Zombie
Era da almeno due ore che il
vecchio non si spostava da quella panchina. Chissà, se fosse morto in quel
momento, quanto tempo sarebbe passato prima che qualcuno se ne accorgesse…
Sembrava aspettare un treno che non sarebbe mai passato, dava la sensazione di
aver lasciato andar via la vita ancor prima che questa potesse cessare davvero.
Non aveva nessuno. Era solo.
Nella solitudine più totale,
sperando quasi che la morte arrivasse per portarlo via da quella sua finta
esistenza. E per lui tutti i giorni si ripetevano, ognuno identico al
precedente, aspettando che qualcosa potesse mutare, invano. Sarebbe arrivato al
punto di trovare la felicità nelle più futili delle cose, purché queste gli
avrebbero dato l’effimera sensazione di un cambiamento, qualunque esso fosse. Perché
quando la vecchiaia arriva, va via la forza. Vanno via i sogni, ormai inutili
da inseguire, sfuggono le speranze, scivola tutto dalle dita. Si esiste, ma non
si vive. Tutto ciò che rimane sono i ricordi, i nemici più subdoli e meschini. Essi
riportano alla mente i momenti felici, ma ormai questi sono cessati per sempre,
e questo tormenta, distrugge, violenta gli animi dei vecchi come niente è in
grado di fare. Il giovane può ambire ad edificarne di nuovi, il vecchio no, può
solo ricordare quelli che già possiede, per quanto sia doloroso farlo. All’infuori di questi non ha nulla, ha solo
quella maledettissima memoria che lo tormenta, ma per quanto possa essere
beffarda, almeno riesce a far sentire ancora in vita chi è in procinto di
morire. Forse la migliore soluzione sarebbe stata proprio la morte, in grado di
strappare via il vecchio da quel mondo che chiaramente non gli apparteneva più.
Non era vivo, non era morto. Era uno zombie, nulla di più nulla di meno. E mentre
quel vecchio fissò per l’ultima volta le sue mani, solcate dai tagli di quella
che poteva chiamare vita, evidenziata dalle rughe di quella che poteva definire
semplice esistenza, chiuse gli occhi.
Finalmente.