Cap. VIII. Biglietto d’addio
Hilary abbassò la maniglia: nonostante le prediche, Kei non
chiudeva mai a chiave la porta. Non che qualche malintenzionato avesse il
coraggio di entrare: appena leggevano Hiwatari sul campanello, diventavano di
colpo onesti.
Appoggiando a terra la valigia, respirò quella sensazione di
pace che le invadeva l’anima: quella era casa sua. Era il luogo dove abitavano
i suoi ricordi, i ricordi di un tempo che sembrava trascorso da secoli.
I ricordi di lei e Kei. Felici. Insieme.
La foto della loro vacanza in Russia la guardava dal mobile,
accanto a quella dell’estate al mare con i ragazzi: il suo sorriso, i suoi
occhi viola pieni d’amore per lei, il suo viso angelico. Chi non lo conosceva
bene, non lo avrebbe mai considerato un angelo. Ma per Hilary era questo: il
suo angelo custode, sempre pronto a salvarla. Sempre.
Le sue guance vennero attraversate dalle lacrime: perché? Perché
proprio a loro?
Si gettò sul letto, stringendo le lenzuola tra i pugni serrati:
voleva piangere tutte le sue lacrime, piangere fino alla fine dei suoi giorni,
fino ad esaurire le forze.
Perché si era gettato? Perché aveva voluto fare l’eroe?
Conosceva benissimo la risposta, ma si ostinava a domandarselo,
come se una soluzione avesse potuto restituirle Kei. In verità, però, non
esisteva un perché: aveva seguito il cuore, non era stato un gesto razionale.
Probabilmente non ci aveva neanche pensato.
Sollevò il
volto dal lenzuolo, incontrando lo sguardo del peluche sul cuscino: rammentava
perfettamente il giorno in cui l’aveva comprato…
“Le dispiaceva aver detto quelle parole a Kei: era stato un
momento di rabbia, non le pensava veramente. Era passato un mese da quella sera
e i due non si erano più guardati.
Era una situazione insostenibile e lei aveva torto marcio:
doveva scusarsi con il blader. Il prima possibile.
Stava tornando a casa da scuola con le amiche quando lo vide
nella vetrina del negozio: sì, era lui, era il regalo perfetto. Si bloccò
davanti al vetro, ignorando i richiami delle compagne.
Doveva averlo, anche se questo significava togliere qualcosa ai
suoi sudati risparmi: ma non c’era prezzo troppo alto per riavere l’amicizia di
Kei.
(Due mesi dopo)
Il pacchetto era ancora lì sulla sua scrivania: non aveva
trovato la forza per chiedergli perdono, facendo la pace con il ragazzo. Non
che le occasioni le fossero mancate: gli amici erano arrivati a tentativi
disperati pur di riappacificarli.
Ma era stato inutile: lui si buttava anima e corpo nel beyblade,
mentre lei non faceva altro che studiare e lavorare.
Fino a che, una mattina, Hilary si imbatté nel giovane che
usciva da casa Kinomiya. Si guardarono negli occhi e per un attimo sembrarono
sul punto di aprire i loro cuori.
Invece entrambi presero la loro strada, rompendo la magia: la
ragazza sparì oltre il cancello e Kei salì sull’auto che lo attendeva.
-Non sapevo che vi sareste allenati anche oggi. Dove sono gli
altri?- chiese a Takao.
-Non c’è nessuno, Hila.
-Ho visto Kei e ho pensato…
-No, è venuto a salutarmi prima di partire.
Hilary si alzò di scatto, incapace di trattenere le emozioni.
-Parte? Dove, quando?
-Va in Russia. Il suo volo decollerà tra quindici minuti.
-Ma…perché?
-Preferisce tornare laggiù, almeno per un po’ di tempo. Si
addestrerà con la Neo Borg.
-Sì, ma…così, all’improvviso?
-Hila, perché la cosa ti sconvolge tanto?
-Io…io…- tentennò.
Takao sorrise, appoggiando Dragoon sul tavolo.
-Senti, se corri c’è un autobus che passa dall’aeroporto fra due
minuti. Fai ancora in tempo a sa…
Il ragazzo si interruppe, sentendola partire di corsa. Era
l’ultima occasione: la sua parte l’aveva fatta.
Ora bastava che quei due mettessero da parte quel dannato
orgoglio che abbondava in entrambi.
Aveva maledetto ogni automobilista e ogni vecchina che scendeva
o saliva sul pulmino.
Con un occhio puntato sull’orologio, Hilary scese volando
dall’autobus, entrando nell’aeroporto: si guardò disperatamente intorno, nella
vana speranza di trovarlo.
Poi osservò il tabellone: l’aereo per San Pietroburgo era
partito da un minuto. Per uno stupidissimo minuto non ce l’aveva fatta: quei
voli erano sempre in ritardo. Sempre. Tranne quando le serviva che lo fossero.
Si sedette su una sedia, abbassando lo sguardo e stringendo i
pugni: non poteva piangere per lui, avrebbe significato che era…
Che ne era innamorata. Mentre Kei pensava che lei lo odiasse…
Che stupida era stata e ora ne pagava le conseguenze: aveva
perso l’occasione più importante, l’ultima.
Prese il cellulare e chiamò Takao.
-Pronto?
-Ciao…
-Hila? Cosa c’è?
-Sono arrivata tardi…è partito…per sempre- Le lacrime le
impedirono di proseguire.
-Hila…
La ragazza non si accorse della figura che le veniva incontro,
finché questa non le porse un fazzoletto.
-Grazie…
-Con chi stai parlando?- le chiese Takao.
-Prego.
-Con uno che…- Quella voce. No, non era possibile. O forse sì?
Potevano accadere i miracoli?
Alzando lo sguardo, ebbe la sua risposta.
-Kei! Cosa…cosa ci fai qui? Io credevo che stessi parte…
-Non ho potuto.
-Non hai potuto? Perché?- domandò, dimenticando il cellulare
sulla sedia.
-Una voce dentro di me mi ha detto che se fossi partito senza
parlarti, sarei stato il più grande idiota di questo mondo…
-Kei, io…
Il ragazzo le mise un dito davanti alle labbra, fermandola.
-Hilary, mi dispiace per quello che è successo. E oggi, se non
ti avessi rivista…
-Basta.- Fu il suo turno di interromperlo. –Ma quanto parli
oggi?!
Gli passò le braccia attorno al collo, cercando le sue labbra.
Un bacio disperato, desiderato, dolcissimo. Lo sentì lasciarsi andare, dopo il
primo momento di stupore, cingendola in vita e ricambiando il suo bacio.
Quando Hilary si separò, lo abbracciò forte, come se non lo
vedesse da centinaia di anni. Pianse ancora, tra le sue braccia, al sicuro,
come un porto nella tempesta.
-Ti amo, Hilary.
Le dita di lei si chiusero intorno alla sua maglietta, tenendolo
ancora più stretto a sé.
-Ti amo anch’io.
-Finalmente, ci voleva così tanto?!
La giovane sgranò gli occhi, interrompendo quell’intimità: aveva
scordato Takao! Si avventò sul telefono, mentre Kei la guardava sorridendo e
scuotendo la testa.
-Siamo rovinati- mormorò.
-Takao…hai sentito tutto, vero?
-Ogni sillaba, tesoro. E mi fa molto piacere.
-Cosa?
-Sono felice per voi due, no?! Cosa credevi?
-Che fossi felice per non aver perso nemmeno una parola.
-Questo è ovvio. Ho anche preso degli appunti per non sbagliare
quando riferirò la scena agli altri.
-Perché non ti segni in che modo potrei ucciderti quando
torno?!- replicò Kei.
-Cavoli, Kei, come sei permaloso!
-E tu sei un impiccione.
-Lo so, amico. Ci sentiamo.
-Takao, no, Takao, aspetta!
Ma l’amico aveva già riagganciato. Kei restituì il cellulare ad
Hilary.
-Li sentirò a stare in Russia…- sussurrò abbattuto. Poi sorrise
di nuovo, prendendo per mano la ragazza. –Ma non mi importa, perché tu sei la
cosa più bella che mi sia capitata.
-Kei…- iniziò. Improvvisamente si ricordò del regalo. –Vieni a
casa mia un attimo: devo darti una cosa.
-Come…- balbettò lui, arrossendo.
-Coraggio!
-Entra pure, non c’è nessuno.
La titubanza di Kei la fece sorridere: possibile che un tale
iceberg fosse così impaurito da lei?
-Ehi, non ti facevo così timido- lo sorprese. –Tieni, questo è
per te. L’avevo comprato per fare la pace…ora è un regalo per il viaggio, un
portafortuna.
Il giovane aprì il pacchetto, tirandone fuori un peluche: era un
aquilotto con delle striature rossastre. Somigliava vagamente all’Aquila Rossa.
-È un aquila…mi sei venuto in mente quando l’ho vista…
Le braccia di lui la avvolsero e Hilary si ritrovò contro il suo
petto: sentì i battiti accelerati del suo cuore, i muscoli scolpiti da anni di
allenamenti e la forza delle sue emozioni.
-Grazie, lo terrò sempre con me.
-Torna presto, Kei.
Si alzò sulle punte per baciarlo: era felice. Felice come non lo
era mai stata.”
Strinse a sé il peluche, avvertendolo improvvisamente
scricchiolare. Osservandolo attentamente si accorse di una cerniera nascosta:
cosa vi aveva infilato Kei?
Un foglio di carta sbucò dall’apertura. C’era scritto “PER IL
MIO AMORE”.
20.6.2005
“Cara Hilary,
spero di esserti accanto quando leggerai queste parole.
In caso contrario, prendilo come il mio testamento. Sì, lo so:
questi discorsi non ti piacciono, ma devo farli.
Per noi.
Lo scontro con Brooklyn di quattro mesi fa mi ha permesso di
riflettere sulla mia vita, su quanto sia fragile. Tu sai quanto io ti ami, da
quanto conto i giorni che mi separano dal mio diciottesimo compleanno, data in
cui finalmente potrò sposarti e dividere con te tutto ciò che possiedo.
Ma se mi accadesse qualcosa prima di allora, ricordati che tu
sei Hilary Hiwatari, la mia consorte, l’unica persona con cui voglia
trascorrere l’esistenza.
La casa e il conto in banca sono intestate anche a tuo nome:
avrei dovuto parlartene, lo so, ma ti saresti arrabbiata. Mi avevano sempre
detto che non sono i soldi a fare la felicità, ma non ci avevo mai creduto: io
ci vivevo in mezzo da sempre e avevo fatto ogni cosa volessi.
Ma non era quella la vera felicità: quella l’ho conosciuta solo
quando mi sono innamorato di te.
Mi hai dato tanto in questi anni, molto più di quanto mi
meritassi…voglio ricompensarti in qualche modo: regalarti il sogno di poter
studiar medicina e di riprendere a ballare.
Non ho mai avuto dubbi sui tuoi sentimenti: ami me, non il mio
denaro. E io invece credo di non essere mai riuscito a farti capire quanto sei
importante per me: sei la mia luce, il mio tesoro, la sola persona per cui
darei la vita.
Se ti sarò vicino, ora cominceremo a litigare, per poi riderci
sopra; ma se così non fosse, asciuga le lacrime e continua a vivere: tu sei una
ragazza forte. Non sei mai dipesa da me.
E comunque, qualsiasi cosa accada, io sarò con te.
Per sempre.
Kei Hiwatari