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Autore: dilpa93    23/05/2013    6 recensioni
Solo allora, sentendo il suo nome, la donna alzò la testa incrociando lo sguardo del nuovo arrivato.
Lui la scrutò a fondo. Nei suoi occhi verdi aveva trovato più di quanto potesse immaginare, aveva trovato la pace.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Quasi tutti, Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La cerimonia fu una cosa tranquilla, ad adornare il feretro una corona di tulipani, i suoi preferiti; rossi, simbolo di amore, e gialli, simbolo di un sorriso donato per illuminare la giornata. Martha aveva pianto, nascosta dai grandi occhiali neri, mentre teneva il discorso sul piccolo ambone.
Vecchi amici gli avevano lasciato una pacca sulla spalla nel mero tentativo di consolarlo. C’era chi cercava di dagli conforto con espressioni come ‘ora è in un posto migliore’, ma non si rendevano conto di quanto a lui suonasse stupida quella frase.
In un posto migliore? No. Sarebbe dovuta essere era accanto a lui, quello era il posto migliore dove potesse essere.
 
A casa la madre lo aveva supplicato di tornare a vivere a New York. Aveva bisogno di qualcuno che gli stesse accanto, e ora aveva solo lei. E poi doveva stare vicino a sua moglie e sua figlia.
“Ragiona, sei andato a Boston perché non avevi più nulla per cui vivere qui. E ora che cosa ti è rimasto là?”
“Non posso andarmene, devo trovarlo.”
La donna si passò la mano sulla fronte madida “Hai detto tu stesso che ormai è perduto. Se ci saranno notizie sai bene che ti avvertiranno. Devi stare qui, con loro.” Lo supplicò indicando la foto sulla mensola sopra il caminetto.
 
Ricordava esattamente quando era stata scattata. Festeggiavano il quarto compleanno di Alexis. Lei e Meredith avevano passato il pomeriggio a preparare la torta. Inutile dire in che stato fosse ridotta la cucina quando lui era tornato a casa. La farina era ovunque, l’impasto al cioccolato era finito sui fornelli e misteriosamente anche sul frigo. Ma non ci fece caso quando vide la sua bambina andargli incontro sorridente con le manine piene di glassa.
La prese in braccio e le diede un bacio sulla guancia bianca, poi si avvicinò alla moglie premendo le labbra sulle sue.
La sera a cena Martha aveva scattato quella foto, poco prima che portassero in tavola la torta.
 
Gli prese la manie tra le sue stringendole con forza, portandolo lontano da quel ricordo. “Vedrai che non obietteranno per un tuo trasferimento.”
 
E così era stato. Riassegnato al 12th distretto di New York.
 
Cinque anni erano passati, e molte cose erano cambiate in quel luogo. I suoi vecchi compagni erano stati riassegnati ad altre unità, avevano fatto carriera, oppure cambiato direzione passando dall’omicidi alla narcotici. Solo una cosa era rimasta sempre la stessa, e lui non poté che esserne felice.
“È bello riaverti qui Richard, mi dispiace solo la circostanza.”
“Già...” annuì mormorando a denti stretti.
“Se hai bisogno di qualunque cosa. Se tu e Martha avete-”
“Ho bisogno di mettermi al lavoro Roy, niente altro.”
Distrarsi dalla mancanza di Alexis era l’unica cosa a cui pensava.
“Sei sicuro? È presto, è successo da poco.”
“Per favore, non posso restare con le mani in mano.”
“Molto bene, allora”, sospirò rassegnato, staccandosi dalla scrivania alla quale si stava sostenendo, “lascia che ti presenti la squadra.”
 
Era uscito dall’ufficio con Castle a seguito. Due dei tre detective riabbassarono immediatamente il capo sulle carte davanti a loro, cercando invano di non fra trapelare il loro interesse verso quell’uomo arrivato qualche minuto prima.
Il capitano si schiarì la voce, “detective, vorrei presentarvi il detective Castle. Da oggi farà parte della squadra. Castle, loro sono il detective Ryan, Esposito, e il detective Beckett.”
Solo allora, sentendo il suo nome, la donna alzò la testa incrociando lo sguardo del nuovo arrivato.
Lui la scrutò a fondo. Nei suoi occhi verdi aveva trovato più di quanto potesse immaginare, aveva trovato la pace.
 
I primi mesi furono duri, tanto per lui quanto per i suoi colleghi. Lavorava e basta, sembrava quasi non allontanarsi mai dalla sua scrivania. Lui e il suo cellulare vivevano in simbiosi; sempre acceso, volume al massimo, sempre in tasca, in attesta di risvolti e buone notizie circa Tisdale che non arrivavano, e che -anche se non ne aveva la minima idea- non sarebbero mai arrivate.
Non aveva legato con nessuno. Non era riuscito ad inserirsi come avrebbe voluto.
Se lo avessero conosciuto qualche anno prima, lo avrebbero trovato una persona estremamente socievole, forse fin troppo, quasi invadente.
Il Richard Castle dei tempi andati delle volte gli mancava. Sentiva la mancanza di quella parte infantile e giocherellona che aveva fatto innamorare Meredith di lui. Adesso tutto era così diverso, e quella parte della sua vita gli sembrava solo uno sbiadito ricordo.
Kevin aveva provato più volte a farlo sbottonare sulla sua vita prima del ritorno al 12th, ma non c’era stato verso. E alla fine, Javier, aveva aggiunto la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
Seduti ad un bancone era arrivata la domanda diretta e scomoda, alla quale Castle non poté che sottrarsi fuggendo via, come ultimamente era solito fare. E così, all’interno di quel bar, dopo che la sua birra, in conseguenza a quel movimento brusco, era caduta disperdendosi a terra tra le fughe delle mattonelle andando a ricreare un disegno in perfetto stile Jameson Pollock, rimase solo il brusio assordante della clientela che aveva continuato a ridere e divertirsi ignara di tutto, e il silenzio dei tre rimasti al tavolo.
A seguito di una breve ramanzina per l’insistenza e il poco tatto usato dai colleghi, la detective corse fuori nel tentativo di raggiungerlo. Lo vide ciondolare prendendo a calci i ciottoli che incontrava sul suo cammino sotto la fioca luce di un lampione mentre il soffice venticello autunnale gli carezzava cordiale il viso.
Lei sapeva cosa volesse dire portarsi dentro un peso, il peso della morte di una persona cara. Sapeva cosa volesse dire sentirsi interrogare in merito fino a che, almeno una parte di verità, non usciva allo scoperto.
È sempre stata convinta che tra poliziotti, soprattutto tra partner, non ci dovessero essere segreti, anche se lei era la prima ad aver omesso parte della sua storia.
Guardarsi le spalle fa parte del loro lavoro. Conoscersi significa sapere se si può contare sull’altro, sulla sua protezione.
E la perseveranza usata dai suoi compari nel tentare di carpire qualche informazione in più da quell’uomo così serio, concentrato e chiuso in se stesso, era solo un modo, forse un po’ contorto, per fargli capire che di qualunque cosa avesse avuto bisogno avrebbe potuto contare su di loro, e lei lo sapeva bene.
Invano aveva tentato di convincerlo a tornare dentro, e dopo un ultimo, profondo, e penetrante sguardo, lo aveva visto andarsene con le mani nelle tasche e il colletto della camicia sollevato a proteggergli il collo da quel vento ora pungente.
Si carezzò la catenina che teneva al collo prima di tornare dentro. Aveva bisogno di parlarle, ‘faccia a faccia’ e la mattina dopo sarebbe stato il giorno perfetto. Un saluto, seppur breve, prima di andare al distretto, sarebbe riuscita a farlo, come del resto faceva ogni 2 novembre da dieci anni.
 
Il sole pallido disperdeva un debole tepore.
Si fermò al solito negozio.
La campanellina in ottone trillò non appena aprì la porta.
Il proprietario le sorrise gentile sistemandosi gli occhiali sul naso “Katherine, mi stavo giusto domandando quando saresti arrivata. Puntuale come sempre.”
“Già. Come sempre...”
“Allora, quali fiori ti do quest’anno? C’erano dei fantastici tulipani rossi, ma li ha acquistati un signore qualche minuto fa.”
“Oh, non fa nulla signor Thompson, a dir la verità pensavo a quelli bianchi. Non glieli porto da tanto.”
“E tulipani bianchi siano!” Confermò allegro andando a prenderne un mazzo nello scaffale dietro al bancone.
La carta argentata brillava mentre la ripiegava attorno ai sottili e fragili gambi; raccolse la carta velina e la fece scivolare sotto i fiori per poi avvolgerceli dentro con estrema cura.
“Ecco a te, e... Tieni, lasciale questa da parte mia” le allungò una rosa gialla.
“Sarà un piacere. Buona giornata.”
“Buona giornata a te.”
 
Lasciò i fiori nell’apposito vaso, sistemando la rosa nel mezzo.
“Noto che papà è già passato.” Asserì osservando un mazzo di rose rosse lasciate accanto alla lapide, in modo che il vaso rimanesse vuoto per i fiori che avrebbe portato lei.
“Sto cominciando a pensare che, che forse dovrei mostrare il tuo fascicolo a Ryan ed Esposito. Sai, ho bisogno di parlarne con qualcuno. Ci sono giorni in cui mi sento scoppiare. Vorrei avere qualcuno con cui confidarmi, qualcuno che possa capire quello che provo.”
Si voltò, per impedire che sua madre vedesse le sue lacrime, e poco distante, qualche fila più indietro, lo vide. Incrociò il suo sguardo sorridendogli.
“Torno dopo mamma.” Sussurrò incamminandosi verso di lui.
“Ehi, io n-”
“Cosa fai, mi segui adesso? Tutto il discorso di ieri del ‘non sei costretto a dire nulla. Lo fanno solo perché siamo una squadra’ era tutta una balla?”
Il sorriso dal viso della detective disparve con velocità “non ti seguo, affatto. Vedi quella lapide? È quella di mia madre,vengo qui ogni anno alla stessa ora in questo giorno, a meno che non ci sia un omicidio che mi richieda sul campo. Quindi no, non ti seguo, e quelle di ieri non erano balle.”
Adirata gli diede le spalle, ma quando tentò di allontanarsi sentì la sua stretta attorno al polso.
“Aspetta. Perdonami... Sono paranoico ultimamente. Scusami.”
Lasciò la presa, aspettando di sentirle dire qualcosa. “Non fa niente.”
Con l’indice le indicò le lapidi davanti a loro.
“Lo-loro sono...” Maledì se stesso per non riuscire ancora a parlarne al passato, “erano mia moglie e mia figlia.”
“Mi dispiace molto.” Lo vide annuire e gli occhi brillare pieni di acqua salta. “È per questo che, si beh, che sei andato via da Boston?”
“Si. Sai, quando sua madre è morta, io e Alexis siamo diventati ancora più legati. Ci dicevamo tutto, ma io non le ho detto una cosa importante, credevo di tenerla al sicuro così, e invece ho fatto l’esatto opposto. E ho perso anche lei, e mi sento smarrito, totalmente smarrito...”
Kate fissò il marmo bianco lucido, le eleganti lettere nere in basso rilievo; le date a testimoniare la giovinezza delle vite che la morte aveva rubato e portato via con sé. Gli occhi le caddero poi sui fiori... Tulipani.
 
Tulipani rossi.
 
“Tua madre come è morta, se posso chiederlo.” Domandò dopo qualche secondo di esitazione.
“Vieni, ti offro un caffè. Aspetta solo un istante.”
Diede un ultimo saluto alla madre promettendole che sarebbe tornata presto.
Forse aveva finalmente trovato qualcuno con cui aprirsi e che l’avrebbe capita.
  
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