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Autore: shadow_sea    24/05/2013    5 recensioni
Il seguito di "Come ai vecchi tempi".
Questa volta le avventure del comandante Trinity Shepard fanno riferimento agli eventi narrati in Mass Effect 3.
Come nella storia precedente, la mia intenzione è quella di scrivere storie che traggano spunto dal gioco originale e se ne discostino allo stesso tempo, sempre attente a non stravolgere la trama o i personaggi. Le storie che troverete qui sono frutto di considerazioni ed emozioni personali, sono frutto del mio amore appassionato per questa trilogia e per Shepard ma, soprattutto, per Garrus Vakarian.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna, Garrus Vakarian, Un po' tutti
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Shepard e Vakarian'
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ATLANTE


Mozart - Piano Concerto No. 21 - Andante(1)



Durante il breve viaggio di ritorno sulla Kodiak verso la Normandy, Shepard era rimasta in silenzio. Garrus la vide smontare e rimontare macchinalmente la pistola che aveva fra le mani con lentezza, come se ogni volta fosse alle prese con un meccanismo del tutto sconosciuto.
Si chinò a stringere la chiusura di uno stivale, che non aveva alcun bisogno di essere stretto, cercando di seguire lo sguardo del comandante. Non guardava la pistola, ma non era quello il motivo per cui l’operazione di montaggio e smontaggio era eseguita con tanta calma attenta: lei poteva farlo rapidamente al buio. Shepard era in un mondo a parte e fissava gli occhi in terra senza vedere nulla, con il volto privo di qualsiasi espressione.
Il lieve rumore dell’attrito del fondo della Kodiak contro il pavimento dell’hangar della Normandy riscosse il comandante che chiese a Garrus e a James di consegnarle tutte le clip che erano rimaste loro dalla missione. Poi scese dalla navetta, si avviò verso il poligono di tiro poco lontano e ci entrò, chiudendosi la porta alle spalle.

Il turian appoggiò la nuca contro la parete della navetta da sbarco, limitandosi a guardare l’interno dell’hangar dal portellone aperto, mentre James lo fissava, incerto se dire una frase qualsiasi o tacere. Cortez passò lì davanti per vedere come mai i suoi due compagni non si decidessero a scendere.
- Tutto bene? - chiese con tono preoccupato, anche lui scosso dall’esito della missione appena completata su Tuchanka.
- Si, per quanto possibile... - gli rispose James, risolvendosi a uscire dalla navetta.
- Dai, fatti una doccia. Ti aspetto, così ceniamo insieme - lo invitò Esteban, appoggiandogli una mano sulla spalla.
Garrus uscì dalla navetta, ma si avviò verso il poligono di tiro, anche se immaginava già la scena che gli si sarebbe presentata agli occhi, dalla piccola vetrata posta sul fianco della costruzione. E infatti Shepard era in piedi, dietro a tante clip ordinate in una formazione rettangolare millimetrica, e stava sparando lentamente e regolarmente con la sua pistola contro la sagoma appesa contro il muro.
Appena pochi minuti prima, Mordin aveva sacrificato la sua vita per curare la genofagia, dando il suo prezioso contributo alla cessazione delle storiche ostilità fra krogan e turian ed al conseguente rafforzamento del fronte anti-Razziatori.
Garrus si rendeva conto che, nonostante i tanti anni passati a combattere, il comandante non riusciva ancora ad abituarsi a veder morire i suoi uomini: era un’umana, non una turian.
Il sacrificio di Mordin contribuiva in modo rilevante al peso che lei portava sopra di sé e che ora cercava di alleggerire come poteva, isolandosi dal resto del mondo e anche da lui stesso.

Quando tornava dai colloqui al videoterminale con Anderson o con Hackett aveva spesso un’espressione esausta e abbattuta e più di una volta gli aveva chiesto - Perché proprio io? - con un tono di voce disfatto, che non cercava una risposta. La risposta la sapeva, gliela avevano ripetuta quei due ammiragli, anche troppo spesso.
- Non sono un titano come Atlante, sono una donna stanca - gli aveva sussurrato poche sere prima, addormentandosi fra le sue braccia, e lui aveva passato una mezzora della mattina successiva ad informarsi, per dare un senso a quelle strane parole.

Garrus sapeva solo di sentirsi impotente: quando la vedeva perdere l’orientamento in mezzo alla forza brutale delle sue sensazioni sapeva di dover semplicemente limitarsi ad aspettare, sperando che lei non si lasciasse travolgere dalle onde di quelle emozioni fino ad annegarci dentro, senza più alcun barlume di lucidità e razionalità.
La prima volta in cui aveva visto Shepard appartarsi in quell’isola remota e privata le avevano requisito la Normandy. In quell’occasione lui aveva colto perfettamente la violenza di quel dolore che non poteva essere alleviato da nessuna forma di condivisione e le aveva lasciato tempo, perché la pena sfumasse. Ora, invece, non era certo di riuscire a immedesimarsi pienamente nelle emozioni del comandante e questo lo rendeva inquieto. Forse c’era qualcos’altro, oltre alla morte di un membro dell’equipaggio, ma non riusciva a figurarsi cosa potesse essere.

Seguitò a fissare la sagoma di Shepard per qualche minuto, continuando a chiedersi il motivo di quel turbamento, prima di aggrapparsi alla speranza che i loro rapporti fossero diventati così saldi e intimi da consentirgli di starle vicino anche in quei momenti, violando il suo santuario sacro.
Shepard non si girò al rumore dell’apertura della piccola porta e lui rimase in silenzio per un paio di minuti, lasciandole il tempo di svuotare il caricatore contro il cuore e il cervello della sagoma e di ricaricare lentamente l’arma. Solo in quel momento provò ad appoggiarle una mano sulla spalla.
- Non farmi questo, Garrus - fu il comando che suonò come preghiera.

Era tornato nella batteria primaria e aveva atteso. Non era riuscito a decidersi ad andare in sala mensa per la cena. Non voleva leggere il dolore negli occhi dei suoi compagni e non voleva che gli venissero rivolte domande sulla missione appena completata.
Dopo un tempo che gli parve lunghissimo chiese nuovamente a IDA dove fosse il comandante e, avendo ricevuto la risposta che si trovava ancora nel poligono di tiro, decise di stendersi sopra il materasso per provare a dormire.
Si destò più tardi, senza sapere che ora fosse, sentendo sollevare la coperta leggera che lo copriva. Nell’oscurità avvertì contro la pelle il freddo metallo di un’armatura. Facendo scorrere rapidamente le mani su quella presenza capì che Shepard gli si era stretta contro, vestita ancora come durante il viaggio sulla navetta da sbarco.
A tentoni le sganciò i vari pezzi dell’armatura, gettandoli lontano dal materasso, ascoltando il suono leggero dei fermagli che andava slacciando e quello sordo del metallo che rotolava sul pavimento della stanza, mentre lei rimaneva del tutto inerte. Lo colpirono le esalazioni, troppo intense al suo odorato sensibile, del sudore stantio, del sangue rappreso, delle munizioni esplose: odore di fatica, di battaglia, di dolore.

Sotto l’armatura tastò l’uniforme leggera del comandante, umida, appiccicosa, sgradevole al tatto e all’odorato. Gliela sfilò e la gettò il più lontano possibile, senza curarsi di dove fosse atterrata. Poi si sdraiò nuovamente al fianco di quella donna immobile e muta, stringendo fra le braccia la pelle umida di lei, ancora carica di quegli odori troppo forti e spiacevoli, e provando a passarle le dita fra i capelli, solo per ritrovarsele incastrate fra nodi umidicci di una matassa arruffata e ingarbugliata.
Avvertì l’impulso di scansarsi con una sorta di vago malessere addosso ma, contro quel movimento istintivo di ripulsa, lei si agitò all’improvviso e gli si strinse addosso con tutta la forza dei muscoli che lui percepì improvvisamente tesi allo spasimo sotto quella pelle madida e fredda.
Trinity gli aderì come una seconda pelle, avvinghiandosi, facendo forza con le braccia intorno alle spalle del turian, pur sapendo che quella mossa non le era consentita, per i tagli che si sarebbe procurata. Nello stesso tempo gli imprigionò le gambe fra le sue e cercò la sua bocca imponendogli un bacio che lui non avrebbe mai cercato di darle. Tutto questo nel silenzio più assoluto, a parte un respiro affannoso e incerto.

In quel momento il corpo di Garrus rispose a quello di Shepard con un slancio che lo sconvolse. Gli unici gesti volontari che fece consistettero nel girarsi con la schiena contro il materasso, rendendole irraggiungibili le placche dure e taglienti del carapace, e nel serrarle le mani fra le dita, in modo che non potesse tagliarsi.
Per il resto, perse completamente il dominio delle sue azioni, come in una sorta di delirio, affondando e riemergendo nelle rapide di un fiume impetuoso, senza riuscirsi a fermare, senza riuscire a riprendere fiato. Si aggrappò al corpo di Shepard, lo strinse, ci si strofinò, indifferente alle abrasioni che avrebbe potuto causarle, lo leccò per suggerne quegli umori troppo intensi e poi si arrese.
Nessuna diga avrebbe fermato quell’impulso urgente e necessario e nessun ostacolo lo avrebbe rallentato. Fu una specie di grido doloroso quello che gli uscì dalla bocca, mentre si rendeva confusamente conto di un altro grido diverso che gli faceva eco.

Rimasero a lungo silenziosi e immobili, impauriti di chiedere e di chiedersi cosa fosse stato, incapaci di trovare un nome a gesti primordiali ed elementari, ingenui e spontaneamente innocenti.
La tenne stretta, senza provare più alcun senso di repulsione, mentre lei scartava rapidamente le parole grazie e scusa, che le erano venute spontanee alle labbra.
- Sono un disastro - gli confessò invece, sottovoce, dopo un tempo che a entrambi parse eterno.
- No, Trinity, sei solo un essere vivente. Non sei una macchina - le rispose Garrus, trattenendola, nell’accorgersi che lei stava provando a sgusciar via.
- Resta qui - aggiunse, cercando di infilare in quelle due parole tutto l’affetto e la comprensione che provava per lei, pur senza capire cosa avesse scatenato quella reazione angosciata.
- Raggiungimi tu, credo che sarà meglio dormire in lenzuola meno appestate - rispose lei con voce tremula, premonitrice di una risata lieve, in cui cercava di nascondere la propria debolezza e vulnerabilità.

Nel periodo di tempo che fu necessario a Garrus per radunare tutti i pezzi dell’armatura di Shepard, sistemare il materasso, mettere a lavare le lenzuola, che presentavano preoccupanti macchie di sangue umano, e farsi una rapida doccia, lei era riuscita a finire di lavarsi e si era anche asciugata i capelli.
Si era rivestita rapidamente con una felpa dopo aver sbirciato la sua immagine allo specchio, sapendo che Garrus non avrebbe gradito quello spettacolo, poi si era sdraiata sopra le coperte sperando che lui la raggiungesse presto.
La prima cosa che il turian fece, appena dopo aver varcato la soglia della cabina, fu quella di sedersi al suo fianco, prendendola fra le braccia, mentre le provava ad aprire la chiusura della parte superiore della felpa, con un tocco gentile, ma determinato. Voleva verificare quali e quanti danni fossero riusciti a combinare su quel corpo troppo soffice, come lo definiva Grunt.
Shepard gli strinse le mani, con una presa salda, mentre gli confessava - Se solo mi fosse stato possibile avrei cancellato con le tue placche ogni più piccola ferita della battaglia di oggi.

- Spiriti, Shep! Cosa devo fare con te? - le chiese, smettendo di indagare, con un sospiro rassegnato.
- Resta qui stanotte - gli rispose con un sorriso nervoso, mentre appoggiava l’orecchio al petto del turian, ascoltando il lento battito di quel cuore.
- Raccontami cos’è successo oggi - le chiese Garrus, dopo qualche secondo in cui l’unico rumore fu quello del criceto che correva nella gabbietta e del sistema di ossigenazione dell’acquario.
- Io avrei potuto sbagliare. Doveva andare lui.
- E’ quello che ti ha detto Mordin?
Lei annuì.
- E sai che è vero.
Lei annuì di nuovo.
- Solo che, come sempre, avresti preferito morire tu, piuttosto che veder morire un tuo uomo sotto gli occhi.
Stesso gesto del capo di Shepard.

- Ma c’è anche dell’altro, vero? - le chiese, sentendo che il suo corpo restava irrequieto e rigido.
- Avrei potuto fingere di curare la genofagia senza curarla davvero. Il Velo era stato compromesso - gli confidò in un bisbiglio, come se fosse lei a dover ammettere un crimine.
- La Dalatrass mi aveva offerto questa scappatoia in cambio della flotta salarian e dei suoi migliori scienziati per la costruzione del crucibolo - aggiunse, sempre in un sussurro.
- Spiriti, Shep! Chi era a conoscenza di questa proposta?
- Ho taciuto con tutti. Soprattutto non volevo che ne venissero a conoscenza Wrex e Bakara. Non perché io abbia mai pensato veramente di poter accettare, ma per non aggravare il clima di sospetto fra salarian e krogan. Mi sono confidata solo con Mordin, proprio ai piedi del Velo. E lui ha deciso di curare la genofagia, a scapito della sua vita.
- Ha scelto di rimediare a una sua antica decisione che ora gli appariva sbagliata - razionalizzò il turian, ancora piuttosto turbato per la proposta indecente del Consigliere.
- Ho perso la flotta salarian, Garrus - singhiozzò Shepard, con un tono disperato - Non so se sarebbe stata determinante, ma l’ho persa. Non ce l’ho fatta a condannare un intero popolo...

“Ti stai chiedendo quale sia il prezzo che saresti disposta a pagare per salvare la galassia” realizzò Garrus.
- Non sei una macchina e non sei neppure l’Uomo Misterioso, comandante. Ci sono prezzi che non si possono pagare o si perderebbe la propria identità e il rispetto di se stessi.
- Non lo so, Garrus. A volte mi sembra di non sapere più distinguere cosa sia giusto da cosa sia sbagliato.
- Le famose decisioni giuste… quelle che non sono mai facili… - la incoraggiò lui, comprendendo il peso che quella decisione si portava appresso e che lei non sarebbe facilmente riuscita a scrollarsi di dosso.
- Shep, anche Mordin era un salarian. Con la benedizione della Dalatrass o senza, molti altri salarian si uniranno a noi nella battaglia finale - la rassicurò, mormorando fra i suoi capelli sciolti.
- Non lo so, Garrus…
- Io ne sono certo, comandante: non ci sono altre speranze. Per nessuno. Anche le Asari si uniranno a noi - aggiunse ancora, in tono convinto.
- Perché? Perché dovrebbero farlo?
- Sei sicura di volerlo sapere? - le chiese Garrus a sua volta, in tono incerto - Lo sai da sola il motivo e non ti piace che ti venga ripetuto…

“Sono un simbolo, sono la speranza di interi popoli… E Garrus ha ragione: non voglio sentirmelo dire ancora un’altra volta. Soprattutto non voglio che me lo dica lui…” rifletté Shepard in silenzio, mentre sentiva che la tensione la stava abbandonando.
- Ma tu, adesso, non sei qui con me per quel motivo… vero?
- Che pensiero scemo, Trinity! - esclamò Garrus, assolutamente sorpreso.
- E non mi ami solo per quel dannato motivo, vero? - chiese ancora, col tono petulante di una bambina noiosa.
- Spiriti! Non parlerai sul serio, spero… Io posso ammirare il comandante Shepard anche per quel motivo, ma amo Trinity.
- E perché ami Trinity? - chiese Shepard, cominciando a ridacchiare piano.
- Perché fa domande sceme - rispose Garrus abbracciandola più forte e tirandosela contro, in modo che lei potesse addormentarsi con le sue placche contro la pelle della schiena, in una effimera sensazione di protezione.

Accorgendosi che Shepard stava scivolando nel sonno, tornò con la mente a quel dannato motivo che era bene non ricordarle. “Mordin sapeva perfettamente che lui si poteva sacrificare per la genofagia, ma tu no. E non perché tu avresti potuto sbagliare, ma perché senza di te questa dannata guerra contro i Razziatori sarebbe già persa. Spero che nemmeno lui te l’abbia detto in chiaro, perché lo sai da sola e fai fatica a sostenere tutto il peso di questa sconfinata volta celeste”.
Era stata IDA a raccontargli quella leggenda di un’antica civiltà terrestre. Se la ripassò nella mente, mentre aspettava che lei si addormentasse. L’ansia del comandante stava aumentando di giorno in giorno e lui si sentiva impotente. Shepard mangiava troppo poco, spesso saltando del tutto i pasti. Non compariva più a mensa, come faceva un tempo, preferendo rintanarsi nel suo alloggio.
Quando lui compariva nella sua cabina senza essere stato invitato, lei si limitava ad accertarsi che lui stesse bene poi, appena rassicurata, tornava a studiare i tanti rapporti che le venivano inviati o la mappa galattica, disdegnando il vassoio che lui aveva appoggiato timidamente al suo fianco.
Le rare occasioni in cui lei lo cercava erano diventate estremamente preziose per Garrus, che si rendeva conto del peso delle responsabilità che si aggiungeva ogni giorno su quelle spalle delicate e che lei non poteva condividere con nessuno, neppure con lui.

Come di Shepard, anche di Atlante non si conosceva la vera origine, né chi fossero i genitori. La leggenda diceva che quel gigante era stato condannato a sostenere con la nuca e la sola forza delle braccia tutta la volta celeste. Solo per un breve periodo era riuscito a liberarsi da quel peso, quando un eroe di nome Eracle(2) aveva per breve tempo preso il suo posto. Un altro eroe(3) aveva infine determinato la fine di quel supplizio, ma anche la fine del povero Atlante, che era stato tramutato in una statua di pietra.
La leggenda in sé era senza dubbio bella, ma non era affatto confortante, specie nella conclusione.

°°°°°

I bisbigli che si inseguono fra i rami spogli degli alberi sono le schegge taglienti di frasi mai dimenticate: le voci di Jenkins e di Ashley sussurrano il suo nome riaprendo ferite amare che non potranno mai guarire completamente.
Un fantasma le si materializza di fianco all’improvviso confessandole - Dovevo essere io. Un altro avrebbe potuto sbagliare - poi si allontana da lei dissolvendosi in brandelli polverosi che ondeggiano lievemente nell’aria prima di svanire al contatto del suolo.
Le sagome che compaiono e scompaiono fra la nebbia e i tronchi smorti sono fantasmi indistinti, confusi fra le foglie che volteggiano nell’aria come brandelli di carta incenerita. Non hanno parvenza di persone reali: il suo subconscio sa che simboleggiano le tante inevitabili altre vittime future che questa lunga guerra falcerà prima di concludersi.
Inaspettatamente si trova davanti quel bambino che è l’unica immagine nitida e distinta del suo sogno, quell’immagine sfuggente che ha lungamente inseguito al rallentatore, come se corresse in un’aria collosa e densa che trattiene il suo passo e rende greve il suo respiro.
Si ferma davanti a lui e tende la mano, ma prima di poterlo stringere fra le braccia per portarlo via, in salvo, al sicuro da quell’orrore vago ma angosciante, le fiamme avvolgono la sua figura e lei si sveglia all’improvviso, come sempre, con un singhiozzo che le muore sulle labbra.


Shepard alzò di scatto la testa dal cuscino portando una mano sugli occhi umidi, nell’inutile tentativo di cancellare le visioni di quell’incubo ricorrente. Cercò con lo sguardo il pigro andirivieni dei pesci dell’acquario, per riprendere contatto con il mondo reale. Poi si alzò dal letto, sapendo che sarebbe stato inutile tentare di riprendere sonno.
“Sono troppo logorata per potermi permettere questo sogno in questi giorni” fu il pensiero sconsolato che le passò per la mente mentre apriva il getto della doccia “devo lavare via tutti i ricordi dolorosi e pensare invece al prossimo incontro con il Consigliere salarian sulla Cittadella”.

Ogni battaglia che abbiamo combattuto poteva essere l’ultima, ogni proiettile che abbiamo schivato poteva esserci fatale era la frase che le ripeteva spesso Garrus per incoraggiarla, ma le immagini crudeli e strazianti della Terra e di Palaven sotto le disastrose bordate del fuoco dei Razziatori si ripresentavano di continuo davanti ai suoi occhi, per testimoniare quanto effimera fosse la vita di tutti loro, appesa ad un filo di fortuna che sembrava sempre sul punto di spezzarsi.
Tutto il suo equipaggio rischiava di morire ogni giorno per una decisione che poteva rivelarsi sbagliata, per un ostacolo che lei non aveva saputo prevedere o semplicemente perché stavano osando troppo, contro nemici troppo potenti. E tutta quella dannata guerra poteva terminare con una sconfitta perché lei si ostinava a rimanere fedele a quei concetti di onore e dignità che forse erano davvero inutili e dannosi, come sosteneva Javik.

Era ancora sotto l’acqua tiepida della doccia, a ripetersi che avrebbe fatto meglio a smettere di compatirsi, quando sentì bussare alla porta della stanza. Si drappeggiò un asciugamano intorno al corpo e si avvicinò lentamente alla porta temendo qualche comunicazione messaggera di nuovi disastri.
Invece si trovò di fronte Garrus che teneva in mano un vassoio con una tazza di caffè, pane tostato, burro e marmellata di arance. Lui entrò, guardò l’espressione del viso di Shepard, chiuse la porta alle sue spalle e poggiò rapidamente il vassoio vicino al suo terminale privato.
- Cos’è successo nel poco tempo che mi è stato necessario a procurarti la colazione? - le chiese con quella premura che le riservava quando intuiva che lei era sul punto di arrendersi e crollare.
- Nulla, in realtà non è successo nulla - gli rispose sentendosi un po’ stupida. La risposta immediata di Garrus, che la abbracciò forte sussurrandole - E’ proprio quello che temevo di sentirti dire - le confermò ancora una volta quanto bene lui la conoscesse.

Si rintanò fra le sue braccia ripensando a quanti momenti intensi avessero condiviso: la loro storia era nata senza un vero principio ed era progredita con lo scorrere del tempo, scivolando dalla semplice stima all’amicizia incrollabile e poi alla fiducia assoluta. Infine, senza rendersene conto, lui non l’aveva vista più come un’umana e lei non lo aveva visto come un turian. Erano semplicemente Shepard e Vakarian, e non avrebbero potuto fare a meno l’uno dell’altra.
La proposta maliziosa che molto tempo prima Shepard aveva fatto a Garrus circa la possibilità di testare allungo e flessibilità era stata solo la conclusione inevitabile di un processo che si era avviato tempo prima e di cui nessuno dei due avrebbe saputo individuare l’inizio esatto.
Poi c’era stata la gita di poche settimane prima, sulla cima del Presidium, e la domanda di Garrus - Sei pronta a dedicarti… a un unico turian?
Shepard non riuscì a trattenere un sorriso a quel ricordo, sia per il divertimento provato a sparare come due adolescenti irresponsabili a delle bottiglie, con la sola motivazione di fare qualcosa di stupido prima di affrontare la parte finale di questa lunga guerra contro i Razziatori, sia per la gioia di quella richiesta che sanciva la solidità del loro rapporto... e poneva la parola fine alla corsa di Garrus appresso ad ogni femmina turian disponibile.

- Credo che dovresti occuparti dei capelli… ti donano di più quando sono asciutti - le sussurrò lui nell’orecchio riportandola al presente.
La guidò verso il bagno, si sedette e se la pose in grembo, dimostrando di ricordare l’uso dell’asciugacapelli. Lei si rannicchiò sulle sue gambe e lo lasciò fare un poco, ma non restò ferma a lungo e alla fine lui si arrese: la prese in braccio e la portò verso la camera da letto - Va bene, mi hai convinto: i tuoi capelli sono fantastici anche quando sono bagnati.

- Bevi il tuo caffè e, per favore, mangia. Io vado nella batteria primaria: stanotte mi sono svegliato con l’impressione che si possa apportare un leggero miglioramento nella velocità di puntamento del Thanix - le disse improvvisamente, mentre si trovavano ancora nudi e ansimanti sul letto, come se fino ad un momento prima avessero discusso di calibrature.
Shepard pensò divertita “in un modo o in un altro riesci sempre a farmi star bene e a farmi ridere”, mentre lui stava finendo rapidamente di indossare l’armatura e dalla sua espressione assorta era evidente che stesse pensando a un qualche algoritmo di calcolo.

Il comandante bevve il caffè ormai tiepido e mangiò meccanicamente una fetta di pane con burro e marmellata, mentre si continuava a chiedere cosa diavolo potesse volere da lei quel viscido Consigliere salarian, che durante il collegamento al videoterminale l’aveva accusata di aver riscritto la storia.
Si preparò mentalmente alla cerimonia che avrebbe dovuto presenziare dopo pranzo, per ricordare il sacrificio di Mordin Solus, e si avviò verso il ponte per parlare con Joker e sapere quanto tempo mancasse all’arrivo sulla Cittadella.


*****
Note
(1) Non so capire il motivo, ma questa musica mi dilania ogni volta il cuore. Non credo di essere mai riuscita ad ascoltarla senza che gli occhi mi si riempissero di lacrime. E’ questo il motivo per cui l’ho associata a questo capitolo.
(2) Eracle (o Ercole) chiese ad Atlante di aiutarlo a raccogliere i pomi d’oro nel giardino delle Esperidi ed in cambio accettò di sorreggere al suo posto la volta celeste. Il gigante accettò, sperando che sarebbe riuscito a liberarsi per sempre della tortura inflittagli. Al suo ritorno, però, Eracle escogitò uno stratagemma per convincere Atlante a sorreggere di nuovo la volta celeste e, raggiunto lo scopo, fuggì via.
(3) Perseo chiese ospitalità ad Atlante al ritorno di un lungo viaggio durante il quale aveva tagliato la testa di Medusa. Ottenendo un rifiuto, Perseo mostrò la testa di Medusa al Titano, che venne immediatamente trasformato in pietra.
  
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