Cap. VII. Ritorno a casa
-Takao.
-Dimmi, Hila.
-Grazie per avermi ospitata in questi due giorni. Non so cosa
avrei fatto senza un amico come te.
-Puoi restare quanto vuoi, lo sai.
-Sì, ma devo affrontare il mondo esterno: non posso rinchiudermi
qui per sempre.
-Sei sicura? Dopotutto il funerale è stato solo la settimana
scorsa: non ti sembra presto?
-No, voglio anche passare a casa di Kei.- Si asciugò gli occhi,
pronunciando il suo nome. –Non preoccuparti per me: non sono debole.
-Vuoi che ti accompagni uno di noi?
-No.- Lo abbracciò forte: era come un fratello per lei. –Ciao,
Takao. Salutami Rei e Max e ringraziali per tutto quello che hanno fatto.
-Ciao, Hilary.
Non incontrò giornalisti lungo la via: non si erano più visti
dopo l’appello del presidente Daitenji. Aveva detto di lasciare in pace i
Bladebreakers, di smetterla di tormentarli con le loro domande. E ,
stranamente, avevano ubbidito.
Quando Hilary entrò nel vialetto di casa, tirò un lungo respiro:
era la prova più dura da superare. Lì dentro, dove la sua “famiglia” avrebbe
dovuto starle vicino, il suo dolore era del tutto ignorato.
-Ti sei decisa a tornare, finalmente. Pensavamo già di togliere
il tuo nome dalla cassetta della posta.
Un uomo di mezz’età le venne incontro: occhi bruni, più freddi
di un blocco di ghiaccio, pochi capelli e il nulla dentro la scatola cranica.
John Irachami, il suo patrigno. La persona più simile ad un’ameba su tutto il
pianeta. Forse un giorno qualcuno sarebbe venuto per studiarlo.
-Ehi, ragazzina, sto parlando con te.
Hilary lo ignorò, passando oltre, ma John la prese per un
braccio, costringendola a voltarsi: lo sguardo le cadde istintivamente sulla
guancia, dove spiccava la cicatrice. Quella che gli aveva lasciato Dranzer lo
scorso anno.
Kei detestava usare il bey come un’arma, ma non avrebbe mai
permesso a quell’uomo di alzare ancora le mani sulla ragazza. Aveva reagito
d’istinto, senza valutare i rischi di quel gesto.
Ora quel segno risaltava netto sulla sua pelle, come la follia
nei suoi occhi.
-Non hai più il tuo ragazzino a difenderti.
-So difendermi da sola- esclamò, affibbiandogli un calcio negli
stinchi e sgusciando nella sua camera. Dietro il riparo della porta, udì le
imprecazioni di John, la voce di sua madre chiedergli cosa fosse accaduto. Ma
non si fermò ad ascoltare la risposta. Prese la valigia dal mobile,
riempiendola di vestiti, oggetti cari e lacrime: aveva sperato che le cose
potessero cambiare, ma con quell’essere era impossibile. Non poteva restare in
quella casa un secondo di più.
-Hilary, tesoro…
Ci mancava solo questo.
-Hilary, posso parlarti? Io capisco come ti senti…
-Non credo proprio, visto che ti sei consolata in fretta dopo la
morte di papà.
-Hila…
-Io non smetterò mai di amare Kei! MAI!
Uscì dalla stanza con la valigia, scontrandosi con sua madre che
si limitò a guardarla.
-Hai tradito la memoria di papà, sostituendolo con un altro. Io
non commetterò mai questo affronto alla memoria di Kei.
Solo una volta fuori tornò a respirare normalmente. L’aria
fredda sulle guance bagnate la fece rabbrividire ma si sentì viva e libera.
Si sarebbe trasferita a casa di Kei, almeno finché Hito non
l’avesse venduta: forse avrebbe potuto ricomprarla lei, anche se dubitava di
avere abbastanza denaro.
Appena videro Takao seduto sotto il portico a guardare il cielo,
Max e Rei intuirono immediatamente che qualcosa non andava.
-Ciao, Takao.
-Ciao, ragazzi.
-Come sta Hilary?
-È tornata a casa. Mi ha detto di ringraziarvi.
-Sei preoccupato per lei?- Rei era così: arrivava subito al
nocciolo della questione.
-Ho paura che possa fare qualche sciocchezza: in fondo Kei era
la persona più importante della sua vita.
-Hila non è stupida, né debole. E soprattutto sa benissimo che
Kei non vorrebbe questo.
-Tu credi veramente che se fosse successo il contrario, se fosse
morta Hilary, Kei se ne sarebbe stato buono buono a continuare la sua vita?
-Non lo so, Takao. Ma non è standole addosso che la proteggerai.
-Rei ha ragione. Comprendiamo perfettamente come ti senti: anche
noi siamo in pensiero, però non puoi soffocarla con le tue attenzioni- confermò
Max, sedendosi accanto all’amico. –Possiamo solo starle vicino, confortarla nei
momenti di disperazione…esserle amici; come un tempo: non vuole la nostra
pietà, ma la nostra amicizia.
-Non è facile.
-Lo so, ma è l’unica cosa che Kei ci abbia mai chiesto in tanti
anni.
-Kei…- Le lacrime rigarono le guance del blader, che ancora non
riusciva a superare la sua scomparsa. –Perché…perché te ne sei andato? Perché
quella macchina ti ha investito?
Max gli passò un braccio attorno alle spalle, lasciandolo
sfogare: era dura per tutti andare avanti, guardarsi intorno e trovare solo
cose che parlavano di lui. Non c’era un solo angolo di quel luogo che non
ricordasse loro Kei.
-Io esco un secondo- disse di colpo Rei, allontanandosi di
corsa.