Capitolo XV
Trame misteriose
Castello
della Famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra
Harm e Mac
varcarono la soglia del parco del Castello di
Beaulieu dopo una breve attesa per consentirle di acquistare il
biglietto. Lui
aveva insistito per pagare, ma Sarah era stata irremovibile.
Molte persone
affollavano l’ingresso, ma data l’estensione
del parco la gente sciamava subito via e la ressa si disperdeva
immediatamente.
Sullo sfondo la mole chiara del castello risaltava contro il grigio
plumbeo del
cielo.
Mac alzò lo
sguardo e notò un trenino sopraelevato che
percorreva l’intero perimetro del parco.
“Curioso”
osservò divertita, ma Harm già la stava
trascinando via verso un largo spiazzo di cemento dove erano esposte
numerose
vetture d’epoca. Alcune in pessimo stato di conservazione, altre meglio
tenute.
Sembrava un
bambino alle prese con una torta al cioccolato
e glielo disse.
“Mi sono
sempre piaciute le auto d’epoca” le rispose
ammirando una Jaguar MK2, “ma negli Stati Uniti non c’è nulla di
paragonabile a
questo” terminò indicando la vasta distesa degli stand.
Nell’aria,
oltre al profumo dell’acqua e dell’umidità che
si sprigionava dall’erba, anche il sentore di hamburger, patate fritte,
caffé.
Numerosissimi chioschi per rifocillarsi erano disposti in punti
strategici
della fiera. Quando vide un bar che vendeva gelati, Mac scoppiò a
ridere di
cuore: “Questi inglesi sono davvero unici!” esclamò. “Il tempo fa
assomigliare
la giornata ad un giorno di Ottobre e loro aprono un chiosco per
vendere
gelati!!!”
“Perché non
hai visto il tizio laggiù” le fece eco Harm.
Seguì
l’indicazione dell’amico e vide un uomo in
calzoncini corti, Birkenstock e maglietta a mezze maniche mangiare
tranquillamente un gelato sotto la pioggia che nel frattempo era
ripresa a
scendere. Qualche metro più in là un signore, non più giovanissimo,
vestiva
galosce di gomma alte fino al ginocchio, cerata e cappellino
impermeabili e
camminava serafico bevendo da una tazza una bevanda bollente.
I due si
guardarono e in coro esclamarono: “Sono pazzi
questi inglesi!” ridendo a crepapelle.
Proseguirono
quindi nel loro itinerario e per un po’
curiosarono fra le bancarelle di autoricambi e automobilia, Mac più
attratta
dalle stranezze (un cartello poneva in vendita un’autentica cabina del
telefono
inglese), Harm, invece, più impegnato nella ricerca dei pezzi di
ricambio che
gli occorrevamo per ultimare il restauro della Austin Healey.
Stavano bene
insieme, si stavano divertendo e Harm
raccontava cose molto interessanti circa la sua auto. A Mac non
sembrava vero
di poter avere una normale conversazione con lui. Si ritrovò a
desiderare
spasmodicamente che quella giornata, nonostante il tempo inclemente,
non
terminasse mai.
Ad un certo
punto, deviarono dal percorso che stavano
seguendo e decisero di tornare all’ingresso, verso il National Motor
Museum,
una costruzione semisferica di spiccato gusto moderno, in netto
contrasto con
il castello che, a poca distanza, si ergeva a silenzioso guardiano del
parco.
Entrarono e
ciò che videro li lasciò a bocca aperta.
Persino Mac, che non si era mai interessata di auto d’epoca, rimase
senza
fiato.
Ogni spazio
disponibile della superficie era occupato da
vetture: si andava dalla replica esatta del primo triciclo a motore
ideato da
Gottlieb Benz alle macchine da F1 degli anni ’70 e ’80, passando per i
tipici
autobus londinesi a due piani e a prototipi talmente bizzarri che
nessuno mai
li avrebbe acquistati, fino alle più moderne, ma non meno prestigiose e
classiche, Rolls Royce e Jaguar, alcune appartenute anche a star del
cinema.
“Bella la
collezione di Milord” osservò Mac mentre
giravano fermandosi di tanto in tanto ad ammirare ora questa ora quella
autovettura.
In una parte
del Museo erano stati ricostruiti degli
scorci di una città inglese e in questi scenari erano inserite delle
vetture:
si andava dal furgone del lattaio a quello del panettiere per terminare
con le
auto incidentate e ricoverate da un carrozziere.
Ciò che li
divertì maggiormente fu la ricostruzione,
peraltro assai fedele, di un’officina meccanica degli anni ’20, con
tanto di
macchinari funzionanti e un finto gatto accoccolato sulla sedia
dell’ufficio
del proprietario. Quando uscirono Mac era a dir poco stupefatta, mai
avrebbe
pensato di divertirsi così. Infatti, mentre erano all’interno, Harm le
aveva
fatto da cicerone commentando le caratteristiche più significative
delle
macchine che vedevano o raccontandole aneddoti sulle case costruttrici.
Era un
ottimo narratore e sapeva come catturare l’attenzione.
Ma,
soprattutto, Sarah aveva scoperto un lato nuovo di lui
che non sospettava esistesse. In nove anni Harm non le aveva mai fatto
cenno di
questa sua passione per le auto d’epoca e lei mai avrebbe pensato che
avesse
una simile cultura in materia.
Quest’uomo
non finirà mai di sorprendermi, pensò
guardandolo di sottecchi.
All’uscita
del Museo notarono una targa in marmo: vi si
diceva che la prima pietra di quella costruzione era stata posata nel
“lontano”
Dicembre del
Si
incamminarono nuovamente verso la fiera per fare un
giro prima di fermarsi per il pranzo. Tuttavia la pioggia che prima
scendeva
leggera, ora s’era fatta più insistente e pertanto decisero di
“rifugiarsi” al
castello.
Percorsero
così un grande viale costeggiato da ippocastani
in fiore, purtroppo sfioriti a causa della pioggia.
Harm la prese
per mano e lei non sollevò obiezioni.
Si sentiva
felice e leggera come non le capitava da tempo,
il cuore era sgombro da pensieri grevi e Clayton Webb, il matrimonio,
Belinda e
tutto il resto erano lontani mille miglia.
Guardò Harm e
lo vide sorridere. Ma non era un sorriso
freddo e di circostanza: affatto, gli brillavano gli occhi. Anche lui,
come
lei, era felice.
Castello
della Famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra
La luce
dell’alba filtrava attraverso le
pesanti tende blu, stemperando l’oscurità della notte e delineando,
poco alla
volta, forme e colori nella stanza.
Lentamente
Lady Sarah si svegliò da un sonno
breve, ma profondo. Mentre le immagini confuse dei sogni lasciavano
pian piano
il posto alla consapevolezza della realtà, si mosse leggermente e nel
farlo si
rese conto che un braccio la tratteneva alla vita.
Sorrise,
ricordando con dolcezza la notte
appena trascorsa a far l’amore con suo marito.
Era così
felice…
Proprio lei,
Lady Sarah Jane Montagu, si era
follemente innamorata. Era innamorata e felice di esserlo. Ma
soprattutto
felice di appartenere completamente ad un uomo.
Proprio la
donna che aveva creduto di non esserne
mai capace… proprio la stessa donna che era stata convinta per anni di
non
potersi mai fidare degli uomini ora giaceva tra le braccia dello stesso
uomo
che aveva accusato d’averla voluta sposare con l’inganno.
Con
delicatezza spostò il braccio posato di
traverso sul suo corpo nudo, ottenendo solo un debole mormorio dalle
labbra di
suo marito, che continuò a dormire profondamente.
Si voltò su
un fianco e rimase ad osservarlo a
lungo.
Lasciò vagare
lo sguardo sul suo corpo
muscoloso, che il lenzuolo aggrovigliato attorno ai fianchi lasciava
parzialmente scoperto; osservò le sue mani, così grandi e tenere al
tempo
stesso… avrebbe dovuto prestare più attenzione a quelle mani.
Mentre lo
guardava, lasciò che i sentimenti che
provava per lui la invadessero completamente, colmando finalmente la
voragine
che aveva avuto nel cuore sino a pochi giorni prima.
Credeva di
essere preparata a ciò che avrebbe
provato tra le sue braccia, quando lo aveva desiderato finalmente nel
proprio
letto. Invece ciò che aveva provato andava ben oltre ogni immaginazione.
Dolcemente
gli sfiorò il volto, osservando che
la benda all’occhio si era spostata, probabilmente a causa dei
movimenti del
sonno e nella foga della loro passione, ed ora gli lasciava quasi
scoperto il
viso: fortunatamente nessuna cicatrice ne deturpava la bellezza.
Castello
della Famiglia Montagu
Beaulieu, Inghilterra
Camminarono
lentamente tenendosi per mano e giunsero in
breve al castello.
La strada che
avevano scelto li aveva condotti non
all’ingresso principale, ma verso uno dei lati della costruzione, a
fianco
della quale si ergeva una bassa casa. A tutta prima la scambiarono per
l’abitazione del custode, ma ben presto, avvicinandosi, si accorsero
che si trattava
di un museo: lì, proprio a Beaulieu, durante
Harm e Mac,
ufficiali, provarono commozione leggendo le
gesta di quelle persone e si appassionarono alle spiegazioni delle
tecniche di
addestramento presentate negli altri
pannelli, appresero la complessità dei codici criptati in uso,
ammirarono i
cimeli esposti e si stupirono non poco nell’apprendere che, in tempi
non
sospetti, quando ancora l’attacco a Pearl Harbour era lontano, molti
loro
compatrioti si erano addestrati proprio lì.
“Spero che
adesso avrai un’opinione migliore delle spie”
gli disse Mac quando uscirono.
“Non ho mai
pensato male delle spie” le rispose serio,
“solo di una” precisò poi.
“Non conosci
Clay” replicò. “È un uomo buono e dolce.
Basta saper guardare al di là delle apparenze. Ma tu non lo hai mai
fatto,
esattamente come con Mic, ti sei limitato a giudicare quello che vedevi
senza approfondire.”
Harm si fermò
e si voltò verso di lei: “Mac, lo sai che
con te sono sempre stato onesto e non ti ho mai nascosto nulla”.
Lei annuì.
“Quando ti
dicevo che quell’uomo non mi piaceva avevo le
mie buone ragioni. Non ero geloso…”
Sarah alzò un
sopracciglio, quasi a dire “”Ah no?” e lui
si corresse: “Non del tutto almeno. Webb ti aveva presa di mira da
subito. Ti
voleva e avrebbe fatto carte false pur di averti”.
“Non ti è
passato per la testa che potesse essersi
innamorato di me?” domandò con fare provocatorio Mac.
“Webb?!
Innamorarsi?!” esclamò. “Andiamo Mackenzie, sai
essere molto sveglia quando vuoi. “Webb non si può innamorare perché
gli manca
un cuore.”
E tu ce l’hai
un
cuore per innamorati Harmon Rabb?, fu tentata
di chiedergli, ma si trattenne.
“Sediamoci su
quella panchina” propose e la condusse verso
un sedile di pietra di fronte all’ingresso dal quale erano appena
usciti. La
pioggia, per fortuna, era cessata e sembrava che un timido sole volesse
squarciare il velo delle nubi e affacciarsi a scaldare la terra
inumidita.
Si sedettero
e Harm le prese entrambe le mani,
giocherellando con l’anello di fidanzamento: “Quando ti dico che non
parlo solo
per gelosia, devi credermi. Se solo fossi certo che tu saresti felice
con lui o
con qualsiasi altro uomo non esiterei un attimo a lasciarti andare,
anche a
costo della mia stessa felicità. Questo devi averlo ben presente Sarah.
Se in
tutti questi anni mi sono intromesso nelle tue scelte sentimentali è
stato
perché io vedevo più in là di te. Eri talmente ansiosa di ricevere
attenzioni e
amore da un uomo che ti sei sempre limitata alle superficie delle cose,
senza
andare oltre, e ti sei accontentata”.
Mac sgranò
gli occhi. Quelle parole la ferivano perché
erano la verità nuda e cruda, si rendeva conto che Harm aveva ragione.
Tuttavia
si stupiva anche di tanta franchezza: non le aveva mai parlato così.
Quelle, si
rese conto, erano le parole di un amico vero, sincero ed interessato
solo alla
sua felicità. Ma erano anche le parole di un uomo innamorato.
Nondimeno non
poté esimersi dal giustificarsi: “Volevo
essere amata, volevo che un uomo accettasse di correre tutti i rischi
che una
relazione comporta, non uno che si trincerasse dietro la scusa
dell’amicizia
per non impegnarsi”.
“Touchè” le
rispose. “Hai ragione. Ma io ti ho sempre detto la verità e non ti ho
mai
rifiutata del tutto. Ti chiedevo del tempo…”
Mac si alzò:
non voleva iniziare un’altra
non-conversazione. Avrebbero finito con il rovinarsi la giornata.
“Facciamola
finita prima ancora di cominciare Harm” lo
interruppe. “Conosco le tue posizioni e tu conosci le mie. Perché stare
qui a
ripetere cose già dette un milione di volte?”
Lui l’afferrò
per un polso, costringendola a sedersi
nuovamente. Notò la sua espressione affranta, ma continuò imperterrito:
“Se
avessimo iniziato una storia e poi avessimo rotto, come avremmo potuto
lavorare
insieme e fare finta che nulla fosse accaduto? Io non avrei sopportato
di
vederti accanto ad un altro e tu? Avresti sopportato di vedermi con
un’altra?”.
“No” ammise
Mac anche se con riluttanza. “Ma almeno
avremmo potuto provarci. Avresti potuto dirmele allora queste cose” lo
rimproverò.
“Lo sto
facendo adesso. Meglio tardi che mai” rispose
disarmante.
Sospirò.
Quell’uomo era davvero impossibile ma per quanto
facesse per farselo venire in odio non ci riusciva. L’avrebbe amato
fino alla
consunzione, le piacesse o no.
Si alzarono e
percorsero gli ultimi metri che li
separavano dall’ingresso principale del castello.