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Autore: Friedrike    26/05/2013    2 recensioni
Ludwig Beilschmidt e Felicia Vargas (rispettivamente Germania e Fem!Italia del Nord), in un contesto AU, quello della Seconda Guerra Mondiale. Non più Nazioni, bensì un uomo ed una donna che s'innamorano l'uno dell'altra. Si conoscono ad un ballo in Italia ed è subito amore. Ma la guerra li separa e quando il soldato della Wehramcht ritornerà dal fronte niente sarà più come prima.
Genere: Angst, Fluff, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Nuovo personaggio, Sud Italia/Lovino Vargas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dovunque sarai, ti amerò per sempre.'
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[ RECENSITE, mi raccomando. <3 ]
 
 
Certe volte crede davvero che tutto questo sia sbagliato. Altre, ha dei dubbi.
Vede i suoi compagni morire ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, e non è l'unico che si fa delle domande a riguardo. 
Ha visto però molto coraggio, da parte di tutti.
I soldati della Wehrmacht si spalleggiano tra di loro. Non sa cosa facciano le SS, ma è certo che un minimo d'amor tra compagni lo abbiano anche loro.
Abel ha trovato un cagnolino che gli ricorda il suo. Lo ha coccolato per un po', ma quando la battaglia si è fatta più vicina, lo ha visto morire per un proiettile vagante. Ha dato di matto, si è messo ad urlare qualcosa come un incitamento ad ucciderlo, e quasi ci sono riusciti, i soldati stranieri, se solo Callum non l'avesse salvato.
Callum è il ragazzo di cui Ludwig ha parlato nella sua prima lettera a Felicia, quello affezionatissimo al suo gatto. Capisce lo stato d'animo di Abel e per questo gli è andato in aiuto.
Sono diventati molti amici, si siedono vicini all'ora del rancio e montano il turno di guardia quasi sempre insieme. Sono gli unici a capirsi.
Tutti i soldati pensano alle mogli, alle fidanzate, ai figli. Non ad uno stupido gatto o ad un cane rabbioso. Per questo tendono ad isolarli, non capendo però che quei ragazzi sono soli al mondo.
-Callum, Callum, mi aiuti a montare questa tenda?- dice il primo.
L'altro ogni tanto domanda: -Secondo te che c'è in questa zuppa?- 
Qualcuno li prende in giro. Li etichetta come omosessuali, qualcun altro, più cattivo, minaccia di fare rapporto e farli cacciare via dell'esercito con simili accuse. 
Ma loro non si amano, sono solo ottimi compagni d'armi che non hanno nessun altro a cui rivolgersi.
Per quanto riguarda Ludwig, non importa cosa facciano i due. 
Lui è un tipo silenzioso, taciturno, solitario. Sta bene da solo, ma quand'è in compagnia scherza come gli altri. E' istinto di sopravvivenza.
Prendere Parigi non è stato poi così difficile, se l'impresa si paragona alle altre precedenti occupazioni. Tutto questo grazie a degli accordi che hanno firmato alcuni gerarchi pochi giorni prima dell'arrivo della Wehramcht nella capitale francese.
E' strano, il tedesco non ricorda quasi mai un volto. 
Eppure ne ha alcuni che non riesce a dimenticare. Si è sentito in qualche modo legato a certe persone. 
Il 14 Maggio, ha partecipato alla presa di Rotterdam, cittadina olandese. 
E' stato lì solo di passaggio, lo hanno fatto subito ripartire. A loro sembrava un piano un po' confuso, tuttavia i loro superiori hanno tutto sotto controllo.
Si ricorda di un giovane alto alto, con i capelli quasi bianchi , gli occhi altrettanto chiari ed una lunga sciarpa a righe azzurro-bianche intorno al collo. Quel tale si è distinto per la sua forza d'animo. 
Ha aiutato un ragazzetto di undici anni rimasto intrappolato dal crollo di un edificio arcio a scappare, dopo averlo liberato. Non ha esitato a sfilarsi la sciarpa e lagarla intorno al suo ginocchio per fermare l'emorragia che minacciava di avanzare.
Allora stesso modo, tre giorni dopo, Bruxelles si è colorata di una nota più dolce, in mezzo alla sinfonia delle mitragliatrici. 
Una ragazza anch'essa bionda, con una fascia che le teneva i capelli in ordine, gli occhi verde smeraldo ed il fisico snello, ha aiutato una giovane donna incinta, la quale, forse, ha perso il suo bebè, in seguito al forte spavento. Aveva il vestito macchiato di sangue e questo con alta probabilità indica un distacco della placenta. Tuttavia la giovane belga ha continuato ad aiutarla, facendo ciò che era nelle sue condizioni. 
Ludwig si era voltato qualche momento per aiutare i suoi compagni, poi però ha sentito il piano nervoso di un bambino. Era nato, ed era sano, un bel maschietto sporco di sangue e grasso, di rosso e di una patina bianca, in braccio alla sua mamma, la quale, non la smetteva di ringraziare la giovane sua salvatrice.
Uno scenario inverosimile, poco distante dalla battaglia tra soldati. Non è stato in Inghilterra, ma è come se abbia comunque avuto la possibilità di conoscere i soldati inglesi, i quali, il 4 giugno dello stesso anno, battono in ritirata 
dalla provincia francese di Dunkerque. 
Il giovane ricorda molto bene una scena. 
Hanno preso alla sprovvista un gruppo di soldati nemici, all'ora del tè. 
Quelli, scattati subito in piedi, hanno messo mano alla pistola. 
E' stato uno dei momenti più difficili della vita del biondo. 
Era così vicino ad uno di quei soldati, da sentirne il respiro e l'altro, allo stesso modo, non riusciva a puntargli contro il fucile. 
Non potevano sparare, non mentre si guardavano negli occhi. 
"Sparargli ora, e dopo un colpo, fallo ancora" diceva la coscienza di entrambi. Rimasero a guardarsi per almeno un minuto fino a quando un soldato inglese chiamò il commilitone.
-Arthur! Come on, Arthur! Please!- 
Il giovane straniero dalle folte sopracciglia scure, biondo pure lui, occhi verdi lucenti, si è voltato di scatto sentendo la mano del suo compagno sul proprio braccio. Qualcuno ha fatto fuoco ma né Arthur né Ludwig sono caduti per terra. 
Hanno fatto dietrofront, ognuno diretto per la propria strada. 
Quest'esitazione è costata una severa sgridata al povero tedesco, il quale, mortificato e confuso, ha chinato la testa ed è rimasto in silenzio. E' comunque durata poco, il conflitto a fuoco non era ancora terminato e nessuno voleva perder tempo.
La campagna in Francia ha riportato molti successi, tradotta in una sola parola: Westfeldzug.
Ad ogni modo, il paese francese è stato soggetto ad opportune modifiche.
L'aquila del Reich adesso troneggia su ogni strada, la svastica l'accompagna come fedele amica, immersa nell'oro, forse a simboleggiare il potere del Reich stesso e del suo Furher. 
Adolf Hitler non si sarebbe lasciato sottrarre la possibilità di farsi fotografare vicino la Tour Eiffel, dunque, il 23 giugno del 1940, si reca nella capitale.
Ogni rue è decorata a festa. Vicino l'Arc de Triomphe, i soldati sono disposti in perfette file, tutti con lo sguardo alto e fiero, il petto in fuori, il fucile in mano. E tutti, naturalmente, hanno certificati che attestano la loro discendenza ariana.
Il Furher arriverà tra poco, Abel è però sprofondato in un angolo, incapace di alzarsi. Alterna periodo di euforia a periodi di profonda crisi personale ed intima. Ha bisogno che qualcuno si prenda cura di lui, nella sua casetta, vicino al suo cane. Ma questo non accadrà molto presto.
Callum non sa più che dirgli. Allora è Ludwig stesso che gli si avvicina, porgendogli una mano. 
-Soldato, alzati. Il nostro Furher sta per arrivare; non possiamo deluderlo- gli dice con tono di voce deciso, guardandolo negli occhi.
Il ragazzo si convince ed afferrando la sua mano con presa ferrea si alza. 
Si sistemano al loro posto, anche loro imbracciano i propri fucili, gli elmetti sul capo.
Hitler marcia lentamente, di tanto in tanto alza a metà il braccio per rispondere ad un saluto, altre volte lo fa soltanto con un cenno del capo.
Gli da un certo senso di onnipotenza vedere tutti quegl'uomini disposti in fila per lui, che lo idolatrano e ammirano più di quanto abbiano mai fatto per loro stessi.
I suoi piccoli occhi chiari vagano qui e là curiosi, ma non si soffermano mai su una figura in particolare. Finché non incontrano un viso dai lineamenti perfetti, tipicamente tedeschi, i capelli biondi anzi dorati, gli occhi azzurri del color del mare e del cielo, lo sguardo orgoglioso, dritto davanti a sé. 
Non si ferma per osservare quel giovane, tuttavia rallenta leggermente, per poi riprende il suo cammino.
Ludwig sente lo sguardo del Cancelliere su di sé, ma non lo ricambia. Non ha il coraggio di farlo. 
E non perché sia un codardo o abbia timore di lui, no: non vuole vedere l'uomo che sta fingendo di amare come tutti gli altri negli occhi.
Lui in un certo senso lo stima: è riuscito a piegare a sé l'intero mondo, lui, che era solo un pittore austriaco fallito, fino a circa un decennio prima. 
Eppure, non riesce ad amarlo veramente. 
O non avrebbe appoggiato i partigiani e non avrebbe sposato Felicia.
Si chiede cosa stia facendo lei adesso, se stia bene, se sia felice. Non ha potuto scriverle e non ha ricevuto le sue lettere.
 
Non ha avuto la possibilità di leggerle, perché lei non ne ha scritte. 
O per lo meno, lo ha fatto, ma non le ha mai inviate. Ne ha cinque o sei appoggiata al comodino della sua camera, vicino al letto la culletta del bambino. In tutte scrive quanto gli manchi averlo al suo fianco, baciare quella labbra, sentirsi da lui protetta. Dice di stare bene, chiede come stia lui. Ma non vuole inviarle né distrarlo. Ha una brutta sensazione addosso che le vieta di imbucare quelle lettere in una delle cassette postali che ci sono nella città veneta. 
Mathias sta crescendo, ha ormai un mese e mezzo.
Sebbene sia nato prematuro, si è ripreso subito ed ora ha le fattezze di un bambino normale della sua età. 
Non piange molto, anzi sta fin troppo sveglio per essere così piccino.
Quel pomeriggio caldo, la mamma ha indossato un abito leggero. E' tutto colorato, con un leggero scollo sul seno, le maniche a tre quarti, la gonna morbida ed ampia. Il rossetto rosso è per una volta dispensato da colorare le sue labbra, rosee per natura, i capelli sistemati in un'acconciatura semplice che li tiene legati alla base della nuca. 
Seduta sul proprio letto, tiene il piccolino di fronte a sé. Gli carezza la guanciotta con un sorriso, avvicinando poi il proprio volto alle sue manine piccole e delicate per baciarle.
Sente d'un tratto bussare alla porta. E' il nonno, che le chiede il permesso per entrare, permesso che gli viene subito accordato. 
Si avvicina al bebè e lo guarda con fare addolcito, poi da un bacio sulla nuca alla nipote. 
-Sto uscendo- l'avverte. -Starò via tutto il giorno. Romano è fuori, sei da sola.-
Detto ciò, si congeda ed esce di casa.
La giovane mamma, prende tra le braccia il figlio e scende lentamente le scale. Magari può fare una passeggiata, c'è un bel sole nel cielo e sarebbe l'ideale per la salute ancora precaria di Mathias. L'aria fresca gli farà bene. Dunque mette un filo di rossetto ed vivacizza un po' lo sguardo, andando poi ad infilare le scarpe con un piccolo tacco. Riprende tra le braccia il bimbo che intanto si è svegliato e decide di sedersi un momento sul divano. 
Sentendo però la porta suonare, alza istintivamente lo sguardo in direzione di essa. Sistema il bebè nella sua copertina morbida sopra il divano e va ad aprire, supponendo di trovare alla porta il fratello. 
Per questo, esclama ancora prima di aprirla: -Roma, ti aspettavamo! Io e Andrea...- la voce poco a poco si affievolisce e le muore in gola. Tiene le mani sulla porta e osserva, anzi, guarda, perché di fissare lo sguardo su di loro non si permette, la figura di due uomini con le camicie nere ed i fucili ben stretti al petto.
Non hanno l'aria raccomandabile, ma di certo lei non si mostra spaventata.
Eppure, sta lentamente pensando alle peggiori ipotesi. Suo fratello.... i partigiani, i comunisti, il nonno, Ludwig, Mathias! Tutto così velocemente che quasi si sente svenire, ma non molla. Anzi.
Le sue labbra formano un piccolo sorriso. -Desiderate?- domanda tenendo a bada l'agitazione nel tono di voce. 
-Romano Vargas- esclama uno di questi. Apre la porta e si accomoda senza essere invitato, guardandosi attorno.
Il bambino si mette a piangere, forse gli fa male il pancino, forse vuole la sua mamma. Ad ogni modo, lei va subito da lui e lo prende tra le braccia, voltandosi poi verso i fascisti.
-Mio fratello non è in casa.- 
Torna poi a dare attenzione al figlio, cullandolo dolcemente. -Shh, non piangere- gli dice.
-Come si chiama?- chiede quel tale. 
-Andrea- risponde lei pronta. Vuole evitare di accennare al marito tedesco finché può, magari non trovando il fratello se ne andranno. 
-Andrea...- soppesa l'altro, gli occhi scuri scrutano in ogni angolo.
Il "problema" di chiamare il bambino Benito, non si è posto neppure per un attimo. 
Sa perfettamente che molte donne lo fanno, perché questo equivale a ricevere una piccola somma di danaro, ma nessuno in quella casa apprezza il lavoro del Duce e nessun nascituro avrà il suo nome.
L'altro fascista, un ragazzo di appena vent'anni, gioca col proprio fucile e forse questo gioco è già costato la vita ad un paio di persone. 
E' lui che domanda, dopo poco, quanto ci metterà Romano a rientrare.
-Non lo so- risponde lei sincera. -E' uscito mentre riposavo, non mi ha detto dov'è andato.- 
E facendo in questo modo, è certo di anticipare la seguente domande dei due. "Dove si trova?" Lei davvero non lo sa.
I due fascisti sono incerti; non sanno se aspettarlo o andar via. Sono due ragazzi che hanno indossato da pochissimo la loro prima divisa, del tutto inesperti. 
Decidono di andarsene. 
Girano i tacchi ed escono dall'abitazione.
Felicia pare sollevatissima e non più intenzionata ad uscire di casa. 
Tiene stretto a sé il bambino, non lasciandolo per nemmeno un secondo, prendendo da lui una sorta di conforto.
Quando Roma entra in casa è già sera. Lei gli si avvicina e lo abbraccia forte, preoccupata.
-Felicia... che succede?- le domanda lui, richiudendo la porta alle spalle.
-I fascisti, Romano... sono venuti a cercarti.- 
Il giovane spalanca un poco gli occhi incredulo. Che loro sappiano? E' improbabile... come hanno fatto a scoprirlo?
-Che ti hanno detto?-
Lei allora racconta il breve colloquio nel dettaglio.
Si siedono al tavolo della cena e consumano in silenzio il loro pasto.
-Domani- dice d'un tratto il partigiano quando riesce a riprendere la parola. -Domani, metteremo in atto il nostro piano.- 
-No, Romano, non farlo... può essere pericoloso... ti prego, rimanda- lo prega la sorella appoggiando una mano sulla sua. Lo guarda negli occhi. Lui ricambia quello sguardo.
-Devo farlo. Se mi accadesse qualcosa, i miei compagni mi vendicheranno. Non preoccuparti per me, perché questo è quello che voglio.
  
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