Autore:
Giacopinzia17
Titolo della storia: Edo
Fandom: Naruto
Rating: arancione, ma potrebbe variare e scattare al rosso
Tipo di coppia: Yaoi
Coppie: SasukexNaruto + eventuali accenni ad altre
Generi: romantico, storico
Avvertimenti: AU, OOC a tratti
Disclaimers: i personaggi non sono miei, ma di Masashi Kishimoto, che
ne detiene tutti i diritti. Le vicende storiche sono reali, ma a tratti
verranno apportate delle modifiche per ragioni di trama.
Note dell'autrice: Ok, salve! Probabilmente, con ancora ITOL in corso
(che proprio non riesco a continuare; scusate!) non dovrei pubblicare
qualcosa di nuovo, però ho questa storia in cantiere da
molto e non mi va di lasciarla a marcire per sempre! Per cui, siccome
non scrivo da quasi tre mesi, ho deciso di riprendere una storia che
stavo già iniziando e mi stava anche piacendo... Bah, l'idea
è nata in seguito alla mia iscrizione ad un contest
(Temporal Space), che però non sono riuscita a portare a
termine. Tutto il resto è venuto da sé. Dovevano
essere quattro capitoli più prologo ed epilogo, ma a questo
punto non so se rimarrò con questa base o meno. Le idee le
ho tutte in ordine, manca soltanto il tempo materiale e la pace
interiore per mettermi a scrivere; ma a breve arriverà, non
disperate. Mi sopporterete fino ad agosto :3
I personaggi saranno a tratti OOC, per esigenza di trama più
che per mia spontanea volontà, e soprattutto inserisco
l'avvertimento onde evitare che mi sfugga tutto di mano e voi non
sappiate che c'è questa possibilità sin dal
principio!
Uhm, ringrazio Chisana kitsune perché mi supporta e mi fa da
beta e il mio caro PunkDario per il solito giappo-aiuto e anche il
beta-aiuto :3
Ciancio alle bande, vi lascio al prologo... A presto!
Edo
PROLOGO
Edo,
8 luglio 1853, primo pomeriggio.
Una
flotta aggirava la sponda portuale di Edo.
I pescatori avevano abbandonato le canne da pesca per allertare i
samurai
incaricati di sorvegliare il porto di Uraga. Questi ultimi si
apprestarono a
schierarsi, le mani strette attorno alle impugnature delle spade,
cipiglio
serio e posizione di difesa.
«State
in guardia!»
Nel frattempo, un paio di loro si erano allontanati, mescolandosi tra
la folla
cittadina ammassata per vedere cosa stesse accadendo.
I due correvano, le navi nere avanzavano. Sembrava una sfida contro il
tempo.
Il fiato trattenuto e la respirazione spaventosamente regolare, mentre
con
passo felpato percorrevano le stradine ghiaiose, interrotte dal
terriccio scuro
nei pressi dei boschi.
Sorpassarono quel tratto senza indugiare.
Giunti nei pressi del palazzo shōgunale,
riconobbero la figura alta e slanciata del daimyo, scortato da quattro
samurai.
«Daimyo-sama!», lo chiamò uno dei due,
un giovane ragazzo dai capelli lunghi e
castani, legati alle estremità da un elastico bianco e
sfilacciato.
Gli occhi d’ossidiana del giovane daimyo incontrarono quelli
bianchi del
samurai, che s’inginocchiò ai suoi piedi in segno
di rispetto e portò una mano
al petto, mentre con l’altra teneva ferma la spada.
«Una flotta d’imbarcazioni si avvicina sempre
più alla terraferma, temiamo
possa trattarsi di un attacco nemico», lo informò.
«Quante sono?», domandò atono il daimyo.
«Quattro, signore».
«Come dobbiamo agire?», chiese l’altro,
un ragazzo dal caschetto nero e le
sopracciglia del medesimo colore e folte.
«Impeditegli di entrare nel centro cittadino ed indugiate in
attesa di nuovi
ordini», proferì il moro dai capelli corti e lo
sguardo pece e fiero, «sto per
incontrare Namikaze-sama».
I samurai annuirono e ripercorsero lo stesso tragitto per tornare al
porto.
«È
in ritardo,
Uchiha-sama».
«Mi perdoni, Namikaze-sama», si scusò il
Daimyo, «ho incontrato due dei vostri
samurai, che mi hanno riferito una spiacevole notizia».
«Cosa succede?», un giovane ragazzo alto e biondo,
gli occhi azzurri e
cristallini, fisico tonico rivestito da una tunica lunga nera e rossa
scura, si rizzò immediatamente nell'udire quelle parole.
Il moro tacque.
«Uscite, io e Daimyo-sama abbiamo da fare»,
ordinò lo shogun ai samurai
presenti nell’enorme stanza da letto, che fungeva anche da
studio personale.
«Così va meglio», asserì
l’Uchiha, avvicinandosi al biondo e sciogliendo i muscoli,
tesi come corde di violino sino a quel momento. «Dobbiamo
elaborare al più
presto una strategia, Naruto: Edo è sotto attacco».
«Com’è possibile?», il biondo
si avvicinò con rapidità alla scrivania,
afferrando un paio di rotoli e distendendoli su di essa, aiutato dalle
mani
diafane del daimyo. Agguantò i bordi delle pergamene e,
lanciando un fugace
sguardo al compagno segreto, indicò dei punti sulla mappa.
«Questi sono due dei piani strategici ideati in caso
d’assalto», illustrò la
situazione, «immagino che arrivino dalle Americhe».
«Infatti».
«Prima di tutto, i samurai dovranno stanziarsi nelle zone
ichi, shin, hachi e
jyuu», iniziò, «saranno disposti sette
samurai per fila, nel tentativo di tenere
sotto controllo l’ambiente circostante».
«Naruto», lo richiamò l’altro.
«Cosa c’è?»,
domandò quest’ultimo, studiando
l’espressione assorta dell’altro e
ricambiando con la propria stralunata.
«So già come agire», ammise con un
sorriso sghembo.
«Sì, ma noi dob…»
«Parli troppo, Naruto», le mani eburnee tastarono
con delicatezza i fianchi del
biondo, accontentandosi del tocco lieve e disturbato dalla presenza
della
tunica. «Ho già dato ordini: il primo è
quello di proteggerti a qualunque
costo. Sei tu la guida di Edo».
«Sasuke…»
«Ed io ti proteggerò a qualunque costo».
«Io mi batterò con i miei samurai!»,
ribatté convinto lo shogun, tentando di
allontanarsi dal corpo emettente un’abbagliante ed appagante
sensazione di
benessere; se non si fosse distaccato al più presto da esso,
non vi avrebbe
resistito.
Di nuovo.
Ma non era il caso di lasciarsi andare alla manifestazione dei propri
sentimenti quando una minaccia incombeva sulla città.
Non avrebbe mai lasciato che le persone morissero per salvarlo; non
senza
essersi messo lui stesso in gioco, non senza aver combattuto fino allo
stremo
delle proprie energie.
Sasuke lo sapeva, ma la sua indole iperprotettiva nei confronti del
Namikaze
non voleva saperne di scemare, anzi aumentava vorticosamente di attimo
in
attimo.
Non avrebbe mai più rischiato di perderlo, non avrebbe fatto
due volte lo stesso errore.
«Non ne ho mai dubitato».
I combattenti non fiatarono, né si mossero di un millimetro.
«Va bene, va bene, non abbiamo iniziato col piede giusto», rifletté lo straniero, fermandosi ed incrociando le braccia dietro la schiena, serrando le mani ed annuendo, «sono il commodoro Matthew Perry, dalle Americhe, e questi sono i miei uomini».
Ancora silenzio, un irritante silenzio disturbato dal confabulare dei mercanti ad un centinaio di metri di distanza rispetto ai samurai.
«Devo parlare con lo shogun di Edo», continuò, «ci sono cose importanti di cui discutere».
«Per quale ragione?», il samurai dagli occhi bianchi si fermò dinanzi al commodoro, impugnando la spada ancora risposta nel fodero, pronto a scattare per qualsiasi evenienza. In automatico, anche i soldati dell’armata americana affiancarono il proprio comandante, puntando le pistole nere e lucide contro il samurai.
«Calma», ordinò Perry, «non siamo qui per metterceli contro».
«Bensì quale sarebbe il motivo?», domandò nuovamente.
«Posso sapere come vi chiamate?»
«Hyuuga».
«Hyuuga… », espirò, «Ebbene, fatemi parlare con il vostro comandante».
«Noi non prendiamo ordini da lei».
Lo fissò cautamente e, mentre indietreggiava con rapidità e sfilava la spada dal fodero, gridò: «Schieramento Rinnegan: ichi, shin, hachi, jyuu!»
«Ripeto: non siamo qui per attaccare».
«E allora esponga la ragione per la quale vorreste attraccare le vostre navi qui», ribatté lo Hyuuga, mentre i samurai si posizionavano secondo gli schemi predisposti dallo Shogun.
«Conducetemi allo Shogunato», domandò, liberandosi dell’arma custodita nel fodero che pendeva a lato della sua divisa blu notte da contrammiraglio.
«Le navi non approderanno finché non ci saranno dati ordini».
«Finché la decisione non sarà presa», lo corresse l’americano. «Shall we?», pronunciò le parole indicando la stradina che conduceva al centro del paese con una mano ed un cenno del capo.
«Lei non andrà da nessuna parte, attenderà qui».
«Lo farò e non attaccheremo», decise, «ma voglio parlare con lo Shogun, o quantomeno con qualcuno che abbia una qualche autorità».
«Intanto ritorni sulla barca: non siete i benvenuti qui».
Con un sorriso sulle labbra, tipico di chi la sa lunga, l’americano voltò le spalle ai samurai e risalì sulla piccola imbarcazione che l’aveva condotto sulla terraferma.
Presto le navi sarebbero approdate, ne era certo.
Neji Hyuuga osservò le Navi Nere: erano munite di cannoni ed ogni soldato aveva un fucile ed una pistola. Si doveva trovare un accordo in fretta.
«È terrificante», biascicò il compagno dai capelli neri.
«Lo so, Rock Lee», ammise Neji, «dobbiamo solo mantenere la calma».
Ma era difficile farlo: Edo era in pericolo.