Cap. XI. Una notizia inattesa
Dicembre e le sue festività non erano che un ricordo lasciato
alle spalle. Hilary l’aveva trascorso da sola, nella casa di Kei, nonostante in
molti si fossero dati da fare per invitarla: i ragazzi, Yuri, Mao, Emily,
Olivier…
Ma aveva rifiutato tutti gli inviti: un po’ perché non voleva
vedere la pietà sui loro volti, e un po’ perché non si sentiva più sicura di sé
stessa. Ultimamente non faceva altro che svenire e vomitare: all’inizio lo
aveva attribuito al dolore, allo shock per la morte di Kei…ora, però,
cominciava a preoccuparsi. Che diavolo le stava succedendo?
-Cosa voleva Hilary?- domandò Takao a Rei, appena questi rientrò
nella sala.
Grande era stata la sorpresa del capitano dei Bladebreakers
quando aveva risposto al telefono e la ragazza gli aveva chiesto di passarle il
blader cinese.
-Signore, e adesso cosa gli racconto?!- pensò.
Non poteva certo dirgli la intenzioni di Hilary; non poteva
rivelargli che quel pomeriggio l’amica si sarebbe recata a Villa Hiwatari per
conoscere Hito. Takao sarebbe andato in escandescenza.
Già, ma allora cosa poteva inventarsi?
-Solo scusarsi per essermi svenuta fra le braccia…- incespicò
lui.
-È successo un po’ di tempo fa. Ci stava pensando ancora?
-Non aveva più avuto l’opportunità di farlo.- Era penoso: si
vedeva lontano un miglio che stava raccontando una balla.
Ma Takao parve non accorgersene, oppure preferì sorvolare e
lasciargli i suoi segreti.
Max, invece, non fu altrettanto indulgente: squadrò il compagno,
ipotizzando cosa mai stesse nascondendo.
Una storia con la giovane? Da escludere: Rei era innamorato di
Mao, e in qualsiasi caso non si sarebbe mai messo con la ragazza dell’amico
defunto. Che Hilary stesse male? Bhe, non era a cento, ma perché dirlo solo a
lui? No, anche questo era da scartare.
Odiava quella situazione: doveva assolutamente convincere Rei a
parlare, anche se era più difficile che scassinare Fort Knox.
Villa Hiwatari si ergeva imponente oltre il cancello, dopo metri
e metri di parco.
Era diversa dall’ultima volta che l’aveva vista, molti anni
prima: i rampicanti crescevano senza controllo, la ruggine stava attaccando
rapidamente il ferro battuto ed ogni cosa era lasciata all’abbandono. Tutto era
triste e tetro.
Un’atmosfera strana aleggiava su quel luogo: non si sarebbe
stupita se un fantasma le fosse passato davanti al naso. L’ambiente era
l’ideale.
Si appoggiò all’anta e per poco non cadde a terra: il cancello
si era aperto al solo tocco della mano.
Era strano: Kei le aveva sempre detto che suo nonno teneva molto
alle apparenze e soprattutto che la Villa era sigillata come un bunker.
In quel momento non corrispondeva proprio all’idea che si era
fatta.
Attraversò il viale, spazzato di fresco dalla neve, accertandosi
ad ogni passo della decadenza di quel luogo: non era Villa Hiwatari, almeno non
quella di un tempo.
Anche la porta non oppose resistenza e in un attimo si ritrovò
nell’atrio. Era un po’ violazione di domicilio, ma di fronte a quello che
voleva scoprire, cos’era un piccolissimo reato?
Si stava giusto guardando intorno, cercando di raccapezzarsi,
quando una voce le ghiacciò il sangue nelle vene.
-Cosa cerchi, ragazzina?
Hilary volse lentamente la testa alla sua sinistra e lo vide, in
cima alle scale: Hito Hiwatari, l’uomo più ricco e potente del Giappone,
l’ultimo sopravvissuto della sua dinastia.
La giovane mosse un passo, poi crollò al suolo svenuta.
Non aveva più i riflessi e i sensi di una trentina d’anni prima,
ma era certo di aver sentito il cigolio leggero della porta d’ingresso. Ma chi
avrebbe potuto entrare? I ladri non si derubano fra loro, Alfred era in casa e
lui non attendeva nessuno.
Avviandosi verso le scale, Hito Hiwatari si appoggiò al bastone:
la sua salute era notevolmente peggiorata in quell’ultimo periodo ed era sicuro
che non gli restasse molto da vivere. La morte di Kei era stata l’ultima
goccia: il suo cuore non avrebbe retto ad altri dolori.
Quando notò la fanciulla nell’atrio, gli ci volle un attimo per
riconoscerla: era l’amica dei Bladebreakers e…
La fidanzata di Kei.
Si era sempre chiesto come avesse fatto quel mucchietto di ossa
a domare il grande Kei Hiwatari: doveva essere una vera forza della natura se
aveva trionfato dove sia lui che Borgof avevano fallito.
-Cosa cerchi, ragazzina?
Per poco non si sentì male nel vederla accartocciarsi a terra
come un castello di carte.
-Afred! Alfred!
-Ha chiamato, signore?- rispose un uomo.
-Presto! Portala in camera e poi chiama un’ambulanza!
-Subito, signore.
Per la seconda volta in poco tempo, Hilary si risvegliò in un
letto non suo. Cominciava a diventare un vizio.
Avvertiva un borbottio sommesso, provenire dalla stanza a
fianco: riconobbe la voce di Hito, ma non quelle delle altre persone.
-Come sta, dottore? È qualcosa di grave?
Dottore?! No, era svenuta di nuovo: che figura del cavolo…
-No, signor Hiwatari. Nel suo stato qualche svenimento è
normale.
-Bhe, il dolore per la morte di Kei è stato grande…
-Non mi riferivo a questo: quella ragazza è incinta. Ad occhio e
croce di cinque settimane.
-Come?!
-Mi scusi, io credevo che lei sapesse…
Hilary spalancò gli occhi, rizzandosi a sedere: incinta?
Ecco perché la nausea e gli svenimenti…Si portò una mano al
ventre: un bambino, un esserino che era lei e Kei insieme. Era incredibile,
meraviglioso, drammatico e terribile allo stesso tempo.
Un figlio. Un figlio dal ragazzo che aveva amato con tutta sé
stessa. Un figlio che sarebbe stato il frutto del loro amore. Un figlio che non
avrebbe mai conosciuto suo padre.
Si sentì schiacciare da tutti quei pensieri: cosa doveva fare?
Doveva tenerlo? Bhe, su questo di dubbi ne aveva pochi: era una parte di Kei,
del suo Kei. Non poteva certo gettarlo come un sacco della spazzatura.
Ma sarebbe riuscita a crescere un bambino da sola? Certo, Takao
e gli altri ne sarebbero andati matti: desideravano un nipotino che corresse
per casa chiamandoli zii.
-Kei…amore mio…perché non sei qui con me?
Una lacrima rotolò lungo la guancia: lo rivedeva a terra, nel
sangue, morto per salvarla. Anzi, salvarli.
E Hito? Cosa avrebbe pensato? L’avrebbe considerato suo nipote o
se ne sarebbe lavato le mani?
Non che si aspettasse qualcosa da lui: non era andata lì per
quel motivo.
La porta si aprì di colpo, e l’oggetto dei suoi pensieri entrò
nella camera.
-Scusami, non intendevo spaventarti. Non sono più abituato ad
avere altre persone in casa. Ti senti meglio?
-Sì, grazie. Mi perdoni per esserle piombata in casa come una
ladra, non so cosa mi sia preso…
-Forse il dolore ne chiama a sé altri.
Quella frase venne pronunciata con una tale spontaneità che
Hilary fu costretta ad alzare lo sguardo, fissandolo negli occhi: erano grigi,
non viola, ma avevano la stessa profondità di quelli di Kei.
-Io sono Hilary Tachibana…
-Lo so chi sei. Sei la ragazza che ha portato via il cuore di
Kei.
Le guance di lei arrossirono leggermente.
-L’ho vista al funerale. Perché non è venuto davanti, a
porgergli un ultimo saluto?
-La gente non l’avrebbe tollerato. Non dopo ciò che gli avevo
fatto: sarebbe sembrato un gesto ipocrita.
-Io non l’avrei pensato. Comunque, sono venuta per ridarle
questo.
-Il conto in banca di Kei? Perché?- L’uomo era stupito da quel
gesto: quindi non era il denaro a interessarle.
-Suo nipote voleva che li tenessi, ma quei soldi non mi
appartengono: io amavo lui, non il suo denaro.
-È assurdo e incredibile. Noi Hiwatari siamo dei bastardi per
natura…nasciamo con mire di conquista, con sete di potere. Ma per fortuna del
mondo, ci imbattiamo sempre in donne dall’animo nobile e dal carattere forte,
capaci di metterci le briglie- aggiunse con un sorriso. –Mia moglie Angeline,
mia nuora Nadja e ora tu: in amore siamo sempre fortunati. Un po’ meno nella
vita.
-Che intende dire?
-Angeline è morta poco dopo la nascita di nostro figlio, Nadja e
Sosuke sono morti in un incidente e Kei…bhe, lo sai anche tu com’è finita.
Alla ragazza non sfuggì il luccichio nei suoi occhi.
-Quei soldi ti appartengono, Hilary: Kei li ha intestati a tuo
nome. E oltretutto, ciò che mi hai restituito non ha un prezzo.
-Non capisco…
-Tu mi hai ridato Kei.
-Cosa?
-È stato qui, la mattina di quel terribile giorno: non lo vedevo
da anni.
-Kei…ha parlato…con lei?
-Sì, e solo per merito tuo. Era abbastanza contrariato: diciamo
che era palese quello che pensava. Però manteneva la sua determinazione: si
batteva per te, per qualcosa a cui tu tenevi. Volevi che i nostri rapporti si
riallacciassero, vero?
-Io so cosa vuole dire perdere la propria famiglia: guardarsi
alle spalle e non riconoscere più le persone come famigliari. Lei era tutto ciò
che gli restava: l’aveva deluso e questo lo aveva ferito- raccontò lei. –Ma
sapevo che in fondo al cuore le voleva ancora bene: non volevo che un giorno si
pentisse di essersi allontanato da lei, quando magari era troppo tardi per
rimediare.
-Più o meno ha usato queste parole. Ha aggiunto che il passato
non si poteva cancellare e che non sarebbe mai riuscito a dimenticare i traumi
dell’infanzia. Ma che, in fondo, forse senza di me non avrebbe mai scoperto il
beyblade e il suo Dranzer. “Qualcosa te lo devo, nonno” ha detto.
Ecco perché quella sera aveva voluto incontrarla.
“Ti devo parlare assolutamente, non posso aspettare domani”
le aveva rivelato con fare misterioso.
Ma non ci era mai riuscito: quella macchina aveva sepolto con
lui la discussione fatta la mattina.
Hilary si alzò dal letto, portandosi accanto all’uomo e
stringendogli una mano con un sorriso radioso.
-Kei era un gran testardo. È stata dura per lui mettere da parte
l’orgoglio e tornare qui, ma non l’ha fatto solo per me: io ho insistito, gli
ho dato l’occasione…in realtà credo non aspettasse altro.
-Sei una brava ragazza, Hilary. Benvenuta in famiglia.
-Come?
-Fai parte degli Hiwatari, sempre che tu lo desideri.
La fanciulla non riuscì a trattenersi: gli saltò al collo,
abbracciandolo con sincero slancio. Hito rimase perplesso: Kei, suo nipote, non
si era mai comportato così. Il massimo a cui arrivava era una stretta di mano:
il passato era una brutta bestia, difficile da cancellare.
-Grazie…
-Di niente, bambina. Immagino fosse il desiderio di Kei.
-Ora devo andare, ma tornerò a trovarla.
Aveva già una mano sulla maniglia, quando Hito le raccomandò:
-Stai tranquilla e non affaticarti troppo, va bene?
Non aveva trovato il coraggio per parlare della gravidanza e,
sinceramente, la giovane gliene fu grata: nemmeno lei sapeva esattamente come
affrontare quell’argomento. Avrebbe già dovuto trovare le parole per informare
i ragazzi e non era assolutamente una cosa facile.
Però quell’affermazione le scaldò il cuore: quell’uomo
somigliava molto al suo Kei. Entrambi parevano di ghiaccio e privi di
sentimenti, ma sotto la scorza si nascondevano delle persone stupende.
-Certo, non si preoccupi.
Era felice. Talmente felice da non accorgersi nemmeno dell’auto
nera parcheggiata fuori dalla Villa.