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Autore: Redrum    11/12/2007    2 recensioni
per chi è così malato mentalmente da voler scoprire perché sono così malato mentalmente da volervi raccontare perché sono così malato mentalmente,
e mi sta pure ad ascoltare mentre lo faccio.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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autobiografia autorizzata

ma non per questo

BEEhiVe

degna di essere letta

anche perché partorita da me




**




INTRODUZIONE:



Viene chiesto spesso, alla gente, e devo dire che – soprattutto in questo frangente – è stata la prima domanda che mi è venuta in mente prima di iniziare a scrivere. Dire quale sia il primo ricordo che ho della mia infanzia è una cosa difficile, e si rischia di scivolare in un terreno vischioso come questo. Eppure io ho un'immagine onirica in testa, non so dire se sia un semplice sogno o un riflesso di una reminiscenza ancestrale, e questa immagine mi ossessiona in modo talmente enigmatico, che adesso non esiterei a definirla il primo ricordo.

Dunque, sono al piano di sotto, a casa mia, nel corridoio a sinistra dell'ingresso, proprio dopo la porta a vetri smerigliati. Direi che ho nove anni. Adesso mi interromperete dicendo “bel ricordo ancestrale, caro mio!”, ma vi prego di aspettare... vi ho già detto che questo è un mio sogno ricorrente. Allora, stavo dicendo. Bene, cammino lungo questo corridoio, di notte. Tengo in mano un aeroplano giocattolo, un modellino di quei velivoli invisibili da guerra, neri e lucidi come razze sott'acqua. Lo faccio beccheggiare a mezz'aria, fingendo che stia davvero volando, lo sapete anche voi come fanno i bambini. Faccio il rumore con la bocca. Vvvvvvvvvvvrrrrr... Il corridoio è buio. È notte. C'è un velo di luce azzurrina, anzi, blu. Arrivo in fondo, sempre col giocattolo tra le dita. Ci sono due porte, separate dal muro con davanti il mobiletto rosso, quello che ha sullo sportello i disegni fatti a stencil da mia mamma. La porta a sinistra è quella della camera dei miei (adesso è la camera degli ospiti) e quella a destra è la mia (e ora è lo studio, occupato da computer, lampade alogene e altre robe che poco o nulla assomigliano a un lettino a una piazza e a cataste di mattoncini Lego). Proprio davanti al mobiletto rosso, faccio virare l'aeroplanino a destra. Apro la porta della mia stanza. È buia. Le tapparelle sono abbassate, filtra pochissima luce bluastra da fuori. Ci sono le tende bianche a fiori. Alla mia sinistra c'è una culla. La mia culla, per essere precisi, e dentro ci sono io. Neonato. Imbacuccato nelle coperte, la testolina sul cuscino. Dormo. E io, col gioco in mano, mi osservo da dietro le sbarre di legno, con un sorriso. Ecco, io credo che questa sia una specie di proiezione di un mio primissimo ricordo. Se pensate che sia una emerita stronzata, quella è la porta. Ad ogni modo, dato che qui non siamo riuniti per un saggio di psicologia infantile, direi di proseguire, senza contare che – nonostante all'esame su Melanie Klein abbia preso trenta e lode – questo non vuol dire che io abbia deciso di occupare questa e le pagine che seguiranno blaterando di scena primaria, complesso edipico, seno cattivo e fase fallica, tutti argomenti, ne sono sicuro, certo interessanti e stimolanti (soprattutto quello del seno).

Allora, come disse plurime volte il buon vecchio Stephen King... vogliamo andare?










  
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