Neville si
alzò presto,
quel giorno. Era felice, senza un motivo preciso… Sentiva
dentro di sé che
quella sarebbe stata una magnifica giornata.
Tutto contento e
saltellante, svegliò Seamus, Dean, Harry e Ron.
-È
tardi!- continuava a
ripetere. Nonostante i mugolii di protesta, non si arrese.
Dopo
mezz’ora era
finalmente riuscito a svegliarli.
Scesero tutti
nella
Sala Grande, fecero colazione e… arrivò la posta.
Un immenso stormo
di
gufi entrò e consegnò lettere e pacchetti ai
rispettivi padroni.
Neville non si
aspettava di ricevere una lettera, invece… Era di sua nonna,
naturalmente.
La
aprì e sfilò il
foglio dalla busta. Dopo aver letto il contenuto, il ragazzo
sbiancò.
Tutti quei
sorrisi,
quei saltelli, quella sensazione fantastica che aveva avuto alzandosi
dal
letto… Tutto svanì di colpo.
-Neville, va
tutto
bene?- Hermione si era preoccupata vedendo il viso dell’amico
completamente
pallido.
Il ragazzo
annuì, non
con molta convinzione però. Guardava un punto indeterminato
del muro di fronte
a lui, pensando a chissà cosa.
Andò
nell’ufficio di
Silente, camminando come un Babbano che aveva appena visto un fantasma.
Quando
entrò il preside
stava leggendo tranquillamente un libro, che Neville non riconobbe.
-Signor Paciock!
Cosa
ti porta durante una giornata bella come quella di oggi in una stanza
chiusa e
opprimente come questa?
Il ragazzo non
era
dell’umore giusto, e parlare con un professore lo metteva
sempre a disagio, ma
nonostante questo sorrise: la voce del preside lo faceva stare bene.
-Io non trovo che
questa
stanza sia opprimente…- mormorò.
Adesso fu Silente
a
sorridere. –Apprezzo il tuo buon gusto, Neville.
Sì, anche a me questo ufficio
piace molto.
Neville si
avvicinò
lentamente verso la scrivania: non doveva dimenticarsi il motivo per
cui era lì.
-Professor
Silente, mia
nonna mi ha mandato la solita lettera e volevo chiederle se…
-Sì.-
rispose il
preside, prima ancora che il ragazzo finisse la frase. -Puoi andare al
San
Mungo con tua nonna.
Neville trattenne
il
respiro quando pronunciò il nome di quel posto infernale.
Il San Mungo.
L’ospedale dove i maghi venivano curati. Non proprio tutti,
però.
Neville e sua
nonna
entrarono e un’anziana signora li salutò.
Probabilmente era un’infermiera che
sua nonna conosceva bene.
Raggiunsero il
solito
corridoio dove si trovava la stanza che Neville odiava e amava allo
stesso
tempo. Ma dentro non c’era nessuno. Sarebbero arrivati a
momenti, e i due li
aspettarono seduti lì fuori.
E arrivarono,
scortati
da due medici: uno non era mai abbastanza per una coppia di matti.
Neville riconobbe
l’uomo magro e alto, con i capelli corti e grigio scuro; la
donna era un po’
più bassa, anche lei teneva i capelli corti, ma sembrava
molto più giovane
dell’uomo.
Quante volte
Neville li
aveva visti nelle fotografie che sua nonna teneva in casa... In tutte
sorridevano. Ma lui non li aveva mai visti sorridere di persona. I loro
sguardi
erano sempre stati vuoti, almeno da quanto si ricordava; la bocca si
apriva e
si chiudeva senza emettere suoni.
Frank e Alice
Paciock
passarono davanti al loro figlio, ma sembrarono non vedere niente, come
se
fosse invisibile.
Neville
abbassò lo
sguardo quando passarono: non riusciva a mantenere il contatto visivo,
con
loro.
Scoppiò
a piangere,
all’improvviso.
Adesso i suoi
genitori
sembrarono notarlo, ma lo guardavano incuriositi, come se vedessero
delle
lacrime per la prima volta.
Il dottore li
condusse
verso la loro stanza, ma Neville non resistette. –No, mamma!
Papà!- strillò.
Prese loro le mani. –Vi prego…- adesso era appena
un sussurro. Sua nonna cercò
di staccarlo, ma lui era più forte. –Non potete
dimenticarmi!- urlò ancora.
Gli occhi di
Alice e
Frank s’illuminarono all’improvviso. Prima si
guardarono le mani che il ragazzo
li aveva toccato, poi lui.
–Neville…-
la donna
sembrava incredula, come se si fosse appena svegliata. Poi si rese
conto che
quello non era un sogno. –Neville!- gridò lei.
–Oh mio dio! Neville!- Gli gettò
le braccia al collo.
Il ragazzo aveva
le
lacrime agli occhi, non aveva la minima idea di come quel miracolo
fosse potuto
accadere.
Anche suo padre
era
tornato in sè e lo abbracciò, continuando a
ripetere il suo nome.
Le strilla che si
udirono quel giorno al San Mungo, non erano strilla di dolore o di
sofferenza,
ma di gioia e felicità. Perché una famiglia si
era nuovamente unita.