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Autore: laluna    11/12/2007    7 recensioni
...come vorrei che fosse andata!spero non risulti troppo sdolcinata...è la mia prima ff!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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UN NATALE COLMO DI EMOZIONI

“Sei solo un diavoletto e non potrai MAI cambiare!”
La lattina gli cadde dalle mani pietrificate. Il rumore metallico che produsse nel toccare il pavimento -freddo come il suo corpo attraversato dai brividi-  gli riecheggiò nella testa. Testa vuota, senza cervello, stanza priva di calore, circondata da pareti disadorne. “Egoista”.

Non importava che fosse Natale, non importava che per la prima volta la sua famiglia stesse festeggiando insieme quella sacra ricorrenza immersa un un’allegra, finalmente serena atmosfera: le sue gambe si mossero quasi automaticamente in direzione della porta, la mente svuotata, il cuore in tumulto. I battiti nel suo petto erano sempre più indomabilmente veloci, proprio come la sua corsa sfrenata, dolorosa ed inarrestabile, priva di una meta…o meglio, di una consapevole meta.
I pulsanti colpi che gli squassavano il torace non facevano che rimbombargli nella testa, andando a sbattere con un unico, solitario pensiero, una parola, un’immagine: lui, lei, “egoista”. Questo vocabolo sembrava cozzare continuamente contro le spoglie mura della sua mente sgombra formando angoli infiniti. “Egoista”. Le lacrime di Sana ora poteva sentirle sulle labbra come sue. “Egoista”. L’accusa meschina che aveva scagliato contro la persona che gli aveva salvato la vita ogni giorno da quando si conoscevano gli risuonava dentro sempre più forte, sempre più amara. A poco a poco si sentì pronunciarla di nuovo, prima come un sussurro, poi, in un crescendo di disperata consapevolezza, come un grido rabbioso, violento… stavolta rivolto a se stesso.

La miriade di sensazioni, ricordi, momenti, anni che era rimasta ferma per tanto - forse troppo - tempo nel cervello, d’un tratto, ed impetuosamente, era precipitata più giù, dritta nel cuore, che ora sembrava come impazzito e lo trascinava chissà dove, comandando alle gambe di non fermarsi.

Fino a che, ormai stremato dalla fatica, dal freddo, dal senso di vuoto e di irrimediabile, Heric si arresta; alzando lo sguardo di ghiaccio -impercettibilmente meno fermo del solito- si accorge che ancora una volta il luogo dove riprendersi, respirare, tornare a vivere è quello che lo ha visto crescere e sentire con lei.

Quel parco. Quel gazebo.

Lacrime, sorrisi, baci, carezze, abbracci, corse, piccoli martelli, sfuriate, confessioni e smentite, prorompenti come sangue che scorre nelle vene turbinavano in ogni parte di lui.
Una festa, un cucciolo abbandonato, un dinosauro, un pupazzo di neve.
Un pupazzo di neve.

Che idiota. Come aveva fatto a dimenticare, a non capire, a tradire e poi tirarsi indietro non una sola volta, come aveva creduto fino a pochi minuti prima, ma anche una seconda: non l’aveva compresa, e l’aveva addirittura accusata di una colpa che non avrebbe mai saputo commettere.
“Egoista”. Forse perché lo aveva lasciato solo? Perché si era rimangiata le sue confessioni per non complicare le cose, perché aveva preferito lasciare intatto il rapporto tra lui e Funny invece di distruggere tutto tornando all’improvviso? O magari perché dopo averlo visto all’aeroporto mano nella mano con la sua migliore amica, si era finalmente decisa a voltare le spalle alla sua ambiguità per rivolgerle ad un cristallino Charles?

Tutte le ragioni per cui aveva emesso quel miserabile giudizio erano crollate su se stesse, franando prepotentemente contro di lui, ora che tutto era chiaro. Si rendeva conto di essere stato l’unico vero, cieco vigliacco egoista.

Sana aveva rinunciato ad ogni cosa pur di non farlo soffrire, di non metterlo in difficoltà, di non privarlo di una serenità raggiunta in modo così sofferto.

Ed era giunta, dopo aver rinnegato l’amore e gli amici, a dire no persino alla carriera, l’ultimo grande appiglio rimastole per continuare a dare un senso alla sua vita.
E lui l’aveva chiamata egoista. Lei che consapevole di trarre la sua forza, la sua caratteristica vitalità proprio dallo stare con gli altri, aveva scelto di prendere su di sé il macigno di solitudine di lui, preferendo scambiare i loro ruoli che vederlo ancora infelice.

Avrebbe voluto picchiarsi a morte, sfogare il suo odio per se stesso con tutta quella violenza che era riuscito a reprimere per più di un anno grazie a lei …ma non ci riuscì. Lo aveva cambiato davvero, allora..

Così, come per discolparsi, come per urlare silenziosamente al mondo, a Sana -il suo mondo- che non avrebbe mai voluto ferirla, che desiderava tornare indietro nel tempo per poter andare avanti con l’anima, cominciò quasi meccanicamente a plasmare nella neve un nuovo, piccolo grande omino, solo per lei.

Che si materializzò in quel parco sola, come era diventata per far sì che lui non lo fosse più.
La vide. Così bella, innocente, e stridentemente triste. Si alzò lentamente, le si avvicinò piano.
“Ma non capisci” cominciò, quasi anch’ella fosse al corrente dei pensieri su cui aveva rimuginato fino a quel momento, o come se stesse riprendendo il filo di una conversazione mai portata a termine, iniziata forse ad una gita in montagna, forse fuori dall’infermeria scolastica o dopo un allenamento di karate, forse ai piedi di un gazebo, o forse mai; ma che aveva acquistato un diverso, nuovo significato dopo l’illuminante visione del film natalizio. E il tanto atteso attimo giusto per concluderla era arrivato.
“Non capisci” -continuò- “che non ho bisogno della compagnia di Funny, della presenza degli amici, della stima dei professori o dell’affetto della mia famiglia se mi manca ciò a cui tengo di più al mondo? Non capisci che non posso essere sereno per tutto quello che ho conquistato cambiando se non ho accanto la persona che mi ha permesso di farlo…” -esitò qualche secondo, poi riprese, a bassa voce- “ e che continua a starmi vicino nella lontananza, a proteggermi anche se non lo merito… Insomma Sana, come fai non renderti conto di quanto ho bisogno di te?” -E ora gridò, più per un impeto di ribellione verso la propria incapacità di esprimere le più profonde note del cuore che per la rabbia ed il timore che lei non fosse realmente in grado di comprenderlo.

Ma aveva capito, Sana, a fondo come può farlo solo qualcuno che è parte di te, che ti sente, come può riuscirci soltanto chi ti ama.

“Heric…Io…”

La guardò fisso negli occhi, la vide sola, spaurita, tremante più per l’emozione, la tensione, ed il filo di speranza nella lunga attesa -forse ormai giunta all’agognato giro di boa-, che per il freddo pungente. E non riuscì a trattenersi dall’istinto di stringerla forte a sé. Voleva trasmetterle tutto il suo amore, il suo pentimento, la sua gratitudine e farle sentire che c’era, che finalmente avrebbe potuto contare sempre su di lui, che avrebbe voluto essere -e sarebbe stato-  il suo punto di riferimento per l’eternità.


Questo turbinio di sentimenti, promesse e speranze si tradusse in poche, semplici frasi che Heric pronunciò con la sua consueta, eloquente concisione, ad una Sana singhiozzante fra le sue braccia, aggrappata saldamente al suo amore come se egli rappresentasse l’ultimo appiglio prima del baratro -e l’unico appiglio che ella avrebbe mai desiderato-.

“Grazie”.

“Mi spiace”.

“Ti amo”.

Sana lo fissò con stupore, incredulità, e un’ombra di luce negli occhi e nel cuore, ancora -incredibilmente- senza parole. La piccola diva logorroica perdeva ogni capacità dialettica di fronte alla profondità dello sguardo di Heric, alla sua disarmante capacità di dire così poco esprimendo così tanto.

“Se vuoi salvarmi davvero, se vuoi rendermi davvero felice, non devi rinunciare a ciò che rende felice te. Se vuoi salvarmi…amami. Amami e basta. Salvami, Sana.”

Il sapore delle labbra di lei, diffondendosi con l’improvviso contatto, dilagò nelle sue vene come essenza di vita, lasciandolo imbambolato, incapace di realizzare ciò che stava accadendo, completamente pervaso com’era dal noto inebriante profumo dei lunghi, morbidi capelli della rossa del suo cuore, l’unica ragazza che avesse -e avrebbe- mai amato. Era rimasto a dir poco sbalordito da quel bacio improvviso, così sincero, spontaneo, intenso…anelito di una passione infine sbocciata.

Per una volta era riuscito a parlare, non importa quanto, ma lo aveva fatto. E per tutta risposta Sana, tanto sorpresa quanto felice, aveva agito. Il miracolo era accaduto. Le loro personalità così diverse avevano trovato il coraggio di prendere l’una dall’altra quel qualcosa che mancava per raggiungere l’obiettivo da entrambi a lungo agognato.

Chissà quanto prima ciò sarebbe potuto avvenire se da subito Heric avesse trovato il modo di esprimere ciò che provava, se Sana avesse superato la sua ingenuità per affrontare la realtà…o forse in quel caso nulla sarebbe successo, non potendo i due apprezzare lo sforzo fatto per riuscirvi, non dovendo crescere e maturare insieme?

Ma tutto questo non importava più a quei due ragazzi stretti l’uno all’altra in modo così saldo da apparire fusi in un’unica persona, una sola anima, sotto il leggero tocco romantico della neve natalizia e lo sguardo intenerito di un candido omino, espressione di mille momenti, emozioni e ricordi…di una sola, immensa parola: “Amore”.
  
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