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Autore: MikiBarakat96    25/05/2013    1 recensioni
Seguito di "So Wrong, it's Right" (non leggete se non avete prima letto l'altra).
Un anno dopo gli eventi successi nella prima storia, Stella, la sorella di Jack, è riuscita finalmente a realizzare il suo sogno e a superare la sua paura; la sua vita va a gonfie vele, sembra che niente possa andare male e invece ancora una volta si troverà a dover decidere fra la sua carriera e l'amore.
Le recensioni sono sempre bene accette :3
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salveee :DD

Ho aggiornato in tempo ! :D non vi ho fatto rimanere troppo con la curiosità di sapere cosa sarebbe successo u.u finalmente in questo capitolo scoprirete come reagirà Alex :D fatemi sapere cosa ne pensate, ho bisogno delle vostre opinioni, come ho ripetuto varie volte sono ancora molto dubbiosa su quello che succede in questa storia xD. Non ho altro da dire... quindiii vi lascio alla lettura sperando vi piaccia :).

Un bacioo :*

Miki* 
 
  “Something’s telling me to leave
 But I won’t
 ‘Cause I’m damned if I do ya
 Damned if I don’t”.
 
Alex aprì la porta proprio quando Jack, Pierre e Debbie, sparirono dalla strada per andare due nella casa di Jack e una nella sua casa affittata quando stava ancora con Zack. Durante il viaggio in taxi Debbie mi aveva detto che era tornata a Baltimora anche perché voleva prendere le cose che aveva lasciato nella casa per portarle a Roma dove voleva andare a vivere ufficialmente.
L’espressione sorpresa che mi ritrovai davanti mi ricordò la sera della prima vigilia di Natale che avevo festeggiato insieme ad Alex e gli altri e anche del giorno in cui ero arrivata a Baltimora per la prima volta dopo la vacanza a Roma degli All Time Low; come in tutti e due quei giorni, il mio cuore esplose di gioia e per un attimo mentre mi buttavo tra le braccia dell’unico ragazzo che avevo mai amato sul serio, mi dimenticai della preoccupazione che fino ad un minuto prima mi aveva chiuso lo stomaco.
<< Perché non avverti mai quando torni? >>, mi chiese Alex mentre ancora mi teneva stretta forte tra le sue braccia come se avesse avuto paura che me ne andassi un’altra volta.
<< Perché è divertente vederti sulla soglia della porta con l’espressione da pesce lesso stampata in faccia >>, risposi ridendo.
Mi scoccò un rumoroso bacio sulla guancia. << Sei una cattiva ragazza >>.
<< Senti chi parla >>, gli mostrai la lingua.
Mi baciò il naso e successivamente le labbra. << Mi sei mancata >>.
<< Anche tu >>, dissi sprofondando nuovamente con la testa nel suo petto.
Ma brava, fai ancora un po’ la ruffiana così magari non ti darà uno schiaffo per non avergli detto prima che sei incinta.
Disse una vocina fastidiosa nella mia testa.
Mi allontanai dal suo petto come se avessi preso la scossa pensando che in effetti quella vocina aveva ragione, dovevo smetterla di fare la coccolosa e dovevo dirglielo in quel momento, prima che potessimo andare a parlare di altro.
<< Allora, com’è andata? >>.
Appunto.
<< Bene, come ti avevo detto l’aria di casa ha fatto molto bene a Jack… e anche a me >>, risposi.
Okay, era il momento giusto.
Coraggio. Coraggio. Coraggio.
Feci un bel respiro. << È stato un periodaccio per tutti questo, tutto questo grande casino con la band ha mandato tutto in fumo e ha reso tristi tutti… per me però… è stato un periodaccio per un altro motivo >>.
Alex mi guardò perplesso. << Che cosa intendi? >>.
Un altro bel respiro. << Alex… c’è qualcosa che devo dirti… >>.
Nonostante la sua espressione fosse improvvisamente mutata diventando una maschera tesa e preoccupata, si strinse nelle spalle e usando un tono tranquillo disse: << Ti ascolto >>.
Forse avrei dovuto dirgli di sedersi? Sarebbe potuto svenire?
<< È… una cosa difficile da dire… e infatti ho aspettato non poco tempo per decidermi a dirtelo e di questo sinceramente mi dispiace… >>.
Mi scrutò attentamente il viso e probabilmente vi lesse la mia preoccupazione, perché il suo tono di voce si fece più duro ed era facile leggere l’ansia nei suoi occhi. << Puoi arrivare al punto? >>, mi pregò.
Che stupida! Perché stavo girando intorno all’argomento?
Dillo e basta.
Per un attimo pensai che l’ansia mi avrebbe bloccato la lingua così che non sarei riuscita a parlare, e invece pronunciai quella due parole che avevo così temuto di dire senza la minima esitazione.
<< Sono incinta >>.
Mi sentì come se mi avessero tolto un peso dallo stomaco e per un attimo mi venne voglia di sorridere e di esultare perché in un certo senso mi sentivo vincitrice: finalmente ce l’avevo fatta, avevo rivelato ad Alex che stava per diventare papà, avevo fatto la cosa giusta…
Il senso di felicità svanì non appena guardai Alex.
Il corpo di Alex si era irrigidito come un’asse di legno, lo sguardo gli si era posato su un punto dietro di me che però non stava realmente guardando: si vedeva perfettamente che con la mente era da un’altra parte. Fu quando riportò lentamente lo sguardò assente su di me che parlai di nuovo per cercare di farlo riemergere dallo stato di shock in cui era caduto. << È successo dopo che ci eravamo fatti il bagno insieme nell’albergo in Inghilterra, quando io me ne sono uscita con quella stupida storia che mi vergognavo… e… ci siamo scordati le precauzioni… e… >>.
<< Da quanto lo sai? >>, mi chiese interrompendomi –cosa di cui gli fui grata visto che non avevo idea di come continuare-.
<< Dal giorno in cui sono uscita dall’ospedale >>, risposi tenendo lo sguardo basso non riuscendo a guardare la sua espressione neutra e tesa. << È per questo che sono stata male… non perché non avevo mangiato >>.
Il suo sguardo si fece improvvisamente vivo e accusatorio. << Mi hai mentito? >>.
<< Non all’inizio >>, risposi sentendomi improvvisamente malissimo; avevo voglia di sotterrarmi, le cose non stavano andando come avevo sperato. << Quando tu sei venuto all’ospedale io non sapevo ancora nulla, Cassadee e Debbie avevano voluto nascondermelo perché sapevano che sarebbe stato scioccante per me >>.
<< E quando l’hai saputo, non potevi dirmelo? >>, chiese stringendo le mani a pugno, segno che si stava arrabbiando.
<< Eri già partito e il dirtelo per telefono mi sembrava brutto e in più Matt mi avrebbe uccisa se ti avessi fatto saltare un altro concerto >>, risposi.
<< Chi se ne frega di Matt! Dovevi dirmelo! >>, esclamò.
<< Lo stavo per fare quando ci siamo rivisti, ecco perché sono venuta a Berlino >>, dissi.
Annuì varie volte. << Quindi era questo che mi dovevi dire quella sera a Berlino, prima che Zack e Jack litigassero… tu me lo stavi per dire… perché poi non lo hai fatto? >>.
<< Come avrei mai potuto darti quest’altro peso dopo quello che era successo? Saresti stato ancora più male e io non volevo che passassi quello che avevo passato anche io >>, spiegai.
<< Ma io dovevo passarlo! Perché io avevo bisogno di sapere cosa ti stava succedendo! >>, esclamò trattenendo a stento l’irritazione.
<< Non volevo darti altre preoccupazioni, va bene?! >>, ribattei di rimando improvvisamente irritata anche io. << Ero spaventata, ero confusa, non avevo idea di che cosa fare, non avevo mai pensato che sarei potuta rimanere incinta e… non ho avuto il coraggio di dirtelo… fino ad oggi, il viaggio a Roma mi serviva anche per quello, dovevo riprendermi un po’, dovevo decidere cosa fare con la mia carriera >>.
<< Avresti dovuto dirmelo prima nonostante tutto >>, dichiarò con tono più calmo. << Almeno avremmo potuto trovare subito una soluzione insieme, avremmo potuto agire subito >>, iniziò a camminare avanti e indietro.
Lo guardai confusa. << Agire? Ma di che stai parlando? >>.
<< Avremmo chiamato un medico e gli avremmo detto di trovarci una famiglia a cui dare il bambino in affidamento >>.
Mi sentì come se mi avessero pugnalato, fui attraversata da un dolore e da un senso di delusone così grandi che per un attimo temetti di cadere a terra senza forze, e invece quel dolore si trasformò in rabbia. << CHE COSA?! >>.
Alex mi guardò confuso. << Cosa, “che cosa”? >>.
<< Vuoi dare via il bambino?! >>, gli chiesi con un tono leggermente meno alto.
<< Come potremmo tenerlo? Sarebbe… un casino! E siamo troppo giovani! >>.
<< Chi se ne frega che siamo troppo giovani! >>, sbottai nonostante nella mia mente mi stessi dicendo che fino a pochi giorni prima anche io pensavo di essere troppo giovane. << Io questo bambino non lo do via! >>.
<< Come? Lo vuoi tenere? >>, mi chiese perplesso.
Scossi la testa furente. << Come potrei dare via un bambino che porterò dentro la pancia per altri otto mesi?! Va bene che non lo volevamo, ma ormai è fatta e io non voglio darlo via, voglio tenerlo, ho anche deciso di continuare a cantare nonostante il bambino e Matt mi ha anche detto che ci farà fare i tour insieme così che potremmo stargli vicino tutti e due >>.
<< Matt?! Matt sapeva che eri incinta? >>, mi chiese alzando il tono della voce per lo stupore.
<< Gliel’ho dovuto dire per convincerlo a farmi venire da te a Berlino, ma… non è di questo che stiamo parlando >>.
<< Invece si! Quante persone lo sanno? >>, chiese.
Mi morsi un labbro decisa a non rispondergli, ma sapevo benissimo che se non l’avessi fatto lo avrei solo fatto arrabbiare di più. << Lo sanno Jack, Debbie, Cassadee, i miei genitori e anche Pierre>>.
Avevo saltato un po’ di persone… ma non importava.
<< Anche Pierre?! >>, sbottò. << Diamine Stella! Lo hai detto a tutto il mondo tranne che a me! >>.
<< Come ho detto prima non volevo darti altre preoccupazioni >>, ribadì, << e avevo anche paura di come avresti reagito… e facevo bene, tu vuoi dare via il bambino… nostro figlio! >>, esclamai sentendo le lacrime salirmi agli occhi per la straziante sensazione di delusione che mi stava pervadendo.
<< Certo che lo voglio dare via, non siamo affatto pronti per affrontare una cosa così importante >>.
<< Io lo sono >>, ribattei.
<< Stella… come puoi pensare di rovinarti la vita così? >>.
<< Rovinarmi la vita?! È questo che pensi del bambino, che ci rovinerà la vita?! >>, sbottai furiosa.
<< Si! >>, esclamò. << Come potremmo continuare a goderci la "vita giovanile" se dovremmo sempre stare dietro ad un ragazzino lagnoso?! >>.
<< Potremmo ancora fare tutto quello che facciamo adesso >>, ribattei.
<< Certo, ma dovremmo sempre stare a preoccuparci per il bambino e continuare le nostre carriere sarà un casino e una fatica perché ci dovremmo portare dietro sempre lui! >>.
<< Non sarà assolutamente un casino, anche io lo pensavo all’inizio, ma poi ho capito che possiamo continuare le nostre carriere normalmente >>.
<< Ah si, giusto, perché tu hai deciso praticamente tutto anche per me senza nemmeno pensare che forse io non avrei voluto il bambino >>.
<< Mi hai messa TU in questa situazione quindi ora TI TIENI IL BAMBINO! >>, urlai.
<< IO NON LO VOGLIO! >>, urlò di rimando.
<< Allora sei proprio un coglione >>, sibilai fra i denti. << Come puoi tirarti indietro? Non ti senti nemmeno un po’ in colpa per quello che stai dicendo? >>.
<< Sinceramente no, visto che tu potresti anche farmi il favore di dare il bambino in affidamento invece che darci una grossa responsabilità >>.
<< Neanche io volevo prendermi questa responsabilità, ma ho deciso di farlo perché… >>, una lacrima mi
rigò il viso e un singhiozzo mi morì nella gola fermando le mie parole, << dopotutto non può essere così male essere madre… soprattutto di un figlio che so di aver concepito con la persona che amo >>.
La sua rabbia sparì e la sua espressione divenne completamente neutra. << Stella… io non sono pronto >>, disse calmo. << Non riesco neanche ad immaginarmi come padre, so che sarei una schifezza quindi… ti prego, dallo via >>.
Scossi la testa singhiozzando. << No >>.
Sospirò. << Non posso farlo… non me la sento >>
Scossi nuovamente la testa. << Sei uno stronzo, prima mi metti in questa situazione e poi te ne lavi le mani… sinceramente credevo fossi meglio di così >>.
Mi girai prima di scoppiare a piangere e fuggì da quella casa tuffandomi nel temporale che nel mentre era iniziato. Almeno il cielo accompagnava il mio pianto disperato.
Mi sentivo ferita, delusa. Mai e poi mai avrei immaginato che sarebbe andata a finire così male. Sapevo che Alex si sarebbe potuto arrabbiare e sapevo anche che sarebbe stato scioccato all’inizio, ma che volesse dare il bambino in adozione? Non lo avevo mai pensato, persino io che mi ero distrutta al solo pensiero di diventare madre non avevo mai pensato all’adozione ma avevo deciso di tenerlo subito nonostante non lo volessi. Come poteva non voler prendersi quella responsabilità? Come aveva potuto rifiutarsi di tenere il bambino… il nostro bambino, il frutto del nostro amore…
La pioggia ormai si era mescolata alle lacrime sul mio viso e aveva bagnato tutti i miei capelli e i miei vestiti; sembrava di essere in una doccia lì fuori, la pioggia cadeva imperterrita e i tuoni rimbombavano per la città inghiottendo i miei singhiozzi che si facevano sempre più forti per colpa dell’affanno che mi stava provocando il correre.
Corsi finché non arrivai a casa di Debbie.
 
(Alex)
 
Nel momento in cui la porta si richiuse dietro Stella, capì che cosa avevo fatto e tutto quello che avevo detto mi ricadde addosso come una valanga.
Non volevo diventare padre, non in quel momento, non così presto! Ma non volevo perdere Stella.
Ero stato un idiota, un coglione, un deficiente, uno stronzo… mi ero fatto prendere dal panico, dallo shock, non ero riuscito a pensare chiaramente e avevo detto tutto quello che non avrei mai dovuto dire ferendo la persona che amavo più di ogni altra cosa.
Ero stato un emerito stupido!
Come avevo potuto dirle che non volevo il bambino? Okay, era vero, non lo volevo, ma avrei potuto dirlo con più calma, con parole diverse… mi ero lasciato trasportare dalla rabbia, dalla paura…
Ero un codardo!
Codardo.
Codardo.
Codardo.
Lo sapevo benissimo.
Avrei dovuto accettare la situazione, avrei dovuto essere più comprensivo, avrei dovuto accettare in silenzio la sua decisione perché ero io che l’avevo messa incinta, era colpa mia se lei ora aspettava un bambino a soli diciannove anni.
Era colpa mia.
MIA.
MIA.
MIA.
E mie le responsabilità che non mi ero preso.
Nonostante sapessi di aver sbagliato non riuscivo ad accettare l’idea di… dover… crescere un figlio.
Il solo pensiero di diventare padre mi faceva tremare le gambe, mi faceva chiudere lo stomaco. Sarei voluto tornare a quel giorno, avrei voluto cambiare quello che era successo oppure mi sarebbe bastato tornare indietro di pochi minuti così che potessi cambiare quello che avevo detto.
Non volevo quella responsabilità.
Non la volevo.
Non la volevo.
Non la volevo.
Mi veniva voglia di mettermi a piangere come un bambino.
Perché era successo a me? Perché ero stato così coglione da non ricordarmi di mettermi il preservativo? Perché Stella non voleva affidare il bambino a qualcuno già maturo abbastanza da poterlo accudire per bene?
Non ero pronto, ero terrorizzato, il mondo mi stava cadendo addosso.
Prima la band che si scioglie e poi questo… che avevo fatto di male? Perché tutto ad un tratto le ingiustizie capitavano tutte a me?
Certo, avere un figlio è una cosa stupenda, ma non quando non lo vuoi! Non quando sai perfettamente di non essere pronto.
Dovevo trovare Stella, dovevo chiederle scusa per quello che le avevo detto.
Mi precipitai fuori dalla casa e dopo neanche aver fatto qualche passo mi ritrovai i capelli bagnati dalla pioggia e i vestiti zuppi come se mi fossi buttato in una piscina vestito.
<>, iniziai a chiamarla cercando di vedere qualcosa oltre la pioggia; nonostante fossero solo le cinque del pomeriggio, il cielo era buio come se improvvisamente fosse calata la notte.
Percorsi la strada davanti alla mia casa continuando a cercarla e a chiamarla, ma nessuno mi rispondeva e non riuscivo a vederla. Chissà dov’era andata. Se le fosse capitato qualcosa non me lo sarei mai perdonato.
Se era tornata lei voleva dire che anche Jack era tornato e quindi molto probabilmente lei sarebbe andata a casa sua.
Iniziai a correre ignorando completamente la pioggia che continuava a bagnarmi, il rombo dei tuoni che mi rimbombavano nelle orecchie e i fari accecanti di alcune macchine che correvano per la strada.
Non volevo perdere Stella, sarei stato perso senza di lei. Chi altro mai avrebbe potuto farmi provare le emozioni che mi faceva provare lei? Chi altro mai avrebbe potuto farmi impazzire con un solo sguardo? Chi altro mai avrebbe potuto farmi sentire meglio solo con la sua presenza?
Non volevo diventare padre, ma non volevo neanche perderla, magari parlando con più calma mi avrebbe dato ascolto, avrebbe capito che non potevo badare ad un bambino, non me la sentivo.
Arrivato davanti alla porta della casa di Jack, iniziai a bussare alla porta come un matto sperando che Jack mi aprisse e mi dicesse che Stella era lì, ma dopo alcuni minuti e qualche sbirciata alla finestra, capì che in casa non c’era nessuno.
E allora lei dov’era?
Sentendomi una totale merda, mi rincamminai verso casa mia a passo lento… che fretta avevo? Non c’era nessuno ad aspettarmi a casa, lei se n’era andata… per colpa mia.
Mi chiusi la porta di casa alle spalle, mi tolsi i vestiti fradici che sostituì subito con degli altri, mi passai un asciugamano sui capelli per togliere le gocce che erano rimaste, poi presi la mia fedele chitarra acustica e mi andai a sedere sul divano del salotto dove chiesi aiuto alla mia fedele amica: la musica, l’unica cosa che non mi avrebbe mai abbandonato e l’unica cosa che in quel momento potesse farmi sentire meglio.
Chiusi gli occhi e iniziai a suonare Remembering Sunday.
Le note della canzone mi furono subito di conforto, erano così familiari, così belle.
 
“Woke up from dreaming and put on his shoes
 Starting making his way past 2 in the morning
 He hasn’t been sober for days
Leaning out into the breeze
 Remembering Sunday, he falls to his knees
 They had breakfast together
 But two eggs don’t last
 Like the feeling of what he needs
Forgive me, I’m trying to find
My calling, I’m calling at night
I don’t mean to be a bother,
But have you seen this girl?
She’s been running through my dreams
And it’s driving me crazy, it seems
I’m going to ask her to marry me
 
The neighbors said she moved away
 Funny how it rained all day
 I didn’t think much of it then
 But it’s starting to all make sense
 Oh, I can see now that all of these clouds
 Are following me in my desperate endeavor
 To find my whoever, wherever she may be”.
 
Cantai in mente il pezzo destinato ad una voce femminile e per un attimo immaginai di sentire la voce melodiosa di Stella che cantava, ma era solo una stupida allucinazione, quando riaprì gli occhi, ero ancora da solo con la mia chitarra.
Cantai le ultime strofe.
 
I guess I’ll go home now
 I guess I’ll go home now
 I guess I’ll go home now
 I guess I’ll go home”.
 
Quando il temporale si fu calmato, uscì di nuovo. Stare a casa senza sapere cosa fare era una tortura soprattutto per la mia mente che continuava a rivedere Stella in lacrime che mi diceva che voleva tenere il bambino, che ignorava le mie suppliche e che alla fine diceva che si aspettava fossi migliore.
Lei aveva avuto tantissimo tempo per digerire la situazione, e io? Mi aveva dato giusto qualche minuto per apprendere la notizia quando forse se mi avesse dato qualche giorno forse avrei accettato l’idea anche se ne dubitavo fortemente, più passavano le ore più non riuscivo a cambiare idea nonostante mi sentissi sempre più male al pensiero di averla ferita.
Le mie gambe mi portarono dritte in un posto che avevo avuto in mente da quando ero uscito di casa, un posto che probabilmente in quel momento sarebbe stato vuoto visto l’acquazzone che aveva fatto, ma non importava, era meglio se stavo da solo, avevo bisogno di tranquillità.
Arrivai in una ventina di minuti al parco giochi e con mio stupore, vidi che c’era già qualche bambino che aveva approfittato dell’uscita improvvisa del sole dopo la tempesta, per andare subito a giocare.
Mi sedetti su una delle panchine del parco, asciugandola prima con un fazzoletto. Non sapevo perché avessi scelto quel posto, ma sapevo di non averlo scelto a caso, bastava che mi guardassi intorno per capire cosa mi aveva spinto fin lì. Tanti sorrisi, tanti piccoli bambini che si rincorrevano, che giocavano con le pozzanghere, che si dondolavano sulle altalene, che si arrampicavano sulle corde, che scivolavano sullo scivolo. Insieme a loro ovviamente c’erano i genitori, che parlavano tra di loro e ridevano controllando ogni tanto che i figli fossero al sicuro e si stessero divertendo.
A guardarli così sembrava una passeggiata essere genitori, sembrava che dovessi solo dargli amore e proteggerli, due cose comunque non molto facili.
Come si poteva educare un bambino?
Sinceramente non ci avevo mai riflettuto e pensavo che il problema mi si sarebbe posto tra… dieci anni? Venti? Decisamente non così presto. Che poi presto non era visto che avevo venticinque anni… ma per la mia carriera era presto, insomma, ero un musicista che viaggiava sempre, come facevo ad avere dei bambini? Era stato difficile mantenere una relazione figuriamoci dei figli! Mi scioccava il fatto che Stella volesse tenerlo nonostante la nostra vita movimentata, okay che aveva trovato una soluzione, ma aspettare qualche anno? Aspettare di essere pronti? Lei aveva solo diciannove anni, perché voleva questa grande responsabilità? Perché lei riusciva a prendersela e io no?
Scossi la testa per cercare di eliminare tutti quei pensieri che mi avrebbero sicuramente fatto venire il mal di testa.
<< Stai già vedendo dove portare il mio nipotino a giocare? >>.
Mi girai di scatto e vidi Jack in piedi dietro di me con il suo solito sorriso scemo stampato sulle labbra.
Tornai a guardare davanti a me. << Più che altro cerco di accettare l’idea >>, risposi.
Jack fece il giro della panchina e venne a sedersi accanto a me. << Quale idea? >>.
<< Quella di dovermi occupare di un bambino nonostante io non lo voglia >>, risposi continuando a guardare di fronte a me.
<< Oh si, Debbie me lo ha raccontato >>, disse annuendo.
<< Debbie? >>, chiesi perplesso.
<< Si, è venuta qui con Stella, che ora è con lei, e sta cercando di consolarla >>, mi rivolse uno sguardo severo e accusatorio che non gli stava per niente bene.
<< Che c’è? >>, gli chiesi infastidito da quell’occhiata accusatoria.
<< Lo sai che come fratello maggiore di Stella ti dovrei fare una bella ramanzina e ti dovrei prendere a parolacce per quello che le hai detto? >>.
Affondai con la testa nelle mani e feci un bel respiro. << Ti prego, risparmiamelo, ci sto già abbastanza male per questa storia >>.
<< Oh lo so >>, mi sorrise dolcemente. << Infatti non ti farò nessun discorsetto, starò solo seduto qui, vicino a te come un bravo migliore amico e aspetterò che tu inizierai a dirmi cosa c’è che non va >>.
<< Oh bene allora dovrò parlare per ore visto che non c’è nulla nella mia vita che vada bene! >>, esclamai.
<< Parlami solo di quello che è successo con Stella >>, disse. << L’altro problema lo conosco già benissimo da me >>, aggiunse con una smorfia.
<< Sono stato uno stupido Jack, lo riconosco, quando Stella mi ha detto che era incinta… mi sono sentito come se il mondo mi fosse caduto addosso, ho iniziato ad avere paura, nella mia mente si sono formati milioni di pensieri contrastanti e l’unico che emergeva, l’unico che ho ascoltato è stato quello che mi diceva che non ero pronto, per questo ho detto a Stella che dobbiamo darlo in adozione, perché secondo me è un grande errore tenerlo, non siamo preparati a fare i genitori e con la vita movimentata che ci ritroviamo sarà ancora più difficile >>.
<< Nessuno è mai preparato ad essere un genitore, è una cosa che viene con il tempo >>, disse Jack con un’espressione saggia sul volto che non gli si addiceva per nulla.
Ridacchiai. << E tu che ne sai, sei stato padre e neanche me lo hai detto? >>, scherzai.
Mi scoccò un’occhiataccia, ma sulle sue labbra balenò un sorriso. << Non dirlo neanche per scherzo, io non sono tagliato per fare il papà >>.
<< Perché io?! >>.
Si strinse nelle spalle. << Tu sei molto meno squilibrato di me, sei una persona affidabile, sei coraggioso… >>.
<< Jack! >>, lo interruppi. << In questo momento sono tutto tranne che coraggioso, non riesco neanche ad accettare di prendermi la responsabilità di avere un figlio! >>.
<< La accetterai >>, disse sicuro delle sue parole.
<< Che ne sai? >>.
<< Ti conosco e so che alla fine farai la cosa giusta, perché sei un ragazzo in gamba che sa quali sono le sue responsabilità e so che ami mia sorella e quindi per amor suo accetterai questo bambino >>.
Lo guardai di sottecchi. << Non è che con tutti questi complimenti stai solo cercando di farmi accettare il bambino? >>.
Sbuffò. << Ti sto solo dicendo la verità >>.
Mi bastò solo uno sguardo ai suoi occhi per capire che era sincero.
Sospirai. << Quindi per te… dovrei accettare di tenere il bambino? >>.
<< Tu lo vuoi questo bambino >>, dichiarò, << solo che sei troppo bloccato dalla paura per accorgertene >>.
<< Certo che ho paura, non sono preparato! >>, esclamai.
<< Non devi esserlo, devi solo capire che questo bambino non sarà una cosa negativa, è… una sorta di simbolo del fatto che tu e Stella vi amate, è il risultato del vostro amore e dovresti essere contento di averlo con lei e non… che so, con una sconosciuta da una botta e via >>.
Dopotutto il mio migliore amico aveva ragione, mi ero fatto suggestionare dalla paura e dall’incertezza, invece avrei solo dovuto essere felice, avrei solo dovuto accettare quella situazione… per Stella, perché io l’amavo e perché per lei avrei potuto fare tutto, anche vivere in una montagna di pannolini, per lei potevo affrontare quello che mi aspettava, per lei potevo essere forte. Magari alla fine sarei stato anche contento di diventare padre, magari avrei anche potuto voler bene a questo bambino, perché era mio, sangue del mio sangue… ora capivo perché Stella non voleva darlo in adozione.
Neanche io volevo darlo in adozione.
 
“Something’s telling me to leave
 But I won’t
 ‘Cause I’m damned if I do ya
 Damned if I don’t”.
 
La canzone aveva perfettamente ragione: Che io fossi maledetto se avessi lasciato Stella da sola ad accettare le responsabilità che erano anche mie.
<< Hai ragione Jack >>, dissi e subito un sorriso compiaciuto gli comparve sulla labbra. << La paura mi ha bloccato, mi ha incasinato le idee, non avrei mai dovuto dire a Stella di dare il bambino in adozione perché è il nostro bambino e… non vorrei mai che stesse con altre persone, anche se potrebbero prendersi cura di lui meglio di me >>.
<< Questo non lo puoi sapere, ma secondo me non devi neanche preoccuparti, mi sento che ve la caverete bene >>.
<< Io lo spero, ma… mi sento fiducioso >>, sorrisi.
Mi diede una pacca su una spalla. << Questo è il mio migliore amico, questo è il mio Alex, un ragazzo che non si tira mai indietro davanti a nulla >>.
<< E tu? >>, gli chiesi.
<< Io? >>.
<< Sei un ragazzo che non si tira mai indietro? >>.
Sbuffò. << Io sono uno sregolato >>.
<< Si, in effetti è vero >>, risi.
Mi posò un braccio dietro le spalle. << Eccoci qui, lo sregolato e il coraggioso, amici inseparabili che fanno un sacco di casini >>.
Gli rivolsi un’occhiataccia. << Tu fai un sacco di casini >>, ribattei.
<< Si >>, ammise, << è vero, ho litigato con due dei miei migliori amici per una ragazza che adesso si rifiuta di stare con me >>.
<< Davvero? >>, chiesi sorpreso.
Sospirò. << Sono andato da lei poco fa, prima di venire da te, mi hanno spinto i Simple Plan ad andare perché volevano che me la riprendessi perché hanno capito quanto la amo… >>.
<< I Simple Plan? >>, chiesi scioccato. << Sono qui? >>.
<< Oh si, Stella si è portata dietro un sacco di persone solo perché aveva paura di non farcela a dirti che era incinta >>.
Le parole di Jack mi fecero sentire male. Lei aveva paura e io l’avevo trattata proprio nel modo in cui lei temeva.
<< E quindi eri con i Simple Plan mentre Stella era da me? >>, gli chiesi ripensando al fatto che non l’avevo trovato in casa.
<< Si, siamo andati a bare una birra e poi sono andato da Debbie dove però ho trovato Stella che piangeva, lei mi ha spiegato cosa era successo e poi io ne ho approfittato per parlare con Debbie, per vedere se c’era qualche cambiamento, se aveva deciso, ma lei mi ha detto di no e che non sceglierà per un po’ di tempo >>.
<< Non è decisamente una buona cosa, se non decide tu non puoi riappacificarti con Zack >>.
<< Pensi davvero che Zack vorrà fare pace? O anche Rian? >>, mi chiese dubbioso.
<< Devono, noi siamo amici da tanti anni, abbiamo condiviso tantissimi momenti memorabili e siamo legati da un affetto profondo, non possiamo smettere così di essere amici, non è giusto >>.
<< Hai ragione, ma come facciamo a fargli cambiare idea, come facciamo a ricordargli l’importanza della nostra amicizia? >>.
Era giunto il momento di rimboccarsi le maniche e di mettersi a lavoro, era giunto il momento di prendere quello che volevamo, era giunto il momento di agire.
<< Jack… dobbiamo fare tutto un passo alla volta >>, dissi rivolgendogli un sorriso.
<< Cioè? >>, mi chiese perplesso.
<< Risolveremo tutto, te lo prometto e lo faremo insieme >>, gli strinsi una spalla affettuosamente.
<< Non so che cosa hai in mente >>, disse guardandomi curioso, << ma ci sto, ti seguirò amico >>.
Ci abbracciammo.
Anche se il mondo ti cade addosso, finché avrai un amico accanto non resterai mai sotto le macerie.
Tornammo a casa mia pieni di fiducia, sentendoci pronti a sfidare il mondo per quello che volevamo, ma ovviamente c’era sempre qualcosa che rovinava i momenti positivi e in quel momento fu Pierre che davanti alla porta di casa mia ci stava aspettando con espressione preoccupata.
<< Ehi Pierre! >>, lo salutai.
<< Ciao Alex >>, mi sorrise.
<< Che ci fai qui, amico? >>, gli chiese Jack.
<< Vi stavo aspettando, perché abbiamo un codice rosso >>, ci annunciò con faccia seria.
<< Di che genere? >>, chiesi preoccupato.
<< Stella e Debbie stanno per ripartire per Roma >>, disse.
<< Ora? >>, chiese Jack allarmato.
<< Si, hanno prenotato sul primo volo disponibile >>.
Guardai Jack. << Lo sai che dobbiamo fare, vero? >>.
Mi guardò perplesso. << No, cosa? >>.
Gli sorrisi nonostante il pensiero che la ragazza che amavo, che era incinta e che io avevo ferito, se ne stava per tornare a casa sua. << Dobbiamo pitturare dei fiori >>, risposi.
Jack mi guardò con gli occhi sgranati come se fossi pazzo.
<< Fico >>, commentò Pierre annuendo nonostante si vedesse che fosse perplesso anche lui.
 
 
  
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