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Autore: Arglist    26/05/2013    2 recensioni
Le otto e mezza erano passate da circa quarantacinque secondi ma la cornetta non dava segni di vita. Stava lì, immobile, senza dare la benché minima impressione di sentirsi in imbarazzo. Forse solo Edward la vedeva muoversi, scuotersi ed emettere quel fastidioso suono che lo svegliava quasi tutti i pomeriggi durante il suo sonno dopo pranzo. Winry stava seduta, in apprensione, sul divano, guardando la cornetta intensamente. Persino Al era teso, il che suggeriva quanto al situazione fosse tesa. Insomma, non era cosa comune vedere Alphonse teso. Ma la cornetta rimaneva lì, immobile, incurante di loro tre e dei due agenti sulla porta della sala.
Fanfiction poliziesca-introspettiva in terza persona.
Genere: Introspettivo, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Riza Hawkeye, Roy Mustang, Winry Rockbell | Coppie: Edward/Winry
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Ciao, dopo quasi un anno di inattività son tornato. Spero vi piaccia questo capitolo. Un saluto a tutti i lettori-recensori.

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Il rumore sordo e veloce dei tacchetti risuonava per i vicoli disabitati della città, andando a scuotere per pochi istanti gli addormentati cittadini della piccola città belga sulla costa. La strada si snodava per le case, ricoperta di mattonelle in gress beige e grigio, andando verso la scogliera ed il porto. Le case, tutte bianche, grigie o giallo paglierine, si affacciavano su di esse con almeno un balcone ed una finestra, offrendo ai curiosi cittadini, durante le ore diurne, la visione di chiunque passasse lì vicino. Ogni balcone vantava nientemeno che due fioriere, decorate e sistemate in modo da offrire il più bel punto di vista a chi le guardasse, curate in modo maniacale dalle casalinghe ormai annoiate dalla vita di porto.

 

Edward Elric camminava vertendo leggermente le punte dei piedi verso il centro del suo asse, in modo da non perdere l'equilibrio. Le sue scarpe di vernice nera poco si abbinavano con il completo marrone chiaro che aveva scelto per la camminata fino alla caserma, per non parlare di come stavano male se si sfilava la giacca andando a far intravedere la camicia viola scuro. Per ora, però, la camicia non se la sarebbe tolta, soprattutto grazie ( o sfortunatamente grazie ) alla gelida aria di mattina che fluttuava la mattina, accarezzando le case e le strade.

 

Svegliarsi la mattina gli piaceva perché poteva guardare il mare dalla finestra, senza sentirsi in dovere di andare da qualche parte in particolare. Aveva sempre un sacco di tempo la mattina presto, tempo che passava alla finestra di camera sua, infreddolendo il corpo di Winry, osservando l'orizzonte tagliato qua e là dai tetti delle case. Quella mattina non aveva avuto tempo di guardare il mare, si era svegliato e si era infilato i pantaloni, la camicia, la giacca. Aveva bevuto un caffè con la stessa velocità con la quale si cerca di raggiungere un treno che sta partendo. Era uscito di casa più volte, scordandosi la ventiquattr'ore, i documenti, la .45. Infine s era deciso a partire, senza se e senza ma, ed era uscito in strada per farsi violentare dal vento gelido. Se c'era una cosa che non gli piaceva era proprio il vento gelido della mattina presto. Non quello delle otto, delle nove. No, quello era benevolo, era stato riscaldato un po' dal generoso sole e ti svegliava con le carezze. Quello dell'alba, invece, era duro e cattivo come la suola di un vecchio stivale. Ti prendeva a pugni in faccia, ti chiedeva se eri sveglio, poi te ne tirava altri per essere sicuro.

 

Odiava il vento delle sei di mattina.

 

Si strinse ancora un po' nella giacca marrone, sentendo il manico della valigetta a destro, la stoffa a sinistra. Continuò a camminare in questo modo pericolante per alcuni minuti finché il ballare costante della valigia in discesa, e il conseguente moto del corpo sui tacchetti di alcuni centimetri, non lo costrinsero a fermarsi. Si girò per osservare meglio quanta strada aveva percorso, conscio del fatto che aveva ancora davanti alcuni chilometri. Non era tanto il fatto che fossero all'incirca cinque chilometri quelli che lo aspettavano per raggiungere la caserma, ma il freddo. Pertanto aumentò la sua velocità, con il conseguente aumento del rumore fatto dai suoi tacchetti.

 

 

♠ ♠ ♠

 

 

Quando arrivò alla caserma era un essere vivente vagamente irritato. I cinque chilometri che lo avevano separato, fino a poco prima, dalla caserma erano stati un percorso ad ostacoli. Aveva dovuto evitare il mercato del pesce per evitare di puzzare di sgombro per il resto della giornata, non ci era riuscito ed era stato seguito da orde miagolanti e petulanti di gatti. Entrò nella caserma dal portone principale, chiudendolo alle sue spalle poco dopo. Sospirò sommessamente, guardandosi intorno e perdendosi nell'orribile gusto per l'arredo che aveva il capitano. La caserma nella quale erano di stanza era niente popò di meno che casa di Riza Hawkeye, la moglie del capitano. Era arrivata con lui dalla Francia ed aveva deciso di offrire casa sua ( perché sia ben chiaro, non era casa del capitano, era casa di Riza ) per la nobile causa del capitano. Lui si era scusato con tutti i presenti, probabilmente perché costretto dalla moglie, per la locazione accennando al fatto che non v'erano soldi, e che quindi bisognava arrangiarsi. Dopo le dovute critiche, che ognuno fece nella propria testa ovviamente, decisero che sarebbe andata bene, a patto di non salire mai nelle stanze private del capitano. Il piano terra dava sulla strada. Si poteva raggiungere con tre scalini in gress beige e oltrepassando una porta in legno massiccio marrone chiaro. Al primo caso vi era solo ed esclusivamente una grande sala, con mattonelle bianche, nella quale stavano, sovrani, due divani e un tavolino basso. La camera era arredata con alcuni quadri sobri, e sul tavolino stavano dei centrini in lana bianca. Una scala a chiocciola in ferro portava al piano superiore, che era stato abilitato a sala per le riunioni-convegno.quartier generale. Qui stavano un grande tavolo in legno chiaro, otto sedie, la cucina e una stufetta a legna. Una porta dava su un piccolo bagno nascosto dietro una parete. Vi era poi il continuo della scala a chiocciola, ma Edward non aveva mai visto cosa vi fosse al piano di sopra. Presupponendo si trattasse della camera da letto lasciò stare.

 

Dalla sala al piano terra riusciva a sentire il leggero crepitare delle braci, assieme al rumore della pendola che il capitano si era portato dietro dalla Francia. Aveva detto qualcosa riguardo ad un nonno, ma ad Edward non era fregato più di tanto e se ne era scordato. Dopo essersi accertato che la porta d'ingresso fosse stata chiusa bene salì le scale a chiocciola, che fece un chiasso orribile e, aiutata dalle scarpe di Ed, rivelarono a tutti la sua presenza. Quando salì al primo piano venne investito dalla luce che, come succedeva sempre, proveniva dalla finestra davanti al tavolo. Si lasciò accecare un po', lasciando che i suoi occhi e il suo viso si abituassero alla luce e, soprattutto, al caldo. Si trovò davanti il capitano Mustang.

 

Il capitano, pantofole rosa ai piedi, pigiama della notte e berretto con pon pon, appariva leggermente scosso nel vedere Edward. Si osservarono per lunghi, imbarazzanti secondi. Edward cercava di non ridere, Mustang cercava di non svegliarsi. E, di conseguenza, di non defenestrare Elric.

 

 

Non ci riuscì e, al grido del capitano, stormi di uccellini si svegliarono e si alzarono in volo all'orizzonte.

 

 

Ci si vede nel prossimo capitolo :P

 

  
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