Don’t Wanna Fall
Asleep
La
sera, sua madre la metteva a letto e le raccontava fiabe, leggende e, talvolta,
la storia della sua famiglia e del villaggio, per saziare la sua curiosità.
Sakura
adorava la storia.
Provava
una morbosa sete di conoscenza, e più volte aveva rubato dalla libreria del
padre i grossi tomi per adulti, e li aveva sfogliati con occhi luccicanti.
In
una di queste occasioni, aveva scorto una storia nuova, che mamma non le aveva
mai raccontato: aveva osservato le illustrazioni di una grande e mostruosa volpe
che avanzava e schiacciava sotto le sue zampe due case.
Perché stava distruggendo
un villaggio?
La
sera aveva domandato timidamente alla madre di raccontarle quella fiaba. Alla mamma non era piaciuta quell’idea; le
aveva ordinato di non parlarne più.
Però
Sakura era davvero curiosa, e sapeva a chi domandare per risposte: Ino, la sua
migliore amica, conosceva un sacco di cose sul villaggio. Quindi, una mattina nell’ora
di disegno, domandò a lei di spiegarle quella storia.
Ino
inarcò un sopracciglio chiarissimo, distogliendo gli occhi dal foglio ancora
bianco.
“Quella
che hai visto è Kyuubi, il demone che ha distrutto il
villaggio cinque anni fa.” Le spiegò, stilizzando una volpe sul foglio con la
lingua tra i denti. “Papà mi ha detto
che era un mostro gigantesco e che è stato uno degli Hokage
a eliminarla.”
“E
perché ha distrutto il villaggio?” incalzò Sakura, pendendo dalle labbra di
Ino.
Questa
alzò le spalle. “E’ un demone, Sakura, un mostro.” Rispose semplicemente l’amica.
Una risposta che non la soddisfaceva.
La
stessa notte, richiese spiegazioni alla mamma. Sakura non riusciva
semplicemente a capire. E lei voleva capire il perché Kyuubi era un demone cattivo.
Davanti
alla sua supplicante domanda, sua madre strinse le labbra. “Ci sono persone
cattive di natura, tesoro. Non possiamo cambiarli…
sono mostri. Come quel bambino biondo
che viene con te a scuola…”
Sakura
sbattè gli occhioni verdi.
“Ma chi, Uzumaki Naruto? Non mi piace quello lì. È un teppista, un poco di
buono.” Affermò, crucciando le labbra.
Sua
madre le sorrise, e le baciò la fronte. “Brava bambina mia. E ora, a nanna!”
Sakura
distese le labbra e si accucciò tra le sue calde coperte.
Si
domandò per un attimo perché si fosse chiesta le ragioni della volpe e non
quelle di Naruto, ma scacciò via il pensiero e il senso di colpa subito; bastò
rigirarsi su un fianco e chiudere gli occhi.
Infondo, erano molti che
chiudevano gli occhi davanti a Naruto.
I
don’t wanna close my eyes
Don’t
wanna fall asleep
Cause
I miss you babe
And
I don’t wanna miss a thing
Non voglio chiudere i miei occhi
Non voglio addormentarmi
Perché mi manchi, tesoro
E non voglio perdere una (sola) cosa
Era
una nottata d’estate calda e afosa. Il lenzuolo le faceva da seconda pelle,
appiccicato contro il corpo sudato.
Sakura
si rigirò nelle coperte: di lato, supina, a pancia in giù…
invano.
Allungò
un braccio verso il comodino e premette l’interruttore della lampada accanto al
comodino. Una luce soffusa inondò la stanza, illuminando la sua camera da
bambina. Le bambole erano ancora appoggiate sulle mensole, le tende d’un
delizioso rosa che ricordava i suoi capelli, e i libri di favole stavano per
terra e sul comodino, in disordine.
(Come l’aveva lasciata due
mesi fa, quando aveva litigato con i suoi ed era andata a vivere con Naruto. Il
mostro che sua madre disprezzava con sentimento.)
Sakura
si liberò dal groviglio di stoffa, e si alzò, andando alla finestra: le luci di
Konoha erano accese, e i lavori di ricostruzione si
erano protratti anche a quell’ora della notte.
Konoha era sveglia e
vigile, sembrava non riuscisse a prendere sonno, come lei stessa: i ricordi
erano ancora troppo vividi.
Due
occhi infuocati dal taglio felino, due guance graffiate e un’aura di chakra che
bruciava la pelle di Naruto.
La
risata innaturale della volpe mentre colpiva la maestra Tsunade.
Il
suo grido disperato.
Il
sapore salato delle lacrime ai lati delle labbra.
Sakura
serrò le labbra in una sottile striscia.
(Faceva ancora troppo
male.)
Guardò
l’orologio. Le due di notte.
Mancavano
ancora tre ore prima che fosse il suo turno di guardia, ma mise i sandali e
scese le scale per poter andare alle prigioni in anticipo.
“Sakura…”
La
voce di sua madre la fermò mentre abbassava la maniglia della porta.
“Non
andare! Ti potresti fare male tesoro…!”
Il
tono era ansioso e preoccupato, e Sakura tentennò nel dare la risposta.
L’affetto nei confronti della madre era ancora grande, ma era stato infetto da
parole e gesti troppo dolorosi da poter essere dimenticati.
“Non
sono più una bambina, mamma. Non posso più chiudere gli occhi.”
La
donna spalancò gli occhi, e scivolò a terra piangendo.
Sakura
non la degnò di nessun’altra attenzione e prese a saltare velocemente verso le
prigioni.
Di
guardia alla prigione di amianto c’era Kakashi-sensei.
Sakura
lo saluto pacata, e non si fermò nemmeno a chiedergli il permesso per entrare.
Sapeva che il maestro la capiva.
(Doveva affrontare la
realtà. Era troppo facile pararsi gli
occhi e fare finta di nulla.)
“Naruto?”
La
sua voce ovattata risuonò placida nella grande cella bollente.
Un
piccolo grugnito fu l’unica risposta.
Un
groppo le bloccava la gola, troppo stretta per altre parole.
Naruto
giaceva in un angolo tenendosi la testa, la pelle bruciata e la carne che
pulsava viva, respirando forte.
Un’aura rossa lo circondava e una coda frustrava l’aria.
“N-Naruto…”
Piccole
pupille feline la fissavano e le mozzarono il fiato.
Pian
piano quelle gocce nere si allargarono, e ritornarono due piccoli cerchi
perfetti contornati da le iridi più azzurre e sincere che Sakura avesse mai
visto.
(per quanto tempo però?
Solo il necessario per non farla preoccupare)
“Sakura-chan.”
Un
sussurro stanco e flebile, che le fece venire le lacrime agli occhi. Ma Sakura
non avrebbe pianto, piangere era adatto ai bambini e lei non era più una
bambina. Non voleva esserlo.
(Anche se sarebbe stato
più facile non vedere cosa aveva portato la sua promessa)
“Sono
venuta a medicarti.” (e a salvarti)
Lo
avvisò, abbassandosi per curare con il chakra verde almeno le ustioni più
profonde.
Naruto
grugnì e le allungò il braccio senza guardarla negli occhi.
Sakura
si morse un labbro, e sospirò.
Non
era più Naruto. Ma lo amava comunque [quel
mostro dagli occhi rossi].
E
le mancavano le discussioni sul ramen, sulla casa, sulle missioni.
Le
mancava lui.
Per
questo, per riaverlo, era costretta a tenere aperti gli occhi e fissare come
era cambiato, curarlo e riempirlo di parole.
Doveva
tenerlo vivo.
(Lui, che solo aveva saputo riempire i
vuoti lasciati da Sasuke e riempirla di speranza)
Così
prese a fare quello che faceva tutti i giorni.
Raccontava
favole.
E
fin quando c’era Sakura, gli occhi di Naruto anche se vitrei rimanevano azzurri.
Ma
appena la principessa si allontanava, la bestia ritornava e minacciava il
villaggio di morte. E la fanciulla sapeva, e si sentiva mangiata dal rimorso e
dal dolore della perdita.
Perché
era colpa della sua immaturità che la bestia era indomita.
Aveva
aperto gli occhi troppo tardi.
Ma
ora aveva gli occhi aperti. E l’avrebbe salvato.
Era
una promessa.
*^*^*
Naruto © Kishimoto.
Era
da un sacco di tempo che volevo scrivere una NaruSaku.
Mi piacciono troppo insieme, e sono troppe poche le fic
italiane con questa splendida coppia (che nello Shuppiden
sembra abbia speranze di diventare realtà! *esaltazione*).
Li
adoro, basta vederli insieme per farmi andare in brodo di giuggiole! *___*
Il
pezzo centrale è tratto da una canzone degli Aerosmith
“I don’t wanna miss a thing”.
È una canzone tremendamente romantica in realtà, ma l’ho usata lo stesso. XD
Fatemi
sapere… sperando che questa one-shot spinga qualcun
altro a scrivere NaruSaku! XD
Un
grazie speciale a Rael, perché
condivide questa mia passione, e a Mimi,
contagiata ormai dal morbo NaruSaku! *_*
Un
grazie a tutti quelli che leggeranno.
Bye,
Kaho