silenzio che avvolge la camera da letto, alla luce ambrata dell'alba che filtra dalla finestra, Sam mi guarda ed io guardo lui.
Dio solo sa quanto ho bisogno di lui in questo momento.

Ho bisogno di una sua parola di conforto, ho bisogno di aggrapparmi alle sue braccia forti, ho bisogno di sentire il calore delle sue labbra, ho bisogno di mischiare le nostre lacrime, ho bisogno di guardarlo negli occhi e vedere quell'oceano azzurro e rassicurante, quelle acque dove so di non poter affogare.

Lontana di qualche passo, non so avvicinarmi, non so azzerare quella distanza e prendermi quello di cui ho bisogno, è lui a raggiungermi.

Posa una carezza sulla mia guancia, gli occhi chiusi, la sua mano ruvida trema leggermente mentre si poggia delicata sulla mia pelle.
La sento scendere, lenta indugia un attimo sul collo, risale dietro la testa, sento le sue dita intrecciarsi e giocare con i miei capelli, con un piccolo gesto me li scioglie e le ciocche scure ricadono sulle spalle.
Riscende ancora lisciando una ciocca, sfiora come un sospiro la linea del mio braccio, la curva del mio seno, passa per l'ombelico e mi lascia un brivido, poi le sue mani si posano entrambe sui miei fianchi.

Non oso aprire gli occhi, come potessi rovinare le sensazioni che le sue dita mi regalano, sporcandole con la vista.

Sento il suo respiro irregolare, il suo petto vicino al mio, giurerei di riuscire a sentire persino il battito del suo cuore martellargli dentro come un tamburo. Poi le sue labbra sfiorano le mie, non è un bacio quello che mi sta dando, è una carezza. Scendono a giocare col mio labbro inferiore, risalgono ancora a baciare il mio naso, gli occhi, la fronte, poi scendono di nuovo verso il collo, lasciando una scia di brividi caldi.
Si staccano un momento, mi sembra mi manchi il fiato, poi un attimo dopo si poggiano di nuovo sul collo - Ti amo – lo sento sussurrare mentre bacia il mio orecchio – Ti amo – riesco a rispondere, il fiato corto come se mi mancasse l'aria, è lui il mio ossigeno.

Apro gli occhi, la sua pelle è dorata sotto la luce dell'alba, lo guardo e penso che non ci sia niente di più bello, lo guardo e penso sia un angelo.
Vorrei dirgli così tante cose in questo momento, ma non c'è tempo, maledetti i secondi che scorrono veloci, se penso che tra qualche giorno potrei stare di nuovo nell'arena, sento gelarsi il sangue nelle vene, ho così tanto da dire, così tanto da fare, ho così tanto da vivere ancora... ma non c'è tempo.

Quanto tempo sprecato quando credevo di non farcela, quando passavo i giorni accovacciata sul pavimento della mia camera a chiedermi perché fossi ancora viva, ora lo rimpiango, ora che vorrei, non c'è più tempo.

Per le parole, non c'è tempo.
Per gli abbracci, non c'è tempo.
Per i baci, non c'è tempo.
Per le lacrime, non c'è tempo.
Non c'è tempo nemmeno per dirci addio in silenzio.

Non c'è il tempo che vorrei, ma ci basta guardarci negli occhi per leggerci dentro quelle parole che non avremmo mai il tempo di dire e non serve parlare, non serve sporcare il silenzio, il nostro è un 'per sempre' qualunque cosa accada.

Sembriamo due ombre, i fantasmi di noi stessi, mentre ci dirigiamo nella piazza del distretto, le mani intrecciati in un saldo abbraccio di dita.
Al nostro passaggio la gente si ferma, qualunque cosa stia facendo, esce di casa e ci guarda, con quello sguardo ci stanno vicino, ci comunicano il loro rispetto, il loro dolore, con quello sguardo ci dicono addio.

Rimaniamo così, stretti l'una all'altra e non servono a nulla le proteste dei pacificatori, né gli sguardi severi dei camera-man della capitale, non abbiamo intenzione di affrontare tutto questo divisi.
Riuniti nell'immensa piazza del distretto, noi vincitori siamo pochi, sembriamo infinitamente piccoli, irreparabilmente insignificanti, accanto a me lo sguardo caldo di Blight mi infonde un po' di sicurezza, vicino a Sam c'è Johanna, il viso di una statua.
Indago a lungo il suo sguardo, dritto in avanti a fissare il nulla, il mento alto, le spalle aperte, non c'è paura nei suoi occhi, non c'è dolore né rassegnazione, c'è tacita indignazione, c'è silenziosa protesta, ammiro la sua forza, ammiro il suo coraggio, si comporta come se si trovasse in questa piazza a fare una passeggiata, come se quello che sta per accadere non la riguardasse affatto, come se non facesse alcuna differenza se tra qualche secondo venisse estratto il suo nome oppure no.
Purtroppo non posso permettermi il suo stesso coraggio, non posso permettermi la sua indifferenza, non posso rimanere impassibile, proprio non posso, ci sono ancora così tante cose che devo fare, che devo dire, ho ancora una vita intera davanti a me, una vita che pensavo non dovesse conoscere un'altra volta l'orrore degli Hunger Games.
Speravo di aver pagato abbastanza, speravo fosse ora di prendermi una rivincita ed invece eccomi qua, tra qualche secondo la mia vita potrebbe essere rovinata, per sempre, tra qualche giorno la mia vita potrebbe essere finita, per sempre.

La capitolina dal completo verde prato si avvicina al microfono, quest'anno non hanno voluto mandare Zelda, chissà, forse non è lei che non è voluta venire, forse un po' ci voleva bene.
Parla, dice qualcosa, ma non la sento, tutto ciò che sento è un ronzio nelle orecchie, la vista è appannata, stringo la mano sudata in quella di Sam, lui mi accarezza un braccio e con un paio di parole all'orecchio mi riporta alla realtà.

La verde presentatrice si avvia squittendo alla boccia che contiene i nomi femminili, ad un tratto si blocca di colpo, sorride alla telecamera e poi alla gente nella piazza – Scherzetto! Questa volta prima gli uomini! - dice con voce stridula per poi scoppiare in una risatina isterica a cui nessuno si unisce, gli sguardi cagneschi della gente nella piazza devono essere stati abbastanza loquaci, perché il suo sorriso di spegne.

È indicibile quanto disprezzi la gente della capitale, ma la donna, se così la si può chiamare, che ho davanti, verde come una foglia, credo che si sia appena guadagnata il primo posto nella mia classifica mentale delle persone che odio di più.

Si avvicina alla boccia, guarda compiaciuta verso la gente in piazza, poi infila la sua manina guantata dentro l'ampolla.
La paura mi assale all'improvviso.

Sam.

Fa che non esca il suo nome! Non lo sopporterei, non ce la farei.
Farei qualsiasi cosa per assicurarmi che non venga estratto, ma non posso fare niente, impotente posso solo stringere la sua mano fino allo spasmo.
Ti prego, non lui, non Sam!
Lui è tutta la mia vita, non lui.
Non può essere estratto, non sopravviverei.
Se venisse estratto, morirei.
Non lui, ti prego, non lui, piuttosto me, ma non lui.
Io lo amo, non lui.
Sam, ti amo, non andartene, non lasciare che ti portino via da me!

L'eccentrica mano fasciata in un guanto dal verde improbabile si ferma e afferra un biglietto.

Fa che non sia lui. Fa che non sia lui. Fa che non sia lui.

È piegato, lo apre, le labbra truccate si schiudono per leggere il nome che c'è scritto sopra.

Non Sam. Non Sam. Non Sam.

Richiude le labbra, sorride davanti al microfono, a quanto pare vuole torturarci ancora un po'.

Stringo la mano di Sam così forte che ho paura di bloccargli la circolazione, non so dove trovi la forza, ma stacca gli occhi dal palco, gira la testa e mi guarda, anch'io ora lo guardo, mi sorride, come se non stesse succedendo niente, come se non si stesse appena decidendo il suo destino, come se fossi io quella da rassicurare.
'Ti amo' mima con le labbra, in tutta risposta mi alzo in punta di piedi e poso un bacio sulle sue labbra.
Non mi importa se le telecamere ora sono tutte puntate su di noi, non mi importa che tutta Panem ci veda, io lo amo e questi potrebbero essere gli ultimi istanti che passiamo insieme.

Non lo sento nemmeno quando la capitolina legge il nome scritto sul biglietto, sono troppo impegnata a perdermi negli occhi di Sam, lei un po' indispettita dalla nostra noncuranza pesta i piedi a terra e ripete urlando il nome contenuto nel foglietto, faccio appena in tempo a pregare per un ultima volta che non sia lui.

Non è lui.

Il mio cuore smette per un attimo di battere. Non è lui, Sam è salvo, lo abbraccio affondando la testa nel suo petto.

Blight si stacca dal gruppo e con piccoli passi raggiunge il palco, ci metto un secondo in più per riconnettere il cervello, sono due i vincitori maschi del Distretto 7, Sam non è stato estratto, perciò il nome che la capitolina ha letto è quello di Blight.
Non c'è tempo per il dolore, non c'è tempo per le lacrime, la capitolina si affretta a raggiungere l'altra ampolla, quella con dentro i nomi femminili.

Non riesco a pensare a nulla, è come se il tempo volasse via velocissimo.

Vedo la mano verde della presentatrice frugare tra i bigliettini, ne estrae uno, le sue labbra truccate si muovono per leggere il nome che contiene, ma il suono della sua voce dall'accento irritante non raggiunge le mie orecchie, è come se non mi trovassi veramente lì.
Non capisco.
Chi è stato estratto? Di chi è il nome che è appena stato letto?

Tutti gli occhi dei presenti sono fissati su di me, anche Sam mi guarda, mi guarda e piange, con le braccia mi stringe a sé, come per proteggermi... poi capisco.


Sono io.
Sono stata estratta.
Il nome sul biglietto era il mio.
Sto per ritornare nell'arena.

 

 

 

All'improvviso una mano si alza tra le altre – Mi offro volontaria – urla con voce annoiata Johanna Mason.

  
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